Inzuppare il biscotto

Inzuppare il biscotto (scarica audio)

Trascrizione

Benvenuti nella rubrica delle espressioni idiomatiche di italiano semplicemente.

Per spiegare l’espressione di oggi devo partire da una storiella.

C’era una volta un vecchio zoppo che mangiava sempre la zuppa.

Lo zoppo amava inzuppare i biscotti nella zuppa, perché i biscotti, inizialmente molto duri, una volta zuppi di zuppa, erano morbidissimi e lo zoppo, che non aveva più i denti, poteva mangiarli senza sforzo.

Avrete sicuramente capito che stiamo partendo da lontano. L’episodio di oggi è dedicato alla zuppa. Lo zoppo (cioè colui che ha una gamba o un piede offeso) è servito solamente a confondervi un po’ le idee.

Allora, la zuppa, forse la conoscete tutti, è una minestra in brodo (brodo di carne, pesce, legumi o verdure), che viene servita in genere con pezzetti di pane tostato.

Un brodo è composto essenzialmente da acqua calda più altri alimenti, ma se parliamo di cibo, questo termine va usato sempre insieme a qualcos’altro che serve a specificare.

Avete mangiato il brodo? Ma il brodo di che? Il brodo di carne? Un brodo di verdure? Un brodino di pasta?

In genere il termine brodo è meno commerciale rispetto a zuppa, che si trova infatti nei menù dei ristoranti.

Ci sono dei piatti soprattutto come la zuppa di verdure, quella di fagioli e la zuppa di pesce, che è la più buona (de gustibus comunque) e anche la più costosa.

La cosa essenziale della zuppa è che c’è un brodo all’interno e che questo brodo è perfetto per inzuppare il pane tostato.

Ovunque ci sia del pane bagnato si può parlare di zuppa. Non è un caso che esiste il detto:

Se non è zuppa è pan bagnato.

Un’espressione che si usa per indicare due cose sostanzialmente equivalenti e si usa naturalmente in modo ironico.

Es:

il Sindaco di Roma è cambiato, ma nonostante le promesse, non si vedono le differenze. È sempre così a Roma: Se non è zuppa è pan bagnato.

Quindi anche se una cosa (come il modo di amministrare una città, ad esempio) viene presentata in modo diverso, proprio come voleva apparire il nuovo sindaco, resta in sostanza la stessa.

Vediamo adesso il verbo inzuppare: Inzuppare sta a indicare l’azione che consiste nell’immergere qualcosa (es. il pane) in un liquido (es. Il brodo), liquido che viene assorbito, che entra dentro il pane, che, essendo zuppo di brodo, diventa quindi più morbido e più pesante, avendo il brodo (composto come detto essenzialmente da acqua) al suo interno.

Il pane viene normalmente inzuppato anche nel latte per fare colazione.

Tutto ciò che viene inzuppato in un liquido, se il liquido viene assorbito al suo interno, diventa “zuppo“, un aggettivo che al femminile diventa ovviamente “zuppa“.

Zuppa dunque è sia aggettivo che sostantivo. Nel caso dell’aggettivo possiamo comunque usare anche il verbo inzuppare.

Es:

La mia camicia è zuppa/inzuppata di sudore

Un gabbiano zuppo/inzuppato di petrolio

Un vestito zuppo/inzuppato d’acqua

Inzuppare è un verbo che, proprio come la zuppa, si usa anche in modo figurato.

Si potrebbe parlare ad esempio di una persona che ha vissuto tanto tempo con delle persone un po’ strane e adesso ha la testa inzuppata/zuppa di sciocchezze.

Zuppo, nel suo senso proprio, non significa semplicemente bagnato, ma completamente bagnato, fortemente intriso, inzuppato, fradicio. L’acqua normalmente va all’interno, ma spesso si parla di cose completamente bagnate all’esterno e si dice che sono zuppe d’acqua.

Sono completamente zuppo!

Faceva troppo caldo e adesso la mia maglia è tutta intrisa di sudore.

