Nel mondo del lavoro si sente spessissimo parlare di plagio. Si parla altrettanto spesso di pirateria, con lo stesso significato. In entrambi i casi si parla del cosiddetto “dirittod’autore“. Allora in questo episodio di Italiano Professionale inserirò anche alcuni verbi professionali, che sono già stati oggetto di episodi passati (vi inserisco il link all’interno dell’episodio), di conseguenza questo episodio finirà per essere anche un episodio di ripasso.
Il significato di plagio e pirateria, è molto simile a quello di furto. In tutti i casi si ha la proprietà di qualcosa. Sono entrambi dei reati, sebbene il furto sia giudicato più grave.
Cosa fanno i ladri? I ladri rubano, cioè si appropriano delle cose altrui. Ho usato il verbo appropriarsi, cioè far diventare proprio. Si parla quindi di proprietà. A chi appartiene questa automobile? Di chi è la proprietà di questa automobile?
Quando parliamo di plagio e pirateria però non si parla di oggetti rubati, ma fondamentalmente di idee rubate. Per commettere il reato di plagio infatti è sufficiente imitare qualcosa, apportando lievi modifiche a qualcosa e ne cambia il titolo. Così facendo si appropria di una qualche paternità sull’opera. In sostanza, non ci si può avvalere delle opere altrui per ottenere dei vantaggi personali, perché in questo modo si cagiona anche un danno al proprietario dell’opera, cioè di chi detiene la proprietà dell’opera. Spesso il confine tra il furto e il plagio è sottile, e un avvocato difensore di un ladro, in alcuni casi, potrebbe adoperarsi nel cercare di derubricare il furto in plagio per ottenere delle pene meno pensati. Non credo sia cosa facile però.
Mi viene in mente il parmigiano e il parmesan cheese. Il parmesan cheese possiamo chiamarlo un plagio, in uso all’estero. Un tentativo di spacciare un prodotto, il parmesan scheese, per il vero parmigiano italiano.
Naturalmente il termine “parmigiano” non appartiene a nessuno in particolare, non ha un proprietario, quindi non è un plagio nel vero senso del termine. Il vero plagio ha bisogno di una proprietà.
Molto spesso si parla di plagio in ambito artistico e letterario. Si dice ad esempio che molti cantanti si siano “ispirati” un po’ troppo ad altre canzoni, molto famose, per scrivere il loro pezzo. Ma questo pezzo, questa canzone, risulta alla fine troppo somigliante all’originale. In questo caso si parla di plagio. Abbiamo quindi una falsa attribuzione a sé di opere o anche di scoperte, invenzioni scientifiche i cui diritti di invenzione spettano ad altri, i veri autori, i veri proprietari.
La questione riveste una certa importanza come potete immaginare, esiste infatti una legge per capire quando si tratta di plagio oppure no, e l’esito di questo confronto ha delle conseguenze penali ovviamente. Si chiama legge sul diritto d’autore e ci sono anche direttive europee. Quindi di volta in volta, quando c’è una denuncia di plagio, bisognerà valutare se si tratta di plagio oppure no. Prima parlavo di appropriazione di idee di altre persone. In realtà la definizione esatta non è idea, ma “un’opera dell’ingegno altrui”, quindi un’opera che scaturisce dalla mente di altre persone. Il termine ingegno indica quello che possiamo chiamare il principio attivo dell’intelligenza. Se diamo un’occhiata alle notizie sul web, notiamo che ci sono molte notizie che attualmente parlano di plagio. Ad esempio Dolce & Gabbana, la famosa casa di moda, è stata accusata di plagio per aver copiato delle ceramiche spagnole. E coloro che hanno denunciato questo plagio, hanno dichiarato che a loro non dà dato fastidio che qualcuno si ispiri alle loro opere, ma invece dà fastidio di essere copiati in modo sfacciato. Comunque chiunque denunci di essere stato plagiato deve suffragarele proprie accuse con delle prove. Prima parlavo della pirateria come sinonimo di plagio, ma forse è meglio chiarire che questo termine assume un significato più ampio. Questo termine viene dal “pirati“, che sono coloro che in mare, assalgono e depredano a proprio beneficio navi di qualunque nazionalità, rubano il loro carico e anche le persone imbarcate. Quindi non siamo lontani dal concetto di plagio. Esiste anche la pirateria aerea, ma la questione non cambia. Si tratta di sequestrare un aereo mentre è in volo, minacciando con le armi costringendolo a dirigersi verso una destinazione diversa. In senso figurato però il concetto di pirateria è un atto, un comportamento di abuso associato a un atteggiamento fraudolento. Inoltre anche gli utilizzatori, cioè chi acquista questi prodotti può essere accusato di pirateria. Chi utilizza in modo clandestino, quindi di nascosto, anche senza pagare le tasse, quindi abusivamente e senza autorizzazione, prodotti come libri, dischi, cd, dvd eccetera. Il plagio quindi è il reato commesso solamente da chi copia il prodotto, mentre la pirateria, termine poco giuridico, è commesso anche da chi acquista questo prodotto. La pirateria più famosa è probabilmente quella informatica. E questa è l’attività di chi riesce a entrare all’interno di reti di informazioni e archivî di dati informatici, copia programmi o dati riservati. Avete presente i cosiddetti hacker? Non c’è una vera traduzione in italiano di questo termine. Possiamo chiamarlo un esperto informatico disonesto, o, appunto, un pirata informatico. Infatti gli hacker possono fare anche pirateria perché se, una volta entrati in possesso di dati riservati, ne ricava dei vantaggi economici illeciti. Abbastanza diffusa è anche la pirateria editoriale, cioè che si riferisce ai libri.
Voglio terminare con verbo plagiare, che ha ovviamente il significato di copiare, attribuire a sé stessi un’opera di altri, sebbene viene spesso usato anche in modo simile a “convincere“. Si usa infatti nella psicologia in questo senso. Il plagio in questo caso è un termine che viene usato in due modi diversi. Il primo modo indica una sorta di abuso che consiste nel ridurre una persona in uno stato di totale soggezione al proprio potere. Quindi la persona plagiata fa tutto ciò che dice la persona che l’ha plagiata, che impartisce ordini alla persona plagiata, che si attienea tutte le sue disposizioni. In questi casi si parla comunemente di lavaggio del cervello o di manipolazione mentale. Anche questo dunque si chiama plagio. Questo modo di plagiare non ha niente a che fare però con i prodotti e il mondo del lavoro, invece, il secondo modo di usare “plagiare” è per indicare il “plagio incosciente”. Cos’è? Si tratta di quando un musicista, ad esempio, copia, senza rendersene conto, una musica di un altro musicista. Non lo fa apposta, non intende farlo, ma sempre di plagio si tratta. Non si può quindi addossare la colpa alla distrazione o dire che si tratta di una coincidenza.
Oggi vediamo un’espressione informale usata in tutt’Italia: passarla liscia, che ha lo stesso significato di cavarsela, riuscire a evitare una punizione o una conseguenza negativa, soprattutto se deriva da un proprio comportamento sbagliato.
Vediamo qualche esempio di utilizzo:
Un automobilista ha superato i 200 km orari in autostrada, ma non l’ha passata liscia e la Polizia l’ha multato.
Quindi l’automobilista, dopo aver superato il limite di velocità in autostrada, sperava di passarla liscia ma non c’è riuscito. Sperava che la polizia non si accorgesse di questa infrazione ma invece non l’ha passata liscia e ha dovuto pagare la multa.
Si usa il verbo passare, nel senso di superare, lasciarsi alle spalle qualcosa senza pagare.
Si può usare anche per indicare il superare un pericolo o una difficoltà, in genere per pura fortuna.
È la seconda volta che crolla la mia casa ma anche stavolta l’ho passata liscia.
In questo caso è simile a “èandata bene“, “l’ho scampata bella“. Passarla liscia si usa solo al femminile: sempre passarla, mai passarlo.
Però generalmente è più usato nel senso di scansare una punizione, una punizione meritata per aver sbagliato qualcosa.
La usano spesso i genitori con i propri figli:
È la quarta volta che rientri a casa molto tardi la sera. Non credere di passarla liscia!
Con il pallone i ragazzi hanno rotto il vetro di una finestra ma l’hanno passata liscia perché nessuno li ha visti.
Ma perché liscia?
Liscio e liscia si usano anche in un’altra espressione: andare liscio. In questo caso indica l’assenza di problemi.
Com’è andata?
Tutto liscio!
È andato tutto liscio.
Tutto liscio come l’olio.
Le cose lisce, gli oggetti lisci, infatti, scivolano, al contrario delle cose ruvide, che incontrano resistenza con l’attrito.
I problemi quindi scivolano via, è come se non ci fossero.
Io la passo liscia
Tu la passi liscia
Lui la passa liscia
Lei la passa liscia
Noi la passiamo liscia
Voi la passate liscia
Loro la passano liscia
potete ascoltare e leggere proprio adesso:
Rafaela. Come saprete tutti, ho un cane a casa. L’altro ieri questa bestiola, tanto bella quanto vispa, è scappata via.
Ulrike:Lì per li, ho perso il lume della ragioneper via della paura che le accadesse qualche guaio, sola soletta per le strade. Volevo andare in giro gridando a squarciagola il suo nome affinché rivenisse da me. Ero sconvolta emotivamente e allo stesso tempo arrabbiata di brutto. Avevo bisogno di aiuto.
Marguerite: In quel mentre, mio marito mi guardò in malo modo e, udite udite, invece di darmi una mano mi fece questa paternale:
Hartmut: Ma come si fa!! Sembrerebbe che la tua brutta bestia lo faccia apposta per vederti andare su tutte le furie! Di fatto è troppo maleducata, devi metterle dei paletti. Bisogna insegnarle tutto da capo a dodici. In via cautelativa meglio tenerla incatenata. Punto e basta.
Ottimo lavoro ragazzi! Qualcuno avrà già notato che passarla liscia ha qualcosa in comune con passare in cavalleria! Ma sono le persone a passarla liscia, mentre sono le questioni a passare in cavalleria.
Sono parecchi, ognuno con la sua sfumatura di significato. Se avete venti minuti di tempo da dedicarmi li scoprirete tutti.
Un episodio che potete ascoltare più volte se volete. Alla fine faremo anche un esercizio di ripetizione.
Allora, puo cambiare l’intensità, il tono, il contesto, l’emozione.
Solitamente si parla di sport, ma non si vincono e perdono solamente le partite.
Esistono anche le competizioni, le gare, i conflitti, le dispute, gli scontri, i confronti, gli incontri, le battaglie, le guerre, i dibattiti, quindi potremmo parlare anche di politica, di confronti tra uomini, donne, militari, politici e via dicendo.
In moltissimi campi c’è chi vince e c’è chi perde, e vincere e perdere sono sempre i verbi più usati indubbiamente.
La particolarità di questi due verbi è che sono i più generici e quelli che hanno un contenuto emotivo meno intenso.
Per questo motivo ha più senso usarli quando vogliamo dare una semplice comunicazione, quando vogliamo informare. Per lo stesso motivo si usa meno indicando l’avversario e più indicando cosa è stato vinto o perso.
Non è vietato indicare l’avversario, ma conta di più l’informazione che l’emozione:
La Roma vince lo scudetto
Il partito X vince le elezioni.
Il tennista y perde la finale.
Il pugile z ha vinto gli ultimi 20 incontri.
Giovanni ultimamente perde con tutti gli avversari.
La nostra proposta alla fine ha vinto.
La partita è stata vinta con la strategia.
L’Italia ha vinto la coppa del mondo nel 2006
Quando invece voglio dire che la vittoria è avvenuta contro un avversario specifico, posso usare, è questo è ciò che avviene solitamente, il verbo battere.
Se si batte qualcuno si tratta di un avversario.
Si può battere anche un record però.
Non si vince il record, perché il record non è l’oggetto della vittoria, il premio in palio.
Il record si supera, quindi si fa meglio degli altri che ci hanno preceduto. In pratica battendo il record si battono tutti gli avversari.
Verbo molto utilizzato in tutti i campi, il verbo battere.
La Roma batte la Juventus, (normalmente è il contrario),
il ciclista ha battuto tutti i record del mondo,
il politico è stato battuto in un confronto televisivo.
In questi casi si parla sempre di vittoria e di sconfitta, ma si indica il vincitore e lo sconfitto, la squadra vincitrice e quella battuta, vinta, sconfitta.
Il vincitore batte il perdente, mentre il perdente è (o “viene”) battuto dal vincitore.
Passiamo ad abbattere, che sembra simile a battere ma non lo è molto in realtà.
Prima di tutto c’è più intensità, nel senso che, quando uso abbattere per indicare la vittoria contro un avversario, l’essere abbattuto è molto più umiliante che essere battuto.
Possiamo usarlo quando c’è una vittoria netta, schiacciante, indiscutibile, quando cioè il vincitore umilia l’avversario con la propria superiorità; quando chi vince mostra tutti i limiti dell’avversario, che in questo caso viene abbattuto dal vincitore.
Un verbo molto intenso, che si usa, fuori delle competizioni anche al posto di uccidere. Gli animali vengono abbattuti ad esempio.
Anche i bersagli possono essere abbattuti. Infatti abbattere significa anche provocare la caduta, far cadere, buttare giù, mandare a terra.
Nel pugilato significa far cadere l’avversario a terra, cioè, in gergo pugilistico, “metterlo al tappeto”.
Nei confronti di un avversario, quando l’umiliazione è molto pesante, possiamo usare anche i verbi distruggere, schiacciare, eclissare e asfaltare.
Notare che questi verbi utilizzano un’immagine figurata. La distruzione di un avversario usa l’immagine di un avversario fatto a pezzi, come un oggetto.
E schiacciare? Le noci si schiacciano; c’è l’immagine di una compressione, di una pressione.
Questo verbo si usa non solo per indicare una vittoria, ma una superiorità, una netta supremazia che normalmente si risolve in una vittoria.
Spesso si parla infatti di vittoriaschiacciante, ciò netta, indiscutibile, inequivocabile. Nessuno può mettere in discussione una vittoria schiacciante.
Anche schiacciare, come potete immaginare, ha una forte componente emotiva.
Come anche asfaltare, verbo abbastanza recente, coniato in ambito politico nel senso figurato.
Deriva dall’asfalto, il materiale usato per ricoprire le strade percorse dalle automobili. Le strade quindi vengono asfaltate, e se lo usiamo con gli avversari, asfaltare un avversario è molto umiliante. Anche questa è una netta vittoria. Abbastanza offensivo usare asfaltare.
Anche eclissare è abbastanza forte. Si usa l’immagine di un pianeta o una stella che viene oscurata, completamente nascosta da un altro corpo celeste.
Possiamo usarlo per una singola sfida, e in questo caso significa superare di gran lunga. Ancora una volta è una vittoria schiacciante.
Più in generale possiamo usare eclissare nel senso di far passare l’avversario in secondo piano nell’attenzione o nella stima generale.
Potremmo dire che Dante Alighieri ha eclissato i poeti contemporanei.
Poi esiste anche il verbo stravincere, che indica sempre una netta vittoria.
C’è anche il verbo superare, che è abbastanza freddo, diciamo così, o forse dovrei dire “tecnico”.
Non c’è una intensità in questo caso. È simile a vincere, ma si usa nei confronti di un avversario. “Superare un avversario” significa battere l’avversario, vincere contro questo avversario.
Il verbo in questione in realtà non si usa solo in questo modo, in ambito di una competizione.
Anche un esame può essere superato. Si va avanti, si passa al prossimo esame, si lascia questo esame alle proprie spalle.
Anche gli ostacoli e i problemi si possono superare e il senso è lo stesso.
È la stessa cosa che avviene anche quando un corridore ne supera un altro, quando una macchina supera un’altra macchina. Questo in realtà è l’utilizzo principale del verbo superare. Ciò non toglie che possa essere usato anche al posto di battere, sconfiggere, vincere contro un avversario. In questo caso, come detto, non c’è però emozione.
È così anche per il successo e l’affermazione. Questi sono sostantivi e non verbi, ma possiamo ugualmente usarli se il nostro scopo non è umiliare, o sottolineare la superiorità di chi vince contro chi perde, ma semplicemente comunicare chi ha vinto e chi ha perso.
L’ultimo successo del Barcellona contro il real Madrid risale al 2020 (ad esempio).
L’ultima affermazione del Barcellona contro il real Madrid risale al 2020.
Esiste comunque anche il verbo affermarsi.
Il Barcellona si afferma contro il Real Madrid.
Il senso è sempre lo stesso: la vittoria del Barcellona contro il real Madrid.
Il Barcellona batte il real Madrid.
Possiamo però anche dire:
Il Tennista si è affermato tra i primi 3 del mondo.
È simile quindi anche a “portare sé stessi”, “farsi valere”, quindi non è necessariamente come vincere, ma anche conseguire un buon risultato.
Ci si può affermare anche come un buon medico.
È simile ad imporsi e anche emergere e avere la meglio e avere successo. Se mi affermo contro un avversario comunque vuol dire che l’ho battuto.
Se poi vogliamo dire che è stato un ampio successo, ma senza umiliare chi ha perso, possiamo dire che è stato un trionfo.
Un trionfo normalmente si ha quando si ha una superbaaffermazione. Ricordiamoci che non vogliamo umiliare chi perde, quindi non possiamo usare verbi troppo forti, come asfaltare, eclissare o abbattere.
Trionfare indica ugualmente una vittoria schiacciante, netta, ma è maggiormente legata all’onore e alla conquista di un premio finale, come una medaglia d’oro alle olimpiadi o ai mondiali. Il trionfo infatti ha a che fare con la folla che acclama i vincitori.
Comunque anche le vittorie non schiaccianti hanno dei modi particolari per essere indicati.
Una vittoria di misura è una vittoria ottenuta con il minimo scarto, come, nel calcio, si indicano le vittorie con un solo gol di differenza: 1-0, 2-1 eccetera.
Una vittoria risicata indica ugualmente una vittoria ottenuta col minimo vantaggio. Una vittoria sul filo di lana è invece una vittoria ottenuta all’ultimo momento, come quella in zonaCesarini, di cui abbiamo già parlato.
Notate come la vittoria non è come la vincita. C’è anche in questo caso una competizione, un gioco, ma si usa la vincita quando si indica il ricavato di questa competizione o anche di una scommessa. Specie se si parla di soldi.
Giovanni ha realizzato una grossa vincita.
Significa che Giovanni ha vinto del denaro. Molto denaro in questo caso.
Esiste però anche la rivincita.
Questa ha più a che fare con le competizioni. La rivincita è una seconda prova che può essere concessa all’avversario perdente o sconfitto, nel gioco e nello sport in generale.
Hai perso. Vuoi la rivincita?
Cioè: vuoi giocare ancora? Vuoi avere l’opportunità di provare a battermi dopo aver perso?
Una rivincita si può concedere:
Ho vinto ma ti concedo la rivincita.
Vale a dire: ti darò l’occasione per rifarti.
Una rivincita si può negare (il contrario di concedere) :
Non puoi negarmi la rivincita!
Si può prendere:
Voglio prendermi la rivincita, e stavolta ti sconfiggerò.
A proposito di sconfiggere. Di questo verbo ancora non abbiamo parlato. Un verbo molto adatto alle battaglie e alle guerre, in ambito militare quindi.
Sconfiggere equivale a battere e superare. Si usa molto nello sport:
È il terzo avversario sconfitto in un mese
Sconfiggeremo chiunque si opporrà alla nostra squadra.
Dobbiamo ancora riprenderci dall’ultima sconfitta subita
Venendo dal linguaggio militare è abbastanza forte come verbo.
Annientare è decisamente più forte però. Sempre molto adatto in ambito militare. Nello sport è nella politica si usa abbastanza spesso. Simile a asfaltare e abbattere. Annientare contiene “niente”, che è ciò che rimane dell’avversario sconfitto. Non rimane niente!
Molto simile a distruggere anche.
