Italiano d’amare – La cavallina storna

La cavallina storna (scarica audio)

Descrizione

Gianni: Ho il piacere di comunicarvi che inizia oggi una nuova rubrica. Il titolo è “Italiano d’amare”. A curare questa rubrica sarà Giovanna Rossiello, che ringrazio e a cui do il mio benvenuto.

La rubrica è adatta a studenti non madrelingua di livello intermedio.

In questo primo episodio Giovanna ci parla della cavallina Storna, di Giovanni Pascoli.

Giovanna: Salve, sono Giovanna Rossiello, giornalista, narratrice di comunità e podcaster.

Io non so cucire, ma vorrei tanto saper rammendare un po’ le relazioni tra le persone.

C’è bisogno di mettere insieme le voci. I ragazzi sono il futuro, e i nonni, oggi come ieri, sono fondamentali.

Il confronto è fondamentale per vivere.

Intanto, se volete, ascoltate “la Cavallina storna” di Giovanni Pascoli, che abbiamo realizzato a tre voci: uUna cantastorie, un giovane rapper, e la mia.

Poi mi dite che ne pensate!

Un caro saluto a tutti. A presto.

– – – – –

E’ settembre. La scuola è ricominciata e con lei le poesie da mandare a memoria.

La Cavallina storna del Pascoli mi ha sempre commossa. Anche in questo piovoso settembre.

Ascolterete tre versioni che dialogano tra loro: un po’ canto abbraccio della grande Annarosa Massotti di Barbarano Romano; un po’ rap, dell’amico e maestro Luca Usai di Vejano; un po’ classica la mia.

Perché la vita è così: mai monocorde e fatta di alti e bassi. E la Cavallina storna, al di là degli stili, è per sempre la Cavallina Storna.

Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.

I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.

Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;

che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dài retta alla sua piccola mano.

Tu ch’hai nel cuore la marina brulla,
tu dài retta alla sua voce fanciulla”.

La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte.

O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:

adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l’agonia…”

La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

oh! due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.

Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,

con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:

lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole”.

Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbracciò su la criniera

“O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!

A me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona… Ma parlar non sai!

Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una, una cosa!

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.

Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.

Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.

La paglia non battean con l’unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome… Sonò alto un nitrito.