Sta di fatto che…

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Trascrizione

Buongiorno, io sono Giovanni e vi ringrazio per essere all’ascolto di questo episodio di Italianosemplicemente.com dedicato ad una locuzione abbastanza semplice: “sta di fatto che“. Questo almeno era la mia idea iniziale. Poi mi sono reso conto che la parola “fatto” si usa molto in parecchie locuzioni ed in molti modi diversi. Allora oggi vediamo di spiegare un po’ come si può usare questa piccola parola nei diversi modi.

Sta di fatto che: qui ci sono quattro parole in tutto che spesso trovate tutte insieme, e voi potreste chiedervi cosa significhi esattamente.

Dunque questa non possiamo chiamarla espressione idiomatica italiana perché non ha un senso figurato, non c’è un’immagine presa in prestito per esprimere un concetto diverso. Possiamo parlare di una locuzione.

Si tratta appunto di una locuzione cioè di una “frase fatta” come si dice, una frase che si dice solamente in particolari occasioni che ha un suo significato.

L’unica parola importante che può aiutarvi in questa locuzione è la terza parola, proprio la parola: “fatto“.

Il “fatto” è un parola per niente semplice da spiegare. Non voglio parlare del verbo fare però (fatto è il participio passato del verbo fare). Voglio parlare invece del fatto come sostantivo, che è un avvenimento, un accadimento, è cioè qualcosa che accade, che avviene nella realtà, e in generale qualsiasi cosa che accade, che è accaduta nel passato e che accadrà nel futuro è un fatto.

Questa parola si usa moltissimo nel linguaggio italiano, e spesso fa parte di una locuzione grammaticale, come in questo caso. Gli usi della parola “fatto” e delle varie forme: fatti, fatte, fatta eccetera sono talmente tanti che ci vorrebbero due ore per fare l’elenco.

A me oggi interessa soprattutto sottolineare e farvi notare che spesso ci sono altre parole vicino (prima e dopo) alla parola “fatto”: possono essere congiunzioni, preposizioni, articoli, che danno al “fatto” un significato particolare.

Vi faccio qualche esempio partendo dai più semplici:

Oggi è successo un fatto strano: mi hanno chiamato dal Giappone!

In questo caso sto semplicemente parlando di qualcosa di accaduto, qualcosa che viene qualificato come “strano“: è strano che io venga chiamato al telefono dal Giappone: non mi capita mai un fatto del genere, un fatto di questo tipo.

Un fatto può essere “strano”, come in questo caso, ma in altri casi può essere interessante, può essere casuale, può essere curioso, ambiguo, e tante altre cose. Quando vogliamo esprimere qualcosa di accaduto e usiamo la parola “fatto” solitamente facciamo in questo modo: aggiungiamo qualcosa, come un aggettivo che in realtà esprime la cosa più importante della frase. La parola fatto in questo caso serve solamente ad accompagnare l’aggettivo. È difficile che non ci siano aggettivi anche se può capitare. Ad esempio mia moglie potrebbe rispondermi:

Caro Giovanni, i fatti parlano chiaro, sono ben tre volte che ti chiamano dal Giappone questo mese!

In questo caso “i fatti“, al plurale, vengono utilizzati per indicare qualcosa di chiaro, di lampante! I fatti parlano chiaro, quello che è accaduto mi fa capire chiaramente la realtà dei fatti.

Poi possiamo usare il “fatto” in un altro modo interessante. Ad esempio se mia moglie si preoccupa che io abbia ricevuto una telefonata dal Giappone, io potrei rassicurarla per farla tranquillizzare e dirle:

Il fatto che io abbia ricevuto una telefonata dal Giappone non significa che io abbia rapporti con una donna giapponese!

Ho usato “il fatto che“, locuzione che si usa per spiegare un fatto, per spiegare qualcosa di accaduto. Ogni volta che facciamo in questo modo è chiara la nostra volontà di dare, di fornire una spiegazione, una spiegazione di qualsiasi tipo. In questo caso voglio spiegare a mia moglie che il fatto accaduto non deve farle pensare cose strane come che io abbia una donna in Giappone, o che abbia rapporti con i giapponesi. Sto dando una spiegazione, sto cercando di spiegare qualcosa. Sto spiegando quello che è successo e dico: quello che è accaduto, il fatto, l’evento che si è verificato, è casuale, ad esempio. Evidentemente hanno sbagliato numero. Quindi:

il fatto che io abbia ricevuto una telefonata dal Giappone non significa che… Eccetera eccetera.

Solitamente questa locuzione si usa o per suffragare un’ipotesi oppure per smontare, per sminuire, per allontanare un’ipotesi, come in questo caso.

Per suffragare un’ipotesi cioè per dare credibilità ad un’ipotesi, posso dire ad esempio:

Il fatto che io sia felice significa evidentemente che sto bene con te. La mia felicità è la prova di ciò che dico.

Per smontare invece un’ipotesi, per fornire una diversa interpretazione della realta invece posso dire:

Il fatto che la Roma abbia battuto il Barcellona non significa che la Roma vincerà la champions League.

In entrambi i casi comunque sto dando ad un fatto accaduto una mia interpretazione. Voglio cioè convincere chi mi ascolta che un fatto è da interpretare come dico io. Ma posso fare meglio per essere più convincente.

Un uso particolare della parola fatto sta infatti nella frase: “il fatto stesso che“. Vediamo un esempio.

A me piace molto l’Italia: lo dimostra il fatto stesso che ci vada sempre in vacanza.

In questo caso voglio sempre cercare di dare credibilità ad un mio pensiero, ad una mia affermazione, ed in particolare voglio dire una cosa che da sola è sufficiente per dimostrare la mia idea. Non c’è bisogno di trovare altre motivazioni, altre cose per convincere, questa cosa di cui ti sto parlando, di per sé stessa, (si dice anche così) cioè da sola è sufficiente.

Mi ami?

E me lo chiedi? Il fatto stesso che io voglia sempre stare con te da 10 anni dovrebbe dimostrartelo. Non ti basta come prova?

Questo è un altro esempio.

Vediamo adesso un altro utilizzo della parola “fatto” con un esempio. Il mio obiettivo questa volta non è quello di dare una spiegazione ad un fatto, ma quello di aggiungere qualcosa in più, una spiegazione aggiuntiva che vogliamo che sia credibile e convincente, basata su qualcosa di vero.

Esempio:

sto cercando di spiegare al mio capo in ufficio che il lavoro che devo fare è troppo. Non riesco a trovare il tempo per fare tutto in maniera perfetta. Voglio spiegare al mio capo in ufficio che se continuo in questo modo finirò per fare tutto male, perché ho poco tempo da dedicare ad ogni singola mansione. Allora inizio a parlare col mio capo e dico:

Ho veramente troppo lavoro in questo momento. Non posso aggiungere altre cose. Potrei anche farlo, ma il fatto è che a me piace fare le cose in modo perfetto e non riuscirei a farlo per mancanza di tempo.

Il fatto è che” è la piccola locuzione che ho usato e serve a spiegare un motivo forte di ciò che sto affermando: la realtà è che se aumento le mie mansioni non riuscirò a farle bene.

Il fatto è che… Serve ad evidenziare la realtà ed a spiegare la realtà, la verità, quello che è importante capire. Quale è il motivo vero che spiega ciò che sto dicendo? Ecco in questi cssi si deve usare: il fatto è che... Aggiungendo dopo la cosa importante.

Si tratta di una modalità colloquiale, non si usa mai allo scritto in contesti formali. Invece allo scritto in questi casi potete scrivere ad esempio:

– una cosa da non sottovalutare è che…

– ciò che si afferma è motivato dal fatto che..

– la vera ragione che sta alla base di questo è…

Più informalmente si usa: il fatto è che…

Vi faccio un altro esempio. Vorrei che mio figlio facesse la facoltà di ingegneria aerospaziale all’università, perché è una delle facoltà che gli permetterebbe di trovare un lavoro ben remunerato in futuro. Mio figlio però non è d’accordo e dice:

Si papà lo so, quello che dici è vero, io ci ho pensato molto ma il fatto è che a me ingegneria aerospaziale proprio non piace per niente!

Quindi ciò che vuole dire mio figlio è una cosa molto importante, forse la più importante, è la realtà! Che mi impedisce di fare quella scelta. Si deve usare questa locuzione solamente quando ho una cosa molto forte che è sufficiente a convincere il mio interlocutore.

Vediamo un altro modo di usare il fatto.

Fatto sta che“. Questo è molto simile alla locuzione precedente, ma è qualcosa che si utilizza quando, nel tentativo di dire qualcosa di importante voglio sottolineare un aspetto che non possiamo trascurare. È del tutto analogo a “il fatto è che” ma voglio essere un po’ meno la persona che sta cercando di spiegare, e un po’ di più la persona che considera un aspetto che non possiamo far finta che non esista, non è trascurabile, non lo possiamo trascurare.

