Fatti non foste a viver come bruti

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Buongiorno, un caro saluto a tutti. Chi vi parla è Gianni, o Giovanni, cioè il creatore di Italiano Semplicemente. Oggi cercherò di spiegarvi una frase italiana famosissima.

Non si tratta, a dire il vero, di una frase idiomatica italiana, non è una espressione tipica italiana, ma si tratta di una citazione. Una citazione è quello che si fa quando si ricorda, si cita, appunto, ciò che ha detto oppure scritto qualcun altro. Una citazione quindi è il dire o lo scrivere una cosa che ha già scritto o detto qualcun altro. Questo qualcun altro, in questo caso, è Dante Alighieri.

Parleremo di Dante Alighieri in modo un po’ più approfondito in un prossimo podcast, per la rubrica “grandi personaggi italiani” (abbiamo già visto Umberto Eco e Roberto Benigni) per ora mi accontenterò di citare Dante. Oggi quindi citerò Dante Alighieri. La citazione che farò di Dante Alighieri è relativa ad una terzina del canto numero ventisei dell’Inferno. Stiamo quindi parlando della Divina Commedia.

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La Divina Commedia è, come tutti saprete, l’opera più importante composta da Dante Alighieri, e probabilmente è anche l’opera più importante della letteratura italiana e mondiale. La Divina Commedia è suddivisa in Inferno, Paradiso e Purgatorio e ognuna di queste tre parti è a sua volta divisa in “canti“. Ogni canto è diviso in parti più piccole che si chiamano “terzine“.

La terzina è detta anche “terza rima” o anche “dantesca” (dantesca perché relativa a Dante Alighieri), e si chiama anche “terzina incatenata”, è la strofa usata da Dante nella composizione della Divina Commedia.
Si chiama terzina perché è composta da tre parti, da tre versi: se fosse stata composta da due sole parti, da due soli versi, si sarebbe chiamata “distico“, un nome che conoscono solamente coloro che si occupano di queste cose, ed invece questa si chiama terzina, poiché le parti sono tre, i versi sono tre.
Ho parlato di strofa, ed infatti la terzina è una strofa, che nella letteratura è un gruppo di versi, dove ogni verso è composto da parole. Il numero dei versi di una strofa può variare, ed in questo caso abbiamo appunto una strofa composta da tre versi: una terzina.

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Dopo questa breve introduzione sulla struttura della Divina Commedia, che magari può interessare a qualcuno e comunque è interessante per coloro che studiano Dante nelle scuole di Italiano, passiamo alla celebre terzina di cui voglio parlarvi oggi.

Questa terzina, del canto numero ventisei dell’Inferno, contiene due versi famosissimi:

Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e canoscenza

è una terzina molto famosa, soprattutto il secondo ed il terzo verso. Questa terzina ci dà un quadro abbastanza chiaro, a quanto pare, della personalità di Dante Alighieri, che considerava la conoscenza il presupposto per la valutazione di una persona.

Se una persona è una persona colta, cioè conosce molte cose, allora è una persona di valore, altrimenti questa persona non vale nulla, o meglio, la sua vita equivale alla vita di un bruto, quello che lui chiama bruto.

Vediamo bene questa terzina.

Il primo verso è: “Considerate la vostra semenza“. Considerate, cioè pensate, prendete in valutazione la vostra semenza, cioè da dove venite, considerate la vostra natura, considerate il fatto che siete esseri umani, esseri intelligenti, e non bestie, non animali. Semenza viene da “seme”, da cui nascono le piante. La semenza quindi rappresenta l’origine, la razza umana in questo caso.

Ebbene, se considerate la vostra semenza, arriverete facilmente a capire, dice Dante, che non siete fatti per vivere come bruti – “fatti non foste“, cioè “non siete fatti”.

“Fatti non foste” significa che voi, voi esseri umani, non foste fatti per vivere come bruti. Foste è il passato remoto del verbo essere.

io fui
tu fosti
egli fu
noi fummo
voi foste
essi furono

Se faccio la negazione posso dire:

Voi non foste.

Quindi “voi non foste fatti” lo posso anche dire “fatti non foste”. Il voi è sottinteso.

Quindi voi, esseri umani, non foste fatti per vivere come dei bruti – “a viver come bruti“, cioè per vivere come delle bestie, come animali. La parola bruto, al singolare (bruti al plurale) rappresenta una persona che non usa la ragione, che non usa l’intelligenza, una persona che è incapace di dominare i propri istinti, e che quindi è anche violenta, feroce. La parola bruto nel linguaggio parlato è usata fondamentalmente per indicare una persona di questo tipo, soprattutto nella sfera familiare: un bruto è colui che picchia la moglie, che fa del male ai propri familiari, bruto è colui che usa violenza contro gli altri, ma soprattutto nei confronti delle donne e dei bambini.

Poi la parola al femminile “bruta” è associata spesso alla forza. La forza bruta è una forza molto grande. Se dico che io ho una forza bruta non significa che sono un bruto, un violento, ma che ho una grande forza, talmente grande che sembra quasi non essere una forza umana. Dante quindi usa il termine bruti per dire che l’essere umano è fatto per pensare e per conoscere, per leggere e apprendere, e non per usare la violenza, non per essere vittima dell’istinto, come un animale.

Infatti l’ultimo verso recita: “ma per seguir virtute e canoscenza“.

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza, cioè per seguir, cioè per seguire, cioè conseguire, per inseguire la conoscenza, che Dante chiama canoscenza: il nostro obiettivo, come esseri umani, è cercare di perseguire la conoscenza.

Dante usa “seguir”, che sta per seguire, ma è da intendere come conseguire, cioè cercare di raggiungere, cercare di raggiungere l’obiettivo della conoscenza. Questo è la cosa per cui siamo fatti. Questa è la cosa per cui l’essere umano è fatto. “E’ fatto per” significa che “serve a”, che “è nato per”. Se noi siamo fatti per la conoscenza, quindi, vuol dire che siamo nati, siamo predisposti per aumentare la nostra conoscenza.

Quindi “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza“.

La “virtute” è la virtù. Se provate a cercare sul dizionario la parola virtute molto probabilmente non la troverete, dipende un po’ da quello che utilizzate, ma la virtute è la virtù, e la virtù è ogni buona qualità, ogni caratteristica positiva dell’essere umano.

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Ognuno di noi ha almeno una virtù: una persona può essere buona, un’altra sensibile, un’altra ancora ha la virtù del fascino, oppure la virtù della pazienza. Questa potrebbe essere la mia virtù, ad esempio: io mi reputo una persona molto paziente, che sa aspettare.

La virtù è più una caratteristica dell’animo umano, ma la parola virtù ha moltissimi significati in realtà.

Quindi l’essere umano, dice Dante, è fatto per inseguire le virtù, è fatto per migliorarsi di giorno in giorno, per assumere un valore sempre maggiore, “e conoscenza”: “seguir virtute e canoscenza“, cioè per conseguire le virtù e per imparare cose. Se l’uomo non impara non ha valore.