Come possiamo chiamare una sconfitta inaspettata?
Possiamo chiamarla défaillance.
Sarebbe una debolezza improvvisa, e non si usa solo nelle competizioni. Si tratta di una figuraccia ad ogni modo.
La nostra squadra ha vinto tutte le partite. Abbiamo avuto una sola défaillance per aver sottovalutato l’avversario.
Invece una grossa sconfitta è una batosta, o una débâcle, o anche una disfatta. Spesso si usa anche una sonora sconfitta. Altre volte anziché di vittoria si parla di una lezione impartita agli avversari.
Vorrei concludere con due verbi particolari: sbarazzarsi e liberarsi.
Si usano spesso con la preposizione di per indicare la cosa di cui si parla:
Mi sono sbarazzato del mio avversario.
La Juventus si sbarazza facilmente delle piccole squadre.
Sbarazzarsi è assolutamente analogo a liberarsi, che però è più tenue, più leggero come verbo. Sbarazzarsi è sicuramente più umiliante.
Sono verbi che, in senso proprio si usano con le cose che fanno fastidio, gli impedimenti, gli intralci, i problemi, le cose inutili.
Quando ci si libera o ci si sbarazza di un avversario, sicuramente si batte, si supera questo avversario, che adesso non dà più fastidio, non è più di intralcio.
In genere si usano frasi di questo tipo:
Il calciatore si libera facilmente degli avversari e fa gol.
La Juventus si sbarazza senza problemi delle squadre meno blasonate.
L’attaccante si sbarazza della stretta marcatura del difensore prima di segnare il gol della vittoria
Vedete che non si usano solo per indicare una vittoria. Sono due verbi sinili a superare, sebbene stavolta c’è una componente emotiva.
Concludiamo con il verbo conquistare, che si usa con i trofei, i titoli e i traguardi in generale.
Quindi conquistare lo scudetto è come vincere lo scudetto. Simile anche a ottenere e raggiungere.
Ottenere una qualificazione equivale a conquistare e raggiungere una qualificazione.
Adesso facciamo un esercizio di ripetizione:
Khaled: Ho vinto la coppa del mondo.
Irina: Ho battuto tutti gli avversari
Bogusia: Il record è stato battuto
Anthony: Abbattere l’avversario.
Andrè: Abbiamo vinto nettamente
Hartmut: È stata una vittoria schiacciante
Irina: Siamo stati distrutti dall’avversario. Era troppo forte
Olga: Stavolta dobbiamo asfaltare i nostri avversari politici
Ulrike: Battendo il record abbiamo eclissato i campioni del passato
Rauno: Qual è il prossimo avversario da superare?
Lejla: Stiamo avendo un successo dopo l’altro.
Rafaela: Dobbiamo affernarci come miglior gruppo aziendale
Sofie: La Juventus si è imposta sul Real Madrid
Ulrike: Dopo il trionfo dei mondiali del 2006, l’Italia non ha più vinto.
Emma: Ci si aspettava una superba affermazione invece è arrivata una vittoria di misura
Bogusia: Abbiamo vinto sul filo di lana
Rauno: Dopo la vittoria risicata della scorsa settimana, adesso gli avversari vogliono la rivincita.
Olga: Mi aspetto una sonora sconfitta dal prossimo incontro!
Sofie: Ci distruggeranno, sono troppo più forti di noi.
Irina: L’ultima volta ci hanno annientato. Stavolta dobbiamo impartire una lezione agli avversari.
Lejla: Ci dobbiamo sbarazzare dei nostri avversari
Emma: Prima di tutto, bisogna superare gli avversari sul piano atletico.
Sofie: L’obiettivo è conquistare la coppa del mondo
Quando dobbiamo andare in un luogo, ad esempio a Roma, partendo da Berlino, usiamo, come sapete, le preposizioni da e a.
Vado da Parigi a Bruxelles
Parto da Parigi per andare a Vienna
Eccetera.
Accade la stessa cosa nell’espressione “dacapoadodici“, un’espressione colloquiale che si usa di solito non quando parliamo di un viaggio, piuttosto quando si parla di un percorso, nel senso più ampio del termine.
Parliamo di un percorso inteso come una qualunque attività che inizia, prosegue e prima o poi termina.
Durante il percorso si fanno delle cose, si fatica, si perde tempo, si studia, ci si applica, si parla, si comunica, si raggiungono obiettivi intermedi, si passa insomma, impiegando risorse di vario tipo, da una tappa all’altra, fino a raggiungere un risultato. Questo è l’obiettivo finale di un qualsiasi percorso.
Allora l’espressione da capo a dodici si usa quando questo percorso si interrompe e bisogna iniziare da capo (due parole) o daccapo (un solo termine), cioè dobbiamo iniziare di nuovo, dobbiamo iniziare nuovamente, dal principio.
In questi casi si usa spesso dire “essere da capo a dodici” o “ricominciare da capo a dodici”, “stare da cappa dodici”, “ritrovarsi da capo a dodici”.
Siamo sempre un po’ irritati quando pronunciano questa frase, perché è faticoso ricominciare daccapo. Però dobbiamo farlo.
Qualcosa è andato storto e ha compromesso tutto. Bisogna ricominciare.
Un’espressione nata a Roma ma si comprende e si usa in tutt’Italia.
Es:
con queste varianti del covid, dopo tutta la fatica fatta dai cittadini, rischiamo di ritrovarci da capo a dodici.
Rischiamo quindi di iniziare tutto daccapo: chiusura totale, non si può uscire da casa, niente lavoro eccetera.
Il senso è che non è servito a nulla quanto fatto finora. Rischiamo di tornare al punto di partenza.
So che state pensando al perché del numero dodici, ma è presto detto: il nunero dodici è lo stesso dei mesi dell’anno.
Avete mai avuto problemi tecnici col telefonino? Ad un certo punto trovate la soluzione dopo una lunga ricerca e tanta fatica. Poi un bel giorno scoprite che il problema torna a manifestarsi nuovamente: siete da capo a dodici!
Tranquilli, significa semplicemente “stai attento/a“.
Un’espressione informale sicuramente, ma molto diffusa in tutt’Italia.
La campana 🔔 infatti suona, e in particolare può essere utilizzata per far suonare un allarme.
Stai in campana significa infatti “stai in preallarme”, o meglio ancora “stai all’erta“.
È un invito, un consiglio che si fa ad una persona quando potrebbe accadere qualcosa, quindi occorre stare attenti, non rilassarsi troppo, non distrarsi, perché potrebbe essere necessario reagire immediatamente, oppure potrebbero esserci problemi.
È un preallarme dunque, non proprio un allarme.
Questo è importante sottolinearlo, quindi non è proprio come “stare attenti” che si può riferire anche ad un pericolo immediato.
Ancora più informalmente si può pronunciare una sola parola: occhio 👁!! Anche in questo caso tuttavia il pericolo è quasi sempre immediato:
Occhio, ché se cadi ti fai male!
Stai in campana quando guidi, ché se ti distrai potresti andare fuori strada.
Stai all’erta, ché se perdi l’aereo il prossimo volo è tra due giorni.
Va bene, grazie, starò in campana!
Un ultimo avvertimento.
Come ho detto prima, stare in campana è equivalente a stare all’erta.
Allora vi do un consiglio: state in campana quando scrivete all’erta, perché in questo caso si scrive con l’apostrofo e se state facendo un esame questo è importante.
Infatti allerta, senza apostrofo, esiste, ma è un sostantivo che indica sempre un preallarme, come ad esempio l’allerta meteo, cioè l’allerta per una possibile condizione metereologica negativa: temporale, pioggia, forte vento eccetera.
Invece, quando si invita una persona a “stareall’erta”, scritto con l’apostrofo, si tratta di una locuzione avverbiale. Significa stare vigili, guardinghi, attenti a ciò che può accadere.
Quindi si usa il verbo stare, nel senso di rimanere, restare, proprio come “stai attento” o “stare in piedi”.
Quindi prima nasce all’erta con l’apostrofo e solo successivamente il sostantivo allerta, tutto attaccato, senza apostrofo dunque:
Per domani allerta meteo, venti forti e temporali.
Ah, state in campana anche a quando usate il plurale del sostantivo allerta , che è sempre allerta: l’allerta al singolare, le allerta al plurale o anche gli allerta, se preferite.
Al plurale molto spesso si trova anche “le allerte” ma si tratta di un errore. Sarebbe al massimo “le allerta”.
Riguardo al genere, ho detto che potete scegliere, infatti c’è chi dice che allerta sia maschile, e altri che sia femminile. Allora il plurale è “gli allerta” oppure “leallerta“.
Non preoccupatevi del genere comunque. Maschile o femminile va bene lo stesso. È invece facile sbagliarsi sul plurale.
Sapete la differenza tra peso netto e peso lordo? Siamo generalmente in un ambito commerciale, perché quando pesate una qualsiasi merce, questa merce è di solito in un contenitore, e anche questo contenitore ha un suo peso. Quindi in genere pesando un qualsiasi prodotto, ciò che pesate generalmente è il peso lordo, cioè il peso complessivo. Il peso del contenitore è compreso in questo peso lordo. Ma se tolgo il contenitore e peso nuovamente il prodotto, ciò che resta è il peso netto. Ciò che ho tolto invece è la tara, cioè il peso del contenitore.
Se quindi mi chiedi: quanto pesa questo computer?
Io potrei rispondere:
Al netto del contenitore pesa 500 grammi.
Questa espressione significa: se considero solo il computer, senza considerare il contenitore, il peso è 500 grammi. Ho in pratica fatto una sottrazione: peso lordo meno la tara (il contenitore).
La stessa espressione “al netto di” si usa però non solo quando parliamo di peso, ma in generale quando vogliamo escludere qualcosa in termini di quantità, quando non vogliamo considerare qualcosa. Facciop sempre una sottrazione, ma stavolta di denaro.
Ad esempio, se ho un negozio, se sono cioè il proprietario di una attività commerciale, parlando di denaro, se qualcuno mi chiede:
Quanto guadagni con il tuo negozio?
Posso dire:
Al netto delle spese guadagno 1000 euro al mese.
Quindi questo significa che ho sottratto le spese.
Notate che “netto” è un aggettivo che significa (tra le altre cose) anche “pulito“. Non a caso esiste la “nettezza urbana” che si occupa della raccolta dei rifiuti urbani nei comuni italiani. La nettezza urbana contrinbuisce a mantenere puliti i comuni.
Sapete che anche quando devo indicare un peso netto, cioè senza il contenitore, o una cifra netta, senza le spese, senza costi, si parla spesso di “peso pulito” anziché “peso netto”:
Se compro un pesce in pescheria, in genere si parla di “peso pulito” del pesce, cioè una volta che il pesce è stato pulito, cioè eliminando le parti che non si mangiano.
Ugualmente parlando di soldi:
il guadagno pulito di questo mese è stato di 1000 euro. Si intende il guadagno netto, cioè al netto delle spese.
Questo prodotto costa 10 euro al netto delle imposte.
Vale a dire che se consideriamo le imposte, il prezzo aumenta, e magari diventa 12 euro.
Altre volte il senso di “al netto di” è leggermente diverso, perché indichiamo non sempre ciò che togliamo, tipo al netto delle tasse, al netto della tara eccetera, ma vogliamo dire che il numero che indichiamo è comunque un numero che si ottiene come differenza, quindi questo numero si indica come “al netto di” un altro numero che non viene indicato ma che è importante sottolineare:
Ad esempio:
Oggi in Italia ci sono 10 ricoverati in meno in terapia intensiva per Covid, al netto di 100 nuovi ingressi.
Anche in questo caso parliamo di quantità
Questo significa che ieri magari i ricoverati erano 1000, oggi sono 990, quindi sono diminuiti di 10, ma questo non significa che 10 persone sono guarite. In realtà queste 990 persone di oggi non sono esattamente le stesse persone di ieri. Infatti ho detto che sono 10 in meno “al netto di” 100 nuovi ingressi. Quindi 100 di questi ricoverati sono entrati oggi in terapia intensiva. Allora questo significa che qualcuno è uscito dalla terapia intensiva: si tratta di 110 persone, 10 in più di quelle entrate. Appunto. E come si esce dalle terapie intensive? O si guarisce o si muore.
Quindi è vero che oggi ci sono 10 ricoverati in meno di ieri, e questa è una bella notizia, ma è bene dire che questo dato è un dato che non considera chi esce e chi entra ma solo il saldo, la differenza. Anche in questo caso si dice “al netto di“. E’ un modo per dire: questo è un saldo, una differenza tra due numeri, come tra il peso lordo e la tara.
Altri esempi, stavolta senza numeri. Qui il senso della frase può essere a volte diversa.
Vediamo:
Sapete che gli iscritti al Movimento 5 stelle sono stati chiamati ad esprimersi sul nuovo Governo. Sono d’accordo? I capi del movimento lo sono, ma non sappiamo ancora se lo sono anche gli iscritti al movimento. Allora posso dire che:
Il Movimento 5 stelle formerà un nuovo Governo, al netto del voto degli iscritti.
Cioè: Il Movimento 5 stelle formerà un nuovo Governo, sempre che gli iscritti sono d’accordo.
Si tratta di qualcosa di importante da evidenziare che nella prima parte della frase non abbiamo considerato.
Notate che quando non si parla di quantità, l’espressione “al netto di” è molto simile a “al di là” che abbiamo già spiegato nell’episodio 193. Spesso diventa anche “al netto di tutto“, che è è proprio come “al di là di tutto“.
Vediamo qualche altro esempio:
Mario, al netto degli ultimi litigi, alla fine sposerà Chiara, perché in fondo sono molto innamorati.
Come dire: non consideriamo i litigi, mettiamoli da parte. Separiamo queste due questioni.
Ho sempre detto che studiare solo la grammatica non serve a imparare una lingua, ma al netto di ciò, quello che veramente è importante è ascoltare e parlare, ripetere, sbagliare e riprovare.
Anche qui voglio separare due questioni: la grammatica e il resto. Allora “al netto di” qualcosa è anche simile “a prescindere da” questo, un’espressione che ho già spiegato e che potete ascoltare nuovamente.
Al netto della mia fede calcistica, credo che Maradona sia stato un grande calciatore.
Come dire: mettiamo da parte la mia fede calcistica, la squadra del mio cuore, perché non c’entra con il mio giudizio.
Al netto delle mie preferenze politiche, credo che il partito X abbia dimostrato più coerenza degli altri.
Vedete quindi che, come la tara e il peso netto, si tratta sempre di cose da tener distinte.
Ora, al netto della lunghezza della mia spiegazione che ha ampiamente superato la durata prevista, spero sia riuscito a spiegare bene, anche al netto di qualche errore di battitura che potrei aver commesso.
Ulrike: io sono ampiamente soddisfatta, sarebbe ingeneroso dire il contrario.
Natalia: sì, anch’io, purché non diventi un’abitudine fare episodi così lunghi.
Anthony: benché, bisogna dire che ci sono persone alle quali vanno più a genio episodi più lunghi,
Oggi voglio spiegarvi un verbo e un aggettivo. Si tratta di eludere e ineludibile.
Vediamo qualche esempio:
Dei ladri sono entrati nella mia villa in campagna, eludendo le telecamere di sorveglianza.
Tanti italiani hanno eluso il fisco portando i loro soldi a Lussemburgo
Le varianti del Corona virus potrebbero eludere i vaccini
Dunque eludere significa evitare, sfuggire.
I ladri che eludono le telecamere di sorveglianza non si fanno riprendere da queste telecamere, e lo fanno volontariamente, con furbizia. Nell’elusione c’è sempre la volontà, la volontarietà, spesso la malizia, la furbizia.
Infatti spesso si parla di eludere le tasse, i pagamenti, i controlli della polizia, appunto, le telecamere.
Ma si può eludere anche una domanda, facendo il furbo, o facendo finta di niente. In questo caso si evita di dare una risposta. In questi casi si ha un comportamento elusivo.
Quindi a volte si usa anche nel senso di sottrarsi a un obbligo o ad un impegno.
Io eludo le tasse per non pagarle
Tu eludi una domanda per non rispondere
Lui elude le telecamere per non farsi riprendere
Noi abbiamo eluso i controlli della polizia scappando!
Voi avreste voluto eludere la legge
Loro scappano dalla polizia e vorrebbero eludere la giustizia.
Proprio per questa malizia e furbizia che si usa, spesso significa “prendersi gioco” di qualcuno o qualcosa. Infatti proprio questa è l’origine di eludere: prendersi gioco.
A volte però qualcosa non si può eludere, neanche usando tutta la furbizia del mondo. Siamo di fronte a qualcosa di ineludibile, come i ripassi finali alla fine di ogni episodio. Ascoltatene uno allora.
Irina: sebbene il tempo sia sempre risicatoper me, non posso eludere la tua richiesta.
Natalia: a me fa piacere ripassare, specie se nel frattempo sorbisco un buon caffè americano.
Bogusia: Bene, ti risparmiodi assaggiare quello che ho fatto io con la moka. E’ venuto una vera ciofeca.
Dorothea: anche il mio non è niente di che comunque.
Ulrike: Forse andavapressato meno? Cosa ne dici Giovanni?
Giovanni: non so, dovrei assaggiarlo per dirlo. Ma in questi casi meglio farne un altro. In questi casi però non posso dire che è meglio “eludere il caffè” fondamentalmente perché non c’è nessuna furbizia o malizia in questo. In generale non è escluso che un oggetto o una persona non possano essere elusi. Ad esempio si può “eludere un ostacolo” in mezzo alla strada, per evitare di prenderlo, di colpirlo e farsi male. Anche un colpo si può eludere: un colpo di pistola, di arma da fuoco o da taglio, o un calcio o un pugno. Queste sono tutte cose che possono essere eluse. Oltre alla malizia e alla furbizia può allora essere una questione di destrezza, di abilità.
Vi è mai capitato che qualcuno, vedendovi da lontano, cambi strada per non incontrarvi? Forse non lo sapevate, ma siete stati elusi!
Non so se vi sia mai capitato di incontrare il termine paletti, soprattutto nell’espressione “mettere dei paletti“
Si tratta di un’espressione che vale la pena di inserire nella rubrica due minuti con Italiano Semplicemente proprio perché è adatta a molti contesti diversi.
Mettere dei paletti ha prima di tutto un senso proprio.
I paletti sono dei pali, cioè delle assi di legno che vengono piantati a terra, cioè infilati nel terreno.
Questo si fa in agricoltura per delimitare i terreni di proprietà, quindi si mettono dei paletti intorno al proprio terreno, con della rete tra un palo e l’altro.
Queste recinzioni fatte con i pali e la rete servono anche per rinchiudere gli animali e formare un recinto che impedisce agli stessi animali di uscire.
In senso figurato il senso non è molto diverso, infatti significa stabilire dei confini relativamente al comportamento delle persone. Si dice anche fissare o stabilire dei paletti con lo stesso significato.
Stabilire dei vincoli, mettere dei confini, fissare delle regole: si tratta di paletti non materiali, bensì nel comportamento, quindi parliamo di un’imposizione di limiti a qualcuno. Si impongono dei limiti.
Si dice: questo si può fare ma quest’altro no.
Ad esempio una mamma potrebbe dire:
Irina: Mio figlio esce tutte le sere e rientra a casa quando vuole. Non deve sottostare a nessuna regola.
Un altro genitore potrebbe rispondere:
Komi: Io invece no, perché se non metto deipaletti, mio figlio non studia più e poi prende una brutta piega.
Anche dire semplicemente dei no significa mettere dei paletti.
I figli devono imparare cosa si può fare e cosa invece è meglio non fare, e per questo i genitori spesso mettono dei paletti, fissano dei limiti da non superare.
L’espressione si può usare, come avete ascoltato, in genere quando si parla di figli, per aducarli a comportarsi bene, ma si può usare anche in altre occasioni in cui si avverte il bisogno di imporre dei limiti al comportamento di qualcuno.