Si usa, state attenti su questo, quando abbiamo una specie di discussione e noi vogliamo far notare una cosa importantissima.

Esempio mio figlio, nell’ esempio precedente dell’università potrebbe rispondermi:

Papà, è vero che ingegneria aerospaziale è un’ottima facoltà, ma fatto sta che a me non piace e non voglio farla.

A me non piace questa facoltà, dice mio figlio, non puoi far finta che questo non sia importante. Quindi è come se questo fosse un ostacolo insormontabile, “fatto sta che”: il fatto sta lì, la vedi questa realtà papà? Il fatto sta lì e non puoi far finta che non esista. Papà, devi rassegnarti! Questo vuole comunicarmi mio figlio alla mia richiesta.

Del tutto identica alla precedente è l’espressione “Sta di fatto che“. La posso usare nello stesso identico modo e nelle stesse occasioni, l’unica differenza è che “fatto sta che” è un po’ più informale e un po’ più dura.

Bene ragazzi, non ho esaurito gli utilizzi della parola “fatto”, “fatti”, “fatta”: ci sono tanti altri modi che vedremo in altri episodi futuri di italiano semplicemente. Solo per farvi qualche altro esempio di cose che non abbiamo visto oggi:

  • fatti i fatti tuoi (che abbiamo già spiegato in passato)
  • la frase fatta (ne abbiamo parlato spesso in realtà, si tratta di frasi idiomatiche e locuzioni, frasi con senso proprio)

Poi ci sono molte espressioni che non abbiamo mai spiegato ma lo faremo in futuro, come:

  • fatti e misfatti
  • sapere il fatto suo
  • esser sicuri del fatto proprio
  • preso sul fatto
  • venire al fatto o ai fatti
  • passare per le vie di fatto

Per ora siamo attivato alla fine di questo episodio. Anche questo è un “fatto”.

Bene, allora mi auguro di essere stato chiaro. Ora se volete un piccolo esercizio di ripetizione. Ripetete dopo di me.

Oggi è accaduto un fatto curioso

Succedono sempre fatti strani in questa casa

Il fatto accaduto oggi deve farci riflettere

Il fatto che io sorrida non significa che io sia felice

È vero che sono un uomo affascinante, ma il fatto è che sono sposato. Non possiamo vederci mi spiace!

Sembra un bravo ragazzo, ma fatto sta che lo hanno già arrestato due volte!

Sembra un bravo ragazzo ma sta di fatto che lo hanno già arrestato due volte.

Ciao ragazzi. Ripetete più volte l’ascolto se necessario.

Il fatto stesso di ripetere vi aiuterà a ricordare.

Senza stress, mi raccomando.

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Vi spiego una canzone

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Descrizione

Vi spiego una famosa canzone italiana. Una canzone che in realtà possiamo chiamare poesia. Una poesia, una canzone, che parla di debolezze umane. La spiegazione fa parte del programma di oggi dell’associazione italiano semplicemente.

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Parentela: dialogo familiare

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Elettra e Giovanni parlano della loro famiglia e dei cugini di Elettra, utilizzando termini particolari come: ordine cronologico, fratelli, fratellastri eccetera. Episodio senza trascrizione.

 

A fronte di

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Trascrizione

Eccoci di nuovo qui, sulle pagine di italiano semplicemente, ed io sono Giovanni, la voce principale del sito senonché presidente dell’associazione italiano semplicemente. Senonché vuol dire “anche”. Posso anche dire nonché.

Per chi non lo sapesse, perché per la prima volta ascolta gli episodi di Italianosemplicemente.com in questo sito si impara a comunicare in italiano ed io cerco di aiutare voi stranieri attraverso la spiegazione di frasi come quella di oggi, espressioni che fanno parte del linguaggio comune ed anche a volte del linguaggio formale e professionale.

Per quest’ultima categoria di linguaggio, più difficile, cioè quello professionale e del lacoro, è sicuramente più difficile trovare del materiale su internet. Anche e soprattutto è difficile trovare spiegazioni audio che siano adatte agli stranieri.

L’espressione che vi spiego oggi è in effetti molto utilizzata a livello formale e nelle comunicazioni commerciali e istituzionali. L’espressione è “a fronte di“.

In questa locuzione ci sono due preposizioni semplici: a e di, e la parola “fronte” che probabilmente conoscete già.

La fronte è infatti una parte del vostro corpo (e del mio anche) anzi è una parte del vostro viso che si trova sopra i vostri occhi: diciamo tra i vostri occhi e l’inizio dei capelli. Quello spazio è la fronte. Tecnicamente la fronte è la regione anatomica compresa fra le sopracciglia e la radice dei capelli.

La parola fronte però non è solamente una parte, una regione anatomica, cioè una parte del vostro corpo.
È una parola che si usa anche in molte espressioni italiane e non solo. Ad esempio “essere impegnato su due fronti” , o anche “agire su due fronti” (fronti è il plurale di fronte), “essere sfrontato” .

Esiste anche il verbo fronteggiare, che è un sinonimo di affrontare, che contiene a sua volta la parola fronte all’interno.

La parola fronte poi ha sia il maschile che il femminile: il fronte infatti si usa nel linguaggio bellico (il linguaggio della guerra), per indicare la prima linea: stare al fronte, in guerra, significa essere esposto al fuoco nemico, essere di fronte al nemico. Vedete come l’immagine della fronte, che sta proprio davanti al nostro corpo, viene utilizzata per indicare la parte anteriore, che sta davanti, in molte occasioni diverse, come la guerra appunto. D’altronde anche “stare di fronte” a qualcuno significa avere questo qualcuno davanti a sé. Se ho una persona davanti a me posso dire che sta di fronte a me, e che io ce l’ho di fronte.

Allo stesso modo posso dire che di fronte a casa mia c’è un parco.

“Il fronte” però, al maschile, si usa molto anche nel linguaggio di tutti i giorni:

il fronte dell’edificio, ad esempio, per indicare la parte davanti di un edificio. In questo caso si dice anche il frontale, la facciata dell’edificio o la parte anteriore, quella cioè rivolta a chi ci guarda, proprio come la nostra fronte.

al fronte opposto. Questa frase si usa quando vogliamo indicare la parte opposta di qualcosa, che sta di fronte, alla parte opposta, ma opposta anche nel senso di contraria. Posso parlare di qualcosa di fisico (la parte opposta di una strada ad esempio) oppure quando ci sono due situazioni che sono opposte, che si contrappongono, che sono una il contrario dell’altra. Posso dire che i pacifisti vogliono la pace ma al fronte opposto (o sul fronte opposto) ci sono i fondamentalisti che vogliono la guerra. La pace è l’opposto della guerra, è il contrario. La pace ci contrappone alla guerra. Da una parte sta la pace e dalla parte opposta, sul fronte opposto, o al fronte opposto, sta la guerra.

Esiste, anche il:

cambiamento di fronte. Espressione che si usa molto nel calcio ma non solo. Nel calcio Indica un cambiamento della zona del campo in cui si sta giocando. Posso anche però usare questa frase quando avviene un cambiamento dell’interesse da parte di qualcuno. Io ad esempio posso mangiare la carne e poi può avvenire un cambiamento di fronte e ad un certo punto divento vegetariano.

La parola fronte può essere quindi usata sia per indicare qualcosa davanti a noi, o anche indicare una direzione o qualcosa a cui è interessata la nostra attenzione. Ad esempio posso dire:

sul fronte della moda/politica ecc. In questo caso uso “il fronte” per cambiare l’oggetto del discorso: è come dire: “Ora invece inizierò a parlare di moda. Ad esempio:

Ci sono interessanti notizie economiche sull’Italia oggi, mentre sul fronte della moda è uscita la nuova collezione autunno inverno di Dolce & Gabbana.

Sul fronte della politica invece nulla di nuovo.

Non voglio però elencare tutti i diversi modi per usare il fronte o la fronte. Quello che intendo farvi capire è che bisogna stare attenti a come si usa perché dipende molto dalla preposizione che si usa.

Nella frase di oggi in particolare ce ne sono due di preposizioni:

A fronte di. In questo caso, fate attenzione, la parola fronte si usa per indicare uno scambio.

Gli scambi, sapete bene che sono l’anima del commercio: il commercio è fatto di scambi:

– Io do un prodotto a te e tu dai dei soldi a me.

– Tu lavori per me e io do dei soldi a te.

– voi vi iscrivete ad una associazione e voi in cambio ricevete dei benefici.

Questi sono esempi di scambi. Dove c’è uno scambio c’è sempre una contropartita, un corrispettivo, una forma di compensazione.

Anche in questo ambito posso usare la parola fronte e posso dire ad esempio, se voglio usare gli esempi che ho appena fatto che:

– Io do un prodotto a te a fronte del tuo pagamento verso di me.

– Tu lavori per me ed io, a fronte del tuo lavoro, do dei soldi a te.

– voi vi iscrivete ad una associazione e voi, a fronte di questa iscrizione, ricevete dei benefici.