Beh credo che il messaggio di Dante sia abbastanza condivisibile da tutti. Non sono entrato nel dettaglio di tutte le spiegazioni perché in questo episodio volevo solamente farvi capire che questa frase è molto famosa, molto utilizzata in Italia, soprattutto negli ambienti intellettuali, o comunque da persone che hanno una alta cultura.

Dante spesso fa omaggio alla conoscenza ed all’importanza per l’uomo: “Tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere“, dice all’interno del Convivio, che è un’altra opera di Dante Alighieri.

Immagino che anche voi, che state ascoltando e leggendo questo episodio, avete voglia di sapere, di conoscere. Vi lascio allora ascoltare, non con la mia voce, ma con la voce di Benigni, famoso attore e comico italiano, la famosa terzina del canto numero ventisei dell’Inferno, così da farvi innamorare della melodia della lingua italiana.

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Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e canoscenza

Bene, spero che l’episodio vi sia piaciuto e in futuro, come vi dicevo, è in programma un podcast interamente dedicato a Dante Alighieri, dove non racconterò ovviamente tutta la sua vita né farò l’elenco delle sue opere, ma parlerò come al solito di un aspetto di interesse relativo alla lingua italiana, all’apprendimento della lingua italiana.

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Quello di oggi è sicuramente un aspetto legato all’apprendimento, perché l’apprendimento di una lingua significa voglia di conoscenza di una lingua e di una cultura in generale, quella italiana nella fattispecie, quindi oggi abbiamo anche scoperto che non siamo fatti per vivere come bruti ma per conseguire le virtù e la conoscenza.

Abbiamo anche visto da vicino una frase molto famosa in Italia, i due versi finali delle terzina descritta sopra, e quindi è come aver imparato una espressione tipica italiana.

Se venite in Italia e vi capita di andare in un ristorante molto affollato o di andare in un autobus molto affollato, dove in entrambi i casi ci possono essere persone che alzano la voce, che strillano, che sono nervose, ebbene, potete dire a queste persone: ”

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e canoscenza

Buona giornata e continuate a seguire Italiano Semplicemente, perché il prossimo podacst sarà dedicato ai verbi prenominali, e spiegherò in particolare una frase idiomatica italiana che contiene appunto un verbo prenominale. In realtà lo ho già fatto in passato, perché mi è capitato di spiegare ad esempio la frase “farsene una ragione“, la cui spiegazione la potete trovare sul sito italianosemplicemente.com, che contiene proprio un verbo prenominale, anche se non è stato detto all’interno del podcast perché, come sapete, non è buona cosa concentrarsi sulla grammatica ma sulla comunicazione, ben più importante della grammatica, soprattutto per chi ama ascoltare.

Ma un ragazzo di nome Renato mi ha chiesto di dedicare un podacst ai verbi pronominali ed io lo farò perché mi piace andare incontro alle esigenze dei membri della famiglia di Italiano Semplicemente. Ovviamente lo farò nel modo consueto, senza annoiare possibilmente, e facendo esempi divertenti.

Alla prossima amici.

Una parola!

Audio

E’ possibile ascoltare il file audio e leggere la trascrizione di questo episodio tramite l’audiolibro (Kindle o cartaceo) in vendita su Amazon, che contiene in tutto 42 espressioni italiane.

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Trascrizione

Buonasera, grazie di essere qui all’ascolto dell’episodio di oggi di Italiano Semplicemente. Oggi a Roma fa abbastanza freddo e speriamo di riuscire a scaldarci con la vostra compagnia.

Allora dove eravamo rimasti? Eravamo rimasti alle domande che mi avete fatto riguardo alle spiegazioni di alcune cose. C’è chi mi ha chiesto cose particolari, altri delle frasi idiomatiche italiane, e c’è chi, come Ramona, mi ha chiesto di spiegare una parola: la parola è “parola!”.

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Ebbene sì. “Parola” è la parola del giorno. Facile? Probabilmente sì, molto facile, sia da pronunciare che da scrivere. Il problema è che questo è un vocabolo molto usato nelle espressioni tipiche italiane. Ci sono molte espressioni, molte frasi che contengono questo termine: “parola“. Oggi quindi vediamo un episodio particolare, in cui vediamo proprio tutte queste frasi.

Forse un po’ più difficile come episodio da ascoltare e ricordare, ma cercherò di essere il più chiaro possibile, cercando di non annoiarvi.

Si tratta di un episodio che durerà almeno 20 minuti, quindi se dovete farvi una passeggiata, se dovete fare le pulizie di casa, indossate le cuffie e buon ascolto.

Per non annoiarvi l’esercizio di ripetizione lo faremo all’interno del podcast.

Allora vediamo prima le frasi più semplici e brevi, poi passiamo alle più complicate.

  • E’ una parola!

“E’ una parola” è la prima espressione. Si tratta di una esclamazione, che significa “non è facile”.

Questa espressione quindi significa semplicemente questo: non è facile. E’ una parola! cioè: non è come dire una parola, non è facile come se si trattasse di dire o di comprendere una parola.

Se vi dicono: mi devi leggere questo documento di 1000 pagine e domani mattina voglio trovare un riassunto sulla mia scrivania. Allora voi se pensate che la cosa è difficile e complicata potete dire: è una parola! Si tratta ovviamente di una espressione colloquiale e non si usa per iscritto.

Vediamo una seconda espressione:

  • passaparola

Un solo termine: passaparola. Passaparola è l’azione che si fa, ciò che si fa quando si comunica ad una persona una informazione, e poi questa persona la comunica ad un’altra persona, e poi ancora ad un’altra. Questo accade soprattutto in ambito commerciale: se un negozio, un market ad esempio, fa delle offerte speciali, fa degli sconti, dei prezzi bassi, allora le persone comunicano tra loro e questo comunicare si chiama “passaparola“, perché la parola passa da una bocca all’altra. Passare è il verbo che si usa, perché passare vuol dire dare una cosa ad un’altra persona. In questo caso il passaparola è il passaggio di un messaggio, di una comunicazione. Le aziende che fanno pubblicità ad esempio, sperano nel passaparola, sperano cioè che le persone parlino dei prodotti dell’azienda con altre persone, che potrebbero essere interessate a questi prodotti.

Analogamente “passar parola” o “passare parola” vuol dire comunicare qualcosa a qualcuno. Ma in questo caso non ci sono una serie infinita di persone coinvolte, ma c’è una o poche più comunicazioni; uno o più passaggi. Se ad esempio un vostro amico vi dice “dovresti dire a Giovanni ed ai suoi colleghi che il loro ufficio oggi è chiuso“. Allora io rispondo e dico: “ok, passerò parola“, cioè “ok, glielo dirò“.

Invece:

  • passare la parola

Con l’articolo “la” significa semplicemente “lasciare la parola“, cioè lasciare che parli qualcun’altra persona. “Passare la parola” si usa nelle riunioni, nelle conferenze, nei meeting, quindi in ufficio sostanzialmente. Se state in una riunione e state facendo un discorso, dopo potete dire: “ok, spero di essere stato chiaro, adesso passo la parola a Giovanni, che vi spiegherà alcune cose“.

Poi c’è anche:

  • togliere la parola di bocca

Si dice anche “levare le parole di bocca“. Togliere la parola di bocca significa dire qualcosa che stava per dire qualcun altro. “mi hai tolto la parola di bocca” è una frase che si può dire a qualcuno che vi anticipa, dicendo, prima di voi, qualcosa che voi stavate per dire.