In ufficio ad esempio, ci sono persone sempre disponibili ad aiutare i colleghi, e puoi entrare quando vuoi nel loro ufficio e chiedere loro aiuto. Loro non si lamentano mai.
La disponibilità è sicuramente un pregio, una caratteristica positiva, ma se non si iniziano a metterealcuni paletti, qualcuno sicuramente si approfitterà di questa disponibilità e non si riescirà a far bene il loro lavoro per aiutare sempre gli altri.
Quali possono essere questi paletti? Ad esempio, si può rispondere: posso aiutarti dopo le 16, ché ho 10 minuti liberi. Prima devo finire un lavoro urgente.
A me ad esempio non c’è nessuno che mi mette paletti, e la conseguenza è che gli episodi della rubrica due minuti con Italiano Semplicemente durano sempre un po’di più di due minuti.
Ecco una bella espressione che potete utilizzare ogni volta che volete fare una deduzione logica.
Quando accade qualcosa e, come conseguenza, vi aspettate una risposta, una reazione o un fatto più o meno logico che debba accadere – almeno secondo voi – potete usare “se tanto mi dà tanto”.
Es: continuiamo a inquinare la terra con la plastica. Se tanto mi dà tanto, tra 100 anni dovremo trovare un altro pianeta su cui abitare.
Si tratta quindi di una deduzione, si tratta di immaginare un prevedibile sviluppo di un fatto reale: l’inquinamento in questo caso.
Potremmo anche dire:
Se accade ciò che penso…
Se la logica non mi inganna…
Se le cose vanno avanti così…
In base alla logica o alla nostra esperienza passata, allora crediamo di sapere cosa accadrà adesso.
Vediamo un altro esempio:
Ogni volta che Italiano Semplicemente pubblica un nuovo episodio, mi sento più sicuro. Se tanto mi dà tanto, nel giro di sei o sette mesi saprò usare almeno 200 nuove espressioni italiane!!
Irina: esatto! E questo grazie ai ripassi con i fiocchi che facciamo tutti i giorni.
Bogusia: io vorrei sapere quale sarà il prossimo episodio invece. Starò sulle spine fino a domani.
Olga: scusate ma tenete conto che io, in quanto arrivata da poco tempo nell’associazione, ancora ho molti episodi passati da ascoltare.
Ulrike: non preoccuparti, puoi anche iniziare dall’episodio di oggi e poi vedere solamente quelli che di volta in volta ripassiamo. Così sarà più facile.
Anthony: infatti. Bisogna consentire alla mente di assorbire gli episodi un po’ alla volta, senza dar fondo a tutte le tue energie.
Flora: vedrai che tra un paio di mesi ti sentirai a cavallo!
Il verbo tenere è molto usato nelle locuzioni e nelle espressioni, anche idiomatiche, italiane.
Uno dei modi di usare il verbo tenere è “tener conto“.
Potremmo dire che questa locuzione è assolutamente equivalente a “considerare” o anche “tenere in considerazione“.
Il verbo tenere quindi viene usato per esprimere, in questo caso, qualcosa da non lasciare, ma non nel senso materiale. Qualcosa da non trascurare, da non dimenticare.
C’è quindi qualcosa di importante che va considerato, proprio perché è importante.
Nel linguaggio informale normalmente quando si vuole evidenziare questo si usano anche altre modalità.
Ad esempio:
Andiamo al cinema? Ti passo a prendere alle otto questa sera.
Ok, ma guarda che viene anche Giovanni.
“Guarda che” è una delle forme equivalenti. Molto informale ma molto usata come modalità.
Potrei dire:
Tieni conto che viene anche Giovanni.
Prendi in considerazione che viene anche Giovanni.
Considerache viene anche Giovanni.
In aggiunta a “che” si usa, ma è un pochino meno informale, anche il termine “fatto”.
Tieni conto anche del fatto che viene anche Giovanni.
Prendi in considerazione il fatto che viene anche Giovanni.
Considera anche il fatto che viene anche Giovanni.
Tener conto si usa anche per sottolineare qualcosa su cui riflettere, qualcosa che merita attenzione, una circostanza che bisogna valutare attentamente.
In questi casi, più formalmente, si può usare “tenere in debita considerazione“, o “fare la debita valutazione” o “tenere nel debito conto” una circostanza, un fatto o qualunque cosa che meriti attenzione. Aggiungere l’aggettivo “debita” o “debito” sottolinea l’importanza dell’aspetto da considerare. La debita attenzione è l’attenzione che merita.
Se vi state chiedendo il perché si utilizzi il termine conto, non dimenticate, tenete conto che contare significa anche “avere importanza”.
Inoltre il conto è anche un’operazione matematica, come il conto del ristorante, cioè la somma da pagare per ciò che si è mangiato.
Quando si fa un conto, non bisogna dimenticare nulla, o meglio, bisogna tener conto di tutto ciò che va conteggiato, considerato.
Se non lo fai, non ne stai tenendo conto. Che ne dite adesso facciamo altri esempi?
Hartmut: tieni conto del fatto che hai già superato i due minuti. Lo farai a tempo debito magari in altri episodi.
Mariana: sarebbe un peccato se dimentichiamo di tenere nel debito conto l’importanza della durata.
Olga: Allora, sicuramente avrete presente che Giovanni ci spedisce ogni giorno un nuovo episodio, a volte anche due. Mi sento in debito con lui, di volta in volta di più. In che modo potrei dargli il meritato plauso?
Sofie: pure io penso che il presidente non voglia batter cassa, purché partecipiamo e diciamo grazie anche attraverso i nostri progressi. Benché, a pensarci bene, ogni tanto una donazione dovrebbe essere benaccetta.
E’ interessante come il termine “fiore” sia spesso usato per rappresentare non solo la bellezza ma anche la parte migliore di qualcosa.
Se ad esempio dico che mio figlio si torva nel fiore degli anni, voglio dire che si trova nel mezzo della giovinezza, l’età migliore. Si parla anche del fiore della vita per indicare questo periodo di tempo.
Allo stesso modo, essere il fiore all’occhiello, significa essere il motivo di maggior prestigio e di vanto di una persona, di un’azienda eccetera.
Tecnicamente l’occhiello è un taglio fatto su una giacca, una fessura, precisamente sul risvolto sinistro della giacca, dove si può inserire qualcosa che va mostrato: un distintivo, un fazzoletto colorato, e appunto anche un fiore.
Potremmo dire che, ad esempio, la pizza è il fiore all’occhiello dell’Italia, o che il fiore all’occhiello della mia azienda è un particolare prodotto, di cui sono molto orgoglioso.
Per indicare la parte migliore di qualcosa, la parte scelta, selezionata di un insieme, posso usare semplicemente la parola “fiore“:
il fiore della città è la parte migliore della città.
Il fiore della nazione è la parte migliore della nazione, quella di cui essere più orgogliosi.
Il fiore della letteratura italiana è la parte migliore della letteratura italiana, intesa come interpreti, personaggi.
Posso usare anche “un” e anche la forma abbreviata “fior”:
Marco è un fior di architetto .
Cioè è uno dei migliori architetti.
Ma anche in senso negativo lo posso usare, ovviamente il senso è ironico:
Giovanni è un fior di delinquente.
Quindi Giovanni é uno dei delinquenti peggiori, o migliori (dipende dai punti di vista), quasi ci fosse stata una selezione.
Spesso poi si raddoppia: un fior fiore.
Alla riunione dei membri parteciperà il fior fiore dell’associazione.
Scherzi a parte, si sente parlare spesso del “fior fiore“, di tante cose, come della società.
Si usa anche nel commercio sapete? Quando si vuole dire che un prodotto ha un’elevata qualità, possiamo dire che rappresenta non solo il fiore all’occhiello di quell’azienda, ma anche il fior fiore come prodotto:
il fior fiore dei carciofi
il fior fiore della salumeria italiana
Se ho un ristorante, posso dire che nel mio ristorante viene a mangiare il fior fiore della società.
Infine, a volte indica anche un’alta quantità. In questo caso si usa “fiorfiori” (al plurale):
Sul nostro sito abbiamo pubblicato fior fiori di episodi audio
Si vuole evidenziare questa quantità per qualche motivo.
Es:
Basta, ti lascio perché sei troppo avaro!
Cosa? Ma ti ho fatto fior fiori di regali!
credo che abbiate capito sebbene non vi abbia fatto fior fiori di esempi.
Adesso sentiamo alcune voci del fior fiore dell’associazione Italiano Semplicemente per un bel ripasso:
Hartmut: circa la qualità dei membri, non c’è nessun dubbio! Irina: giusto, vedremo se sarà così anche nel presieguo della vita dell’associazione. Ulrike: non dobbiamo che aspettare per vedere
Sapere usare il verbo prendere? In questo episodio vediamo tutti i principali utilizzi.
Allora, prendere innanzitutto significa “afferrare” e per prendere, in questo senso, bisogna usare le mani.
Allora prendere è, se vogliamo il contrario di lasciare.
Ma prendere si contrappone anche a dare. In questo caso però non si prende e si dà solo con le mani.
Se tu dai una cosa a me, io prendo questa cosa da te. Questa cosa può essere un oggetto, ma anche amore, affetto eccetera.
In effetti prendere non ha solo a che fare con la materia e le mani.
“Prendere lo stipendio” è un altro utilizzo molto frequente del verbo.
Hai preso lo stipendio questo mese?
No, lo prendo domani.
Se andate in un bar, si può prendere un caffè.
Cosa prendi? Offro io!
Oh, che gentile. Io prendo un cappuccino e un cornetto!
No, io no grazie, il cornetto mi fa ingrassare, meglio prendere le distanze dai grassi.
Ecco. “Prendere le distanze” è un utilizzo particolare. Significa stare lontano da qualcosa, quindi simile a mantenere le distanze, oppure, in senso figurato, non essere d’accordo con l’opinione di una persona. Simile quindi a “discostarsi“. Come a dire: “io non sono assolutamente dello stesso pensiero”, “io sono di diversa opinione”, “io mi discosto dal suo pensiero”. Abbastanza formale come espressione “prendere le distanze”.
Se usate questa espressione potrebbero prendervi per un personaggio politico.
Questo in realtà è stato solo un modo per usare “prendere”: “prendere per” qualcuno o qualcosa.
Significa scambiare per qualcuno o qualcosa.
Per chi mi hai preso? Io non sono la persona che pensi tu! Mi hai preso (scambiato, con fuso) per qualcun altro.
C’è poi chi prende fuoco facilmente, che indica una persona che si arrabbia facilmente. Si può usare anche con i veri incendi: il bosco ha preso fuoco! Bisogna spegnerlo!
Se c’è un incendio, con chi dobbiamo prendercela? Chi è il colpevole?
Prendersela con qualcuno significa infatti accusare qualcuno, incolpare qualcuno.
Non te la prendere con me, io non sono stato!
State attenti, perché “prendersela“, se non uso “con“, può significare offendersi.
Non te la prendere! (cioè non ti offendere)
Prendere in questi ultimi casi è quindi accettare, reagire, sebbene prendere bene e prendere male significhi anche colpire bene e colpire male:
Il calciatore ha preso male la palla ed è andata fuori.
C’è anche “prendere la mira“, (diverso da prendere di mira), un’operazione che si fa al fine di poter colpire con maggiore precisione. Dicevo che prendersela significa anche offendersi.
Perché te la sei presa? (perché ti sei offeso?)
Ci sono frasi simili però: Prendere male qualcosa Prenderla male
Es: Se Giovanni è stato bocciato ad un esame posso dire:
Giovanni come ha preso la bocciatura all’esame? L’ha presa bene o male? Qui ha il senso di accettare, farsi una ragione di qualcosa.
Posso dire: Prenderla male, ma anche “prendersela a male“. A volte è difficile scegliere tra prendere, prendersi e prendersela. Potete dire la stessa cosa con frasi diverse:- Te la prendi se ti dico che non voglio studiare più con te?– La prendi male se non voglio studiare più con te?- Te la prendi a male se non voglio studiare più con te?– Non prendertela ma non mi piace studiare italiano con te!- Non prenderla a male, ma non mi piace studiare italiano con te!- Non prendertela a male, ma non mi piace studiare italiano con te! Ovviamente esiste anche “prenderla bene” ma c’è solo questa forma. Si usa con le cose che accadono o con le notizie, che potrebbero essere accettate oppure no dalle persone.
Bravo, l’hai presa bene la notizia.Come l’ha presa Maria?Stefano non l’ha presa bene la sconfitta della sua squadra.
Torniamo alle mani, o anche ai piedi: Prendere a schiaffi, a calci, a pugni.
Qui significa colpire una persona con degli schiaffi, con dei calci o con dei pugni.
Se poi mi limito (si fa per dire) ad insultarla, senza toccarla, la potrei prendere a mali parole. Speriamo che non se la prenda troppo dopo che l’ho preso a mali parole.Se mi prende sul serio però si offenderà. Ecco: prendere sul serio significa credere, considerare vero ciò che dico. Più che altro si usa per indicare la credibilità di una persona, l’affidabilità delle sue parole, e anche quando una persona scherza, e quindi non va presa sul serio.
Quando invece mi riferisco ad una frase, o qualcosa a cui posso decidere di credere oppure no, meglio usare:
Prendere per buono.
Si usa spesso non solo quando si crede a qualcosa (si prende per buono, cioè per vero) ma anche quando si vuole verificare in un secondo momento.
Per ora prendo ciò che mi hai detto per buono, ma dopo verificherò.
Io vi dico quello che so io, ma non prendete per buono ciò che dirò: dovete verificare.
Si può anche prendere una boccata d’aria: basta uscire in guardino o andare fare una bella passeggiata: si esce, si prende la macchina, si “prende una strada” di campagna, poi si “prende a destra”, poi a sinistra…
Quindi prendere su usa spesso anche per indicare le direzioni da prendere: prendere a destra o a sinistra significa voltare, girare a destra o a sinistra. Così come “prendere l’autostrada” sta per imboccare l’autostrada. Si usa anche con le indicazioni verso delle località: prendere per Roma, prendere per Parigi, cioè andare verso Roma o verso Parigi.
Prendere il largo invece potete usarlo al mare, quando vi allontanate dalla riva, dalla terra. Ma potete usarlo anche nello sport, quando si vince in modo schiacciante. In quel caso è il vostro punteggio che si allontana dal punteggio del vostro avversario.
Prendere in giro, per il naso, per il culo, per i fondelli.
Queste sono tutte modalità equivalenti (a volte volgari) per indicare il “prendersi gioco” di qualcuno: fargli credere qualcosa, ingannarlo per puro divertimento.
Poi prendere ha anche il senso di iniziare a far qualcosa,
Prendere a odiare, prendere a amare. Notate l’uso della preposizione “a” in questo caso.
Ho preso ad amare la lingua italiana, quindi da un po’ di tempo ho preso a studiarla.
Tra l’altro esiste anche riprendere:
Avevo smesso con l’italiano, ma adesso ho ripreso a studiarlo.
Questo senso di iniziare. a volte è improvviso:
Mi stavo stancando, quindi ho preso e me ne sono andato
“Prendere e andarsene” si usa spesso per indicare un’azione improvvisa, e spesso è la conseguenza di un’emozione o di un pensiero che ci ha fatto muovere per andar via da un luogo.
Se mi dai ancora fastidio, prendo e me ne vado!
Si può prendere e fare qualsiasi cosa, non solo andarsene:
All’improvviso, ha preso ed è partito per l’Italia!
Adesso parliamo di rapporti personali: se non vai d’accordo con una persona, possiamo anche dire che “non ti prendi” con questa persona:
Con Maria proprio non mi prendo!
Significa che non risultiamo simpatici a vicenda.
Si può anche dire:
Io so come prenderlo, fidati di me.
Non so come prenderlo.
In questi casi si indica un comportamento: so come comportarmi con lui, oppure non so come comportarmi, quale atteggiamento prendere, assumere.
In caso contrario, puoi prendere in simpatia qualcuno.
Anche qui in qualche modo c’è qualcosa che inizia, o anche un cambiamento:
Fino a qualche tempo fa io e Maria non ci prendevamo, ma adesso ci siamo presi in simpatia.
Le preposizioni sembrano abbiano un ruolo importante per capire il senso di prendere.
Se uso “per”, “prendere per” qualcuno, significa come detto scambiare per un’altra persona.
Ciao Giovanni!
No, io sono Mario, non Giovanni.
Ah scusa, ti avevo preso per Giovanni.
Si usa spesso anche come esclamazione:
Ma per chi mi hai preso?
Se dico ad esempio:
Hai dimenticato di pagare il caffè oppure l’hai fatto apposta?
Io rispondo: Ma per chi mi hai preso? Per un ladro?
Che significa: chi credi che io sia, un ladro? Mi hai scambiato per un ladro?
Torniamo ora a prendersela.
Abbiamo detto che significa offendersi oppure incolpare qualcuno (prendersela con).
Ma esiste anche:
Prendersela comoda
Che significa: non sbrigarsi, fare le cose con comodo, andare lentamente.
Dai, quanto ci metti a prepararti? Te la prendi troppo comoda! Datti una mossa!
Se uso un sostantivo, tante cose si possono prendere, materiali e non. Spesso si può usare anche un verbo diverso:
Prendersi una responsabilità (assumersi) Prendere l’autobus (salire) Prendere la Laurea (laurearsi)
Prendere le armi (arruolarsi)
Prendere un premio è analogo a prendere una laurea o un qualsiasi titolo, che è stato “assegnato” a una persona.
Nel linguaggio di tutti i giorni si usa spesso:
Prendiamo un caffè? Tu cosa prendi?
Ma anche prendere un prestito (si parla di una somma di denaro), o prendere “in prestito” (una casa, un’auto, una bicicletta ecc.) qualcosa gratuitamente che però devo restituire o anche “prendere in affitto“ (in questo caso si paga)
Si possono anche prendere lezioni di matematica o di altre materie.
Si può prendere una sgridata,un rimprovero, degli insulti.
Si è detto prima di prendere a calci, schiaffi e pugni. In generale si possono prendere le botte (se qualcuno ci picchia, ci colpisce più volte), si può prendere un colpo alla testa (se sbattiamo da qualche parte), oppure se colpisci un bersaglio puoi dire:
Preso! (cioè “colpito!”)
Si usa anche nel senso di indovinare, ma si usa la particella “ci”:
Hai indovinato! = Ci hai preso!
Anche gli animali si possono prendere:
Prendere una lepre però significa catturare la lepre, mentre prendere un cane o un gatto normalmente sta per metterlo in casa, farlo entrare in famiglia.
Invece prendere un granchio, oltre che al senso fisico, è anche una espressione che significa “sbagliarsi”. Si dice anche “prendere un abbaglio”. Si tratta di un errore grossolano: credevi una cosa e invece la verità era un’altra.
In questi casi potresti farti prendere dal nervoso. Quando un’emozione ti assale, ti cambia lo stato d’animo, si può usare il verbo prendere:
Mi ha preso un nervoso che non ti dico!
Non devi farti prendere dall’ansia.
Non farti prendere dalla paura
Si tratta di qualcosa di improvviso, come quando vieni preso alle spalle da una persona..
Se qualcuno ti prendere alle spalle ti sorprende. Non te lo aspetti perché non lo puoi vedere, in quanto arriva da dietro. Ma si può usare anche in senso più ampio:
Mi stai chiedendo se voglio sposarti? Scusa ma devo pensarci, mi hai preso alle spalle.
L’uso più diffuso però è nel senso di avere un danno da qualcuno o qualcosa:
La crisi economica mi ha preso alle spalle. Non ero preparato e ho dovuto vendere la mia azienda.
Il senso della sorpresa c’è anche in un’altra espressione idiomatica:
Prendere in castagna
In questo caso siamo sorpresi (scoperti) mentre facciamo qualcosa di sbagliato. Un’espressione informale ma molto usata.