Intriso, diversamente, è solo per indicare che il liquido entra dentro ed è più adatto per i materiali. Inoltre si usa solitamente con la preposizione “di” (è simile a “pieno”):

Delle calze intrise d’acqua

Una maglietta intrisa di sangue

L’aggettivo fradicio è ancora più forte di zuppo:

Sono fradicio di sudore

Spesso poi è rafforzativo:

Cambiati la maglia che sei zuppo fradicio di pioggia!

Possiamo usare anche impregnato, che è come zuppo e inzuppato, ma nel verbo impregnare non c’è nessuna esagerazione. Si usa in modo tecnico:

Bisogna impregnare uno straccio con della benzina (o di benzina) e poi accendere col fuoco.

Il significato di impregnare direi che è “sottoporre un oggetto (normalmente un tessuto o una spugna) a un notevole assorbimento di liquido” .

Quindi se uso impregnato, l’acqua sta solamente dentro; è stato assorbito al suo interno, analogamente a intriso.

Il verbo Inzuppare si usa in particolare nell’espressione:

Inzuppare il biscotto

Che è l’espressione a cui volevo arrivare in questo episodio.

In questo caso però non parliamo solamente dei biscotti inzuppati nel latte, ma questo è anche un modo alternativo e molto giovanile (molto volgare) per indicare il rapporto sessuale, specie quello occasionale, per niente impegnativo. Naturalmente lo usano solamente gli esseri umani di sesso maschile, direi anche con un livello intellettuale alquanto basso.

Come è andata ieri sera? Hai inzuppato il biscotto?

Inzuppare il biscotto si usa maggiormente nel centro sud dell’Italia mentre pucciare il biscotto è la versione del Nord Italia.

Adesso vorrei concludere con la pronuncia.

Zuppa e inzuppare si pronunciano con la zeta aspra, diversa dalla zeta dolce. Vi capiterà comunque di ascoltarlo spesso con la zeta dolce, soprattutto nel nord e nel sud Italia.

Parole come zampa, zappa, zuppa, zampogna, zampina, zoppo, zeppo inzuppare si pronunciano con la zeta aspra. Se volete c’è una lezione sulla pronuncia della zeta.

A molti italiani potrà sembrare dialettale e regionale la pronuncia di queste parole con la zeta aspra, e per questo motivo moltissimi preferiscono usare la zeta dolce, che sembra la più corretta. Confesso che anch’io ci sono stato attento perché spesso mi sbaglio.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente. E non dimenticate una piccola donazione 🙂

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828 Fare conto

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Trascrizione

Ecco una delle tante locuzioni che ho utilizzato inavvertitamente (cioè senza farlo apposta, senza volontà) in un episodio e che puntualmente mi è stato chiesto di spiegare: “fare conto“, una locuzione che ho usato nell’episodio dedicato a “come“.

Il contesto spesso aiuta capire il senso di questa locuzione, comunque è sempre gradita una spiegazione. Ad ogni modo non si deve mettere l’articolo alla parola conto, altrimenti fare il conto è ad esempio ciò che fa il proprietario del ristorante quando il cliente deve pagare il conto per pagare ciò che ha mangiato. Si parla, in questi casi, di effettuare un calcolo matematico.

Fare conto”, senza l’articolo, può avere due diversi significati.

Può significare “fare finta”, quindi si usa per considerare un’ipotesi vera, considerare un fatto presente come vero, anche se non lo è, con la finalità di usare l’immaginazione spesso per trarre una conseguenza, anche se solo ipotetica.

Es:

Se sono con una ragazza che deve togliersi i vestiti e si vergogna di farlo davanti a me, posso dirle:

Fai conto che io non sia presente

Fai conto di essere sola

Fai conto che io sia cieco

Quindi è proprio come dire “fai finta” che io non ci sia, fai finta di essere sola, fai finta che io sia cieco. Quindi stiamo dicendo:

Non è così, non sei sola, perché ci sono anch’io ma la cosa può essere imbarazzante.