“Accidenti, lo stavo per dire io, mi hai tolto la parola di bocca”.

Qui è importante usare “di” e non “dalla” perché le espressioni idiomatiche non rispettano necessariamente le regole grammaticali.

Ma la parola si può anche “tenere”:

  • tenere parola

Tenere parola a qualcuno di qualche cosa significa parlargliene, cioè fargliene cenno. “Mi raccomando, è un segreto, e ti prego di non tenerne parola a nessuno”: “di non tenerne parola a nessuno” cioè di non dire nulla a  nessuno, di non parlarne con nessuno, perché è un segreto: non ne devi parlare con nessuno, non ne devi tenere parola con nessuno.

Diverso è se aggiungete “in

  • tenere in parola

Questa frase si usa nel lavoro soprattutto: se tenete in parola un vostro cliente, vuol dire che avete preso un accordo con lui, un accordo verbale, a voce quindi, senza nulla di scritto, quindi si dice che avete tenuto in parola il vostro cliente, e lui si fiderà di voi, perché glielo avete promesso. Quindi se si tiene in parola qualcuno, si tiene vincolato qualcuno, in una trattativa d’affari o in una prospettiva di lavoro.

La parola si può tenere, ma si può anche dare:

  • Dare la propria parola

Significa promettere di dire la verità. Se una donna dice al fidanzato: “promettimi che non mi hai mai tradito. Dammi la tua parola!” Il fidanzato sicuramente dirà: “ti do la mia parola, cioè te lo prometto“.

Quindi dare la propria parola vuol dire questo: giurare di dire la verità.

Se poi non è vero ciò che si è detto, allora vuol dire che non si è tenuto fede alla parola data.

  • Tener fede alla parola data

Vuol dire che qualcuno ha dato la sua parola, ma poi non ha mantenuto la promessa, e quindi non ha tenuto fede alla parola data. Questa è un frase più difficile delle altre se vogliamo. Una promessa fatta e poi non mantenuta significa non tener fede alla parola data.

La parola si può anche “rimangiare”

  • Rimangiarsi la parola/le parole

Vuol dire cambiare idea. Le parole escono dalla bocca, e mangiare sta ad indicare che si mette qualcosa in bocca. Ciò che si mangia è il cibo: la carne, la verdura la frutta eccetera. Invece rimangiare non vuol dire solo mangiare due volte, ma è come se si cercasse di far tornare le parole dette, la promessa che si è fatta, in bocca: “rimangiarsi la parola”,è come se le parole tornano indietro la parola al singolare, vuol dire smentire quanto si è detto, far finta che non si sia mai detto.

Quest’anno ti regalo un viaggio a Disneyland“, potrebbe dire un genitore al figlio, e dopo qualche tempo il figlio potrebbe chiedere al padre: “papà, quando andiamo a Disneyland?” Il padre, che si era dimenticato della promessa, potrebbe dire: “non avevo mai detto che andavamo a Disneyland!“, “Che fai, ti rimangi la parola?” potrebbe dire il figlio. In questo caso il padre del bambino si è appunto rimangiato la parola, perché ha detto di non aver mai fatto quella promessa al figlio.

La parola si può anche spendere:

  • spendere una parola/qualche parola

“Spendere” è un verbo che si usa con il denaro solitamente, oppure col tempo. “Oggi ho speso 100 euro al ristorante“, oppure “ho speso due ore a fare un lavoro inutile“.

Quando si “spende una parola”, invece, vuol dire che si parlerà di qualcosa. Si dice spendere una parola a favore di qualcuno o qualcosa.

Ad esempio: “Spero che durante la riunione spenderai una parola su di me, e che spenderai qualche parola sul mio lavoro“.

Quindi in questo caso vuol dire: spero che troverai il tempo di parlare di me, spero che tra tutte le cose che dirai oggi, qualcuna delle tue parole sarà dedicata a me ed al mio lavoro.

Si usa molto nel lavoro: ad esempio “ho speso una parola su di te oggi col mio capo“, cioè ho parlato di te. Il senso è positivo, non si spendono parole in senso negativo, ma solamente in senso positivo.

In questo senso, riferito alle persone, si dice anche:

  • metterci una buona parola

Qui usiamo il verbo “mettere“: se io metto una buona parola su di te, vuol dire che parlerò bene di te, cercherò di aiutarti. La parola è buona, cioè serve ad aiutare qualcuno, e la parola buona si “mette”, si mette “su qualcuno”.

Se qualcuno vi dice “oggi metterò una buona parola su di te”, allora voi potete rispondere: “ok, grazie, ti prendo in parola”.

  • Prendere in parola

Vuol dire fidarsi: mi fido della tua parola, mi fido di ciò che hai detto, faccio affidamento su quanto hai appena detto: ti prendo in parola. Attenzione a fare le promesse che non potete mantenere, soprattutto ai figli, perché altrimenti loro ti prendono subito in parola.

Poi c’è anche:

  • far parola di qualcosa a qualcuno

Che significa accennare, parlare di qualcosa a qualcuno. Ad esempio puoi dire ad un tuo collega: “Potresti aiutarmi a risolvere questo problema?” lui potrebbe rispondere: “ne farò parola con il mio dirigente, lui potrebbe aiutarti“. Si usa quindi quando volete parlare di un dato argomento o anche solo accennarne a qualcuno.

Le parole si possono anche pesare:

  • Pesare le parole

Vuol dire prestare attenzione a ciò che si dice, fare attenzione alle parole che si usano, perché anche una sola parola potrebbe essere pericolosa. I politici ad esempio, quando sono intervistati dai giornalisti, devono pesare le parole. Pesare è un verbo che si usa solitamente quando si deve capire quanto un oggetto è pesante: Quanto pesa un oggetto? 1 grammo, 10 grammi, 1 ettogrammo, 1 chilogrammo, eccetera. Pesare le parole quindi indica cercare di capire quanto una parola è pesante, quanto cioè è importante.

Andiamo avanti:

  • dire l’ultima parola

Si dice l’ultima parola quando si parla con qualcuno, e magari si discute, non si è d’accordo su un certo argomento e si vuole avere ragione. Tra marito e moglie ad esempio, in caso di litigio, di discussione, tutti e due vogliono dire l’ultima parola, vogliono parlare per ultimi, prima del silenzio, come se parlare per ultimi volesse dire avere ragione.

In effetti dire l’ultima parola vuol dire anche questo: avere ragione. Se ascoltate qualcuno che dice: “sono io che voglio dire l’ultima parola su questo argomento”, vuol dire che questa persona vuole vincere una battaglia, vuole mettere fine alle discussioni, vuole zittire tutti e risolvere il problema. Dopo di lui non parlerà più nessuno, perché il problema sarà risolto: è lui che metterà l’ultima parola.