Vedete che in tutti questi casi c’è uno scambio. Per questo motivo usiamo “a fronte”, ed aggiungiamo “di qualcosa” per indicare una delle cose che è stata scambiata. Provate a ripetere dopo di me qualche frase:

Ti pago a fronte del tuo lavoro

A fronte del tuo forte interesse vorrei assumerti

Ti consegno la merce solo a fronte del pagamento immediato.

I nostri servizi avvengono sempre a fronte della massima disponibilità del cliente.

Allora per farvi capire bene voglio cercare di sostituire la frase “a fronte di” con qualche altra parola o verbo, in modo che non cambi il significato e la modalità formale della frase.

Ti pago a fronte del tuo lavoro

Il mio pagamento rappresenta il corrispettivo della tua attività lavorativa.

A fronte del tuo forte interesse vorrei assumerti

Hai mostrato un forte interesse e di conseguenza, di fronte a questo, ho deciso di assumerti.

Ti consegno la merce solo a fronte del pagamento immediato.

Solamente se il pagamento avverrà contestualmente, cioè nello stesso momento, o in corrispondenza, ti verrà consegnata la merce: io ti consegno la merce, il prodotto, e contestualmente, a fronte di questa consegna dovrà avvenire il pagamento, il pagamento cirrispondente alla consegna della merce.

Vetere che è più facile usare “a fronte di” in questi casi in cui c’è uno scambio. È più facile perché basta indicare le due cose che sono oggetto di scambio:

La merce a fronte del pagamento, il servizio a fronte della disponibilità, l’assunzione a fronte dell’interesse.

È un modo che vi consiglio di usare anche nelle comunicazioni scritte, perché rende il linguaggio più pulito, libero da interpretazioni personali e quindi meno rischioso anche.

Attenzione adesso. Vi dicevo dell’importanza delle preposizioni ricordate? Eccovi un esempio.

A fronte di” non deve essere confuso con “di fronte a“.

In questo caso le preposizioni a e di sono invertire ed il significato è diverso.

“Di fronte a” non si usa negli scambi, ma si usa per indicare tre cose diverse:

Il modo più semplice è essere davanti a qualcosa, anche di non tangibile, ad esempio “urlare di fronte a tutti” cioè davanti a tutti: tutti possono sentire e vedere.

Oppure

Mi trovo di fronte a mille difficoltà (mi trovo davanti in senso figurato)

Ma voglio in particolare parlarvi di altri due modi di usare “di fronte a”.

Nel primo modo si indica una reazione volontaria o anche qualcosa di inevitabile: succede qualcosa e come reazione ne accade un’altra.

Siamo nell’ambito delle conseguenze quindi. Abbiamo più volte parlato di conseguenze sulle pagine di italiano semplicemente e delle espressioni che si usano a riguardo. In questo caso si parla di conseguenze che avvengono perché c’è la volontà di qualcuno che reagisce a qualcosa che avviene oppure quando non c’è niente da fare. Ad esempio.

Di fronte a tutte queste difficolta mi arrendo (reazione volontaria)

Di fronte agli uragani non c’è nulla da fare (conseguenza inevitabile)

Di fronte a tutte quelle accuse ho dovuto difendermi (reazione volontaria).

Ma come fare a capire meglio la differenza tra “a fronte di” e “di fronte a”?

Cerco di aiutarvi in questo: vedete che in questi ultimi casi non c’è un vero scambio. Quello che si vuole sottolineare in questi ultimi esempi è che è successo qualcosa che occorre fronteggiare, affrontare, voglio quindi dire che mi sono trovato di fronte, davanti, una realtà che mi costringe alla reazione: devo reagire, oppure non c’è nulla da fare ed è inutile reagire.

In questi casi c’è un’azione principale e una secondaria che è la reazione.

Invece, attenzione, “a fronte di” che abbiamo visto prima serve a confrontare due cose che hanno lo stesso valore, sono una il corrispettivo dell’altra, ecco perché vi dicevo che l’espressione è più pulita e per questo molto adatta al mondo del lavoro ed al commercio.

Spero di avervi aiutato, quindi terminiamo l’episodio con un saluto. Colgo l’occasione per usare la frase di oggi dicendo che ringrazio tutti e in particolare i sostenitori, che a fronte di questo sforzo da parte mia aiutano italiano semplicemente con una donazione personale.

Un grande abbraccio.

Rigirare la frittata

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Trascrizione

Buongiorno amici di Italianosemplicemente.com e benvenuti in questo nuova puntata dedicata alle espressioni idiomatiche italiane. Io sono Giovanni, il presidente dell’associazione italiano semplicemente ed oggi vi vorrei parlare di un’espressione divertente che si usa a livello informale, tra amici e conoscenti. L’espressione è “rigirare la frittata“.

Rigirare la frittata

Un’espressione divertente che ha a che fare con la cucina, uno degli argomenti più strettamente legati all’immagine dell’Italia nel mondo. La cucina è in effetti una delle cose che caratterizza l’Italia e la sua cultura, un argomento del quale parliamo spesso all’interno del gruppo whatsapp dell’associazione italiano Semplicemente. In particolare di questi aspetti legati alla cultura italiana ne parliamo il venerdì. Infatti il programma della settimana è così strutturato:

Il lunedì si parla di una o più espressioni idiomatiche italiane,

Il martedì ci occupiamo delle notizie, ascoltando un notiziario del giorno e provando a scrivere e spiegare il significato delle parole più difficili.

il mercoledì è dedicato ad una lezione di Italiano Professionale, cioè per l’italiano più formale, usato nel mondo del lavoro;

Il giovedì è dedicato alla pronuncia.

Il venerdì, appunto, ci occupiamo di un aspetto legato alla cultura ed al territorio italiano;

il Sabato è per la letteratura e la poesia.

La domenica sport e tempo libero.

Se chiunque volesse partecipare alle discussioni non ha che da spedire la sua richiesta dal sito. Vi inserisco un link nell’articolo che vi permetterà di aderire all’associazione culturale. Si versa la quota di iscrizione e si fa ufficialmente parte della famiglia di Italiano Semplicemente.

Torniamo all’espressione di oggi quindi: “rigirare la frittata“.

Sapete cosa sia la frittata?

La frittata si fa con le uova, è una pietanza, un piatto a base di uova “sbattute“, cotte in padella con olio o burro bollente, talvolta con l’aggiunta di formaggio, verdure lesse e tritate o pezzetti di carne.

La frittata è molto diffusa in Italia, è un piatto povero, alla portata di tutti perché basta avere delle uova per fare una bella frittata. Si chiama così perché le uova si friggono e le cose che si friggono nell’olio o nel buro si dicono cose “fritte” (è il participio passato di friggere).

Ho parlato di uova “sbattute”: per sbattere le uova si usa solitamente una forchetta. Si mettono le uova: sia il tuorlo che l’albume (cioè sia la parte rossa che la parte bianca) in un contenitore e poi si prende una forchetta e si inizia ad agitare nel piatto, mescolando la parte rossa (il tuorlo) con la parte dell’albume (la parte bianca) e così si ottengono le uova sbattute che poi si versano nella padella quando l’olio o il burro sono caldi.

Ebbene friggere e la frittata sono termini abbastanza comuni nella lingua italiana non solo in ambito culinario (cioè in cucina) ma anche perché si tratta di termini usati in senso figurato.

In particolare l’espressione di oggi: “rigirare la frittata” fa riferimento ad una azione che si fa con la frittata: rigirare significa che la frittata dobbiamo capovolgerla affinché si cuocia da entrambi i lati. Allora quando la frittata è ben cotta da uno dei due lati, si prende allora un piatto e si rovescia la frittata nel piatto, poi si rimette la frittata in padella ma dall’altro lato, in modo che posso cuocersi anche dall’altra parte. Infatti la frittata si cuoce maggiormente dalla parte che sta a contatto con la padella, che a sua volta sta a contatto diretto col fuoco.

Ebbene questa azione, questa operazione che si fa si chiama capovolgere, girare o rigirare la frittata. In particolare il verbo “rigirare” è un verbo che ha molti utilizzi, ed è anche simile ad un altro verbo: “raggirare” che significa imbrogliare, cercare di trarre in inganno, di ingannare qualcuno. Quando si usa questa espressione: “rigirare la frittata” in senso figurato si vuole far riferimento alla volontà da parte di una persona, di far vedere un aspetto che è esattamente il contrario di quello reale, quello vero, proprio con la volontà di ingannare, con una abilità personale, il suo prossimo. Rigirare la frittata quindi significa far apparire una cosa secondo la propria convenienza e non per rappresentare la realtà.

Una persona che secondo noi è capace a rigirare la frittata è quindi una persona della quale ci si debba fidare poco, è una specie di manipolatore, di imbroglione.

Posso fare alcuni esempi per farvi capire:

Ammettiamo che una persona di nome Giuseppe sia accusata di aver picchiato un ragazzo. Giuseppe è stato visto da molte persone mentre picchiava questo ragazzo. Lui, Giuseppe, accusato, si è difeso dicendo che il ragazzo lo ha aggredito, e lui ha dovuto difendersi e per questo motivo l’ha picchiato.