Allora immagina di essere sola, immagina che io non sia qui a guardarti.

Vedete che se diciamo “fai conto che”, è bene usare il congiuntivo (questa sarebbe la regola) anche se nelle comunicazioni informali come sappiamo si usa spesso l’indicatico presente.

Fai conto che io non ci sono/sia

Fai conto che non sono/sia qui con te.

Se. Invece usiamo la preposizione “di” non si usa il congiuntivo:

Fai conto di essere sola

Se invito un amico a casa mia, per farlo sentire a suo agio posso dirgli:

Fai conto di essere a casa tua

Ma volendo potrei usare “che” :

Fai conto che ti trovi a casa tua

Un secondo uso, diverso dal primo, si usa per fare una specie di promessa.

Ad esempio, se la mia fidanzata mi chiede un anello di diamanti, il cui costo si aggira sui 10000 euro, io potrei dirle:

Fai conto di averlo già al dito

Vale a dire:

te lo regalerò, puoi starne certa

ti assicuro che questo anello sarà tuo

ti prometto che l’avrai

Vediamo un secondo esempio.

Il mio capo mi chiede urgentemente un lavoro.

La mia risposta potrebbe essere:

Fai conto che io lo abbia già fatto.

Fai conto che ho già fatto il lavoro

Anche questa è una promessa, e l’obiettivo è rassicurare il mio capo, fargli capire che è come se avessi già fatto il lavoro, perché sono sicurissimo che farò ciò che mi hai chiesto. In questi casi usare “fare finta” non è appropriato perché non si tratta di immaginare il presente ma il futuro, che si può ancora realizzare.

La parola “conto” si usa anche in espressioni diverse, come “tenere conto“, che può infatti essere usata allo stesso modo, per immaginare il presente, proprio come “fare conto”.

Tuttavia, tenere conto si usa prevalentemente nel senso di considerare, tener presente, tenere in considerazione, o anche per sottolineare qualcosa di importante da non dimenticare.

“Fai conto” come ho detto, in questo secondo uso è una specie di promessa, e una cosa simile accade nella locuzione “contare su” qualcosa o qualcuno.

Conta su di me” infatti significa fidati di me, abbi fiducia in me, e si parla sempre del futuro.

Quindi per fare una promessa posso usare entrambe le locuzioni. Es:

Fai conto che hai ottenuto il risultato

Conta su di me, ti aiuterò a ottenere il risultato

Vuoi sapere se ti aiuterò? Contaci!

Si dice anche, quando ci si aspetta che una persona mantenga una promessa, o semplicemente crediamo che accadrà qualcosa e mi comporterei di conseguenza.

Ci conto!

Mi raccomando, ci conto!

Domani andrò al mare, perché conto sul fatto che non pioverà

In quest’ultimo caso non c’è una persona di cui fidarsi, ma speriamo e crediamo che domani non pioverà, e conseguentemente decidiamo di andare al mare. Se non avessimo contato su questo non avremmo preso questa decisione.

Io invece dovrei tener conto del fatto che questo episodio fa parte della rubrica dei due minuti con Italiano Semplicemente e di conseguenza non tirarla troppo per le lunghe.

Un’ultima cosa. Esiste anche “fatti conto”, che si usa esattamente come “fai conto” (al plurale diventa fatevi conto e fate conto) che è la versione riflessiva e comunque si usa meno frequentemente. Direi che è anche molto più informale. “Fatti conto” somiglia a “immaginati”, anch’esso riflessivo, che può andar bene sia nel suo primo significato che abbiamo spiegato all’inizio, sia nel secondo, quando c’è una promessa.

Adesso vediamo un ripasso, poi l’esercizio per vedere quanto avete appreso di questo episodio e casomai ripetere l’ascolto. L’esercizio in questione è appannaggio dei soli membri dell’associazione.

Ripasso episodi precedenti (a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente)

Sergio e Edita: qui, nel nostro gruppo whatsapp dell’associazione Italiano Semplicemente di volta in volta capita che il nuovo episodio venga costruito, così, su due piedi, grazie a una domanda posta o un dubbio sorto da chicchessia.
Che meraviglia!