Vediamo adesso:

  • quattro/due parole in croce

Solitamente questa frase si usa quando si parla di un discorso o di uno scritto molto breve, molto succinto e conciso, come formato da quattro parole che intersecandosi (incrociandoli) formano le quattro braccia di una croce. Spesso si usa con il verbo spendere, come abbiamo visto prima. Quindi si sente spesso dire: “spendere una parola o qualche parola a favore di qualcuno“, ma se si spendono due parole o quattro parole in croce a favore di qualcuno, vuol dire che non si è parlato poco, si sono dette quattro parole, oppure due parole, quindi è inutile.

Ammettiamo che ci sia qualcosa di importante di cui dovete parlare durante una riunione. Dovete parlarne perché è importante, ma non dovete spendere due parole in croce, o non dovete spendere quattro parole in croce, perché in questo caso ne avete parlato molto poco, non ne avete parlato a sufficienza, non ne avete parlato quanto dovevate parlarne considerata l’importanza dell’argomento.

In questo caso si può anche dire

  • spendere mezza parola

Se spendete quindi mezza parola, o qualche mezza parola o due mezze parole a favore di qualcosa, ne avete parlato poco, ovviamente la parola non si può spezzare a metà, non si può dividere in due, quindi il senso anche qui è figurato.

 

Poi c’è anche chi ne usa poche e chi non ne usa nessuna. Chi non usa parole, perché magari non trova le parole da dire, perché emozionato o perché non trova la forza di dire nulla, si dice che “resta senza parole”

  • restare senza parole

Si resta senza parole davanti ai morti di una guerra, si resta senza parole davanti a qualcosa che ci colpisce, che ci immobilizza, che ci sconvolge anche. Restare senza parole significa quindi rimanere esterrefatti, sbalorditi, tanto stupiti o meravigliati da non riuscire a reagire, nemmeno parlando: si resta senza parole.

Una frase molto semplice è poi:

  • dire due parole

Che equivale a spendere due parole, ma è più informale. Dire due parole è molto usata come frase in ogni contesto. “Dai, dicci due parole sulla tua vita” potreste chiedermi ed io potrei dirvi: ok, sono italiano, abito a Roma, sono sposato”.

Vi posso anche dire che esiste la frase:

  • avere una sola parola

che vuol dire non cambiare mai idea. Avere una sola parola quindi è una caratteristica di chi è una persona di parola, di chi mantiene la parola.

  • mantenere la parola

Infatti significa esattamente questo: mantenere le promesse, non smentirsi, avere una sola parola,

  • essere una persona di parola

e se una persona è di parola, la potete prendere in parola, potete far parola su di lui, potete fidarvi di lui perché questa persona è di parola. Chi è di parola mantiene le promesse, mantiene la parola data.

Vedrete che anche se adesso avete alcune difficoltà, dopo qualche volta che ascolterete questo episodio non avrete più alcun problema.

A proposito di mantenere la parola data, c’è una frase dialettale che però è di uso comune in Italia e che tutti comprendono: chi non mantiene la parola data si dice che è un “quaquaraquà!”. Se sei un quaquaraquà sei una persona che parla, parla, parla, chiacchiera inutilmente, dice tante parole, e solitamente i quaquaraquà dicono un sacco di bugie. Quaquaraquà simiglia un po’ al verso delle oche, o delle papere: qua, qua, qua, e ci fa capire come il quaquaraquà, la persona che viene chiamata quaquaraquà vuol dire che parla molto ma ciò che dice non conta nulla, come se fossero tutte parole uguali: qua, qua qua!

Bene, abbiamo finito con i verbi, vediamo adesso alcune frasi in cui alla parola viene associato un aggettivo o una caratteristica:

  • parole sante/parole d’oro

Quando sentite qualcuno esclamare”parole sante“, o “parole d’oro” vuol dire che dà molto valore alle parole che ha appena ascoltato.

Se il santo padre, cioè il Papa, se Papa Francesco dice:

il segreto per la pace del mondo è la fratellanza

Io posso dire: “parole sante!” ed in questo modo voglio dire che ciò che ha detto Papa Francesco è una cosa importante, ma non solo Papa Francesco dice parole sante.

Il termine sante si usa in senso figurato. Nella religione cristiana i santi sono delle persone che hanno compiuto dei miracoli e che sono quindi degne di essere ricordate dai cristiani. Non sono però i santi a pronunciare “parole sante”, ma sono tutti coloro che dicono delle cose importanti, delle verità, delle verità importanti. L’aggettivo sante, associato alle parole, serve solamente ad indicare l’importanza delle parole, come se fossero state pronunciate da un santo.

 

Le parole possono essere anche “grosse”.

  • parole grosse

“Parole grosse” è anch’essa una esclamazione. Grosso significa grande. Semplicemente. Ma grande si usa più per gli oggetti e le cose che si toccano, le cose tangibili. Invece grosso si usa spesso per le cose non tangibili, che non si toccano: posso parlare di un grosso affare, di un grosso investimento, di una grossa opportunità, di grosse occasioni eccetera. Ma quando si usa la frase, l’esclamazione “parole grosse“? Si usa quando le parole che sentite pronunciare da qualcuno sono delle parole, che non sono “importanti”, ma che possono avere degli effetti importanti, e spesso sono anche esagerate.

Se ad esempio mio figlio mi dice:

papà, non ti voglio più bene, anzi, non ti ho mai voluto bene!

beh io dico che queste sono parole grosse, sono parole esagerate, parole pesanti. Non è possibile che mio figlio pensi queste cose di me, e tra l’altro se fosse vero le conseguenze potrebbero essere molto gravi.

Vi faccio un secondo esempio: se nel mio ufficio c’è una atmosfera diciamo un po’ ostile, perché le persone hanno discusso, hanno litigato tra loro e non vanno più d’accordo, io allora potrei stancarmi della situazione, e potrei dire:

basta! Non voglio più far parte di quest’ufficio, perché siete tutti una massa di stronzi!“.

A questo punto, il dirigente dell’ufficio potrebbe dire: non c’è bisogno di dire queste parole grosse, bisogna fare pace perché quello che è successo è una sciocchezza!

Concludiamo con la parola d’ordine.

  • parola d’ordine

La “parola d’ordine” è nata nell’esercito, nelle forze armate, quindi si usa durante una guerra ad esempio. La parola “ordine” è una parola molto importante nell’esercito. La parola d’ordine è una frase, quindi non una parola singola, ma un insieme di parole, una espressione: non una parola sola ma una espressione. E che espressione è? Qual’è la sua caratteristica? Non tutte le espressioni infatti sono parole d’ordine.

La parola d’ordine è una frase segreta, usata per farsi riconoscere dagli alleati ad esempio. Se non si conosceva la parola d’ordine non si poteva entrare, non si poteva accedere in un edificio ad esempio, o in un territorio, perché chi stava alla porta, la guardia, il militare che stava all’ingresso chiedeva: “conosci la parola d’ordine?” E la persona che doveva entrare doveva sapere la parola d’ordine, altrimenti non poteva entrare. Si tratta di una specie di password quindi, ma era una frase, anche detta “lasciapassare”, perché si lasciava passare la persona che conosceva la parola d’ordine.

La parola d’ordine però è anche qualcos’altro, non solamente una frase che occorre conoscere per entrare da qualche parte. Si può usare la parola d’ordine anche per indicare una delle cose più importanti.