A questo punto i testimoni, coloro che hanno assistito all’evento, dicono che Giuseppe ha rigirato la frittata, che invece sia stato proprio Giuseppe ad aggredire il povero ragazzo.

Ecco vedete che se Giuseppe rigira la frittata sta ad indicare che racconta una verità diversa dalla realtà e lo fa per avere dei vantaggi. Giuseppe rigira la frittata, cioè vuole che si veda un aspetto diverso da quello apparente: lui si è solo difeso, quindi Giuseppe afferma di essere la vittima e non l’aggressore. Ma i testimoni lo sconfessano, perché hanno visto cosa è realmente accaduto. Sconfessare qualcuno significa dimostrare che ciò che dice questa persona non è vero. Giuseppe quindi ha rigirato la frittata.

Vediamo un secondo esempio. Un politico contrario all’immigrazione afferma che gli immigrati irregolari non vadano fatti entrare in Italia perché loro non vogliono il bene dell’Italia e degli italiani e persone di questo tipo è meglio che restino nel loro paese.

Qualcuno potrebbe dire a questo personaggio politico che lui sta rigirando la frittata, perché sono gli italiani come lui che non amano gli stranieri irregolari e non vogliono il loro bene.

Questo cercare di mostrare un aspetto diverso e spesso completamente opposto rispetto alla realtà, o rispetto ad altre opinioni, si chiama appunto cercare di rigirare la frittata. Gli esempi che vi ho fatto mostrano chiaramente che le persone che sono tacciate di rigirare la frittata (tacciate vuol dire accusate) stanno cercando di raggirare qualcuno, per fargli credere che le cose siano diverse da come qualcun altro afferma o rispetto alla realtà evidente.

La frittata quindi simbolicamente rappresenta la realtà, e chi cerca di rigirare la frittata cerca di mostrare un lato della frittata, quindi un lato della realtà, quel lato che è opposto a quello che si vede.

È ovviamente informale come espressione. Se volessi esprimere lo stesso concetto in termini formali non dovrei usare immagini di questo tipo, derivanti dalla vita quotidiana.

Anziché dire allora “non rigirare la frittata” potrei dire ad esempio: “la prego di non cercare di manomettere la realtà”, “la invito (ancora più formale) a non distorcere la realtà del fatti”. Si tratterebbe comunque di una accusa diretta, rivolta in prima persona alla persona alla quale si parla, ma sarebbe più seria: la distorsione della realtà indica sempre un tentativo di modificare i fatti attraverso una diversa rappresentazione, ma come avviene solitamente nel linguaggio popolare e informale l’immagine visiva legata alla frase idiomatica rende sicuramente l’idea. In questo caso la frittata che viene rigirata indica meglio di ogni altra cosa il tentativo di raggirare, di imbrigliare.

Adesso facciano un esercizio di ripetizione. Un esercizio particolare oggi: provate a rispondere alle accuse che vi farò negando l’accusa.

Se ad esempio vi dicessi:

Che fai, rigiri la frittata?

Voi ad esempio potreste rispondere:

assolutamente no, questa è la pura e sacrosanta verità! Non sto cercando di rigirare la frittata!

Oppure semplicemente:

“non sto rigirando la frittata, è la verità!”

Adesso tocca a voi:

Perché rigiri la frittata in questo modo?

Esempio di risposta: perché mi chiedi questo? Non sto affatto rigirando la frittata!

Un’altra domanda:

Secondo me stai rigirando la frittata come al solito. No?

Esempio di risposta:

assolutamente no, non ho rigirato proprio nulla! Ho detto la verità!

Bene ragazzi grazie mille per l’ascolto, e grazie a chi sostiene italiano semplicemente con una donazione personale.

A proposito di donazione sto preparando un episodio dedicato alla Germania 🇩🇪, che è il paese dal quale provengono più donazioni finora.

Ed allora aspettiamo questo nuovo episodio. Non vi dirò l’argomento per non rovinarvi la sorpresa.

Se riesco farò anche un video sul canale YouTube di italiano semplicemente. Ebbene sì, italiano semplicemente ha anche un canale YouTube e leggendo anche i sottotitoli potrete leggere ed ascoltare nello stesso tempo, che è uno degli esercizi più utili per imparare la lingua italiana.

A presto allora.

Ciao.

L’importanza del controllo e della programmazione nel lavoro

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Descrizione

Questo episodio, scritto e registrato da una ragazza di nazionalità russa di nome Daria rappresenta una presentazione al pubblico della settima lezione del corso di italiano professionale, dedicata al “controllo dl futuro”.

Daria cera di utilizzare alcune delle espressioni imparate nel corso della lezione. Se vuoi ascoltare la lezione ed avere a disposizione l’intero corso fai9 la tua richiesta di adesione all’associazione culturale Italiano Semplicemente.

Daria è membro dell’associazione.

Buon ascolto.

Trascrizione

L’argomento della settima lezione è il controllo, che ha a che fare anche con la programmazione del lavoro.
Quando la programmazione e’ stata fatta precisamente e tutti gli accordi sono stati stabiliti, ci si comporta con calma e gesso e occorre controllare che tutte le fasi del progetto vadano tranquillamente.
Alle persone esperte non piace essere prese alla sprovvista: Preferiscono tenere il lavoro sotto controllo e se rispondono a qualcuno con una vaga frase come “a Dio piacendo”, manifestando una apparente mancanza di programmazione, è molto probabile che abbiano invece un asso nella manica e non vogliano svelare i loro piani.
In Russia ancora esistono le organizzazioni che danno poco importanza alla programmazione. Anziché descrivere nei dettagli delle varianti, anche quelle negative, spesso si dicono “Chi vivrà vedrà” e così mettono da parte le decisioni importanti.
Quando un momento rischioso si avvicina, invece di tentare di controllare le cose, contano su Dio e aspettano che Dio gliela la mandi buona.
Di fronte a una crisi i russi si sentono molto motivati e ce la mettono tutta per superarla.
Alle perse, si dicono di aver acquistato una esperienza utile per il futuro. Infatti, l’esperienza serve tanto.
Gli esperti di fronte a una crisi non dicono: mi venisse un colpo! ma sanno rimediare a un incomodo.
Alla fine vorrei aggiungere che a me personalmente a volte capitano giorni che invece di lavorare con produttività vado a caccia di farfalle.
Spero che questa situazione sia considerata “umana” e “normale”.
L’importante è che non accada tutti i giorni.
Buona giornata e buon lavoro a tutti, ciao!

 

Va da sé

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Trascrizione

Buongiorno a tutti e benvenuti su Italiano semplicemente.

Oggi cari amici, vediamo una espressione abbastanza colloquiale.

Come tutte le espressioni di questo tipo, risulta molto utile quando si parla in modo informale, cioè in modo colloquiale appunto, con persone che conosciamo.

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L’espressione è “va da sé”. La frase ha a che fare con un argomento che abbiamo già affrontato, quell’episodio in cui vi ho parlato di come esprimere le conseguenze, che vi invito a leggere ed ascoltare.

In quell’episodio abbiamo visto, se ricordate, molte modalità di esprimere cause ed effetti, in particolare gli effetti di una azione.

Abbiamo visto infatti parole come perciò, quindi, di conseguenza e molte altre parole ed espressioni.

La puntata di oggi, dicevo, ha a che fare con le conseguenze, perché “va da sé” può essere un modo per esprimere la conseguenza di qualcosa, l’effetto di qualcosa, ma questa frase non esprime solamente una conseguenza, ma una conseguenza ovvia, una conseguenza scontata, automatica, naturale, che tutti riescono a capire. Questa è la caratteristica della locuzione “va da sé”.

Vi faccio un esempio:

Quando scaricate una applicazione sul vostro cellulare e scoprite che contiene molta, troppa pubblicità, va da sé che questo dà fastidio a tutti.

Quindi vogliamo dire che è naturale che un eccesso di pubblicità dia fastidio a tutti. Va da sé che troppa pubblicità dà fastidio a tutti, è fastidiosa infatti. È una cosa abbastanza ovvia, non esiste nessuno a cui faccia piacere la pubblicità.

Oppure, un altro esempio:

Se ascoltate persone parlare italiano in modo comprensibile per 30-60 minuti al giorno, va da sé che il vostro italiano farà un bel salto di qualità. Va da sé che migliorerete velocemente, quindi è scontato, è ovvio, per tutti funziona così, non c’è da stupirsi, è assolutamente comprensibile da tutti, non c’è bisogno di molte spiegazioni a riguardo. In poche parole “va da sé”.

D’altro canto, posso anche dire che va da sé che per imparare anche a parlare, occorre provare proprio a parlare, di tanto in tanto, e va da sé che se parlate tutti i giorni sbaglierete sempre meno e vi abituerete a ascoltare la vostra voce senza imbarazzo. E va da sé che in questo modo non potrete che migliorare di giorno in giorno.