Marcelo: infatti, non si lascia nulla di intentato per approfondire le questioni della lingua del sì.

Mariana: si, e quanto a me, davvero cerco di dare fondo a tutte le mie energie per tenere il passo, ma non ci riesco sempre.

Peggy: ma dai, è ovvio che non si può sempre seguire tutto, e poi l’ascolto di ogni episodio va quantomeno bissato, o persino trissato se più complicato. Siamo tutti sulla stessa barca.

Irina: non abbiamo di che lamentarci però. Le risorse non mancano per imparare, ognuno con i propri tempi. Lo dico a scanso di equivoci, perché nessuno venga tacciato di non stare sempre sul pezzoe venga apostrofato per questo. Non sia mai.

Bogusia: hahahaha, forse quando si parla troppo di grammatica qualcuno inizia ad aver voglia di cazziare il colpevole. Però questo non mi tange minimamente, perché anch’io sono propensa a evitarla.

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827 Fare il bis

Fare il bis (scarica audio)

Trascrizione

Siete mai stati al teatro la Scala di Milano?

Se la risposta è sì, allora conoscete anche il significato di “fare il bis”.

Succede spesso che gli spettatori chiedano il bis dopo un’esibizione alla Scala. Ma quello non è l’unico luogo in cui è possibile fare il bis.

Il bis è una ripetizione. Quindi se il pubblico ha particolarmente gradito una performance può chiedere il bis.

Un’espressione che si usa in molte circostanze, non solo al teatro, ma soprattutto a tavola, durante il pasto.

Fare il bis, quando siamo a tavola, significa prendere un secondo piatto della stessa pietanza, cioè prendere un piatto una seconda volta.

Quindi se parliamo di performance artistiche fare il bis significa ripetere, ovviamente a richiesta del pubblico, un brano di uno spettacolo, specialmente negli spettacoli musicali, mentre più in generale vuol dire fare qualcosa una seconda volta.

Vi piace molto la pasta che vi hanno servito al ristorante?

Allora chiedete se è possibile fare il bis di pasta.

Si può fare il bis di pasta?

Si tratta sempre di qualcosa di piacevole, perché se si vuole ripetere un’esperienza è perché la prima volta avete provato piacere, che sia l’ascolto di un brano musicale che l’aver gustato un piatto prelibato.

Fare il bis è un’espressione ma si può esprimere lo stesso concetto attraverso un verbo: bissare.

Posso bissare la pasta?

Bissare è esattamente come fare il bis, quindi ripetere una seconda volta, replicare.

Fare il bis al ristorante tra l’altro è gratis, e in genere è IL ristoratore che chiede se qualcuno vuole fare il bis.

Anche a casa si usa spesso.

Qualcuno vuole il bis di carne?

Vale a dire:

Qualcuno vuole un secondo piatto di carne?

Qualcuno vuole la carne una seconda volta?

Qualcuno vuole la carne una volta ancora?

È comunque possibile bissare una canzone, ma anche bissare una vittoria, bissare un successo.

Se un’atleta vince le olimpiadi nel 2020, se nel 2024 bissa il successo significa che vince anche nel 2024, e questa è la sua seconda vittoria. Ha fatto il bis.

L’atleta ha vinto una seconda volta, quattro anni dopo, cioè l’atleta ha fatto il bis quattro anni dopo, l’atleta ha bissato la vittoria 4 anni dopo.

Non possiamo usare fare il bis e bissare in altre occasioni, specie se non legate al piacere. Un qualunque di altro tipo è solo una ripetizione.

E che succede se lo facciamo tre volte?

Si dice in questi casi “fare il tris” o trissare, ma è molto meno usato rispetto a fare il bis e bissare.

Edita: siamo arrivati in Spagna, ultima tappa del nostro viaggio dopo aver visitato l’Italia! Abbiamo conosciuto svariati e bellissimi luoghi, e la frase che abbiamo ascoltato maggiormente è stata “digitare pin e tasto verde!