Vi faccio un esempio: in una azienda la parola d’ordine potrebbe essere: “puntualità”, non perché non puoi entrare in azienda se non la conosci – l’azienda non è un esercito –  ma perché è la cosa che conta di più, la cosa più importante per lavorare in quell’azienda: la puntualità è la parola d’ordine.

Credo che può bastare così per oggi, spero che Ramona, professoressa di chimica, sarà contenta di questa spiegazione. Forse ho un po’ esagerato, perché sono veramente molte frasi che contengono il termine “parola”.

Grazie di averci seguito, grazie a Ramona, un grosso abbraccio da parte mia e vi do la mia parola che farò sempre il massimo per aiutarvi a migliorare il vostro italiano. Parola di Gianni.

Parola mia

Quando si dice “parola mia“, o “parola di Gianni”, in questo caso, o parola di Marco, o di chi parla, vuol dire fidatevi, perché ve lo dico io, è una parola mia, quindi vi potete fidare.

Ciao a tutti.

Il lavoro nobilita l’uomo

Il lavoro nobilita l’uomo (scarica audio)

 

Trascrizione

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Il Palazzo della civiltà del lavoro, a Roma

Ciao ragazzi, eccoci arrivati all’appuntamento settimanale di Italiano Semplicemente.

Qualche giorno fa ho chiesto, sul gruppo Facebook di Italiano Semplicemente, se i visitatori, i membri della famiglia di Italiano Semplicemente, avessero delle domande da farmi, avessero qualche cosa da chiarire a proposito della lingua italiana, una domanda che  faccio di tanto in tanto per avere un’idea dei problemi degli stranieri con la lingua italiana. Ho ricevuto molte richieste e sto lavorando sulle risposte. State tranquilli quindi che piano piano cercherò di rispondere a tutte le vostre richieste.

Oggi invece vorrei parlarvi di una frase molto importante che ha un profondo significato. La frase è “il lavoro nobilita l’uomo“. La frase è stata detta probabilmente per la prima volta da Darwin, cioè da Charles Darwin, colui che creò la teoria dell’evoluzione.

Il lavoro nobilita l’uomo, cioè il lavoro rende nobile l’uomo, quindi lo nobilita, il lavoro nobilita l’uomo, lo rende  nobile. Rendere nobile qualcuno vuol dire far diventare nobile: é grazie al lavoro che l’uomo diventa nobile. Senza il lavoro invece, l’uomo, inteso come razza umana (quindi anche la donna) non sono nobili.

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Essere nobili significa essere superiori, significa avere un maggiore prestigio. In sostanza se qualcosa ci rende nobili, ci rende migliori, ci fa diventare migliori. Il lavoro è talmente importante che grazie al lavoro siamo persone migliori.

Questo è il significato della frase “il lavoro nobilita l’uomo“.

L’importanza del lavoro è talmente elevata che è universalmente riconosciuto, il lavoro,  come fondamentale, come un diritto fondamentale dell’uomo.

Il lavoro è un diritto fondamentale, cioè tra tutti i diritti, tra tutte le cose che spettano all’uomo, di cui l’uomo ha diritto, il lavoro è una delle cose più importanti, fondamentali. Fondamentale significa che senza il lavoro non c’è nulla. Il lavoro è fondamentale, cioè necessario, indispensabile.

Fondamentale viene da fondamenta, e le fondamenta (fondamenta è una parola femminile) sono ciò che si trova sotto le case, ciò che sostiene ogni casa: esistono le fondamenta di un palazzo, le fondamenta della casa, le fondamenta di una chiesa.

Potreste chiedervi il motivo per cui ho deciso di parlare di lavoro oggi.

La motivazione principale è che, come molti di voi sanno, sto sviluppando da tempo il corso di Italiano Professionale, un corso che forniscaetutti gli strumenti linguistici per poter lavorare in Italia, ma c’è anche un altro motivo.

Mi è infatti capitato qualche giorno fa di vedere un programma in TV in cui si parlava della religione islamica e delle regole che ogni musulmano deve rispettare.

Mi ha molto colpito che all’interno del Corano, scusate la mia ignoranza ma in quanto cattolico non conosco nel dettaglio il contenuto del Corano, ci sia spazio anche per il lavoro.

Allora ho chiesto ai miei amici su Facebook di spiegarmi in legame tra l’ISLAM e il lavoro.

Allora mi è stato spiegato, e ringrazio Mohamed, Safia e Rania per il loro aiuto, che secondo la religione islamica, “Lavorare è un dovere“.

Lavorare è un dovere quindi, oppure lavorare è un diritto?

E’ un dovere, cioè è una cosa che si deve fare, oppure è un diritto, cioè è una cosa che ci spetta, e di cui tutti ne hanno il diritto?

Due concetti opposti: diritto e dovere, se ci pensate bene, ma vediamo meglio:

Mohamed specifica che secondo la dottrina islamica:

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Il Corano

“il lavoro costituisce la base sulla quale si fonda l’universo ed è il solo garante della sopravvivenza delle creature”.

Spieghiamo: garante significa che garantisce, cioè che assicura. Il lavoro è il solo garante della sopravvivenza delle creature, cioè il lavoro assicura la sopravvivenza. Grazie al lavoro si è vivi. Lavoro è vita.

Continuo citando testualmente le parole di Mohamed:

Dio l’Altissimo ha dotato ciascuna delle Sue creature di adeguati mezzi, mediante i quali esse possono trarre profitto ed evitare i danni.L’uomo, che è la più stupefacente e complessa specie dell’universo, ha maggiori necessità rispetto alle altre creature. È per questo che gli occorre una maggiore attività per potere da un lato soddisfare le sue numerose esigenze e dall’altro mantenere la famiglia che deve per natura formare.È questo il motivo per il quale l’Islam, religione naturale e sociale, considera il lavoro come uno dei doveri dell’essere umano. A tal proposito il sommo Profeta dice: “È dovere di ogni Musulmano, uomo o donna che sia, lavorare per conseguire beni leciti con i quali sostentarsi”.

Ok. Vale la pena evidenziare la parola “leciti“:  con il lavoro si devono conseguire, cioè raggiungere, i beni leciti con i quali sostentarsi. I beni leciti sono i beni ottenuti senza commettere illeciti, cioè rispettando la legge

Tutto ciò che è lecito si può fare, perché la legge ci consente di farlo. I beni quindi sono leciti se sono ottenuti lecitamente, cioè rispettando la legge.

Torniamo però al concetto di dovere e di diritto.

« “Il diritto è un apparato simbolico che struttura un’organizzazione sociale anche quando si sa che alcune sue norme sono destinate a rimanere inapplicate”. »

(Definizione di Stefano Rodotà)

Secondo la dottrina islamica il lavoro è un dovere, abbiamo detto. Si deve lavorare, perché se non si  lavora vuol dire che per sopravvivere si deve ricorrere a qualcosa di illecito, di non lecito.

Chi non lavora, questo credo sia il senso, vuol dire che non rispetta la legge.

Questo è molto interessante, ma nello stesso tempo si dice anche che, come detto prima, che il lavoro costituisce la base sulla quale si fonda l’universo ed è il solo garante della sopravvivenza delle creature.