Vedete quindi che si tratta di una espressione molto facile da capire. Non si usa molto nello scritto però, soprattutto nelle comunicazioni formali con persone che non si conoscono.

Provate a ripetere qualche frase anche voi, così da mettere in pratica ciò che vi ho appena detto sull’importanza del parlare:

Va da sé che se andate in vacanza con un’automobile nuova avrete meno rischi di rimanere in panne sull’autostrada.

Se fate i bravi, dice una mamma ai bambini, va da sé che avrete più possibilità di ricevere un bel gelato come premio.

Va da sé che se ripeto a voce alta questo esercizio qualcuno potrebbe prendermi per matto.

Bene ragazzi, vi sarete accorti che ogni volta che uso “va da sé” c’è sempre la congiunzione “che” a seguire immediatamente: va da sé che. Questo non dimenticatelo, altrimenti va da sé che gli italiani potrebbero non capire.

Ma perché si usa questa espressione per esprimere qualcosa di ovvio?

Beh, “va da sé”, se analizziamo questa locuzione, significa “è automatico”, “va da sola”.

“Va” è il verbo andare (io vado, tu vai, lui va) ed indica un’azione, un qualcosa che si muove. Si parla della conseguenza di qualcosa, è questo che si muove da solo. Si parla di una logica conseguenza, e che quindi “va da sé”, cioè si muove da sola, cioè “non ha bisogno di aiuto”.

Stiamo parlando quindi di un qualcosa di semplice da capire, perché non ha bisogno di spiegazioni dettagliate: va da sé.

La parola “sé” (con l’accento) sta quindi ad indicare un qualcosa che va avanti senza l’intervento o l’aiuto di altri: da sé, cioè da sola.

Ci sono altre espressioni molto simili che usano la parola “sé” in questo stesso modo. Il significato può cambiare ma sé è usata nello stesso modo.

Farò altri episodi su questo argomento, per il momento vorrei solamente farvi capire che il “sé” in questo senso è comune ad altre espressioni:

Se dico ad esempio che una cosa “procede da sé”, ebbene sto dicendo la stessa identica cosa, ha lo stesso identico significato. Procedere è proprio come andare, quindi una cosa, quando procede, va avanti.

Non identiche sono le espressioni “di per sé” o “da per sé” che hanno un diverso significato, che spiegheremo in un altro episodio che contengono comunque la parola “sé” con lo stesso senso di “da solo”, senza l’aiuto di altro.

La cosa si capisce facilmente con la locuzione: “da sé”, più breve, che significa semplicemente “da solo, da sola”, ad esempio nell’espressione:

Chi fa da sé fa per tre”, simpatica espressione che indica che chi fa le cose da solo, senza coinvolgere altre persone, le fa meglio, come se a farle fossero state tre persone.

Fare da sé” quindi vuol dire proprio “fare da solo/sola”, diverso, completamente diverso da “farsi da sé” che usa il verbo fare in modo riflessivo. Rimandiamo le spiegazioni dettagliate in un futuro episodio di Italianosemplicemente.com.

Fare da sé però ve lo spiego subito. Infatti fare da sé può essere anche sostituito da “andare da sé”, e questo può generare la frase “va da sé” che si riferisce alla terza persona singolare.

Quello che voglio dire è che “va da sé” si può usare anche in senso proprio, nel senso di andare fisicamente, ed in questo caso mi riferisco a delle persone o cose che si muovono da sole e non a dei concetti e a delle conseguenze.

Ad esempio, se qualcuno mi chiede:

Come va tuo figlio a scuola? Qualcono lo accompagna con la macchina?

Io potrei rispondere: no, nessuno lo accompagna, va da sé! Mio figlio va a scuola da sé. Il che equivale a dire che mio figlio fa da sé. Mio figlio fa da sé, oppure va da sé. Il significato è lo stesso ma significa semplicemente che lui, mio figlio, fa da solo, lui non viene aiutato e pertanto va o fa da solo, o anche va da sé.

Mio figlio pertanto va a scuola da solo, non lo accompagna nessuno, ma va con le proprie gambe, e comunque insieme a nessun altro.

Abbiamo terminato l’episodio di oggi, grazie a tutti per l’ascolto, grazie ancora ai donatori che sostengono economicamente il progetto di Italiano Semplicemente, che è quello di aiutare gli stranieri ad imparare questa bella lingua.

Ciao a tutti. Va da sé che questo episodio è terminato.

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Dispiacersi del passato

Audio 1 (di 2)

E’ possibile ascoltare e/o scaricare i file audio di questo episodio in formato MP3 tramite l’audiolibro (+Kindle) in vendita su Amazon, che contiene 54 espressioni italiane e 24 ore di ascolto.

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Trascrizione

Buongiorno amici di italiano semplicemente. Ho una domanda per voi.

Avete qualcosa da lamentarvi? Avete rimpianti, rimorsi? Rimpiangere qualcosa del vostro passato? Oppure siete pentiti di qualcosa che avete fatto? Non so se tutti voi abbiate capito ciò che ho detto e se le domande siano chiare per tutti, ma qualunque sia la vostra risposta, credo che potreste aver avuto difficoltà ad esprimervi correttamente in italiano nelle vostre risposte

Ed è questo il motivo per cui oggi, in questa puntata di italiano semplicemente, parliamo di pentimenti, di lamentele, di rammarico, di dispiacere, di rimorsi e di rimpianti.

Perché tutti questi termini insieme? Cosa accomuna questi termini tra loro? Semplicemente il dispiacere. Non è divertente, lo so, non vi arrabbiare con me! Ogni tanto si deve parlare anche di questo però se vogliamo conoscere bene la lingua italiana.

Anche un’altra cosa però a dire il vero accomuna questi termini. In tutti i casi, in tutti i termini che ho usato, si parla di sentimenti negativi sul passato, cioè di qualcosa che è già accaduto.

È questo un episodio molto particolare, che mi è stato suggerito da un membro dell’associazione Italiano Semplicemente, e colgo l’occasione per salutare Bernadette.

Parliamo sempre del passato, più o meno tutti i giorni. A volte ne parliamo con piacere, a volte con dispiacere.

Parliamo di quello che abbiamo fatto, di quello che ci è accaduto, delle scelte che abbiamo fatto e di quelle che non abbiamo operato. Parliamo di cose che ci riguardano direttamente, in prima persona, e cose che non ci riguardano personalmente.

Ogni tanto in questo episodio proviamo anche a ripetere qualche frase ok? Non dimenticate la settima regola d’oro di italiano semplicemente: parlare.

Dinqie, quando ad esempio ci lamentiamo, possiamo farlo in diversi modi e non solo del passato. Ma se ci lamentiamo di cose accadute o di come sono andate certe cose nel passato vuol dire che non siamo molto contenti e se potessimo cambieremmo molte cose del passato: le cose in questo caso non sono andate per il verso giusto, cioè non sono andate per il meglio (due espressioni equivalenti) e noi, come conseguenza, ce ne rammarichiamo: Ci rammarichiamo, cioè ci dispiace del fatto che le cose non siano andate nel verso giusto, o per il verso giusto.

C’è anche chi non si lamenta mai però. E queste persone lo fanno perché dicono che tutti gli errori fatti in passato ci insegnano sempre qualcosa, ci insegnano a non sbagliare più ad esempio.

C’è invece chi ha un atteggiamento meno costruttivo e tende a lamentarsi a rammaricarsi di quanto accaduto. Lamentarsi e rammaricarsi sono abbastanza simili come verbi.

Il rammarico è un sentimento di dispiacere, di amarezza, di contrarietà. Provare rammarico o anche sentire rammarico o sentirsi rammaricati è come dire essere contrariati, amareggiati, per qualcosa che è accaduto. Si prova rincrescimento per qualcosa, afflizione. Il rincrescimento è simile al rammarico.

Il rammarico, questo è importante da dire, si usa principalmente quando è accaduto qualcosa nel passato a cui non si può rimediare, esprime ovviamente un dispiacere ma difficilmente si usa quando succede qualcosa di molto grave a un nostro conoscente. In questi casi si usa maggiormente il rincrescimento o l’afflizione: sono rincresciuto, sono afflitto per quanto accaduto.

Quando accade qualcosa di brutto a un nostro amico posso dire:

Mi rincresce veramente tanto!

Con questa frase si esprime rincrescimento, cioè un forte dispiacere, una afflizione. Si è vicini alla persona con cui si parla, si esprime pertanto empatia, vicinanza emotiva, coinvolgimento emotivo.

Le espressioni dispiaciute del volto spesso accompagnano una frase di questo tipo, proprio a dimostrazione della volontà di comunicare vicinanza e comprensione.