Peggy: il momento topico senza dubbio è stato la riunione annuale dei membri di IS!…

Albéric: si, certo!…ma ricordo anche il contagio del Covid, che è arrivato come un fulmine a cielo sereno!

Rafaela: non sembrava plausibile fare un viaggio così lungo in Italia (3 mesi, per inciso) ma sicuramente, per quanto mi riguarda, è assolutamente congeniale ai miei gusti!

Per i membri:

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826 Propendere

Propendere (scarica audio)

Trascrizione

Parliamo di scelte e decisioni.

Parliamo anche di opinioni.

Quando dobbiamo prendere una decisione, spesso usiamo il verbo propendere.

Cosa? Non l’avete mai usato?

Fino ad oggi no, capisco, ma lo farete in futuro!

Se usiamo questo verbo non esprimiamo un’opinione netta, decisa, ma è come se avessimo fatto una valutazione, una riflessione, e alla fine decidiamo qual è il nostro pensiero su una questione.

Più precisamente, vogliamo dire che siamo favorevoli a una soluzione o una decisione.

Che facciamo, proviamo a uscire anche se forse potrebbe piovere? Rischiamo?

Io propendo per il si, e voi?

Io propendo per aspettare un po’ e vediamo come si mette il tempo!

Propendere per il si o per il no si usano spessissimo.

In generale usiamo la preposizione per seguita da un verbo all’infinito:

Io propendo per provare, per aspettare eccetera.

Non è detto ci sia un verbo però.

Es:

Che facciamo, la guerra oppure trattiamo?

Io propendo per un compromesso.

Io propendo per trattare

Io propendo per la guerra

Usare questo verbo dunque è un modo per esprimere un’opinione pensata, su cui si è riflettuto e sulla quale si sono fatto le dovute riflessioni.

Ha senso usarlo quando c’è una alternativa.

Non posso dire ad esempio:

Oggi propendo per leggere un libro.

Questa è solamente una decisione.

Invece ha senso dire:

Ho un bel libro da leggere, oppure potrei fare una passeggiata col mio amico Marcelo.

Io propendo per la passeggiata!

Dunque, si usa nei casi in cui vi sia dubbio o necessità di scelta.

Non si usa sempre la preposizione per:

Giovanni ha detto che nelle sue spiegazioni non parla mai di grammatica:

Io propenderei a credergli, e voi?

Come facciamo a scegliere la preposizione da usare?

Si usa la preposizione “a” quando il senso è più vicino a essere incline, essere disposto. L’alternativa è meno marcata, meno netta, non esattamente definita. Sto dicendo che sono disposto a fare qualcosa.

Es: se c’è un problema e credo che si sistemerà. Posso dire:

Propendo a credere che tutto si sistemerà.

È simile a “penso che“. In questi casi si usa anche “essere propenso”:

Sono propenso a credere che si troverà una soluzione.

Con questa forma “sono propenso” (propensa al femminile) si usa sempre “a” seguita dal verbo all’infinito.

Vedete che c’è un pensiero, spesso una speranza, ma anche una riflessione.

Pensiamo un attimo alla radice del verbo propendere:

Propendere è simile a “pendere“, quindi possiamo considerare, come immagine un piano inclinato. E se mettiamo una pallina su un piano inclinato la pallina va in una direzione precisa: va in discesa. Fate conto che quella pallina è il vostro pensiero: va in una certa direzione. Tende ad andare in quella direzione.

Si usa anche una forma più formale: essere incline a, molto simile a essere propenso a:

Sono incline a credere che la crisi non terminerà a breve.

L’inclinazione è però un concetto più complesso. Lo vediamo in uno dei prossimi episodi di due minuti con Italiano Semplicemente. Con l’occasione parleremo anche della cosiddetta propensione.

Concludo dicendo che per esprimere lo stesso concetto del verbo propendere si può anche semplicemente usare la forma condizionale:

Mare o montagna quest’anno?