Questa frase dà maggiormente l’idea del diritto, perché è il mezzo attraverso il quale si vive. La sopravvivenza  quindi è la posta in gioco. Quindi in questo senso il lavoro è maggiormente interpretabile come un diritto che come un dovere.

Il lavoro è importante ovviamente in tutto il mondo, e se usciamo dalla religione islamica e vediamo come il lavoro è visto in Italia in generale, c’è un chiaro riferimento al lavoro nella Costituzione Italiana, che è la legge più importante d’Italia. In questo caso quindi non si sta parlando di una religione, ma si parla di diritti e doveri in generale.

costituzione_immagine

Secondo la Costituzione italiana, al primo articolo della Costituzione si legge che:

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Questa è la prima parte del primo articolo della Costituzione Italiana.

Secondo la Costituzione Italiana quindi la stessa Italia, lo stesso paese, è fondato sul lavoro.

Non parla di diritti o doveri quindi, ma dice che l’Italia, la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro. Il lavoro è un fondamento della Repubblica Italiana. Senza il lavoro la Repubblica Italiana non esiste.

Quindi anche qui, come nel Corano nella frase che abbiamo visto prima, è chiaro, anche se non viene scritto, si sta più parlando di diritti che di doveri.

Ci sono poi altre parti, altri articoli della Costituzione che parlano del lavoro, ad esempio nell’articolo 48, dove si parla del lavoro come un diritto ma, attenzione, anche come di un dovere civico, cioè di un dovere del cittadino, di ogni cittadino italiano.

costituzione_immagine_art-48

L’articolo numero 4  poi è molto importante perché afferma che tutti i cittadini hanno  il diritto al lavoro, e che ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Insomma per la legge italiana il lavoro è un diritto-dovere.

Non è obbligatorio lavorare però, quindi non possiamo dire che il lavoro sia un vero dovere, però sicuramente è un diritto.

Sul diritto non ci sono dubbi. Riguardo al dovere, si tratta, come detto prima, di un dovere civico, cioè per potersi sentire un vero cittadino, bisogna lavorare, è importante che ciascun cittadino italiano lavori per potersi ritenere un vero cittadino Italiano.

Certo, parlare di un vero dovere, nell’Italia moderna, fa un po’ ridere, poiché in effetti oggi è molto difficile lavorare, è difficile riuscire a trovare un lavoro, riuscire ad esercitare il diritto al lavoro.

Quindi purtroppo nella società di oggi è facile parlare di diritto, perché nessuno ci può negare il diritto al lavoro ma parlare di dovere non è, diciamo, così scontato.

Un dovere è il frutto di una scelta , e se non si può scegliere se lavorare o non lavorare, parlare di dovere lascia un po’ il tempo che trova. Se una cosa lascia il tempo che trova vuol dire che non serve a nulla, è inutile.

Bene ragazzi mi è piaciuto fare questo confronto tra la religione musulmana e la Costituzione Italiana sul tema del lavoro.

Mi spiace molto che ci siano i cosiddetti Hadith, cioè i detti del Profeta, che parlano di lavoro ma che purtroppo non vengono tradotti in italiano.

Grazie  a Rania per questa informazione.

Attendo comunque i vostri commenti su Facebok oppure sullo stesso articolo sui italianosemplicemente.com e mi scuso con tutti se non fossi riuscito a ben interpretare la dottrina musulmana su questo argomento.

Mi rendo conto che l’argomento necessita di approfondimento ma lascio a voi visitatori la possibilità di commentare l’articolo e  aggiungere tutte le informazioni che ritenete opportune.

Ora facciamo un piccolo esercizio di ripetizione per esercitare la pronuncia: ripetete dopo di me e cercate di ricopiare ciò che dico.

Non pensate alla grammatica ma ripetete semplicemente.

Il lavoro nobilita l’uomo

Il lavoro nobilita l’uomo

Il lavoro nobilita l’uomo

Il lavoro rende nobile l’uomo

Il lavoro rende nobile l’uomo

Lavorare è un dovere

Lavorare è un dovere

Lavorare è un diritto

Lavorare è un diritto

Ciao ragazzi, ci sentiamo al prossimo podcast e grazie a tutti coloro che aiutano Italiano Semplicemente attraverso i loro suggerimenti, commenti, e anche a chi ci aiuta attraverso una donazione con paypal o con carta di credito.

Vi farò vedere attraverso una foto su Facebook il regalo che acquisterò per i miei con i primi soldi raccolti.

Per i più esigenti vi ricordo poi che esiste l’associazione italiano semplicemente. 

Grazie a tutti e al prossimo podcast dove cercherò di venire incontro alle vostre numerose richieste di spiegazione.

Ingannare il tempo

Audio

E’ possibile leggere ed ascoltare e/o scaricare il file audio di questo episodio in formato MP3 tramite l’audiolibro (+Kindle o cartaceo) in vendita su Amazon, che contiene in tutto 54 espressioni italiane e 24 ore di ascolto.

US  – UK – DE – FR – ES – IT – NL – JP – BR – CA – MX – AU – IN

Trascrizione

ingannare_il_tempo_immagineBuonasera amici di Italiano Semplicemente.

Elettra: ciao io sono Elettra:

Emanuele: ciao io sono Emanuele

Ecco, adesso ci siamo presentati tutti. Questa sera siamo qui, a casa, e con l’aiuto di Elettra ed Emanuele proveremo a spiegare una frase molto interessante che ci è stata proposta da Tatiana. Credo che il suo nome sia questo, perché è scritto in una lingua che non capisco molto bene.

Tatiana in ogni caso risponde ad un mio post su Facebook, dove avevo chiesto ai visitatori di Italiano Semplicemente se avessero qualcosa da chiedere, qualche frase particolare sulla quale avrei potuto aiutarli.

Tatiana mi chiede di spiegare una frase, mi chiede di spiegare il significato di un’espressione. L’espressione è “ingannare il tempo”.  Vediamo se Elettra conosce il significato di ingannare il tempo.

Elettra: Io… forse lo so ma non sono sicura.

Gianni: Prova a dire che vuol dire ingannare.

Elettra: Ingannare?

Gianni: il verbo ingannare.

Elettra: ingannare vuol dire… sarebbe un sinonimo di “mentire”.

Gianni: mentire! Ok quindi ingannare vuol dire “mentire”.

Elettra: Sì!

Gianni: Quindi se inganniamo una persona vuol dire che gli diciamo una bugia. E qual è la finalità? È una parola brutta “ingannare” in realtà!

Elettra: sì, che sarebbe tipo… dirgli una bugia per ottenere qualcosa che lei non vorrebbe che noi dicessimo.

Gianni: però magar8i a noi conviene!

Elettra: A noi conviene, però lo fanno le persone proprio… cattive.

Gianni: ok questo è “ingannare”. Manu (Emanuele), tu cosa ne pensi del verbo ingannare?

Emanuele: Vuol dire mentire! Insomma dire una cosa che non è vera per poi prendere…. Per fare qualcosa che non è bello!

Gianni: per avere un vantaggio comunque.

Emanuele: Eh!

Gianni: Ok, quindi il tempo non è una persona, giusto Ele?

Elettra: No!