Il rincrescimento si usa esclusivamente nei rapporti sociali però, quando accade qualcosa di negativo a qualcun altro. Solitamente è per qualcosa di grave, tipo delusioni sentimentali, obiettivi falliti o anche perdite familiari. In quest’ultimo caso in genere si fanno le cosiddette “condoglianze” se parliamo direttamente con la persona che ha perso un familiare, ma se parliamo con altre persone possiamo dire:

Sono veramente rincresciuto per quanto accaduto a Maria (ad esempio)

Vediamo adesso la desolazione e la costernazione. Sono altri due modi per esprimere dispiacere.

Sono desolato, sono costernato. Quando possiamo usare queste due modalità?

La desolazione è abbastanza simile al rammarico, ma è più distante, sicuramente. A dire il vero il termine desolazione ha molti utilizzi diversi.

Nel senso di dispiacere per qualcosa di accaduto posso dire:

Sono veramente desolato!

Questa frase esprime dispiacere, sicuramente, ma non coinvolgimento emotivo, non una vicinanza affettiva.

Equivale a: sono veramente dispiaciuto, mi spiace veramente, ma è più distante come dicevo e per questo motivo magari è più usata la desolazione quando parliamo con qualcuno che conosciamo poco.

Comunque non vi consiglio di usare la desolazione in questo modo. Sicuramente meglio esprimere un normale dispiacere quando non sapere quale modalità usare.

Si usa molto invece la desolazione quando si fanno grossi errori, quindi è un modo per chiedere scusa. Dispiacere e scuse nello steso tempo quindi.

Un giocatore di calcio fa un autogol?

Sono desolato, ho fatto un errore inspiegabile!

La desolazione infatti esprime in questo caso un modo per dire: è tutta colpa mia, c’è il concetto di solitudine (desolazione contiene la parola “solo”); è come dire: mi isolo, mi prendo tutta la responsabilità da solo.

Fate un errore al lavoro?

Sono desolato, veramente desolato e vi porgo le mie scuse.

La desolazione però, dicevo, ha diversi significati, non si usa quindi solamente per esprimere dispiacere e per scusarsi.

Un luogo desolato ad esempio può essere un luogo dove non c’è nessuno, e con questo termine vogliamo indicare la sensazione che proviamo noi osservando questo luogo: ci sentiamo tristi guardando questo luogo, vediamo un luogo abbandonato e ci fa tristezza.

Magari è un luogo che avrebbe grosse potenzialità, o che in passato aveva un aspetto molto migliore invece adesso è stato abbandonato da tutti.

Può anche trattarsi di un luogo in condizione di rovina, di abbandono, di squallore, un luogo senza apparente possibilità di ripresa.

Ad esempio la desolazione di una città che è stata bombardata è assolutamente indescrivibile.

Ma attenzione perché in questo senso possiamo anche non parlare di luoghi, ma anche di situazioni sociali. Io potrei sentirmi in uno stato di desolazione nel senso che mi sento molto triste, mi sento in uno stato di afflizione o di solitudine senza conforto. È impossibile confortarmi, riprendermi, migliorare il mio umore.

In questo senso esprime solitudine (la parola parla chiaro ancora una volta).

Posso dire ad esempio che alla sua morte, un papa lascia a comunità cristiana in una profonda desolazione. I Cristiani si sentono soli, abbandonati quando muore il loro papa.

Quindi la desolazione si usa per esprimere dispiacere per il passato, che è l’argomento di oggi, ma anche per scusarci, per descrivere la tristezza di un luogo o anche una sensazione di solitudine e di abbandono.

Vediamo adesso la costernazione.

Termine analogo al rammarico, al rincrescimento all’afflizione ed alla desolazione. Anche la costernazione infatti si usa per cose gravi.

La costernazione ha però delle sue caratteristiche peculiari. Prima di tutto esprime anche stupore per quanto accaduto. C’è un grave abbattimento, una afflizione profonda, ma anche uno stupore, uno sgomento.

Sono costernato!

Potete sentire o leggere questa frase in diverse circostanze, e spesso si usa quando non c’è una vicinanza stretta con le persone o con i fatti accaduti. Un po’ come la desolazione.

Se muoiono delle persone in una città, il sindaco di quella città può dire:

Sono costernato e desolato per le vittime

Il sindaco è costernato e desolato. La costernazione indica un grave dispiacere, ma verso accadimenti che non ci riguardano personalmente o i nostri cari (Se muore tuo padre non puoi dire di essere costernato!).

Posso anche dire:

Sono costernato dalle parole di Giovanni!

In questo caso si esprime anche stupore, non solamente dispiacere. Più che stupore comunque meglio parlare di sgomento, quella sensazione che proviamo quando siamo profondamente turbati da qualcosa, siamo visibilmente smarriti, sbigottiti, attoniti. Ci sono molti modi per esprimere questa forte sensazione di stupore legata ad una sensazione negativa: stupore e dispiacere insieme.

La costernazione si usa molto nelle dichiarazioni di tutti i personaggi pubblici. Se andate su Google News e digitate “sono costernato” trovate tutte dichiarazioni di sindaci, presidenti e altri personaggi, che si dispiacciono, esprimono un forte dispiacere per qualcosa di grave che è accaduto, o per delle parole dette da altre persone, parole che stupiscono e turbano allo stesso tempo.

Allora ricapitoliamo: abbiamo parlato di dispiacere – concetto abbastanza generico, di rammarico, più utilizzato per le cose non troppo gravi che accadono e di rincrescimento, più usato nei rapporti sociali. Abbiamo parlato di afflizione (un forte coinvolgimento emotivo) e di desolazione (dispiacere ma un po’ lontano, scuse, tristezza e solitudine).

Abbiamo infine parlato di costernazione, termine molto usato dalle autorità pubbliche. Si può usare di conseguenza anche al lavoro, in occasioni formali, in caso di eventi, cioè cose accadute, che colpiscono i nostri colleghi o società: licenziamenti, fallimenti eccetera. Adatto anche allo scritto, per comunicare in una lettera o email un dispiacere in questi casi.

Adesso vediamo invece due concetti particolari: il rimpianto ed il rimorso.

Qualcosa è accaduto nel passato. in conseguenza di questo si prova del dispiacere. Questo accomuna sia il rimpianto che il rimorso. In entrambi i casi poi si parla di scelte personali. Si parla di scelte quindi, di nostri possibili errori passati che hanno portato delle conseguenze negative.

Ma qual è la differenza tra rimpianto e rimorso?

Vi faccio degli esempi e vediamo se riuscite a capire:

Ho un rimpianto: se avessi studiato di più all’università mi sarei potuto laureare e adesso farei il medico!

Ho un rimorso: Se non avessi perso così tanto tempo durante gli anni dell’università, adesso farei il medico!

Maria ha un rimpianto: se avesse avuto un figlio, ora sarebbe felice!

Maria ha un rimorso: se non avesse deciso di abortire, ora avrebbe un figlio e sarebbe felice!

Ogni volta che si ha un rimpianto quindi si è dispiaciuti per qualcosa accaduto nel passato, ed in particolare, attenzione, per qualcosa che non si è fatto, che non si è potuto fare, non importa il motivo. Quello che importa è che qualcosa non è accaduto, e la colpa è nostra.

Se avessi studiato di più all’università (cosa che non ho fatto evidentemente) mi sarei potuto laureare e adesso farei il medico! Invece non ho studiato molto. Avrei potuto studiare di più, quindi ho un rimpianto per qualcosa che non ho fatto. In questi casi posso anche usare il verbo rimpiangere.

Io rimpiango il fatto che se non avessi perso così tanto tempo durante gli anni dell’università, adesso farei il medico!

Questo è dunque il verbo rimpiangere, mentre il sentimento che si prova è il rimpianto.

Il rimorso invece è un sentimento analogo, simile, ma il rimorso si prova quando si è fatto qualcosa e si è sbagliato. In questi casi si dice: se non avessi fatto… quindi il sentimento si chiama rimorso in questo caso.

Ho un rimorso: Se non avessi perso così tanto tempo durante gli anni dell’università, adesso farei il medico!

Vedete che la frase è quasi identica con rimpianto e con rimorso, cambia solo il punto di vista: col rimpianto si “piange”, anzi si rimpiange per una scelta, per un qualcosa che non è stato fatto. Per il rimorso invece ci si rammarica per un errore: non per quanto non è stato fatto, ma per quello che si è fatto, che ha portato delle conseguenze negative.

Nel secondo esempio si vede ancora più chiaramente la differenza:

Maria ha un rimpianto: se avesse avuto un figlio, ora sarebbe felice!

Maria ha un rimorso: se non avesse deciso di abortire, ora avrebbe un figlio e sarebbe felice!

Quindi Maria rimpiange il fatto di non aver avuto un figlio. Se fosse accaduto la vita oggi sarebbe diversa e lei sarebbe felice.

Ma Maria ha anche un rimorso. Perché non ha avuto un figlio? Perché a suo tempo decise di abortire, e questo è l’errore di cui Maria si è pentita oggi. Maria ha un tremendo rimorso. Ha abortito, quindi questo errore oggi è il motivo della sua infelicità.