Con lo stesso senso si usa anche prendere qualcuno con le mani nel sacco, o prendere qualcuno sul fatto, o anche coglierlo sul fatto, o, in senso giuridico, prendere qualcuno in flagrante, o in flagranza di reato, vale a dire prenderlo, mentre commette un reato. Da non confondere la flagranza con la fragranza.
Si può ovviamente prendere una malattia come anche una sbornia, se vi ubriacate, se cioè bevete troppo alcool.
A volte la cosa è improvvisa:Mi ha preso una paura!Mi ha preso un sonno!
Che equivale a dire:
Sono stato preso dalla paura Sono stato preso dal sonno
Anche la smania può prendere. Non ti far prendere dalla smania di ascoltare tutti gli episodi in un solo giorno! In questo caso è la voglia di finire tutto subito, questa è la smania, simile alla mania, ma cambia l’accento.
La “mania” ma non uguale perché la smania è uno stato di agitazione, di inquietudine, una specie di malessere, un effetto di tensione nervosa o di un diffuso senso di disagio e d’insoddisfazione. Può anche essere un desiderio intenso. una voglia incontenibile, come quando ti prende la smania di divertimento.
Così come si prende una malattia, o una smania, o una sbornia, si può, in modo analogo, “prendere una sbandata” per una ragazza o un ragazzo o un uomo o una donna. Questo verbo “sbandare” si prende a prestito dalla linguaggio dell’automobile, poiché sbandare è perdere il controllo della propria automobile che va quindi pericolosamente “fuori strada” con la macchina.
Ovviamente se si prende una sbandata per una ragazza si perde il controllo delle proprie emozioni.
Non è esattamente come innamorarsi, ma sembra più una cosa passeggera; quantomeno si usa in questi casi, quando non è una cosa molto seria.
Ricordate che prima abbiamo parlato di scambiare una persona per un’altra? Si è usato “prendere per” un’altra persona.
In modo simile, si possono prendere le sembianze di qualcuno.
Si può quindi cercare si somigliare a qualcuno: prendere le sembianze. Se ci riuscirai sembrerai proprio quella persona, avrai il suo stesso aspetto o anche la sua stessa espressione del volto.
Col verbo prendere si indica quindi, come si è visto, un coinvolgimento emotivo con “prendere una sbandata”, ma si può anche essere presi da una ragazza, che è un po’ meno intenso ma è sempre un coinvolgimento.
Però si può anche essere presi dal lavoro (per il lavoro non si può prendere una sbandata): pensiamo solo a quello, non abbiamo tempo né energie per altro.
Si può “prendere a bordo” una persona nel senso di farla salire su una nave o su un’auto ma si usa anche quando si fa entrare qualcuno in un’azienda, un’associazione, o qualsiasi altra cosa che riguarda delle attività da fare insieme.
Molto semplice e usato è anche prendere una decisione o un’abitudine. Anche qui posso usare “assumere” se voglio.
A proposito di decisioni: In Italia circa 200 mila uomini ogni anno prendono moglie, e quindi anche 200 mila donne prendono marito. Ci si prende una bella responsabilità in questi casi no? A volte le persone che si sposano lo fanno perché sono presi alla sprovvista da una gravidanza imprevista, ma questo è un altro discorso. Sicuramente, se si è presi alla sprovvista, non si sono prese le dovute precauzioni!
“Prendere precauzioni” (senza articolo) si usa molto spesso: significa decidere di fare qualcosa prima che accada qualcosa di non desiderato.
Prima si prendono precauzioni, mentre dopo si possono solamente “prendere provvedimenti“, cioè prendere una decisione per trovare una soluzione.
Ormai è tardi però: chissà da chi prenderà il bambino o la bambina. Prenderà dalla madre o dal padre?
In questo caso significa “somigliare“, sia fisicamente che caratterialmente.
Nostro figlio è molto disordinato! Ha preso tutto da te!
Può darsi che abbia preso da me – si potrebbe rispondere – ma bisogna prendere in considerazione anche le amicizie che frequenta.
“Prendere in considerazione” è semplicemente “considerare”. Si usa anche “prendere atto” ma ha un significato a volte diverso: conoscere, considerare a posteriori, accettare come vero per il futuro.
Io ad esempio dovrei prendere atto del fatto che gli episodi molto lunghi richiedono molto impegno da parte di chi ascolta e legge, per questo motivo per il futuro meglio fare episodi più brevi.
Comunque si possono prendere le misure anche degli episodi più lunghi se si impara ad ascoltarli più volte o un pezzo alla volta.
“Prendere le misure” normalmente significa misurare qualcosa: misurare la lunghezza di un tavolo ad esempio.
In senso figurato invece significa saper gestire, senza avere sorprese. Essere in grado di gestire qualcosa o qualcuno.
Posso prendere le misure di una persona e così facendo imparo a comportarmi con questa persona senza avere sorprese, senza essere “preso alla sprovvista“.
Posso prendere le misure di un lavoro: impari come si fa, impari a svolgere le varie mansioni senza difficoltà
Ma da dove prende origine il verbo prendere? Ovviamente prende origine dal latino.
Ci sono poi tante espressioni idiomatiche e frasi fatte che non ho citato:
Prendi e porta a casa Prendere o lasciare Prendere fischi per fiaschi Prendere in contropiede Prendere il due di picche Prendere la palla al balzo E tante altre espressioni.
Tranquilli però. Ci prenderemo del tempo per spiegarle tutte. Non vi prendo in giro: prendete questa affermazione per buona e continuate a seguirci. Poi vedremo se ho detto la verità.
Noi italiani siamo fissati per il caffè! Lo sapete vero?
E sapete cosa diciamo quando beviamo un caffè che non è buono?
Diciamo che è una ciofeca!
Una ciofeca è solo questo (o quasi): una bevanda dal sapore cattivo: non solo un caffè quindi ma anche un tè o un’altra bevanda, specie se molto amara.
Ma la ciofeca in Italia è soprattutto un caffè schifoso, spesso troppo lungo. Un caffè “annacquato” si dice a volte, ma per indicare il sapore pessimo “ciofeca” è l’ideale!
Ma perché il caffè è venuto una ciofeca? Solo perché è troppo lungo? No, spesso è colpa del caffè stesso, di scarsa qualità, oppure è conservato male, Altre volte è colpa dell’acqua. Altre volte è colpa della quantità di caffè. Hai fatto la montagnola nella moka? Spero di sì. Quanto caffè hai messo? Meglio di più che di meno, ricorda, ma non pressarlo col cucchiaino, altrimenti, anche in questo caso, ti viene una ciofeca! Bleah!
Il termine “ciofeca” è persinouscito naturalmente dal linguaggio del caffè. Oggi si usa anche quando vogliamo disprezzare qualcosa, dicendo che è di pessima qualità. Non solo il caffè quindi.
Non ci piace un lavoro fatto da un nostro collega? Quello che hai fatto è una vera ciofeca, è completamente da rifare.
Questo cellulare è una mezza ciofeca, la batteria si scarica subito e le foto sono scarsissime!
Hartmut: Almeno Italiano Semplicemente non è una ciofeca! Sarebbe molto ingeneroso!
Irina: dicendo questo scateneresti l’ira di tutti i membri dell’associazione!
Con questa espressione, si ironizza su una o più persone che non sono capaci, secondo noi, a fare il loro mestiere, quando il loro mestiere non è manuale ma intellettuale.
Sapete che esistono i lavorimanuali, come ad esempio il muratore, la colf, la badante, ma soprattutto i lavori agricoli, che sono i più duri e faticosi.
In questi lavori si usano le mani, le braccia e le gambe, ma soprattutto le braccia, per sollevare grossi pesi, ad esempio. Le forza fisica è molto importante e meno importante invece è l’intelletto.
Non è un caso che esista il “bracciante agricolo“, che si chiama anche semplicemente bracciante.
Un bracciante agricolo è una tipologia di lavoratore, nome che indica un operaio che lavora in agricoltura ma non è il proprietario del terreno.
Poi ci sono i lavori intellettuali, giudicati migliori di quelli manuali, perché sono i lavori in cui si usa unicamente il proprio intelletto, dove è necessario aver studiato, come l’avvocato, lo scienziato e il politico. Sono giudicati lavori migliori di quelli manuali anche perché di solito si guadagna di più.
Se il tuo mestiere è intellettuale, quando voglio dire che il tuo lavoro intellettuale non lo sai fare perché non hai studiato abbastanza o per niente, o perché non sei portato, o perché non sei abbastanza intelligente per fare quel lavoro, dove invece bisogna saper usare la testa, posso dire che le tue sono braccia rubate all’agricoltura.
Ovviamente le braccia non si possono “rubare“, ma detto in questo modo è ironico, e il senso è quello di aver rinunciato ad usare due braccia che potevano servire per lavorare la terra, per faticare, e invece si è deciso di usare la testa, che invece non serve a niente…
Allora era meglio usare le braccia! Quelle braccia sono rubate all’agricoltura!
Che incompetenti che sono molti uomini politici vero?
In tempi di pandemia, spessissimo si è parlato di accaparramento.
Se ne parla soprattutto quando le persone, impaurite dalla possibilità di restare senza cibo, per via delle crisi, vanno al supermercato e prendono tutto ciò che possono prendere. In questo modo potrebbe accadere che non resti più nulla per qualcuno, una volta che gli scaffali sono stati svuotati.
Gli scaffali sono i mobili dove vengono appoggiati i prodotti del supermercato.
Il verbo accaparrarsi significa quindi assicurarsi, procurarsi l’uso di qualcosa prima che lo facciano altri.
Ad esempio:
Sono andato al supermercato e mi sono accaparrato una bella scorta di pasta.
Quindi ho preso tantissima pasta, prima che altri facessero la stessa cosa: mi sono assicurato di prenderne tanta perché con questa crisi non si sa mai!
Ci sono alcuni paesi che con la pandemia da Covid hanno cercato di fare incetta di vaccini e mascherine
Fare incetta è esattamente come accaparrarsi.
E’ vero che accaparrarsi deriva dal termine caparra, ma usato in questo modo ha poco a che fare con la caparra, termine che spiegheremo nella rubrica due minuti con l’Italiano commerciale.
Lo stesso significato di accaparrarsi ha quindi l’espressione “fare incetta” di qualcosa.
Se voglio fare incetta di olio d’oliva, vado al supermercato e cerco di acquistarne la maggiore quantità possibile.
Posso usare fare incetta anche in senso non materiale.
Ad esempio se un politico fa incetta di tutti i voti vuol dire che non resta più nulla ai suoi avversari alle elezioni.
Anche incetta quindi si usa per indicare una raccolta di beni, prodotti, fatta per paura o per sicurezza, ma si può trattare anche di voti, preferenze o comunque altre cose che si tolgono ad altri.
Si può fare incetta anche di titoli, o di medaglie alle olimpiadi. Quando qualcuno vince sempre tutti i premi sicuramente posso dire che fa o ha fatto incetta di premi. Posso dire lo stesso di un programma TV, che fa incetta di ascolti, perché i telespettatori hanno in maggioranza guardato quel programma TV.
Adesso allora ripassiamo qualche puntata passata.
Anne France: io sono Anne e non ho nulla da dire che sia veramente degno di nota.
Ulrike: io sono… e non ti consento di dire queste cose. Sei bravissima/o invece
Irina: almeno tanto quanto me, o forse anche di più.
Hartmut: sicché state facendo a gara per chi è più bravo?
Che differenza c’è tra i verbi consentire e acconsentire?
I due verbi sono in realtà molto simili, ma non identici.
Un uso di consentire è quando si parla di opinioni, di punti di vista.
Quando ci sono più persone possono esserci diversi punti di vista, uguali, simili, diversi o completamente diversi.
Per esprimere un consenso potete usare consentire. È un po’ formale però:
Se tu mi dici che la grammatica italiana è complicata, io ti potrei rispondere che consento con te, che consento pienamente con la tua opinione.
Quindi vuol dire che mi trovo d’accordo con te, che concordo con le tue opinioni, con i tuoi pensieri o affermazioni.
Consentire pero si usa anche per esprimere un permesso, qualcosa che si rende possibile.
La guida di un’automobile non consente distrazioni.
Non ti consentodi parlare.
Consento solo agli amicidi chiamarmi per nome
I miei genitori mi consentono di uscire solo prima di cena
Quindi è simile a permettere, concedere e accordare.
A proposito di permessi. Vediamo acconsentire.
Il verbo acconsentire significa dare il proprio consenso o assenso. In pratica significa dire di sì. Ma si tratta di un permesso da dare. Non è un sì qualunque.
Se io ti chiedo:
Conosci un po’ l’italiano?
Se dici di sì, non stai acconsentendo, perché non ti è stata fatta una richiesta di permesso, ma una semplice domanda.
Invece ad esempio:
Figlio: Papà, io esco con alcuni amici stasera. Acconsenti?
Padre: Si figliolo, acconsento. Vai pure e divertiti.
Quindi: dico di sì, la mia risposta è sì.
Oppure, se uso consentire, vediamo come cambia la frase:
Papà, mi consentìdi uscire stasera?
Si, ti consento di uscire.
Si, te lo consento.
Quindi acconsentire significa essere d’accordo, dire di sì. Qualcuno ha chiesto un permesso e questo viene concesso. Notate adesso le seguenti frasi
Il padre acconsentì alla richiesta del figlio.
Il padre acconsentì a far uscire il figlio
Il padre acconsentì che il figlio uscisse.
Questo significa, come ho detto, che il figlio ha fatto una richiesta. Quindi acconsentire significa concedere quanto viene richiesto o proposto.
Notate un’altra cosa cosa. Consentire e acconsentire si distinguono perché se io consento a te di parlare dopo che me lo hai chiesto, allora posso dire che acconsento alla tua richiesta e che ti consento (quindi a te)! di parlare.
Si acconsente a una richiesta
Si consente a una persona di…
Quindi:
Io acconsento alla tua richiesta
e
Io ti consento di parlare
Oppure:
Io acconsento alla tua richiesta di parlare
Posso usare anche “che“:
Io acconsento che tu parli
Io acconsento a che tu possa parlare
In definita si acconsente a una richiesta cioè si dice sì ad una richiesta.
Si può acconsentire dicendo sì, ma anche ok, d’accordo, va bene, e anche con un cenno della testa o della mano 👌.
Infine, anche consentire si può usare anche riferendosi non alla persona, ma all’oggetto.
Consentire il trattamento dei dati personali
Consento il passaggio delle auto nel mio cortile
Notate la differenza però:
Acconsentire al trattamento dei dati personali
Acconsento al passaggio delle auto nel mio cortile
Adesso ripassiamo. Chiedo ai membri di usare alcune episodi precedenti per produrre un piccolo ripasso. L’elevato numero di episodi a disposizione vi consente di parlare di qualsiasi cosa. Giusto?
Per indicare che non ci sono più soldi, esistono diverse modalità nella lingua italiana. La più famosa è ESSERE AL VERDE, poi c’è anche NON AVERE IL BECCO DI UN QUATTRINO.
Un’espressione analoga è ESSERE IN BOLLETTA o TROVARSI IN BOLLETTA. Anche questa un’espressione informale.
Riguardo alla prima parte, si usa “essere in” perché in questo modo si indica normalmente una condizione nella quale ci si trova:
Essere in mutande
Essere in cattive condizioni
Essere in difficoltà
Eccetera.
Il termine bolletta invece indica solitamente qualcosa da pagare. Esiste infatti la bolletta della luce e la bolletta del gas o dell’acqua. È un documento ufficiale che riporta i consumi che dobbiamo pagare.
La bolletta è il diminutivo di bolla, che storicamente indica una specie di certificato che serve ad attestare l’ufficialità di un documento. Questa è l’origine.
Essere in bolletta quindi si usa per dire non solo che non abbiamo più soldi, ma è anche l’espressione più indicata per dire che abbiamo debiti o delle bollette che non possiamo pagare.
Ecco un’altra frase che Dante Alighieri ha portato nel linguaggio di oggi: DEGNODINOTA.
Accade nel canto XX della Divina Commedia, nell’ottavo girone, dove Dante vede avanzare una schiera di dannati che lentamente camminano con la faccia all’indietro come in una processione: si tratta degli indovini, che vengono puniti impedendo loro di “guardare avanti”, avendo in vita peccato facendo proprio questo: indovinare, prevedere il futuro, cioè guardare avanti.
Così Dante, guardando queste anime, chiede a Virgilio (la sua guida) se fra questi indovini ve ne fosse qualcuno degno di nota, cioè conosciuto, noto, o qualcuno che valesse la pena di notare, qualche personaggio noto, famoso.
Allo stesso modo oggi si usa questa espressione quando vogliamo indicare qualcosa o qualcuno che merita di essere notato, qualcosa o qualcuno dunque di importante, di notevole; qualcuno che meriti attenzione, che non è come gli altri.
La dignità è un concetto abbastanza difficile da spiegare, e in genere è una caratteristica associata alle persone. Tra l’altro esiste anche come ricorderete, l’aggettivo dignitoso.
Ma essere degno di qualcosa, come abbiamo visto anche nell’episodio 287, significa meritare questa cosa, più semplicemente.
Se sei degno di attenzione meriti la mia attenzione o quella di altri.
Se sei degno di stima meriti la stima delle persone.
Eccetera.
In questo caso abbiamo “degno di nota” che è più generale e significa importante: meritare una nota, cioè meritare considerazione, attenzione, meritare di essere menzionato, o annotato se vogliamo.
Qualsiasi cosa può essere degnadi nota: un documento, una notizia, una frase, uno studente eccetera e può anche indicare una qualità, ma non è affatto detto.
A proposito di qualità: adesso attenti perché abbiamo un bel ripasso degno di nota, che consta di una trentina di episodi passati.
Una delle frasi che Dante Alighieri ha portato nel linguaggio comune è NON MI TANGE.
Tutti usano questa espressione in Italia: essa esprime un concetto potrei dire “geometrico”.
Avete presente due rette parallele? Se sono parallele, due rette non si incontrano mai, quindi nessuna delle due tange l’altra. Tangere significa infatti incontrare, toccare o anche scalfire.
Da un punto di vista geometrico diciamo ad esempio che una retta è tangente ad una circonferenza quando si toccano in un solo punto, ma nell’uso comune il verbo tangere si usa spesso scherzosamente per indicare che qualcosa non ci tocca neanche in un punto.
La frase si usa quasi sempre con la negazione: NON mi tange.
Esempio:
Le tue accuse verso di me non mi tangono.
Significa che non hanno alcun effetto su di me. In questo senso quindi le accuse non mi toccano: non influiscono sul mio umore, non mi fanno cambiare idea, non mi preoccupano, non mi scalfiscono, non mi importano.
DANTE Alighieri la utilizza nel secondo canto dell’inferno, quando si parla di Beatrice che, trovandosi nell’inferno, non si lascia influenzare dalle sofferenze che si trovano in questo luogo:
La vostra miseria non mi tange
dice Beatrice.
L’espressione si usa nel linguaggio comune a volte in modo scherzoso, altre volte in modo sprezzante, per indicare quanto poco effetto su di te, sulle tue emozioni, sui tuoi interessi, abbia il comportamento di una persona.
Es:
Sai cosa dice Giovanni di te? Dice che sei la persona più brutta al mondo!
C’è una frase fatta, di uso comune, per indicare una evidente caratteristica di qualcosa o qualcuno: bell’e buono.
Quando volete sottolineare che questa caratteristica è senza dubbio vera, quando è indiscutibile, quando nessuno può negare che sia così, potete dire ad esempio:
Sei uno stupido bell’e buono!
Nessuno può negare che sei uno stupido! Non c’è nessun dubbio su questo!
Bell’e buono si scrive con l’apostrofo. Sta per “bello e buono”, infatti potete usare anche questa forma senza apostrofo.
La frase è informale ovviamente.
Normalmente si è molto arrabbiati quando si usa questa espressione.
Si usa anche al femminile:
Sei un’imbrogliona bell’e buona!