Gianni: possiamo ingannarlo il tempo?

Elettra: no!

Gianni: è difficile riuscire ad ingannarlo! La frase ingannare il tempo non ha un significato tutto suo, non ha un significato proprio. Avrà un altro significato, giusto? Si dice così. Un significato figurato. Vediamo se Eletra lo sa cosa significa ingannare il tempo.

Elettra: ingannare il tempo vuol dire che tu, in pratica, è come risparmiare il tempo!

Gianni: è come risparmiarlo, ma il tempo passa sempre alla stessa velocità?

Elettra: sì, sempre alla stessa velocità ma, sei tu (“tu”=“te”, gergo giovanile) che, che ne so, mentre …

Gianni: mentre aspetti che tuo fratello si fa la doccia, ad esempio, non sai che fare…

Elettra: Tipo (“tipo”=“ad esempio”, gergo giovanile) se è mattina, tipo devi andare ad una occasione importante, lui si fa la doccia e tu potresti fare colazione.

Gianni: e per quale motivo?

Elettra: in che senso per quale motivo?

Gianni: perché tu dovresti fare colazione mentre lui si fa la doccia? Perché non hai nient’altro da fare?

Eletra: ah, no, cioè insomma.. può darsi che lui prima si fa la doccia e prima…e poi dopo fa colazione, però…

Gianni: ok, ingannare il tempo quindi… facciamo una cosa… ingannare il tempo vuol dire fare in modo che noi non ci accorgiamo che passa.

Elettra: eh, insomma, per noi è come se passi più veloce!

Gianni: è come se passa più veloce, perfetto! Quindi abbiamo capito che ingannare il tempo non vuol dire prendere in giro il tempo, non vuol dire fare qualcosa di male al tempo, ma vuol dire… un attimo Elettra.. vuol dire fare in modo che il tempo passi apparentemente più velocemente, sembra che passi più velocemente. Tu ingannando il tempo, in realtà, vuoi non soffrire per questo tempo che non passa mai, cioè non ti va di aspettare non facendo niente, quindi per ingannare il tempo, ad esempio, ti metti a fare i compiti, come stai facendo ora, quindi il tempo ti passerà più velocemente, perché non te ne accorgi.

Ok? Quindi ingannare il tempo è un po’ come dire, si dice anche in un altro modo in italiano, si dice “ammazzare il tempo”. Quando si ammazza una persona, ad esempio, quella persona, dopo che l’hai ammazzata, cioè dopo che l’hai uccisa, non esiste più, non vive più, è morta, invece il tempo, ovviamente non si può uccidere, non si può ammazzare, perché il tempo scorre e scorrerà per sempre.

Quello che si ottiene ammazzando il tempo, o ingannando il tempo, è l’impressione, cioè la sensazione che il tempo passi velocemente, che il tempo non esista, è come se non esiste, è come se tu l’avessi ammazzato. Ok? Quindi se tu, un’ora di tempo non sai cosa fare, se tiu metti a contare i secondi ti dura sempre un’ora, ma hai la sensazione che duri sempre di più, perché quando il tempo lo conti…

Elettra: sì, perché se guardi l’orologio tipo per cinque minuti, ti sembra che siano passate cinque ore!

Gianni: se guardi l’orologio per cinque minuti, come dice Elettra, e conti tutti i secondi che passano; uno, due, tre, quattro, cinque, poi arrivi fino a  sessanta e finisce il primo minuto, poi cominci a contare il secondo minuto, un secondo alla volta, fino a  sessanta. E continui così, vedrete che alla fine il tempo scorre molto lentamente questa almeno è la vostra sensazione.

Invece se ammazzate il tempo, cioè se ingannate il tempo, è come se il tempo lo prendete in giro. Ecco qua: questa è la spiegazione. Emanuele sta suonando il pianoforte, giustamente perché Italiano Semplicemente ha bisogno anche di una colonna musicale. Prego continua!

Emanuele non sapeva cosa fare, si stava annoiando, e per ammazzare il tempo ha deciso di suonare il pianoforte. Giusto Manu? (Emanuele) Per ingannare il tempo.

Vogliamo fare qualche altro esempio Ele?

Elettra: Va bene. Ci sono tanti modi per ammazzare il tempo; dunque: suonare uil tempo, fare i compiti, farsi la doccia.

Gianni: ma per ingannare il tempo occorre fare qualcosa di divertente o qualcosa di molto noioso?

Ele: qualcosa di divertente, perché poi alla fine, come hai detto tu prima, guardante l’orologio e fare qualcosa di molto noioso più o meno… cioè non è che cambia tanto.

Gianni: certo, se facciamo qualcosa di molto noioso il tempo passa molto lentamente, quindi il tempo si inganna facendo cose divertenti, ma in realtà non si inganna mai, perché il tempo non si fa ingannare. Siamo noi che crediamo di ingannare il tempo.

Elettra ha qualcosa da dire!

Elettra: infatti, se ci hai fatto caso, quando voi fate qualcosa di divertente, tipo, che ne so, guatrdate la TV, andate a casa di una vostra amica, ecc, voi ci volete rimanere, perché è divertente, e tipo se dice: “dai dobbiamo andare!”, “ah, ma è passato così tanto tempo?”.

Gianni: esatto, Ele dice che se fai qualcosa di divertente, sembra che il tempo passi molto velocemente. Vero Emanuele? Vuoi sonare un’altra colonna sonora?

Emanuele: (bisbigliando) se è finito facciamo la colonna sonora!

Gianni: è finito! Abbiamo finito il podcast, possiamo fare la colonna sonora! Vai!

 – – Emanuele suona il pianoforte – –

Gianni: molto bene Emanuele, credo che suonare il pianoforte sia un ottimo modo per ingannare il tempo. Un saluto a tutti i visitatori di Italiano Semplicemente. Un saluto speciale da…

Elettra: Elettra!

Gianni: ed un saluto speciale da..

Emanuele: Emanuele!!

— Sigla finale —

Mica

Audio

E’ possibile ascoltare il file audio e leggere la trascrizione di questo episodio tramite l’audiolibro (Kindle o cartaceo) in vendita su Amazon, che contiene in tutto 42 espressioni italiane.

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Trascrizione

mica_immagineBuongiorno amici, eccoci di nuovo qui in una nuova lezione di Italiano Semplicemente. Approfitto facendo una breve introduzione per ricordarvi i “segreti” di Italiano Semplicemente legati all’apprendimento dell’italiano.

Non si tratta di veri e propri segreti visto che li ho condivisi con tutti voi. Io le ho chiamate le sette regole d’oro. D’oro perché il tempo è prezioso, come l’oro, ed applicare queste semplicissime regole permette di risparmiare molto tempo. Ve le ricordo brevissimamente:

Prima regola: ascoltare più volte lo stesso podcast, REPETITA IUVANT, cioè “ripetere giova”, cioè ripetere fa bene, ripetere è utile, perché ripetendo si fissano le cose nella testa.

Seconda regola: usare i tempi morti per ascoltare, cioè ascoltare in viaggio, mentre si fa la spesa, lavando i piatti ecc).

Terza regola:  Studiare senza stress, quindi studiare quando siete tranquilli e rilassati. Quindi la cosa migliore è farlo mentre fate una passeggiata ad esempio.