Ho parlato di “pentimento” descrivendo il rimorso. In realtà anche il rimpianto è un pentimento. entrambe sono decisioni sbagliate, scelte sbagliate, errori di cui oggi siamo consapevoli.

Quello che non vi ho detto è che la parola rimpianto ha anche altri significati abbastanza vicini a quello di cui vi ho parlato. Si ha sempre dispiacere nel passato, ma per altri motivi.

Ad esempio se parlo di mio nonno, posso dire “il mio rimpianto nonno” (o anche compianto) per dire che era una persona cara che mi dispiace aver perduto.

Oppure posso dire: “i rimpianti giorni della giovinezza” ad esempio, per indicare il dispiacere che quei giorni, i giorni della giovinezza, della gioventù, sono passati.

In questi due casi non si tratta di errori o di scelte sbagliate, di pentimenti o cose del genere, ma semplicemente di dispiaceri legati al passato.

Notate infine che esiste il verbo rimpiangere, legato al rimpianto, e il verbo legato al rimorso è invece rimordere. Rimpiangere si usa però non solo per evidenziare errori o scelte sbagliate, come abbiamo visto finora con rimpiangere ma anche semplicemente per ricordare con malinconia il passato. Sempre di dispiacere però si tratta. Ad esempio

Io rimpiango il passato.

Rimordere invece si usa solamente in un modo, analogamente al rimorso. Quindi posso dire:

Mi rimorde di essere giunto troppo tardi

Mi rimorde, cioè mi spiace, sono dispiaciuto (attenzione perché si usa “mi”). Sono dispiaciuto, cioè ho un rimorso. Ho fatto uno sbaglio, come abbiamo visto prima con rimorso, per l’appunto.

Si dice spesso anche “mi rimorde la coscienza” per indicare un rimorso molto sofferto, un errore fatto che chiama in causa la propria coscienza, i nostri valori. Evidentemente si tratta di un errore gravissimo di cui siamo pentiti e a cui pensiamo molto spesso.

Questa puntata di Italiano Semplicemente è stata utile anche perché, parlando del passato, inevitabilmente abbiamo usato la particella “se” ed ovviamente anche le diverse forme del congiuntivo e del condizionale:

se avessi fatto…avrei… se fosse stato…sarebbe… eccetera

Se può esservi utile potete ascoltare anche due episodi passati di Italiano Semplicemente che hanno dei legami con l’episodio di oggi. Sto parlando di quello dedicato a tutti i modi di dire “se” e quello relativo al periodo ipotetico, se vi fa piacere.

Grazie a tutti per l’ascolto, visitatori e donatori, grazie a Bernadette per avermi suggerito questo interessante episodio e grazie a tutti i membri dell’associazione italiano semplicemente. 

Un abbraccio da Giovanni

 

Ah, quasi dimenticavo.

Ho accennato alla delusione, che è un sentimento o una sensazione che ha molto a che fare col passato e con il dispiacere.

La delusione è un disagio morale, una sensazione di disagio provocata da un risultato contrario alle proprie speranze, alle proprie previsioni.

Quando si usa il termine delusione vuol dire che qualcosa è accaduto che mi ha lasciato deluso, mi aspettavo qualcosa in più, credevo accadesse qualcosa di positivo, ed invece la realtà è diversa… che delusione…

Il verbo è “deludere” che significa venire meno alle aspettative, alle previsioni appunto, alle speranze. La delusione suscita disagio, amarezza, sconforto, disappunto. Vedete quanti termini ci sono: il disagio (è il contrario di agio) non si riferisce al passato, perché il termine indica una condizione o una situazione sgradevole, cioè poco gradevole, non gradevole, per motivi forse morali, economici o di salute. L‘amarezza, lo dice la parola, ci lascia l’amaro in bocca, è quindi legato alla sgradevolezza degli eventi, quindi è una forma di dispiacere legata al passato, o al presente, o anche al futuro, se sappiamo che accadrà qualcosa di negativo.

Lo sconforto è un senso di amarezza o di prostrazione in conseguenza di gravi fatti o continui eventi avversi. Lo sconforto si prova quando accade qualcosa, e quello che si prova è che non si vedono sbocchi, soluzioni, non si capisce come si può risolvere il problema, allora è un avvilimento. Quindi posso dire che  in un momento di sconforto una persona ha tentato di suicidarsi, ha tentato di uccidersi, di togliersi la vita. A questo può portare lo sconforto.

C’è una espressione idiomatica tipicamente legata allo conforto: “farsi cadere le braccia“.

Se dico: mi cadono le braccia, è un’immagine che indica non la caduta, la perdita fisica delle braccia, ma una sensazione di sconforto: sento che non posso fare più nulla per risolvere il problema. Sono veramente sconfortato.

Ed a te c’è qualcosa che ti fa cadere le braccia? Qualcosa che ti causa un dispiacere, uno sconforto?

La prostrazione è anch’essa molto grave: è una grave depressione fisica o anche morale, spesso conseguente a gravi malattie che ti consumano il fisico e ti mettono alla prova. Spesso la prostrazione arriva a seguito di eventi traumatici, molto negativi: mi sento prostrato! Questa è veramente una sensazione molto brutta.

Ho parlato anche di disappunto. Abbiamo visto in un episodio le “espressioni di disappunto“. Ebbene anche queste sono sensazioni negative legate ad eventi accaduti. Spesso non si tratta di cose gravi però. Quello che si prova è un senso di delusione per un improvviso accadimento che ci ha contrariato.

 

 

 

 

 

 

 

Nazionalità

Audio

Video con sottotitoli

Trascrizione

Buongiorno a tutti e benvenuti su Italiano semplicemente.
Oggi cari amici, membri dell’associazione o semplici appassionati della lingua italiana, ci occupiamo di nazionalità.
Spesso non sappiamo infatti come si chiamano gli abitanti di un certo paese. Lo vediamo oggi quindi.
Recentemente ho scoperto come si chiamano gli abitanti dell’Azerbaigian: azeri. Con una sola zeta. Gli azeri dunque sono coloro che hanno la nazionalità azera, cioè dell’Azerbaigian.
Allora oggi facciamo una bella carrellata di nazionalità, e lo facciamo in un modo divertente.
Questa idea mi è venuta perché nel gruppo WhatsApp dell’Associazione Italiano Semplicemente spesso i membri si presentano tra loro e capita di dire: ciao, io sono danese, io sono spagnola eccetera. Allora dirò una cosa per ogni paese, una specialità, un tratto distintivo di ognuno di questi paesi. Un modo alternativo di imparare gli aggettivi relativi alla nazionalità. Non parliamo di persone solamente, ma di tutte le cose caratteristiche di una popolazione.
Ad esempio se parlo della popolazione dell’Azerbaigian dirò:

Azerbaigian: Agli azeri piace mangiare il Dolma.

Ho un solo amico azero. Si chiama Eldar.
Farò quindi un elenco di nazioni, ad iniziare da quelli che visitano maggiormente il sito italianosemplicemente.com. Sarà anche un modo interessante di conoscere queste nazioni, i loro gusti, eccetera. Ovviamente qualche volta si tratta di luoghi comuni, cose che si sentono dire spesso, quindi spero che nessuno si offenderà.
Non seguirò quindi un elenco alfabetico. Pronti? Via! Attenzione anche agli articoli!
Brasile: I brasiliani non sono molto puntuali, ma sono i più simpatici.
Stati Uniti: gli statunitensi hanno un accento che mi piace molto.
Spagna: gli spagnoli ballano il flamenco.
Argentina: gli argentini bevono il mate. Sono sempre più curioso…
Germania: i tedeschi amano le vacanze in Italia. Non sono i soli credo.
Francia: i francesi hanno la erre moscia.
Russia: ai russi piace molto la cucina italiana.
Regno Unito: agli inglesi piace fare lo spuntino di metà mattina.
Polonia: ai polacchi piace molto il dibattito e la partecipazione.
Svizzera: Gli svizzeri apprezzano enormemente il miele locale.
Australia: gli australiani in vacanza preferiscono affittare case o andare in campeggio.
Giappone: gli uomini giapponesi preferiscono le donne dai capelli rossi
Messico: i Messicani preferiscono i vini importati a quelli nazionali.
Belgio: I belgi preferiscono consumare ortaggi biologici locali.
Canada: I canadesi adorano la loro bandiera. In effetti è una bella bandiera.
Olanda: Agli olandesi piace l’extra vergine d’oliva cento per cento italiano.
Finlandia: della Finlandia si dice spesso sia uno dei paesi più felici al mondo, ma i finlandesi non la pensano proprio così. Mi piacerebbe saperne di più…
Egitto: Gli Egiziani sono stati i primi nel mondo a istituire feste, processioni e cortei religiosi. Su questo “non ci piove” (anche in Egitto non piove molto vero?)
Svezia: Gli svedesi amano le tradizioni nonostante siano uno dei popoli più moderni.
Grecia: Italiani e greci, cos’hanno in comune? Un proverbio dice: “una faccia una razza”: vale a dire: siccome si somigliamo, allora è come se fossimo dello stesso popolo.