Oppure, se scoprite che una persona sta cercando di truffarvi se riconoscete la truffa potete dire:
Cosa può avvenire durante una discussione tra due o più persone? Una di queste cose è sicuramente un batti e ribatti.
Infatti un batti e ribatti avviene quando due persone o due gruppi di persone fanno una discussione che spesso viene definita serrata.
Due persone si accusano l’un l’altra?
In questo caso c’è un batti e ribatti di accuse.
Si offendono ripetutamente?
Sei stato tu a far cadere il governo!
Non è vero, è colpa della tua incapacità!
No, lo sanno tutti che sei un incompetente!
Io incompetente? E tu allora? Non sei neanche laureato!
Avete assistito ad un batti e ribatti di insulti!
A dire il vero l’espressione si usa anche quando si insiste molto e alla fine si ottiene un risultato:
Giovanni voleva ottenere un aumento di stipendio e così tutti i giorni andava dal suo capo a battere cassa. Sai che alla fine, batti e ribatti, ce l’ha fatta!
In questo caso è simile a “dai e dai”. Potremmo anche dire:
Batti oggi, batti domani, alla fine ha ottenuto l’aumento!
Notate che in questo caso non c’è “un” batti e ribatti. Si usano invece i verbi battere e ribattere, come a dire:
a forza di battere e ribattere alla fine c’è riuscito
Nel caso invece di una discussione, dove si usa “un”, come dicevo spesso si parla di discussione serrata, simile a discussione accesa, animata, ma c’è anche il senso della velocità. E’ anche una discussione incalzante, rapida, veloce.
C’è il senso del ritmo, per indicare che l’accusa di una persona arriva subito dopo quella dell’altra.
Benvenuti in questo nuovo episodio di Italiano Semplicemente dedicato alle frasi fatte.
Battere cassa è la frase fatta del giorno.
Una frase informale che significa esigere un pagamento.
Esigere un pagamento a sua volta vuol dire chiedere ad una persona o a un’azienda di pagare ciò che deve pagare.
Vediamo alcuni esempi di uso:
Quel cliente non ha più pagato la merce che ha preso.
Bisogna battere cassa altrimenti non pagherà più.
La cassa è il macchinario che hanno tutti i commercianti che serve a mettere i soldi ed emettere gli scontrini.
Battere cassa è quindi un modo per dire: quando mi paghi?
La frase si usa a volte però anche al di fuori dei pagamenti. Si sta sempre però chiedendo qualcosa con insistenza.
Es:
Ho fatto un favore ad un mio collega, quindo adesso potrò chiederne uno io a lui. Appena avrò l’occasione andrò a batter cassa.
Quindi si può usare anche nel senso di chiedere qualcosa indietro, chiedere di ottenere qualcosa. Anche una ricompensa può essere chiesta battendo cassa (senza articolo “la” , mi raccomando).
Dopo tutto ciò che ho fatto per lei, adesso è il momento che faccia lei qualcosa per me. Vado a batter cassa!
Lezione 30 del corso di Italiano Professionale. Ci troviamo sempre nella sezione n. 3, dedicata alle riunioni e agli incontri. L’argomento è il “facente funzione” o “facente funzioni“.
Vediamo però tutti i termini usati per indicare la sostituzione temporanea di una persona in ambito lavorativo.
Sapete che se una parola inizia con “pre” in italiano quasi sempre si riferisce a qualcosa che viene “prima”, qualcosa che sta “davanti”, qualcosa di necessario spesso.
Ad esempio:
Precedente
Preliminare
Preparatorio
Preambolo
Premessa
Pretesto
Ci sono tante parole di questo tipo. Il concetto di “prima” può cambiare ogni volta. Ad esempio abbiamo già visto la parola “pretesto“, nell’episodio 134, e un pretesto è simile ad una scusa, qualcosa che ci prepariamo prima, di solito, per giustificare un’azione.
Tra questi termini comunque ce n’è anche un’altro poco noto ai non madrelingua: PREVIO o PREVIA.
Previo indica direttamente qualcosa che deve stare davanti, che deve avvenire prima di qualcos’altro.
Si parla quindi di qualcosa che ha la precedenza, di qualcosa di preliminare, qualcosa di indispensabile, qualcosa che occorre fare. Nel linguaggio comune si usa poco, poiché si preferisce usare altre forme per esprimere lo stesso concetto. Si usa invece spesso nel linguaggio burocratico e amministrativo, dove inevitabilmente si parla di cose “necessarie” da fare, di adempimenti obbligatori.
Vediamo qualche esempio comunque:
L’esame si svolgerà nei prossimi 20 giorni, previo avviso pubblicato sul sito dell’università
Quindi prima uscirà l’avviso sul sito dell’università, e successivamente si svolgerà l’esame.
Qual è la cosa necessaria in questo caso? Qual è la cosa che deve avvenire prima? La pubblicazione dell’avviso sul sito dell’università. Senza questo avviso non ci sarà nessun esame.
Ovviamente si userà previo o previa a seconda che la cosa necessaria è maschile o femminile rispettivamente.
Si potranno incontrare i professori tutti i lunedì previa richiesta appuntamento telefonico
Quindi per poter incontrare i professori bisogna fare necessariamente una richiesta telefonica in precedenza, altrimenti niente incontro.
Notate due cose:
La cosa necessaria sta solitamente alla fine. Inoltre la cosa necessaria va scritta senza articolo:
Previo appuntamento
Previa richiesta
Previo invio dei documenti
Previa telefonata in anticipo
eccetera
Dicevo che solitamente nel linguaggio comune si preferisce evitare questa forma, ritenuta un po’ troppo formale e allora:
Puoi passare a casa mia previa telefonata
diventa
Prima di passare a casa mia meglio se mi fai uno squillo
e:
Posso uscire stasera ma solo previa autorizzazione da parte di mia madre
diventa ad esempio:
Stasera potrò uscire solo se mia madre mi autorizza
Esiste anche previamente, un avverbio, che quindi si usa prima dei verbi:
Prima di lavorare in Italia bisogna previamente imparare la lingua
Non si può fare un esame senza previamente aver studiato
Natalia: allora grazie Giovanni, al di là del fatto che forse non userò mai questo termine.
In questo episodio ci occupiamo di tanto e di quanto.
Potrei dire che in questo episodio ci occupiamo tanto di quanto, quanto di tanto.
Sia tanto che quanto sono termini legati alla quantità.
Tanto è usato ovviamente per esprimere una grande quantità o anche una grande intensità.
Ho guadagnato tanto
Ti amo tanto
Lo stesso vale per “quanto“, che si usa normalmente nelle domande:
Quanto hai guadagnato oggi?
Quanto mi ami?
Se invece usiamo i due termini insieme, sto parlando sempre di quantità e di intensità, ma sto anche facendo un confronto.
Quanto mi ami?
Ti amo tanto quanto tu ami me
Cioè io amo te quanto tu ami me. In pratica ognuno ama l’altro nella stessa misura, con la stessa intensità.
Quanta pasta vuoi?
Tanta quanto basta per riempire il piatto.
Quindi “tanto quanto” serve a fare un confronto alla pari: la stessa quantità, o la quantità necessaria, lo stesso livello, la stessa intensità.
Posso anche distanziare i due termini ma in questo caso sto facendo un confronto tra cose diverse:
Sei tanto bella quanto intelligente.
Vale a dire che:
La tua bellezza è pari alla tua intelligenza.
Posso anche arricchire con più o meno:
Quanto più ti conosco, tanto più mi piaci.
O più brevemente:
Più ti conosco, più mi piaci
Cioè: all’aumentare della tua conoscenza, aumenta anche il mio sentimento per te.
Oppure:
Quanto meno ti vedo, tanto più mi manchi.
O più brevemente:
Meno ti vedo, più mi manchi.
Cioè: al diminuire dei nostri incontri, aumenta la mia voglia di vederti.
Posso fare altri esempi:
Quanto più ti fanno arrabbiare, tanto più devi avere pazienza
Notate che “quanto” serve a fissare il termine di confronto, mentre “tanto” serve a indicare il secondo elemento che eguaglia il primo. “Tanto” ha il ruolo di “altrettanto” in questo caso.
Inoltre tanto può diventare tanta, al femminile, e quanto può diventare quanta, ma quanto può restare anche al maschile:
Ha tanta fantasia quanta creatività.
Però attenzione perché:
Ho tanto bisogno di lavoro quanto (bisogno) di felicità
Invece il plurale lo posso usare in entrambi i casi quando sto confrontando due quantità, due numeri:
Hai tante idee quante le cose che inizi ma non porti a termine.
Quindi sto confrontando il numero di idee con il numero delle cose che inizi ma non porti a termine, e dico che sono la stessa quantità.
Un altro esempio:
Hai tanti figli quanti nipoti
Tanti – tanti
C’è da dire che se confronto la stessa quantità con sé stessa, allora posso usare due volte “tanto/a/i/e”
Se dico infatti:
Spendi tanti soldi quanti ne guadagni
Significa che spendi tutti i soldi che guadagni. Allora posso anche dire, più brevemente:
Tanti soldi guadagni, tanti ne spendi.
In questo caso la sequenza è temporale, prima guadagni e poi spendi: tanto guadagni, tanto spendi. La stessa cifra.
Giovanni ha una mira infallibile, infatti tanti colpi esplode, tanti vanno a segno.
Quindi il primo “tanti” equivale a “quanti”, perché è il termine di confronto, mentre il secondo equivale a “altrettanti”.
Hai fatto innamorare tanti uomini quanti te ne ho presentati
Cioè:
Tanti uomini ti ho presentato e tanti ne hai fatti innamorare
Non solo quantità
Attenzione a un’altra cosa adesso, perché non è neanche detto che si parli di quantità.
La cosa che conta è che si faccia un confronto:
Se tu mi dici che la matematica non è una scienza, io ti rispondo che:
La matematica è una scienza tanto quanto la chimica.
Confronto la matematica e la chimica. Le quantità non c’entrano.
Qui significa “allo stesso modo“, “essere sullo stesso piano“.
La matematica è una scienza allo stesso modo di quanto lo sia la chimica.
È un po’ come dire che sia la matematica che la chimica sono scienze, ma se uso “tanto quanto la chimica” voglio portare la matematica allo stesso livello della chimica.
Distinzioni e preferenze
Ma il confronto posso farlo anche per distinguere:
A me non piace tanto A, quanto B.
È importante fare la pausa, per questo motivo c’è la virgola:
A me non piace tanto insegnare la lingua, quanto far innamorare gli studenti della lingua
Ovviamente se volete fare semplicemente una distinzione, meglio usare altre modalità, tipo usare “ma” , “invece” , “piuttosto”.
Se utilizzo tanto e quanto è perché in questo caso voglio esprimere la preferenza per B senza escludere A.
È possibile anche togliere “tanto” e cosi facendo aumenta la distanza tra A e B. L’aggiunta di “invece” e “piuttosto” hanno ugualmente questo ruolo.
Non mi piacciono tanto gli episodi corti, quanto quelli interessanti.
Non mi piacciono gli episodi corti, quantoinvece quelli interessanti.
Non mi piacciono gli episodi corti, quanto piuttosto quelli interessanti.
Allora adesso ripassiamo qualche episodio precedente, con l’aiuto tanto dei membri più esperti dell’associazione, quanto di quelli che hanno meno esperienza.
Ulrike: ciao a tutti, circa la durata degli episodi, in questo caso non va adiscapito dell’interesse.
Rafaela: poi ci sono anche i ripassi che arrivano a valle di ogni episodio e che vale la pena di aspettare.
Kumi: si, a meno che non si sia dato fondo a tutte le energie.
Scatenare è un verbo interessante. Si può usare in bagno, in discoteca, parlando con un amico o in un laboratoriochimico.
Deriva dal termine catena. La catena tra le altre cose può servire a incatenare, simile a legare. Allora se incatenare significa mettere delle catene, scatenare ha il senso opposto: togliere le catene, quindi liberare dalle catene. Si può ad esempio scatenare un cane, cioè liberarlo dalle catene. Dopo averlo scatenato l’animale è libero.
Dicevo che si può utilizzare inbagno perché scatenare si usa talvolta per indicare quando si tira la catena. Oggi di bagni con la catena ce ne sono rimasti pochi, così si usa maggiormente il verbo scaricare, poiché c’è un pulsante da premere al posto della catena da tirare e premendo il pulsante si svuota lo scarico.
Comunque il senso di liberare lo troviamo in qualche modo anche nello scarico del bagno perché l’acqua non è più nel contenitore, ma viene liberata “scatenando“.
Questo senso di libertà e di movimento generato, provocato, lo troviamo anche nell’utilizzo principale del verbo scatenare, che è quello di iniziare improvvisamente un’azione, o di avviare una serie di azioni una dietro l’altra, a ripetizione, o meglio “a catena”. Scatenare quindi è simile a provocare, innescare, causare, dare avvio. Posso ad esempio fare qualcosa e facendo questo scatenare un sentimento, in genere negativo, in una persona. Es:
Ho acquistato una ferrari e così ho scatenato l’invidia da parte dei miei vicini
Sono io che ho scatenato l’invidia da parte dei vicini. Posso anche dire però che questo mio gesto ha fatto scatenare l’invidia.
In generale significa quindi far sorgere all’improvviso un sentimento o un istinto, che può anche essere violento.
Anche una guerra si può scatenare.
La dichiarazione del presidente ha scatenato la guerra.
L’ha provocata quindi, ma c’è il senso di un qualcosa di improvviso e dagli effetti violenti e spesso devastanti.
Una reazione è una cosa che spesso viene associata al verbo scatenare. Non solo però la reazione di una persona, ma anche una reazione chimica ad esempio.
Scatenare è simile anche a Incitare, istigare alla ribellione, alla violenza, spingere ad una reazione violenta:
L’opposizione vuole scatenare il popolo contro lo stato.
Quindi si può scatenare qualcosa (la guerra) ma anche qualcuno (il popolo, la folla).
Parlando di persone, queste si possono scatenare anche da sole, quindi posso usare anche la forma riflessiva: scatenarsi. Il senso diventa quello di abbandonarsi senza controllo agli istinti, specie quelli violenti. C’è sempre il senso di qualcosa che viene liberato, di non più trattenuto.
La folla dello stadio si scatena ad ogni gol della squadra.
La folla si lascia andare, non si trattiene, si abbandona, si sfoga, si libera. Posso anche dire:
Una folla scatenata ha preso d’assalto il supermercato
Oppure:
i manifestanti si scatenarono contro la polizia
Quindi scatenarsi contro significa avventarsi contro qualcuno, aggredire qualcuno.
Ma scatenarsi non sempre è pericoloso e violento. Infatti ci si può scatenare anche in discoteca. In questo modo ci si libera, si balla in modo energico e si esprime il proprio piacere per la musica e la voglia di divertirsi. Allora scatenarsi è simile a entusiasmarsi e infiammarsi.
Se qualcosa ti piace molto ti puoi scatenare quindi.
I bambini sono spesso scatenati quando stanno insieme
Ho un amico che si scatena appena sente parlare di calcio: inizia a parlare e non si ferma più.
Nello sport invece scatenarsi può significare esprimere al massimo e in modo inarrestabile le proprie doti e capacità.
L’attaccante si scatena e segna tre gol
Si può scatenare anche una pioggia improvvisa, una tempesta di neve, una bufera.
Anche l’immaginazione si può scatenare, la curiosità e ogni altra facoltà quando si esprime senza freni.
Un’altra cosa che può scatenarsi è una bicicletta. Ma il senso qui è completamente diverso perché La bici si scatena quando la sua catena, quella che provoca il movimento, si scollega dai pedali. Allora in questo caso si toglie la catena, e bisogna fermarsi e sistemare la catena.
Ripasso
Ulrike: In quanto membro dell’associazione italiano semplicemente per l’anno nuovo mi sono prefissadi partecipare alle attività del suo gruppo WhatsApp.
Anthony: Ah, sicchénel futuro ti vedremo qui ogni due per tre?
Hartmut:Che volete, magari doveva convincersi. Adesso però, benchésia stata assente fino ad ora, il suo proposito mi va proprio a genio, purchéci darà una mano d’ora in poi.
Bogusia:Cosicchépotrà esserci d’aiuto anche con i ripassi.
Khaled: Giusto, e in quanto ai ripassi il suo esordio è venuto proprio a tempo debito, sicchéci dà subito lo spunto per abbozzarneuno.
Olga: Meno male, dacchéil nuovo episodio è pronto, occorre sbrigarsi, suppongo Gianni stia già scalpitandoper il ripasso.
Oggi vediamo la differenza tra “cosicché” e “sicché“, due congiunzioni probabilmente poco usate dai non madrelingua.
Sono abbastanza simili in realtà, ma non esattamente, sicché adesso vi spiego la differenza.
Iniziamo da cosicché. Si usa in due modi diversi.
Cosicché: i cambiamenti
Nel primo caso si parla di cambiamenti.
Se ad esempio dico:
Piove, perciò prendo l’ombrello
Posso dire tranquillamente:
Piove, cosicché prendo l’ombrello
Ma in questo caso perciò e quindi sono più adatti.
Nel caso di una variazione invece meglio usare cosicché:
Pensavo ci fosse il sole. Invece pioveva, cosicché ho dovuto prendere l’ombrello
Ogni volta che c’è un cambiamento pertanto è una buona idea usare cosicché.
Quindi “cosicché” è molto simile a perciò, quindi, ma più simile a “pertanto”, “in conseguenza di ciò”.
C’era tantissima gente in strada, cosicché siamo dovuti tornare a casa
Stavamo per sposarci, ma il Covid ci ha impedito di farlo alla data programmata, cosicché siamo ancora in attesa di fissare una data per il matrimonio.
Anche qui è chiaro il cambiamento, causato da un inconveniente, un problema inaspettato.
Cosicché: possibilità e potenzialità
Nel secondo caso si parla di possibilità e potenzialità: Una cosa è possibile grazie ad un’altra. Non parlo necessariamente di causa ed effetto, di una semplice conseguenza, piuttosto di un fattore che può determinare delle conseguenze, o che può rendere possibile una conseguenza.
In questo caso cosicché è più simile a: in modo tale da, di modo che, affinché
Es:
La settimana prossima saranno vaccinati gli insegnanti, cosicché si possano riaprire le scuole
Ecco: la riapertura delle scuole è possibile grazie alla vaccinazione degli insegnanti.
Bisogna rafforzare i controlli della Casa Bianca, cosicché nessuno possa entrare quando vuole
Occorre più trasparenza, cosicché sia possibile controllare i conti pubblici senza alcun problema
Notate che nel caso di cambiamenti, spesso si parla al passato, pertanto nella maggioranza dei casi non si usa il congiuntivo. Quando invece parliamo di possibilità o potenzialità, di cose che sono state o saranno possibili solo grazie a qualcosa, è consigliato usare il congiuntivo:
Con tutta quella neve abbiamo dovuto mettere le catene alla macchina cosicché potessimo continuare il viaggio
Comunque spesso il congiuntivo non è obbligatorio neanche in questo caso:
Ho deciso di spostare la lezione di italiano dal lunedì al martedì cosicché il lunedì potrò giocare a basket. (Se volete maggiori informazioni in merito, c’è un episodio dedicato proprio al congiuntivo)
C’è quindi questa possibilità di giocare a basket il lunedì, che diventa reale quando decido di spostare al martedì la lezione di italiano.
Questi dunque sono i due principali casi in cui cosicché è molto adatto: cambiamenti e possibilità
Passiamo a sicché.
Sicché: i cambiamenti
Si usa esattamente come cosicché nel primo caso (anche staccato: così che) quindi per esprimere una conseguenza in modo analogo a quindi e perciò, specie quando ci sono dei cambiamenti, proprio come cosicché.
Non sopportavo che mia moglie mi tradisse, sicché adesso sono di nuovo single.