Propendo per la montagna

Oppure:

Io andrei in montagna

Io sceglierei la montagna.

Quindi io propendo per fare diventa io farei. Io sono propenso a mangiare può diventare io mangerei eccetera.

Adesso il ripasso del giorno.

Ricordatevi che la caratteristica degli episodi di questa rubrica, la caratteristica che contraddistingue questa rubrica dalle altre è proprio la presenza dei ripassi, che servono a rispolverare ciò che abbiamo già spiegato e questo lo facciamo per non dimenticare.

Un metodo unico che non trovate in nessun altro sito.

Dimenticavo che dopo il ripasso i membri possono fare anche un l’esercizio che consiste nel rispondere a 10 domande.

Marcelo: dopo due mesi e passa che giro in Italia, devo ammettere che mi manca un po’ la mia casa. Tra l’altro ho lasciato svariate cosette in sospeso.

Mariana: Ciao Marcelo, già scalpiti per il ritorno a casa? Di questo giro per il bel paese non ne puoi piú? Mi vedo costretta a dirti che stai provando il rovescio della medaglia.

Irina: Arriva sempre il momento in cui il corpo inizia a pagare lo scotto, e non te la senti di fare altro.
In pratica te ne freghi di tutto il resto e al contempo ti verranno in mente un sacco di posti che non hai visitato ma ormai la frittata è fatta e ti sei reso conto che è arrivato il momento del rientro!

Ulrike: Voglio farti una domanda: è plausibile un altro viaggio simile a questo in futuro?

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43 – PIN e tasto verde

PIN e tasto verde

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Lezione numero 43 di Italiano Commerciale.

Se non avete mai acquistato nulla in Italia, non conoscete questa frase: “PIN e tasto verde”.

È la frase che pronuncia ogni volta il cassiere o la cassiera di ogni supermercato italiano ogni volta che si paga con il bancomat o la carta di credito.

Il PIN, lo sapete tutti, è il numero che viene digitato sulla tastiera ed è il vostro numero segreto, che solo voi dovete conoscere. Dopo aver scritto il PIN vi viene però richiesto di premere anche il tasto verde che si trova in basso a destra sul tastierino del POS.

PIN e tasto verde” è quasi una parola d’ordine alla cassa.

Chissà quante volte viene pronunciata ogni giorno.

Ad ogni modo il tasto è ciascuna delle piccole leve, di plastica, che formano la tastiera, che sia quella del pc, del pos, o del cellulare o anche del pianoforte e altri strumenti musicali, che servono ad azionare un meccanismo.

Il POS invece è il terminale di pagamento, un POS (letteralmente, “punto di vendita” che in inglese sta per “Point of Sale”) è un dispositivo elettronico e informatico e il suo ruolo consiste nel permettere di effettuare pagamenti elettronici mediante l’utilizzo di carte di credito o bancomat.

Il tasto verde invece serve per dare l’ok, quindi, una volta inserito il PIN, serve a inviare il pagamento. Riguardo al verbo da usare, il tasto verde va premuto (verbo premere) così come vanno premuti i numeri che compongono il PIN. Premere significa esercitare una pressione, in questo caso con il dito.

Significa sottoporre a pressione, si può dire anche “schiacciare“, un verbo che si usa a volte in luogo di premere, sebbene schiacciare abbia altri significati, anche abbastanza negativi, tipo schiacciare il nemico.

Premere è simile anche a spingere, ma non si usa spingere per i tasti.

Naturalmente quando si dà una carta per pagare, questa carta può essere solamente un bancomat, solamente una carta di credito oppure entrambi, come nel mio caso. La mia tessera è sia bancomat che carta di euro credito e alla cassa mi viene sempre chiesto di scegliere come effettuare il pagamento. La cassiera dice:

Carta o bancomat?

Io scelgo quale circuito utilizzare, dopodiché digitare pin e tasto verde per dare l’ok.

Ho usato la parola circuito, un termine che generalmente ha a che fare con l’elettricità (il circuito elettrico, il cortocircuito ecc. perché ci si riferisce alla circolazione della corrente elettrica), ma è proprio questo termine che si usa quando occorre distinguere tra bancomat e carta si credito.