Romania: secondo i rumeni, gli occhi sono lo specchio dell’anima. Questo è un proverbio che esiste anche in lingua rumena dunque.
Portogallo: fare il “portoghese” in Italia significa usufruire di un servizio senza pagarlo. Si usa dire anche “genovesi” in questi casi comunque.
Ungheria: gli ungheresi sono talvolta indicati come magiari, o anche ungari, ma solo in contesti storici.
Croazia: I croati sono uniti da un’unica religione: il cattolicesimo.
Danimarca: I danesi sono un popolo pragmatico, con molto senso pratico.
Turchia: alcuni turchi utilizzano la cosiddetta lingua degli uccelli, fatta fondamentalmente di fischi. Questa è una cosa che mi ha colpito molto.
Bulgaria: in Italia c’è l’espressine “maggioranza bulgara” che esprime l’esito unanime di una votazione. Se tutti votano allo stesso modo si dice che c’è stata una maggioranza bulgara. Si usa anche dire “maggioranza schiacciante”.
Lituania: I lituani non sono dei bravi venditori. Se entrate in un negozio il commesso difficilmente vi farà delle domande o cercherà di convincervi ad acquistare qualcosa.
Repubblica Ceca: i cechi non chiedono informazioni sulla strada perché pensano di essere in grado di raggiungere qualsiasi posto al mondo da soli.
Haiti: La maggioranza degli haitiani in Italia si trovano nel Lazio, Lombardia e Liguria
Slovacchia: gli slovacchi invece sono concentrati nel Trentino-Alto Adige, in Lombardia e in Veneto.
Albania: nella regione del Molise ci sono 810 albanesi al 1 gennaio 2018. Più maschi che femmine.
Ucraina: La presenza degli ucraini in Italia è variabile, ma tende a crescere. Una caratteristica degli ucraini? Poche parole e molti fatti!
Colombia: i colombiani sono il popolo più felice al mondo. Lo dice una ricerca del 2016, dove l’87% dei colombiani si è dichiarato felice. Il doppio degli statunitensi.
Serbia: le ragazze serbe sognano di sposare un italiano. I connazionali serbi non saranno molto felici di questo!
Algeria: i ragazzi algerini e le ragazze algerine che amano la lingua italiana, possono farlo in 27 scuole algerine diverse.
Perù: Sono i peruviani. Gli italo-peruviani o anche italo-peruani è il nome degli Italiani che sono residenti da molti anni nel Perù, ed anche i discendenti da emigrati italiani, sempre nel Perù.
Irlanda: i pub irlandesi sono molto diffusi in Italia. E pare si trovi a Roma il miglior pub irlandese del mondo. A deciderlo è stata la giuria degli “Irish Pubs Global Awards”. Devo andarci…
Lettonia: I lettoni sono molto orgogliosi della loro nazione, come anche i lituani e gli estoni. I lettoni sono altresì molto orgogliosi della loro birra.
Venezuela: i venezuelani adorano chiacchierare con tutti, anche con gli estranei. Si dice siano poco puntuali e che amino godersi la vita.
Libia: I piatti tradizionali libici sono molto speziati e la base, secondo la tradizione, è il kuskus
Marocco: Sposarsi per i marocchini è molto importante, tanto che molti marocchini si indebitano per organizzare un bellissimo matrimonio.
Kuwait: il Kuwait ha una popolazione di più di 3 milioni di abitanti, ma solo 960.000 sono cittadini kuwaitiani.
Bielorussia: si dice che i bielorussi siano simili ai tedeschi: parsimoniosi, operosi, accorti e puntuali, ma rispetto ai tedeschi sembra siano più ospitali, calorosi e gentili. Chissà cosa ne pensano i bielorussi…
Slovenia: gli sloveni amano molto praticare lo sport. Uno sport molto diffuso tra gli sloveni è in particolare la caccia al fagiano. Povero fagiano 
Israele: l’Italia è una delle mete preferite dagli israeliani.
Tunisia: l’olio d’oliva tunisino è molto utilizzato in Italia. Sono una quarantina le aziende tunisine che esportano olio d’oliva in tutto il mondo. I tunisini ne saranno molto felici.
Cile: i vini cileni sono famosi in tutto il mondo. Ed anche l´olio di oliva cileno è molto apprezzato.
Congo: nel 2017 alcuni congolesi molto generosi hanno inviato del denaro per solidarietà nei confronti dei terremotati del Centritalia.
Uruguay: moltissimi calciatori uruguaiani hanno giocato nel campionato italiano si calcio: tra questi Recoba, Aguilera e Cavani.
Vietnam: con la compagnia vietnamita, è possibile imbarcare bagagli di dimensioni massime 56x36x23 cm.
Cina: esistono ma non sono molti i cinesi dalla pelle scura. Il politico Jean Ping è uno di loro: padre cinese e madre gabonese.
Norvegia: Il gatto delle foreste norvegesi è una antica razza di gatti originaria dei paesi scandinavi. Il gatto norvegese è buono, affettuoso e molto giocherellone.
Repubblica di Macedonia: tra le specialità macedoni c’è il Turli Tava, una teglia di carne e verdure molto simile allo spezzatino italiano.
Nuova Zelanda: sia i neozelandesi che gli australiani sono oceaniani, cioè abitanti dell’Oceania.
Malta: Qualunque persona nata a Malta tra il 21 settembre 1964 e il 31 luglio 2001 ha acquisito automaticamente la cittadinanza maltese alla nascita. Quindi queste persone sono maltesi. Invece Dal 1/8/2001 una persona nata a Malta diventa maltese alla nascita solamente se almeno un genitore è un cittadino maltese oppure è nato a Malta.
Camerun: gli abitanti del Camerun si chiamano camerunensi o camerunesi. Qualcuno conosce quella più giusta?
Libano: a Roma ci sono otto ristoranti libanesi.
Lussemburgo: i lussemburghesi sono quasi 600 mila, circa il doppio dei molisani (gli abitanti della regione Molise, nel Centritalia)
Emirati Arabi Uniti: gli emiratensi.
Giordania: I giordani che abitano la capitale giordana Amman erano poco più di 4 milioni nel 2015.
India: esistono due tipi di indiani. Gli indiani d’America e gli abitanti della nazione indiana, che si chiamano semplicemente indiani.
Ecuador: gli abitanti dell’Ecuador si chiamano ecuadoriani. Equadoregni si usa ma non è molto corretto. Da non confondere con gli equatoguineani (stavolta si scrive con la lettera “q”) che sono gli abitanti della Guinea Equatoriale, lo stato dell’Africa Centrale.
Bosnia ed Erzegovina: Si parla di bosniaci, bosniaco-erzegovini e di bosniaco-erzegovesi. I bosniaci musulmani poi sono chiamati bosgnacchi. I bosgnacchi, insieme ai croato-bosniaci e ai serbo-bosniaci, sono uno dei tre popoli che hanno formato la Bosnia e l’Erzegovina. Bosgnacchi non va quindi confuso col termine bosnìaci che si riferisce a tutti i cittadini della Bosnia ed Erzegovina a prescindere dall’appartenenza etnica.
Corea del sud e del nord: attenzione, gli abitanti della Corea si distinguono in sudcoreani e nordcoreani, col trattino o senza. Non corre buon sangue tra i due popoli, ma ultimamente sudcoreani e nordcoreani pare si stiano riavvicinando.
Estonia: gli estoni sono bellissimi! (anche le estoni). L’ho sentito dire un sacco di volte. Chissà perché non sono ma Stato in Estonia…
San Marino: i sammarinesi sono innanzitutto pochi: appena 33 mila.
Moldavia: dei moldavi si dice che non sia gente pretenziosa (cioè non pretendono molte cose), che non siano prodighi (cioè non spendono molto), che siano persone modeste e non aggressive.
Indonesia: degli indonesiani che dire? Sono giovanissimi: circa il 70% degli indonesiani ha meno di 30 anni.
Panamà: Il Geisha panamense è il caffè più costoso al mondo. Più di millecinquecento euro al kg.
Costa Rica: i costaricani, o costarichensi, invece, pare amino molto le feste: sono persone festaiole.
Singapore: I singaporiani sono consumatori molto particolari, molto ricercati, nel senso che ricercano sempre prodotti innovativi da acquistare.

Ce ne sono molti altri: Italiano semplicemente, sempre andando in ordine di numero di visitatori ha anche molti cubani, thailandesi, guatemaltechi (molto curioso questo), taiwanesi, dominicani, per non dimenticare i senegalesi e i paraguaiani (con la i o con la y), gli honduregni (con o senza h), i sud-africani (con o senza trattino), boliviani e malesi, che sono gli abitanti del Malaysia, con la y o con la i.
La lista non finisce qui, ma non vorrei annoiarvi. Ciao amici, e grazie ancora a tutti i visitatori e i donatori a prescindere dalla vostra nazionalità.

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