Da questo punto di vista quindi sicché è identico a cosicché, forse anche un po’ più secco, più deciso, netto: una conseguenza inevitabile diciamo:
Ho mangiato troppo in questi ultimi anni, sicché adesso ho 20 kg in sovrappeso.
Nessuno mi aiutava, sicché ho fatto tutto da solo
Come a dire: non poteva che accadere questo, è stata una conseguenza inevitabile.
Nel secondo caso visto prima però, quindi nel caso di possibilità e potenzialità, sicché non è molto adatto.
Normalmente quindi la frase:
Adesso mangerò meno sicché dimagrirò sicuramente
Non è scorretto di per sé, ma si preferisce usare cosicché, in modo tale da. perché non è una conseguenza inevitabile ma una possibilità.
Invece sicché ha un uso specifico.
Sicché: frasi interrogative conclusive
Si può usare infatti con un tono interrogativo per invitare altre persone a trarre delle conclusioni.
Sicché, cosa hai deciso, verrai con noi al corso di italiano?
Anche in questo caso potrei usare quindi o perciò, ma anche in questo caso sicché esprime in modo più netto e deciso un concetto finale, conclusivo. A volte può esserci irritazione, impazienza:
Cara, io devo dirti la verità… amo un altra.
Ah, sicché, hai deciso di lasciarmi? E cosa avrebbe lei più di me?
In questi casi la frase è sotto forma di domanda, ma spesso si tratta di domande retoriche o di deduzioni logiche (come in quest’ultimo caso). Spessissimo si tratta di domande ironiche. Solo a volte è una vera domanda, diciamo più una richiesta di conferma, come a dire: io so questa cosa, è vera?
Sicché hai una nuova fidanzata, complimenti!
Sicché stasera vieni anche tu alla festa vero?
L’episodio è durato più del previsto, cosicché meglio fare un ripasso molto breve:
Irina: bene, anche brevissimo, purché non si salti il ripasso però. Per me è fondamentale.
Ulrike: Quanto a me, sono completamente d’accordo.
Sofie: Io no invece. Certi episodi sono di un breve che finiscono subito!
M4: sicché hai intenzione di continuare a contraddire sempre tutti? Non hai il mio plauso in questo caso.
Sofie: Assolutamente no. Dico solo la mia idea cosicché tutti possano conoscerla. Questo è quanto.
Oggi vediamo la differenza tra “in quanto”, “in quanto a” e “quanto a“. Pare che queste preposizioni, usate prima o dopo, abbiano una certa importanza.
Iniziamo da “in quanto“, che si utilizza con lo stesso significato di “quindi” e “perciò“. Un altro modo, questo, per esprimere le conseguenze. Abbiamo affrontato il problema delle conseguenze più volte. Vi ricordo gli episodi attraverso dei link: Esprimere le conseguenze – Ragion per cui – dacché – poiché – in virtù.
Ad esempio:
Dobbiamo fare un episodio breve in quanto siamo nella rubrica che si chiama “2 minuti con Italiano Semplicemente”.
Sono stato battezzato in quanto la mia famiglia è cattolica
Credo nel futuro in quanto ottimista
Quindi “in quanto” ha lo un uso molto simile a “quindi”, “perciò”, ma anche a “poiché”, “dato che”, “considerato che”, “visto che”, ed anche “quale“.
Se invece uso la preposizione “a” immediatamente dopo ottengo “in quanto a“, una locuzione molto simile a “circa“, che abbiamo spiegato nell’episodio n. 212 e quindi significa “relativamente a“, “riguardo a“, “in merito a“.
Torniamo quindi all’episodio “in merito a” visto due puntate fa, per indicare qualcosa, per circoscrivere un aspetto.
Ci sono però alcune cose interessanti da specificare.
Prima di tutto “in quanto a” è più colloquiale rispetto a “in merito a“:
In quanto alla cosa di cui mi volevi parlare, la vediamo domani ok?
Secondo: si usa spesso per indicare cose che meritano meno importanza o per sottolineare dei difetti.
Abbiamo detto le cose più importanti. In quanto ai dettagli li vedremo domani.
La ragazza è carina ma non è il massimo in quanto a educazione
Il compito di italiano che hai fatto non è molto buono in quanto a creatività
Più raramente si usa anche per evidenziare pregi:
Non sei male in quanto a idee.
Italiano semplicemente si contraddistingue in quanto alla qualità delle lezioni
In modo simile posso usare anche “in fatto di“, “a livello di“:
In fatto di fantasia, non mi batte nessuno!
A livello di comodità, la mia macchina è il massimo!
Anche in questo caso parliamo sempre dello stesso uso di “in merito a“, ma in modo più colloquiale.
Ora, a volte succede anche di non mettere “in” all’inizio, ma generalmente l’utilizzo in questo caso è ancora più informale. Sto sempre indicando qualcosa, ma questa forma senza “in” spesso si utilizza per esprimere un sentimento negativo o comunque sempre per sottolineare cose meno importanti,
(in) quanto a te, facciamo i conti dopo!
A voi, amici, vi aiuto volentieri. (In) quanto a coloro che mi criticano sempre, si arrangeranno!
Adesso ripassiamo. Quanto alla durata di questo episodio, non ve ne preoccupate troppo…
Kumi (Giappone): io non mi preoccupo Gianni, ma cerchiamo di darci una regolata comunque.
Rauno Finlandia): di cosa parlerà il prossimo episodio di bello? Lia (Brasile): pare che nessuno sappia questo. In quanto a me, non faccio eccezione. Rafaela (Spagna): invece secondo me, zitta zitta tu ne sai qualcosa…
Oggi parliamo dell’acconto. Quando dobbiamo effettuare un pagamento, o quando dobbiamo ricevere un pagamento, possiamo decidere di dividere il pagamento in due o più parti.
La prima parte del pagamento si chiama acconto o anticipo. L’acconto pertanto viene versato come pagamento parziale, a cui seguirà un successivo pagamento a saldo. Ma il saldo lo vedremo in un altro episodio.
L’acconto si utilizza spesso quando si tratta di pagamenti sostanziosi, di grosse cifre.
Un acconto si può avere, nel senso di ricevere oppure si può dare cioè versare:
L’acconto è una parte della cifra pattuita in una compravendita o in una transazione commerciale, come ad esempio quando un commerciante firma un contratto per un acquisto presso un fornitore. Quando c’è una compravendita c’è un contratto che ha ad oggetto il trasferimento di qualcosa dietro il pagamento di un prezzo.
L’acquirente paga subito un acconto, poi quando riceve la merce pagherà la cifra restante. Come tutti i pagamenti che avvengono nel commercio, anche l’acconto viene tassato normalmente quindi l’acconto è assoggettato all’IVA, di cui abbiamo già parlato. Allo stesso modo, deve essere fatturato nel momento in cui viene pagato. Si deve emettere pertanto una fattura. Anche della fattura si è già parlato.
Dicevo che spesso si parla di anticipo di un pagamento, ma questo è un termine che ha molti più utilizzi, tra cui appunto quella di una somma di denaro che viene anticipata. L’acconto invece ha a che fare solamente con i pagamenti.
Esistono anche delle tipologie di acconto legate alla tassazione, ma ne parleremo in altri episodi di Italiano commerciale.
In merito all’episodio di ieri, abbiamo visto che usare la preposizione “in” davanti a “merito” è come dire “riguardo a” oppure ‘per quanto riguarda’ con riferimento a un campo circoscritto.
A volte si dice anche “in quanto a” ed altre “quanto a“. Questo però lo vediamo nel prossimo episodio. Se ricordate vi avevo accennato al fatto che esiste anche “nelmerito“. Usiamo “nel merito” quando vogliamo entrare dentro quell’aspetto, cioè più in profondità. Infatti si usa spesso il verbo entrare.
Entrare nel merito
Se entriamo nel merito di una questione vogliamo esaminarla, trattarla, discuterla nei suoi aspetti essenziali, quelli più importanti. Ad esempio:
Oggi ho voluto entrare nel merito di questa locuzione, mentre nell’ultimo episodio ve ne avevo solamente fatto un accenno.
La locuzione nasce nel dirittoprocessuale, infatti quando un giudice prende la decisione, decidendo chi ha ragione e chi ha torto, il giudice entra nel merito. Il merito rappresenta proprio la questione sulla quale il giudice prende una decisione. Il giudice entra nel merito e quindi analizza la questione e poi prende la sua decisione. In generale entrare nel merito significa sempre questo, e tutti possono farlo, non solo i giudici.
Possiamo usare questa espressione ogni volta che vogliamo approfondire un aspetto, senza restare in superficie.
Un professore entra nel merito di un argomento ogni volta che fa una spiegazione.
Quindi per indicare un argomento, un aspetto qualsiasi si usa “in merito” mentre per analizzarlo si entra nel merito.
Chiunque è chiamato a risolvere dei problemi per trovare soluzioni deve entrare nel merito.
Possiamo anche decidere di non entrare nel merito di qualcosa, magari perché crediamo non sia necessario oppure per mancanza di tempo. Si usa spesso anche in questo modo infatti.
Se conoscete il termine merito, non è detto conosciate anche la locuzione “in merito” che non ha niente a che fare con il merito. Il termine merito infatti indica l’attribuzione di una qualità, un valore. “In merito” si usa invece per indicare una questione, un argomento di cui parlare o di cui si è già parlato, e per indicare questa questione si utilizza la preposizione “a”:
In merito a
È equivalente a “riguardo a“, ma è un po’ meno informale. Esempio, appena dopo una spiegazione del professore, potete fare la domanda:
Avrei una domanda in merito
Significa: avrei una domanda su questo argomento, vorrei fare una domanda riguardo a questo. In questo caso potreste semplicemente chiedere:
Avrei una domanda
Se volete invece indicare una questione diversa dovete specificarla:
Avrei una domanda in merito alla preposizione da usare.
È lo stesso che:
Avrei una domanda riguardo alla preposizione da usare.
“Inmerito” quindi serve a centrare l’argomento. Se si vuole cambiare argomento, si potrebbe anche utilizzare “per quanto riguarda” che è più discorsivo, quindi usato maggiormente all’orale:
Per quanto riguarda la pronuncia di “merito”, c’è un accento grave sulla lettera e. In merito alla pronuncia… Riguardo alla pronuncia…
Nel prossimo episodio vediamo “nel merito” che ha un significato diverso. Ma la vediamo domani. Oggi non voglio entrare nel merito. Vi lascio al ripasso adesso, dove ascolterete le voci di Carmen e Anthony. Se avete domande in merito a questo episodio potete lasciare un commento.
Anthony: È giunto il tempo di fare dei buoni propositi, che ne dici? Carmen: ti prefiggi sempre una catervadi cose all’inizio dell’anno. Ma poco dopo vieni meno e transigiai tuoi propositi. Così ogni volta ricadi nelle abitudini precedenti, ossia battere la fiacca. Ci metterei la mano sul fuoco che anche questa volta ci risiamo.È sempre la solita solfa. I propositi del nuovo anno lasciano il tempo che trovano. Anthony: risparmiamiil tuo epilogo. Vedrai che questa è la voltabuona. Carmen: Ascolta, ti suggerisco di fare tesoro di un mio consiglio per non prendere una brutta piega anche questa volta. Devi renderti conto di una cosa: urgearmarsi di pazienza. Di prima acchitosembra di non fare alcun progresso, comunque via viavedrai i frutti. Se tieni duro il meritato esito non tarderà. Miraccomando tienilo a mente. Ci vuole pazienza. Anthony: Dunque, mettiamo che io voglia fare sport ogni giorno, cosa potrei fare di bello? Carmen: idea: Andrai tu a spasso con il cane e sarò io a battere la fiacca.
Si dice il prosieguo o il proseguo? E che differenza c’è con il proseguimento e con seguito (e seguìto)?
La risposta alla prima domanda è “Il prosieguo“, con la “i”, sebbene si utilizzi, ma meno comunemente anche la forma senza i: il proseguo.
Ma cos’è il prosieguo? Prosieguo viene da proseguire, continuare. In proseguire non c’è la lettera “i”, tra la “s” e la “e” quindi verrebbe spontaneo scrivere e dire proseguo. In realtà la forma più corretta è prosieguo.
Quindi c’è qualcosa che è iniziato e si sta parlando di un eventuale proseguimento.
Ma il termine prosieguo, nonostante sia equivalente al proseguimento, cioè ciò che viene dopo, si utilizza prevalentemente in una locuzione: “in prosieguo”, e soprattutto “in prosieguo di tempo”, ma ci sono esempi di utilizzo in cui si usano anche altre a cose oltre al tempo: “in prosieguo di qualcosa” significa in un momento successivo, quindi significa “in seguito a qualcosa“, “successivamente a qualcosa“.
Il termine prosieguo si utilizza anche come sostantivo: “il prosieguo” di qualcosa. Anche in questo caso si indica, e ancora più direttamente, ciò che accade in un momento successivo: “il prosieguo” è ciò che accade, ma bisogna indicare “di cosa”.
Vediamo qualche esempio in modo da capire quando possiamo usare “in prosieguo” e “il prosieguo“:
I professori potranno ricevere i genitori degli alunni in prosieguo all’orario scolastico.
Questo significa che i genitori vedranno i professori appena dopo che sono terminate le lezioni, nel prosieguo dell’orario scolastico.
E’ sicuramente un termine meno usato rispetto a proseguimento, ma sottolinea maggiormente il legame tra il prima e il dopo. E’ una specie di allungamento del tempo precedente, quindi generalmente è abbastanza vicino.
Non avete ancora capito? Sarà tutto più chiaro nel prosieguo dell’episodio
Gli studenti non erano molto attenti, ma durante il prosieguo della lezione, il loro interesse crebbe.
Anche con il Covid, bisogna garantire il prosieguo delle lezioni.
E’ importante quindi che le lezioni proseguano, che vadano avanti.
Notate che “in seguito” è abbastanza simile ma è più simile a “dopo“, “successivamente“, quindi c’è meno il senso della continuità, c’è meno legame tra il prima e il dopo. Inoltre spesso c’è il senso della “causa”, quindi di qualcosa che accade dopo che è successo qualcosa. Tuttavia questo è ancora più evidente se uso la preposizione “a”
“A seguito” si usa proprio per indicare la causa e ciò che è successo dopo.
Se dico:
A seguito dell’emergenza dovuta al Covid, le lezioni in presenza si sono interrotte.
C’è una causa: il Covid, che ha determinato l’interruzione delle lezioni in presenza.
Notate che l’accento di seguito è sulla “e”. Invece se parlate del verbo “seguire” al participio passato, l’accento è sulla “i”: seguìto.
Ho seguito tutte le lezioni, ma a seguito dell’emergenza Covid, queste sono avvenute a distanza
Avete seguito attentamente la spiegazione? Allora, come al solito, restate attenti al prosieguo dell’episodio, in cui ripassiamo le puntate precedenti.
Può risultare difficile a volte capire, per un non madrelingua, quando usare il verbo giusto. Questo accade ad esempio con i verbi essere e stare, soprattutto quando mettiamo la particella ci davanti.
Oggi parliamo di questo. Ci sono o ci sto? Ci sei o ci stai? Ci sono o ci stanno?
Vedrete che ci sono alcune circostanze in cui potete usare indifferentemente i due verbi e altri casi in cui questo non posso farlo.
Esprimere accordo o disaccordo
Vediamo qualche esempio e vediamo di fare chiarezza.
Cistate?
Ecco, iniziamo proprio da “ci state”. La vostra risposta può essere:
Si, ci sto Si, ci stiamo
Questo significa: d’accordo, ok, va bene, aggiudicato, per me va bene, accetto, sono d’accordo.
Ogni volta che siete d’accordo oppure no potete usare questa modalità. In genere però “ci sto” e “ci stiamo” ecc (o non ci sto, non ci stiamo, non ci stanno ecc) comportano un impegno personale. Non è un semplice “va bene”, ma c’è un coinvolgimento.
Vogliamo iniziare a studiare subito? Ci stai?
Andiamo a Roma quest’estate? Ci state?
Sfide e scommesse
Altre volte può essere una sfida o una scommessa:
Scommettiamo che la Roma vince lo scudetto quest’anno? Mi dai 100 euro se la Roma vince?
Ci stai?
In tutti questi casi visti finora, è bene dirlo, non posso usare il verbo essere. Quando si chiede un’opinione o si fa un accordo, o si accetta una sfida o una scommessa posso usare solo il verbo stare.
Presenza fisica e concentrazione
Vediamo invece quando posso usare anche il verbo essere.
Domani andiamo tutti al cinema insieme. Ci devi stare anche tu! Ci devi essere!
In questo caso è la stessa identica cosa usare essere o stare.
Ci stai domani a casa di Giovanni? Ci sei domani a casa di Giovanni?
Il verbo essere o stare in questo caso indica la presenza in un luogo.
Vengo a trovarti domani.
Ci sarai a casa? Ci starai a casa?
Potete scegliere il verbo che preferite, sebbene stare sia un pochino più colloquiale.
Che c’è da mangiare? C’è/ci sta qualcosa in frigo? Ci sta/c’è qualcosa di fresco?
La presenza può anche essere mentale e non fisica:
Giovanni, ti vedo distratto, ci sei? Ci stai?
Che significa: sei con noi? Sei mentalmente presente?
Esistono però due espressioni che meritano la vostra attenzione:
Esserci con la testa. Starci con la testa.
Entrambe si utilizzano per indicare un comportamento strano, un comportamento irrazionale di una persona e anche la pazzia.
Si parla di una persona che non ragiona più, che non usa più la testa, cioè il cervello.
Il verbo stare in questi casi è più adatto. Ad ogni modo le due espressioni possono essere usate sia per indicare la presenza mentale, la concentrazione o anche un comportamento irrazionale, e persino la pazzia vera e propria.
A volte può indicare anche una condizione momentanea in conseguenza di un trauma.
Bisogna starci con la testa per fare questo lavoro (concentrazione)
Giovanni non c’è più con la testa ultimamente. Ha molti problemi in famiglia (concentrazione o comportamento irrazionale).
Ma che fai? Ma ci stai con la testa? Hai fatto cadere tutti i bicchieri! (concentrazione).
Da quando ha perso il figlio Marco non ci sta più con la testa. È irascibile, scontroso, vuole stare sempre solo (conseguenza di un trauma)
Ma cosa fa quell’uomo? Mangia la pasta con le mani? Non ci fare caso, non ci sta con la testa (pazzia, malattia mentale).
In questi casi potete usare sia essere che stare, ma come detto stare è più adatto, più informale e più utile per estremizzare il concetto fino alla pazzia.
Accettare scherzi e sconfitte
C’è un altro caso, oltre alla richiesta di opinione, in cui si può usare solamente il verbo stare: quando si fanno degli scherzi o quando si devono accettare le conseguenze di qualcosa di negativo dal punto di vista personale, come una sconfitta.
Hai perso, ci devi stare!
Vale a dire: devi saper accettare la sconfitta, bisogna saper perdere.
In questo caso non ha senso usare il verbo essere.
Accettare una sconfitta quindi è simile ad accettare un invito o una sfida.
Ci stai domani se andiamo al. Cinema? (invito) Facciamo una sfida a chi arriva prima a casa? Ci stai? (sfida) Maria ci sta sempre quando perde (sconfitta)
Uguale con gli scherzi:
Francesca non sta mai agli scherzi.
Attenzione:
Con la frase “stare agli scherzi” però potete non usare “ci”. Stare agli scherzi significa ugualmente “accettare” gli scherzi, anche se pesanti, fastidiosi per chi li riceve.
Posso quindi dire:
Devi stare agli scherzi Devi starci agli scherzi Ci devi stare agli scherzi Non state mai agli scherzi Non cistate mai agli scherzi.
Se non pronunciate “agli scherzi” è però obbligatorio usare ci:
Ti arrabbi sempre, non ci stai mai! Devi starci, non ti irritare.
Invece se nominate gli scherzi potete scegliere, ma meglio senza ci:
Io (ci) so stare agli scherzi! Loro non (ci) sanno stare agli scherzi.