Si chiamano “circuiti di pagamento“, utilizzati sia per il servizio di prelievo di denaro contante da sportelli automatici sia per il pagamento di beni e servizi presso i terminali POS, appunto.

Non è sbagliato chiamarli circuiti, infatti quando si sceglie di prelevare denaro o di pagare, scegliendo il circuito di pagamento, si prendono due strade diverse, attivate da segnali elettrici.

Non ricordate Il PIN? Non vi resta che pagare in contanti, cioè usando monete e banconote.

– – –

La lezioni di italiano commerciale sono normalmente dedicate ai soli membri dell’associazione.

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825 Come

Trascrizione

In questo episodio non vedremo i vari utilizzi di “come” che è un avverbio, una congiunzione e una preposizione a seconda del caso.

Potremmo distinguere infatti una decina o forse più di utilizzi diversi, ma resterete stupiti soprattutto di uno di questi usi, in cui “come” si utilizza con lo stesso significato di “appena” o anche “non appena“:

Come arrivo a casa ti chiamo

Questo uso normalmente non si trova nei dizionari perché è colloquiale. Si usa, come vedete, il presente indicativo e non il futuro.

Come arrivo a casa ti chiamo* quindi significa” appena arriverò a casa ti chiamerò”, oppure “non appena arriverò a casa ti chiamerò”

Aggiungere “non” è facoltativo come abbiamo visto nell’episodio dedicato a “appena“.

Vediamo altri esempi:

Scusi, mi sa dire la strada per arrivare ai musei vaticani?

Certo, vede quel semaforo? Come lo supera, giri subito a destra.

Quindi: non appena superato il semaforo bisogna voltare a destra.

Subito dopo” è un’altra possibile alternativa:

Subito dopo aver superato il semaforo occorre girare a destra.

Naturalmente, come abbiamo visto nel sopracitato episodio dedicato ad appena, ci sono altri usi di “appena” e dunque in questo episodio ci si riferisce solamente a quello equivalente a “subito dopo”, con o senza il non pleonastico.

Questo speciale uso di come è simile anche a “quando” e anche “ogni volta che“:

Come l’ho incontrato, gli ho detto cosa pensavo di lui!

Come vado al supermercato, compro tutto ciò di cui c’è bisogno

Mi raccomando, come arrivi in ufficio vieni da me!

Vi ho detto che l’utilizzo è colloquiale, ma pensate che anche Dante e Leopardi hanno usato “come” in questo modo. Oggi però, soprattutto allo scritto, si preferisce usare “appena”, “non appena”, “subito dopo“, “immediatamente dopo“, “subito dopo” e “quando”. 

Adesso basta con la spiegazione. Anzi no, facciamo altri due esempi e poi come li finisco facciamo il ripasso del giorno. Poi per gli associati faccio qualche domanda a seguire dell’epiosodio, per vedere se avete assimilato correttamente il concetto. Per gli altri, sappiate che basta iscriversi all’associazione e anche voi potrete mettervi alla prova.

Facciamo una cosa, ripassiamo e nello stesso tempo facciamo altri esempi di questo curioso uso di “come“.

Moglie: Ma quando arrivi a casa? Solo le venti e passa! Vedi di arrivare altrimenti…

Marito: come esco dall’ufficio ti chiamo! Stai tranquilla! Ma tanto lo so che come arrivo mi farai un cazziatone e forse mi darai anche il solito Aut Aut!

Moglie (2): non fai che lamentarti per come ti tratto! Mi dai sui nervi! Ti metto a posto io come arrivi!

Nonna: se volete faccio da tramite! Ma non voglio essere indiscreto!

Cugina: non credo abbiano bisogno di comunicare per interposta persona. Poi così facendo potrebbe infierire anche su di te!

Figlia: siamo alle solite! Ogni volta che papà fa tardi sono guai. Meglio che nessuno si metta in mezzo!

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