Anche in questo caso non ha senso usare il verbo essere perché è una locuzione con un significato preciso e cristallizzato.
Stare al gioco
C’è un caso simile agli scherzi, in cui ugualmente si usa solamente stare:
Stare al gioco: ci stai al gioco?
Stare al gioco significa assecondare un comportamento, “giocare insieme”, ma è inteso nel senso di uno scherzo, o di una finzione. Può significare “accettare le regole” e rispettarle ma anche non opporsi ad uno scherzo fatto ad altre persone.
Voglio fare uno scherzo a Giovanni. Tu ci stai al gioco?
In questo caso non si può usare essere.
Anche stare al gioco ha ormai assunto un significato preciso.
Se tu “stai al gioco”, se cioè “ci stai” significa che non ti opponi, o che fai finta di niente o anche che “non rovini lo scherzo”, che “partecipi al gioco anche tu”.
Anche qui c’è il senso di accettare qualcosa in fondo, ma lo scherzo, il gioco, non è contro di te, ma un’altra persona. Vedete anche l’episodio sulla frase “reggereilgioco” che è interessante.
Qualcosa di accettabile, adeguato, appropriato
Andiamo avanti e vediamo un altro modo di usare ci + stare che non può essere sostituito da ci + essere.
Si usa quando qualcosa è adeguato o normale, insomma accettabile.
Ancora una volta si parla di accettare ma non c’è nessuno che deve accettare. Si parla in generale.
Ci sta che qualche volta si perde
Come a dire: non è strano, ci sta, è accettabile, si può accettare, si può tollerare, può capitare.
Anche in questo caso il verbo essere non può essere usato.
Altre volte indica qualcosa non solo si accettabile, ma di adatto, adeguato, che serve, qualcosa di necessario:
Dopo 3 ore di lezione ci sta (bene) una pausa di almeno 10 minuti.
C’è, in questo caso, appunto il senso di adeguato, adatto. Altre volte addirittura indica qualcosa di desiderabile
Se dico:
Adesso un caffè ci sta tutto!
Cioè: un caffè è proprio ciò che ci vuole: è appropriato.
Come ci sta il formaggio sulla pasta?
Ci sta benissimo.
Anche qui: non possiamo usare il verbo essere. In questo caso si parla di una buona associazione, di appropriatezza: il formaggio ci sta bene, si associa perfettamente con la pasta. Potremmo dire che è la morte sua.
Ugualmente con l’accoppiamento dei colori o di vestiti.
Come ci sta la cravatta verde con la giacca blu?
Non ci sta bene. I colori verde e blu si associano male. Ci stanno male insieme. Non è appropriato come accoppiamento.
Il verbo essere in pratica si può sostituire al verbo stare solo nei casi visti all’inizio, quando parlo della presenza fisica, concentrazione, pazzia e strani comportamenti. Poi dopo vediamo altri casi abbiate pazienza.
Ma non finisce qui.
Dimensioni
Ci sta può significare anche “c’entra“, nel senso fisico, nel senso di spazio:
Ci sta questo armadio nella tua camera?
Cioè: C’entra? C’è spazio?
Questo è il senso.
Anche in questo caso il verbo essere non si può usare. Infatti “c’è” e “ci sono” non possono sostituire in questo caso ci sta e ci stanno.
Diverso è il caso della presenza fisica, come si è visto. Se ad esempio chiamo a casa di un amico posso chiedere:
C’è marco?
Ci sta marco?
Solo in questo caso, negli esempi visti finora, quindi posso usare indifferentemente essere e stare. “C’è” infatti è la forma apostrofata di “ci è”.
C’entra
Abbiamo parlato di c’entra prima, parlando di spazio.
Se ci pensate, c’entra si usa anche per l’appropriatezza:
Che c’entra la maionese sulla pasta? Che ci sta a fare?
Che c’entri tu? Non ti immischiare! Che ci stai a fare?
Posso spesso usare “stare” in questi casi ma non “essere”.
Che ci stai a fare qui? Non dovevi essere a casa?
È informale ma si usa spesso.
Vedete che si parla di presenza fisica, ma uso stare perché la tua presenza non è appropriata.
Per questo motivo si usa quasi sempre il verbo stare in questi casi. “Essere” suona veramente male: non ci sta bene, potrei dire.
Tra l’altro non sempre si parla di presenza fisica:
Che ci stai a fare con Maria?
In questo caso stare si intende star insieme, essere una coppia, essere fidanzati..
Comodità, agio
Vediamo un altro caso in cui invece stare non è sostituibile da essere:
Io ci sto bene con te.
Ci sto bene a casa mia.
In questi casi: ci sto bene/male, ci stai bene/male, ci stanno bene/male, eccetera significa starebene, trovarsi bene, esserecomodi, essere a proprio agio, provare comodità eccetera.
Posso anche dire:
Io ci sto bene/male con Margherita
In tutti questi casi stiano esprimendo quindi una sensazione positiva o negativa, una situazione comoda o scomoda. Non posso neanche in questo casi usare il verbo essere.
Autocritica e disponibilità
Ci sono altri due casi di cui voglio parlarvi:
Abbiamo preso il Covid perché non usavamo la mascherina: Ci sta bene!
Voglio dire che abbiamo ottenuto ciò che meritavamo. È un’autocritica.
Il “ci” in questo caso sta per “a noi”. Se parliamo di altre persone diventa mi, ti, vi, gli, le.
Infine, se dico che:
La ragazza ci sta!
Questo è un utilizzo di “stare” simile al primo caso visto in questo episodio, parlando di essere d’accordo, quindi “ci sta” esprime accordo, ma si parla di “disponibilità” in questo caso. Una disponibilità particolare però.
La ragazza che “ci sta” è una ragazza disponibile, una ragazza che cede alle lusinghe di un ragazzo, che viene conquistata da un ragazzo.
Si tratta di un linguaggio giovanile, informale, e si parla spesso in questo modo anche per indicare un aspetto negativo di una ragazza, che è troppo disponibile da questo punto di vista. In pratica questa ragazza non è una ragazza seria.
Si può usare anche con persone di sesso maschile, ma i ragazzi, si sa, è normale che siano più “disponibili” delle ragazze.
Comunque anche in questo caso non possiamo usare essere perché non parliamo di presenza fisica o dei casi visti all’inizio: pazzia, comportamenti strani, irrazionali e concentrazione.
Qualcosa sta arrivando
Anche il verbo essere ovviamente, sempre con ci davanti, in alcune occasione non può essere sostituito da stare. Vediamo quando.
Ad esempio se dico:
Ci siamo!
Questo può anche indicare che qualcosa sta per accadere, è vicino, quindi prepariamoci.
È curioso che si usa solo la forma al plurale anche se sono solo.
Domani farò l’esame. Ci siamo quasi!
Essere come ausiliare
Poi naturalmente non posso usare stare quando essere è ausiliare:
In Italia ci siamo stati 2 volte.
Stavolta addirittura ho usato entrambi i verbi! Infatti più in generale quando essere è verboausiliare non posso sostituirlo:
A casa ci sono arrivato da solo
Ci siamo visti ieri
E in tutte le espressioni idiomatiche e frasi fatte solitamente è lo stesso.
Ci sono rimasto male
Ci sta a cuore la tua felicità
Identificare
Comunque, pensandoci bene, possiamo usare essere e stare indifferentemente anche quando parliamo di identificare qualcosa o qualcuno, anche indicando delle caratteristiche:
Ci sono/sto anch’io
Ci stanno/sono anche i miei amici
Usare il verbo stare in questi casi è più colloquiale. È più corretto usare essere o anche esistere.
Ad esempio:
Ci sono/stanno due miei amici che vorrebbero conoscerti.
Questi amici hanno questa caratteristica: vorrebbero conoscerti.
Ci sono/stanno dei posti nel mondo che vorrei tanto visitare.
Ci stanno/sono alcune persone che hanno gli occhi di diverso colore.
Ci sono/stanno (esistono) problemi se resto a casa tua?
Ora, ci stanno/sono (esistono) molte persone che amano gli esercizi di ripetizione.
Esercizio di ripetizione
Allora facciamolo, così ripassiamo tutti i casi visti finora:
Ci sta/c’è del vino per la cena?
Non ci sono/stanno problemi se vuoi dormire a casa mia.
Ci stai a fare uno scherzo a Giovanni?
Che ci sta (c’è) da mangiare?
Che ci stai a fare qui?
Non stai mai agli scherzi!
Ci sei/stai domani a casa?
Facciamo una gara, ci stai?
Dai, che dopo 10 anni di matrimonio ogni tanto si litighi ci può stare.
Siamo in 7. Non ci stiamo tutti nella mia macchina.
Ho provato a baciare delle ragazze in discoteca ma nessuna ci stava.
Domani riunione? No, domani non ci sto/sono, sono in ferie.
Ci sta/c’è un amico al telefono che ti cerca
L’episodio è finito. Ci siamo esercitati abbastanza no?
Tutti gli studenti non madrelingua conoscono e sanno utilizzare l’aggettivo generoso, ma quanti conoscono e meglio ancora utilizzano ingeneroso?
Sembra avere a prima vista significato contrario rispetto a generosità. Ma non è esattamente così.
Infatti la generosità è la nobiltà d’animo che comporta il sacrificio dell’interesse o della soddisfazione personale di fronte al bene altrui.
Se sono generoso non ho difficoltà a “dare”. In genere ci si riferisce al denaro. La generosità è l’assenza di problemi nel ricompensare o nel donare, e essere generosi è indubbiamente una qualità. Significa essere altruisti e disinteressati. Solitamente il contrario della generosità è l’egoismo, ma se mi riferisco al denaro si parla di taccagneria, tirchieria, che è la caratteristica delle persone attaccate al denaro. Più in generale una persona non generosa è egoista, è gretta, meschina, misera.
Essere ingenerosi invece si riferisce all’assenza di generosità spirituale e di comprensione. Non si parla di soldi o di difficoltà nel dare. Piuttosto si parla di difficoltà nel riconoscere un merito.
La persona ingenerosa tende a dare colpe agli altri più del necessario, tende a non riconoscere qualcosa di positivo in un’altra persona, tende a non perdonare, tende a infierire. C’è poca indulgenza, poca umana comprensione nei confronti del prossimo. Ecco, forse quest’ultima definizione è la più appropriata. Nel linguaggio comune, quello di tutti i giorni, è molto facile lasciarsi andare e descrivere queste persone ingenerose come “stronze” o “egoiste“. Spesso si parla anche di giustizia o di cattiveria o di parlar male di qualcuno:
Non è giusto ciò che hai detto.
Sei cattivo a parlare così
Perché parli male di Giovanni?
Facile comunque usare parole offensive verso queste persone.
Parlare di ingenerosità non è invece offensivo, ma invita alla riflessione, e si può usare anche in contesti più formali. In sostanza, è molto più elegante parlare di ingenerosità piuttosto che utilizzar epiteti o insulti vari. Sicuramente è molto difficile usare questo aggettivo quando si è arrabbiati.
Perché parli male di Giovanni?
Sei ingeneroso se la pensi così
Hai usato parole molto ingenerose verso Giovanni
Con me sono state usate parole ingenerose
Credete che qualcuno abbia mai usato parole ingenerose verso di voi? Ebbene da oggi avete un modo in più per lamentarvi di questo, e per giunta senza offendere nessuno.
Con queste parole iniziano spesso le lettere o una email ad un amico. Un caro amico.
Oggi vediamo proprio i molteplici utilizzi di questo aggettivo italiano.
Caro è un termine che solitamente viene usato per esprimere affetto: caro amico, cara mamma, caro papà eccetera.
In realtà però ha molti utilizzi diversi e alcune volte l’affetto non c’entra nulla.
Giacomo Leopardi in una famosa lirica (l’Infinito) scriveva “sempre caro mi fu quest’ermo colle” e lui si riferiva all’affetto che nutriva per un colle, che era il monte Tabor del comune di Recanati, nella regione Marche.
Tante cose possono essere definite come “care”.
Con “le persone care”, o “le persone più care“, ad esempio, si intendono i genitori, i parenti e gli amici più intimi. Si chiamano anche “i cari”:
Vorrei riabbracciare i miei cari.
Ha voglia di rivedere i suoi cari.
L’aggettivo diventa un vero e proprio nome in questi casi.
Che caro che sei stato a farmi un regalo per Natale
Sei stato gentile, amabile, anche simpatico.
Manda un caro saluto ai tuoi.
Anche questa è un modo ricorrente di usare caro.
Maria è una cara ragazza
Maria quindi è una ragazza gentile, affettuosa, amabile. Non c’entra con la parentela stavolta.
Giovanni è un carissimo amico
Giovanni è cioè una persona particolare per me, non un amico qualunque. Si usa spesso questa formula soprattutto quando si presenta una persona a cui teniamo molto ad un’altra oppure quando cerchiamo un aiuto per una persona per noi importante.
Sono le persone a noi più care, quelle per le quali si prova più affetto.
C’è un modo particolare di usare “caro”:
Caro mio!
Notate il tono che viene usato. E’ un modo familiare e spesso anche ironico. Ad esempio:
Caro mio, sapessi quanti momenti difficili ho vissuto io alla tua età.
Oppure:
Caro mio, stavolta non mi freghi!
Esprime a volte impazienza, a volte si vuole esprimere saggezza o esperienza di vita, una lezione imparata, o si vuole insegnare qualcosa all’altro, facendo pensare che ci sarebbe molto altro da dire su questo argomento. E’ anche un modo per dare dei consigli, e “il caro” sta a significare che il consiglio è il risultato dell’esperienza.
Caro mio, non sono mica scemo!
Se vuoi fare carriera, caro mio, devi lavorare meno e fare più politica!
Andiamo avanti:
Ma che caro!
Questa esclamazione può esprimere affetto, ma anche l’esatto opposto, dipende molto dal tono che si usa. Può anche esprimere una antipatia per una persona.
Ma che cari i nostri zii, hanno detto che anche quest’anno vengono e trovarci per Natale e resteranno fino a capodanno!
Anche un oggetto può essere molto caro. Lo può essere per due motivi: se ci teniamo molto, perché ha una particolare importanza per noi, oppure se ha un prezzo molto alto.
Quindi caro significa anche “costoso“. Un modo informale ma molto usato da tutti.
Un albergo caro, un ristorante caro hanno quindi dei prezzi alti rispetto alla media.
Anche una persona che esercita una professione può essere cara se si fa pagare molto.
Un parrucchiere caro ha dei prezzi più alti della media.
Com’è quel meccanico? E’ caro?
Equivale a dire: i prezzi sono alti?
Esiste anche “avere caro” che significa tenere a qualcosa o qualcuno.
Ci tengo che ci sia anche tu domani a pranzo da mia madre
Avrei caro che ci fossi anche tu domani a pranzo da mia madre
Significa quindi gradire, apprezzare, desiderare.
C’è anche “tenere caro” che significa aver cura, custodire con cura.
Il mio diario di quando ero ragazzo è un oggetto che tengo molto caro.
Ho cura di questo diario, mi dispiacerebbe che venisse perduto o distrutto.
Simile è “tenersi caro qualcuno“. Si usa solo con le persone.
Tieniti caro il tuo amico Giovanni che potrebbe esserti utile in futuro
Quindi l’amico Giovanni è un amico che non devi perdere: tientelo caro (o tientelo stretto). A proposito, “tientelo” si usa spesso ma è corretto anche “tienitelo“:
Tientelo per te (non dirlo a nessuno)
Tientelo stretto
Tienitelo bene in mente (non dimenticarlo)
Tornando a “caro“:
Ci sono alcuni verbi che usati insieme a caro o cara hanno un significato particolare:
“Vendere cara la pelle” significa perdere, essere sconfitti, soccombere, ma dopo essersi difesi con tutte le proprie forze.
La pelle rappresenta la vita, o anche una partita nello sport, e vendere cara la pelle significa che la propria vita costa molto, è cara, cioè costosa, quindi chi vende cara la pelle non si lascia sconfiggere facilmente, non perderà senza lottare.
Pagare caro un errore invece significa che questo errore ha delle conseguenze molto importanti e negative per chi lo ha commesso.
Costare caro ha lo stesso significato. Sia pagare caro che costare caro usano la metafora del prezzo per indicare le conseguenze di un errore o di uno sgarbo fatto a una persona:
Mi hai detto che sono uno stupido e questo ti costerò caro!
Nel caso di sgarbi, di torti fatti ad una persona, si usa spesso anche al femminile:
La pagherai cara!
Questa è una minaccia vera e propria che si fa ad una persona per aver fatto qualcosa di grave, spesso con la volontà.
Chi non vorrà farsi vaccinare contro il Covid potrebbe pagarla cara: niente viaggi in aereo, niente alberghi, impossibile lavorare nel pubblico impiego.
L’episodio di oggi riguarda purché, congiunzione molto usato nella lingua italiana.
Si usa in modo analogo a “basta che“, o anche “la cosa importante è che“.
In pratica si utilizza per indicare qualcosa di importante, qualcosa di necessario.
Anche questa congiunzione, come benché, si usa col congiuntivo. Stavolta però è sempre così. Non è possibile evitarlo.
Non importa quale vaccino fare contro il Covid, purché funzioni.
È chiaro che ciò che conta veramente è che questo vaccino funzioni. Questo basta, questo è necessario e sufficiente. Questa è l’unica cosa importante.
Ok, ti pagherò, purché tu te ne vada.
Vedete che si usa per le cose cui non possiamo rinunciare, per indicare il minimo richiesto per questo motivo possiamo usare anche “a patto che” , “sempre che” , “a condizione che“.
Si può usare quindi quando si fanno accordi, quando si accetta qualcosa, e anche quando si è disposti a fare qualche rinuncia, ma allo stesso tempo si fissa un limite minimo: meno di questo non è possibile. A questo serve purché.
Notate che nelle stesse circostanze potremmo usare anche “almeno” che è un avverbio di quantità, che ugualmente esprime il concetto di minimo, però non ha esattamente la stessa funzione di purché.
Ad esempio, nella frase
Ti aiuterò purché tu mi dica grazie.
Questo significa che io non ti aiuterò se non mi dirai grazie. Il tuo grazie è necessario.
Se invece io dico:
Ti aiuterò almeno mi dirai grazie
Sto dicendo che io ti aiuterò perché credo che tu mi ringrazierai per questo. Questo è un risultato minimo che credo di ottenere. E’ come dire “se non altro” mi dirai grazie.
Se invece dico:
Mi dirai almeno grazie?
Ti sto chiedendo la minima cosa che tu potresti fare per il mio aiuto. Ma magari potresti fare anche di più.
Quindi “almeno” è più simile a “se non altro“, “se non di più“, “come minimo“, ” a dir poco“.
In entrambi i casi però il mio aiuto non è in discussione.
Invece purché serve proprio a porre una condizione, benchéminima.
Dicevo che si può sostituire con “basta che“, che però è più informale. In questo modo però potete, se volete, evitare il congiuntivo.
Va bene la pasta per pranzo?
Ok, purché sia integrale.
Ok, basta che è/sia integrale.
Sei pronta per uscire?
Sono quasi pronta. Mi aspetti?
Si, basta che ti sbrighi!
Nel linguaggio di tutti i giorni si usa spesso “basta che” e come avrete capito, a volte lo si fa quando si è arrabbiati o irritati. Diciamo che può esprimere impazienza in questo caso.
Adesso vediamo un ripasso, purché sia un breve però.
Buongiorno, l’episodio di oggi riguarda la congiunzione benché, che si scrive con l’accento acuto sulla e, esattamente come perché.
Benché significa “anche se“. Questo è l’utilizzo primario.
Si può usare senza problemi sempre al posto di “anche se“, quindi non abbiate timore nel farlo, benché le prime volte possa sembrarvi strano. Mi piace la, carne, benché io preferisca mangiarne poca. Purtroppo la cattiva notizia è che quando usate benché, in genere si usa il congiuntivo.
A volte si preferisce usare benché perché la frase è più veloce. Il verbo si può addirittura togliere:
Anche se sono stanco, posso allenarmi.
Diventa:
Benché io sia stanco, posso allenarmi.
Oppure:
Benché stanco, posso allenarmi.
In questi casi il verbo lo potete togliere sempre:
Anche se (sono) stanco, posso allenarmi
C’è però un altro utilizzo interessante di benché.
Si utilizza molto spesso in caso di assenza di dubbi.
Se io non ho alcun dubbio posso dire:
Non ho il minimo dubbio
Oppure:
Non ho il benché minimo dubbio.
Non ho il benché minimo dubbio significa che non ho neanche un dubbio, neanche il più piccolo. Anche solo il più piccolo dubbio è da escludere.
Possiamo anche parlare di altro, non solo di dubbi:
Non ho fatto il benché minimo sforzo
Cioè non ho fatto nemmeno uno sforzo, neanche il più piccolo.
Non hai la benché minima prova che io ti abbia tradito!
Sul tuo viso non c’è il benché minimo segno di allegria.
Non ho provato il benché minimo senso di colpa
Sono a dieta. Non mangio la benché minima quantità di carboidrati.
Ora, benché siano passati da poco i due minuti, passo la parola ai membri per il ripasso delle puntate precedenti.
Buongiorno, l’episodio di oggi riguarda una locuzione che sicuramente vi andrà a genio.
Di quale locuzione sto parlando? Sto parlando proprio della locuzione “andare a genio“.
Sapete cos’è un genio? Un genio è un essere immaginario o astratto, uno spirito dotato di poteri magici, come il celeberrimo genio della lampada di Aladino. Oppure un genio è una persona che ha un eccezionale talento. Si dice spesso della persona che eccelle in un particolare campo:
Mozart è un genio della musica
Einstein è un genio della matematica e della fisica
Maradona è un genio del calcio
eccetera
Ma “andare a genio” non ha niente a che fare né con i poteri magici, tanto meno con il talento.
Questa locuzione invece si usa per esprimere piacere, o meglio un gradimento.
Si può usare solamente il verbo andare.
Posso dire ad esempio:
Il nuovo fidanzato di mia madre non mi va a genio.
Evidentemente questo nuovo fidanzato non mi piace affatto, non è di mio gradimento.
L’oroscopo di oggi dice che avrai dei problemi al lavoro e sarai costretto a sopportare anche qualcosa che non ti va a genio.
Non tutti i ragazzi della mia classe mi vanno a genio
Questa locuzione si usa prevalentemente quando c’è qualcosa che può incontrare o meno la mia approvazione o il mio gradimento.
Un’espressione abbastanza informale per esprimere gradimento e approvazione.
Vedete come si usa il verbo andare? Esprimendo piacere, lo usiamo proprio come il verbo piacere, cioè in forma impersonale:
Mi piace – mi va a genio
Non mi piace – non mi va a genio
Mi piacciono – Mi vanno a genio
Non mi piacciono – Non mi vanno a genio
Si usa la maggioranza delle volte con qualcosa di esterno che può piacerci o meno.
Adesso però ripassiamo qualche espressione passata. Lascio la parola ai membri dell’associazione che hanno scelto, tra tutti gli episodi passati, quelli che gli andavano più a genio.
M1: Si, è vero, ma in primo luogo io personalmente quando faccio un ripasso scelgo le espressioni che credo di aver capito meno, per vedere se riesco ad usarle bene, e solo in secondo luogo quelle che mi vanno più a genio.
M2: Per contro ci sono quelli come me che invece, a valle di una spiegazione, cercano subito di usarla in qualche conversazione.
M3: poi ci sono anche quelli come me che crede di aver capito tutto, per poi ritrovarsi l’indomanicon mille dubbi!!
M4: meno male che avremo altri episodi per ripassare allora. A me ce ne vorranno almeno 1000. A mali estremi, estremi rimedi!
Buongiorno, oggi vediamo due modi alternativi per dire “invece”, che come sapete serve a contrapporre, cioè a evidenziare un contrasto. Questi modi alternativi per dire “invece” sono “di contro” e “per contro”.
Non si usano molto nel linguaggio colloquiale, si usano piuttosto allo scritto.
Si sentono e si leggono spesso anche nei telegiornali, alla radio e si leggono molto sui giornali, anche online.
Ovviamente ci sono delle differenze rispetto ad “invece“, che è più facile da usare perché è sempre utilizzabile.
Vediamo qualche esempio in cui possiamo usare queste due equivalenti locuzioni avverbiali:
Gli italiani non sono più disposti a lavorare nei campi agricoli. Per contro, anche i datori di lavoro preferiscono lavoratori stranieri.
Vedete che sto facendo un confronto, dove volendo potrei usare “invece“, ma non c’è un confronto, diciamo, alla pari tra lavoratori e datori di lavoro,.
Sarebbe molto più adatto “invece” se dicessi:
Gli italiani non sono più disposti a lavorare nei campi agricoli, invece molti lavoratori stranieri sono disponibili a venire a lavorare in Italia nel settore agricolo.
Questo è un confronto “alla pari”: si tratta di lavoratori in entrambi i casi. Andrebbe bene anche nel primo caso, ma visto che vogliamo perfezionare la lingua italiana, è più adatto usare “di contro” o “per contro”. Quantomeno è più elegante.
Ci sono poi anche altre modalità simili: al contrario, all’opposto, per converso, viceversa.
Ma queste modalità più che altro sono tutte perfettamente adatte a sostituire “invece“.
Vediamo altri esempi:
Le squadre di calcio italiane più famose sono La Juventus, la Roma, l’inter e il Milan. Di contro, ci sono tante altre squadre poco conosciute all’estero.
Io sono molto veloce a lavorare con word. Di contro i miei colleghi sono abbastanza lenti.
In questo caso “invece” è perfettamente adatto. Si tratta confronti semplici e potrei usare anche i sinonimi che vi ho detto prima:
Io sono molto veloce a lavorare con word. Al contrario, i miei colleghi sono abbastanza lenti.
Io sono molto veloce a lavorare con word. All’opposto i miei colleghi sono abbastanza lenti.
Io sono molto veloce a lavorare con word. Per converso i miei colleghi sono abbastanza lenti.
Io sono molto veloce a lavorare con word. Viceversa i miei colleghi sono abbastanza lenti.
Se in questi casi usiamo “di contro” o “per contro”, vogliamo creare una maggiore contrapposizione, vogliamo creare un maggiore contrasto, vogliamo evidenziare due cose contrarie
Mentre i leader democratici hanno dichiarato che si faranno vaccinare contro il Corona virus, per contro, i maggiori leader repubblicani non hanno ancora annunciato quando intendono e se intendono sottoporsi alla vaccinazione.
Questo è un esempio analogo al precedente in cui voglio creare una maggiore contrapposizione. Vediamo invece un altro esempio in cui è meglio usare “per contro”.
C’è stato un incidente sulla strada principale che ha causato una fila di auto lunga 3 km. Per contro, la circolazione nelle strade limitrofe ha subito parecchi disagi.
Anche in questo caso invece e i suoi sinonimi sono adatti, come sempre, ma io direi un po’ meno rispetto a “per contro” e “di contro”.
Ora il tempo a mia disposizione sarebbe finito e mi verrebbe voglia di salutarvi. Di contro però mi dispiacerebbe non fare il ripasso delle espressioni precedenti. E allora eccovi il ripasso:
Le voci che leggete sono dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente.
L’episodio di oggi infatti riguarda un utilizzo particolare della preposizione “di“.
Un uso che probabilmente per un non madrelingua occorre parecchio tempo di pratica della lingua per capire bene e assorbirlo nel proprio linguaggio, che poi è la cosa più importante.
Vediamo qualche esempio:
Ho dato una botta con il piede nudo alla sedia. Ho il dito mignolo che mi fa di un male..
Quindi dopo aver colpito la sedia con il piede nudo, cioè senza scarpe né calze, il dito mignolo del piede (cioè il dito più piccolo) mi fa molto male.
L’uso della preposizione di serve ad aumentare il senso di dolore (in questo caso si parla di dolore) e la frase diventa un’esclamazione. Potrei anche togliere ‘di’ e il significato non cambia:
Il dito mi fa un male…
La preposizione di sottolinea ancora di più la mia sensazione, qualunque essa sia, e lascia immaginare l’ascoltatore il livello raggiunto.
Molto colloquiale come modalità espressiva, ma veramente molto efficace.
Vediamo altri esempi:
Ho visto un bambino appena nato oggi… Mi ha fatto diuna tenerezza…
Si usa non solo con le sensazioni, ma con qualcosa di molto elevato in generale:
Ho visto un elefante che era di una grandezza immensa!
È come dire:
Ho visto un elefante che aveva una grandezza immensa.
Ho visto un elefante grandissimo!
Voglio enfatizzare però lo stupore che ho provato, quindi il fine è sempre sottolineare una mia sensazione. Posso enfatizzare qualunque cosa:
Questo pane è di un fragrante…
Questa pasta è di un buono…
Questo cuscino è di un morbido…
Spesso si usa anche per esprimere giudizi:
Sei di una stupidità incredibile.
Ieri sono stato di uno sgarbato unico con te. Scusami.
Spessissimo segue una frase introdotta da “che”.
Infine vi faccio notare che – ma sicuramente lo avrete già notato dagli esempi che vi ho fatto – nel parlato spesso non si usa dire il nome della caratteristica, tipo la tenerezza, la grandezza, la stupidità, ma l’aggettivo al maschile singolare: bravo, tenero, stupido ecc. Il senso è lo stesso:
Sei di una maleducazione (o di un maleducato) che mi viene voglia di prenderti a schiaffi!
Questo panettone è di una bontà (o di un buono) che me lo mangerei tutto.
I membri dell’associaizone sono di una bravura (o di un bravo) che vi faccio ascoltare l’ultimo ripasso che hanno fatto:
Buongiorno a tutti e benvenuti nella rubrica due minuti con Italiano Semplicemente.
Avete mai fatto un applauso? Credo proprio di sì, perché gli applausi si fanno in molte occasioni, ad esempio al teatro, rivolto agli attori e alla loro prestazione.
Facile fare un applauso: basta applaudire, cioè battere le mani almeno due volte di fila. Si produce un suono con le mani e questo suono è una manifestazione di apprezzamento e approvazione.
Si fanno applausi anche durante le premiazioni.
Ebbene, per manifestare entusiasticamente il proprio consenso si può usare anche il verbo plaudire.
La differenza con applaudire è che in questo caso non si battono le mani. Non necessariamente almeno.
Plaudire è sicuramente un verbo che i non madrelingua non usano perché non è molto usato nella comunicazione di tutti i giorni.
La usano molto spesso i giornalisti, e si usa spesso anche nella comunicazione formale, quando appunto si manifesta un apprezzamento.
Ad esempio:
La tua decisione ha ricevuto il plauso di tutta la dirigenza.
Complimenti per il tuo discorso. Hai il mio plauso.
A tutti gli infermieri e i medici che hanno lavorato contro il Covid va tutto il nostro plauso.
In questi casi non c’è un applauso, che si fa con le mani, ma un plauso, che è quindi un apprezzamento in cui non si usano le mani.
Notate però che i confini tra il plauso e l’applauso non sono così netti, marcati.
Infatti esiste anche plaudente:
Dopo lo spettacolo, la folla era plaudente!
La folla plaudente è un insieme di persone che applaude. Non esiste “applaudente”, ma esiste solamente “plaudente”.
La folla ha molto apprezzato e ha fatto dunque un grosso applauso. Dunque la folla era plaudente, in quanto ha applaudito.
Plauso e plaudente si usano molto spesso nella lingua italiana, per il resto però non si usa granché. Si preferisce usare i verbi apprezzare e volendo anche approvare.
Quindi anziché dire “ti plaudo” si preferisce dire “ti apprezzo”. Plaudire come detto si riserva ad occasioni speciali e importanti, tipo:
Plaudire è il minimo che possiamo fare per questa tua nobile iniziativa
Buongiorno a tutti e benvenuti nella rubrica due minuti con Italiano Semplicemente.
Per non saper né leggere né scrivere è l’espressione di oggi.
Un’espressione colloquiale molto usata da tutti gli italiani che si usa in caso di dubbio. Significa “nel dubbio”, o anche “per sicurezza”.
Quando si ha un dubbio, spesso questo dubbio è legato ad un evento che deve ancora accadere, o a qualcosa che si deve ancora scoprire. In questi casi si può decidere di prendere una decisione per sicurezza, anche se non si sa cosa succederà.
Questa decisione in qualche modo limita i danni. La scelta che facciamo, la decisione che prendiamo è cautelativa, e la prendiamo anche se continuiamo a avere dei dubbi.
Ad esempio, se non so se sarò interrogato dal professore domani, per sicurezza è una buona cosa prepararsi bene. Non si sa mai. Giusto? Allora posso dire:
Io, per non saper né leggere né scrivere, mi preparo lo steso.
Ovviamente la frase non va presa alla lettera. E’ solo un modo simpatico per esprimere una scelta cautelativa, per stare sicuri, tranquilli, perché non si sa mai. Magari non servirà a nulla, ma nel dubbio meglio prepararsi.
Altri esempi:
Non so se sono positivo al Covid, ma per non saper leggere né scrivere meglio non andare dai miei genitori queste feste natalizie.
Questa espressione è anche un atto di umiltà, ma una finta umiltà, come a dire che io non so fare previsioni, non so cosa succederà, ma nella mia ignoranza so cosa fare. Questa dichiarata ignoranza si esprime con il non saper leggere e scrivere, ma è ovviamente una figura retorica, solo un’immagine quindi.
Volendo potrei dire “nel dubbio”, o anche “a scanso di equivoci”, che abbiamo già visto, ma forse la frase equivalente più adatta è “per sicurezza”, e anche “in via cautelativa”.
Tra amici e in famiglia si usa spesso, soprattutto come consiglio. Solitamente non si usa allo scritto.
Adesso tocca al ripasso di oggi.
Bogusia: Gianni aspetta quantomeno da tre ore. E non arriva niente. Che ne dite, ci scervelliamo un po‘?
Rafaela: Io direi che mi gira bene adesso, perché no? Ieri non abbiamo fatto nulla e *tantomeno* oggi.
Ulrike: Cosa? Dovrei tornare a lavorare? Stai fresca
Hartmut: Ma dai! È ovvio! In virtù della nostra amicizia e tempo permettendo, ovviamente.
Emma: È risaputo che facendo le frasi di ripasso, quelle di fissano nella memoria.
Sofie: E poi sarebbe fuori luogo lasciar correre, e lasciarlo da solo, senza il nostro apporto.
Irina: Allora perso per perso, scherziamoci su. Tanto non possiamo ovviare a questi problemi con le frasi fatte della lingua italiana. Dobbiamo affrontarle.
Buongiorno a tutti e benvenuti nella rubrica due minuti con Italiano Semplicemente.
Oggi, prima di iniziare la spiegazione di una locuzione italiana, ascoltiamo un breve ripasso degli episodi precedenti dove viene usata l’espressione “di primo acchito“, che vi spiegherò dopo. Ascoltiamo un dialogo telefonico tra un ragazzo e i suoi genitori. Si parla del Natale 2020.
Emanuele (figlio): uè papino! ciao mammina!
Sedetevi che ho una domanda da farvi e non sarà una RETORICA. . . Non è che CI RESTERETE MALE se non scendo per Natale?
Emanuele: ma, mi state CAZZIANDO? Del fatto che sono giovane e IN QUANTO TALE eventuale portatore asintomatico del virus NON VE NE RENDETE minimamente CONTO? Se pensate che SGARRÒ alle disposizioni del governo così facilmente, correndo il rischio di infettarvi, STATE FRESCHI!
Anthony: di primo acchito, la tua proposta mi ha lasciato di STUCCO. Ma forse deve prevalere IL BUON SENSO.
Xiaoheng: Mi arrendo. Non PUNTO I PIEDI. Al di sopra di tutto, l’importante è che sopravviviamo a questo brutto periodo. E così, FORTI DI questa esperienza, saremo una famiglia ancora più compatta. Allora ciao carciofino, ché devo chiudere. Ho una lasagna da prepararti. Te la porterà zio Ciro che salirà domani per lavoro.
Giovanni: dunque avete ascoltato questo breve e divertente dialogo tra un ragazzo, molto saggio e i suoi genitori. Il papà dice che di primo acchito, la proposta del figlio l’ha lasciato di STUCCO.
Di primo acchito è un’espressione che significa inizialmente, all’inizio. Si tratta della primissima impressione che si ha. Spessissimo la si usa con due t (acchitto), ma la forma corretta è acchito, con una sola t.
Possiamo usare questa espressione in tantissime occasioni, ogni volta che a seguito di una prima impressione, la sensazione o l’opinione cambia: inizialmente si pensa una cosa e poi un’altra.
Ad esempio:
Ho visto una ragazza che di primo acchito sembrava la mia fidanzata, poi in realtà ho visto che non era lei.
Avevo gli occhiali appannati per via della mascherina, e stavo calpestando un topo che di primo acchito mi sembrava un pezzo di legno.
Andare ad abitare sulla luna potrebbe di primo acchito sembrare un’assurdità, eppure qualche scienziato ci sta pensando!
Appare di primo acchito incomprensibile imparare l’italiano senza concentrare troppo l’attenzione sulla grammatica, eppure questi episodi di Italiano Semplicemente mi stanno facendo cambiare idea.
Un’espressione che si può usare anche allo scritto, ma non in contesti troppo formali. La forma con due t, sebbene scorretta (acchitto), nella forma orale è comunque più diffusa.
Una delle parole italiane che hanno più utilizzi diversi è la parola FONDO.
Uno di questi utilizzi è nella frase “dare fondo” o “dar fondo”.
Si usa prevalentemente (ma non solo) in due diversi ambiti, quando si parla di energie, intese come forze, e quando si parla di soldi. In entrambi 8 casi si parla di risorse: fisiche o economiche.
In tutti i casi “dar fondo” significa terminare, finire, esaurire.
È un’espressione molto usata in entrambi i casi perché con la frase dar fondo a tutte le energie si vuole trasmettere l’idea di arrivare fino alla fine, con un senso di fatica, di impegno, di sofferenza, mentre nel caso dei soldi il senso è quello di terminare, esaurire completamente ogni risorsa economica.
Ad esempio:
Per vincere la gara di corsa ho dato fondo a tutte le mie forze.
Sicuramente dar fondo a tutte le energie o forze indica un impegno molto forte ed alla fine si è completamente esausti, completamente privi di forze.
In senso economico invece il senso è negativo, infatti per esprimere lo stesso concetto si può esprimere con verbi ed espressioni come:
bruciare, buttare, consumare dilapidare, disperdere, dissipare, gettare al vento, mandare in fumo, mangiare, polverizzare, scialacquare, scialare spendere e spandere, sperperare e sprecare.
Sono tutte modalità legate ad un utilizzo negativo del denaro. Non c’è solo il concetto di finire tutti i soldi, ma quello anche del modo sbagliato di usarli.
Si può usare solo preposizione a, al, alla, allo, agli, alle, ai.
Dar fondo al proprio patrimonio
Dar fondo a tutte le risorse
Dar fondo alle energie
Dar fondo ai risparmi di famiglia
Dar fondo agli ultimi dolci natalizi
Dar fondo allo stipendio
Dar fondo ai propri beni
Una cosa importante da dire, per capire bene questa frase, è che una volta che abbiamo dato fondo a qualcosa, non resta più nulla. Nessuna energia, nessuna forza, nessun bene, nessun patrimonio.
Adesso che siamo arrivati in fondo all’episodio non ci resta che ripassar
Rafaela: il 2020 sta perfinire. Vuoi per il Virus, vuoi per la morte di Maradona e di altri personaggi famosi, sarà annoverato tra gli anni peggiori.