Quarta regola: Non cercate di memorizzare le parole, ci sono anche molti programmi che sono presentati come miracolosi, ma questi presuppongono che voi stiate davanti al PC e possono anche esser molto noiosi. Non focalizzatevi sulle singole parole quindi, ma cercate di apprendere attraverso delle storie e soprattutto usando le vostre emozioni; non attraverso parole o frasi. Le emozioni sono la vera colla, il cemento della memoria.

Quinta regola: utilizzate Italiano vero e ciò che vi PIACE. Non è banale. Ognuno di noi è un individuo unico, con i propri gusti, con le proprie emozioni, con le proprie preferenze. Se vi piace la grammatica, se vi emoziona la grammatica, ascoltate lezioni in cui si spiega la grammatica, ma ascoltatele, non solo leggetele. Se vi piace la moda, ascoltate audio che riguardano la moda, eccetera. Ad ognuno il suo argomento, non ce n’è uno che vale per tutti.

Sesta regola: l’importanza  di fare delle domande e dare delle risposte sulle storie ascoltate. Questa è una regola valida soprattutto per i principianti, e infatti tutte le storie per principianti di Italiano Semplicemente hanno a loro disposizione, oltre alla singola storia per principianti, anche un file audio che si chiama Domande & Risposte. Questo per ogni storia. E’ una gran fatica per me preparare questo file audio, e se lo faccio è per aiutare tutti coloro che vogliono imparare l’italiano con la tecnica che credo sia la più efficace.

Settima regola: Parlare. Parlare è fondamentale. La comunicazione è fratta di bocca ed orecchie, con in mezzo il vostro cervello. Usate Whatsapp, usate Youtube, il telefono, quello che volete ma dovete parlare.

Bene allora se non avete mai visto le rette regole d’oro questa è una buona occasione per farlo. Su Italiano Semplicemente ho dedicato un file audio per ognuna delle regole d’oro.

Oggi invece spieghiamo una parola che una ragazza di nome Amany mi ha suggerito sul gruppo Facebook di Italiano Semplicemente.

La parola è MICA. Ringrazio Amany della domanda. Se non sbaglio ho già provato a spiegare questa parola su un altro episodio, ma questa volta cercherò di farlo in modo diverso. Ci ho pensato a lungo a questo, e sono arrivato alla conclusione che esiste  un modo molto efficace di spiegare questa parola. Al modo che credo sia il migliore per far sì che poi sappiate usare la parola MICA senza problemi dopo questa spiegazione. E’ importante perché è una parola che non esiste nelle altre lingue, non esiste cioè una traduzione della parola MICA.

Allora, la parola MICA è una parola italiana usata per fare la negazione di una frase. Fare la negazione significa dire che qualcosa non è vera: vogliamo negare qualcosa dunque. Se ad esempio dico:

“Oggi vado a casa“, e voglio negare questo, allora posso dire semplicemente “oggi non vado a casa“. Questo è il modo più utilizzato per negare in italiano. Usare la parola “NON”.

Innanzitutto una precisazione: “non” serve a negare esattamente come la parola “no” ma “no” è una esclamazione, cioè si usa da sola; non c’è bisogno di aggiungere altro. Se uno vi domanda “sei andato a  casa oggi?” Voi per negare potete rispondere con “no!”. Non c’è bisogno di aggiungere altro.

Oppure potete dire “no, oggi non sono andato a casa“. Il “non”, la parola “non” è sempre seguita da un verbo. Questa è una precisazione importante da fare. Invece “No” è una esclamazione.

Ma se esiste l’esclamazione “No” ed anche la parola “non”, a cosa serve la parola “MICA”? Bella domanda, e provo a darvi subito una risposta. La parola MICA non serve semplicemente a negare, ma serve a rispondere a qualcuno che sta dando per scontato che la mia risposta sia affermativa.

Mi spiego meglio. Se una persona vi domanda: oggi sei andato a casa? Ad una domanda facile come questa, se la risposta è no, dovete semplicemente rispondere: “No!” come ho detto prima, oppure “oggi non sono andato a casa”. Non dovete usare mica. Se invece una persona vi domanda:

Visto che vai a casa, prendimi le chiavi che ho lasciato sul tavolo

In questo caso se volete dire che voi non andate a casa, è meglio rispondere con la frase:

“Mica vado a casa oggi”, oppure “oggi mica vado a casa”, oppure ancora con “Oggi non vado mica a casa”. Dicendo in questo modo, usando una di queste tre forme, voglio sottolineare non tanto che non vado a casa, ma che la persona con cui parlo si sbaglia, perché lei crede che io vada a casa, la persona con cui parlo sta dando per scontato che io vada a casa, tanto che lei vuole che io prenda le chiavi che ha lasciato sul tavolo: visto che vai a casa –  mi domanda – prendimi le chiavi. Quindi sta dando per scontato, per assodato, che io vada a casa, quando invece io a casa non ci vado in realtà.

Quindi la parola MICA si usa per evidenziare che non è come pensa la persona con cui sto parlando, non è come crede lui, ma la realtà è differente, la realtà è diversa.

La risposta: no! non è una risposta adatta a questa domanda. Non lo è perché la persona mi ha chiesto: “visto che vai a casa, prendimi le chiavi”. Rispondendo NO avrei detto non che non vado a casa, ma che non voglio prenderle le chiavi, e non è quello che volevo dire.

Analogamente se dicessi “non vado a casa” andrebbe al limite anche bene, ma non state avvisando il vostro interlocutore che si sbaglia nel modo giusto. Una buona risposta potrebbe essere:

Guarda che ti sbagli, non sto affatto andando a casa

In questo modo state invece avvisando il vostro interlocutore che non è come pensa, quindi che non state andando a casa, quindi non potete prendergli le chiavi che avete lasciato sul tavolo.

Riguardo ai tre diversi modi, alle tre forme che abbiamo usato prima, la parola MICA è sempre presente: prima, dopo o al centro della frase:

  1. Mica vado a casa oggi!”: la parola MICA sta all’inizio, prima del verbo;
  2. “Oggi mica vado a casa!”, la parola MICA si trova al centro, sempre prima del verbo;
  3. “Oggi non vado mica a casa!”: MICA sta sempre al centro, ma dopo il verbo.

Sappiate che queste tre forme sono del tutto equivalenti, ma nel primo caso: “Mica vado a casa oggi!” la frase è senza il NON, come nel secondo caso (“Oggi mica vado a casa”), mentre nel terzo caso “Oggi non vado mica a casa”, c’è anche la parola NON. Quando quindi mettere il NON insieme alla parola MICA?

Sappiate che ho dovuto impegnarmi molto per capire la regola da utilizzare e spiegarvela, pur non avendola trovata da nessuna parte. Non c’è un solo sito internet, un solo libro di grammatica che spiega questa regola, e io stesso non sono mai stato a pensare alla regola, non sapevo neanche esistesse una vera e propria regola!

Questo per dirvi che la cosa migliore è comunque ascoltare, e le regole sapreste comunque ricostruirle voi stessi, qualora ce ne fosse il bisogno, proprio come ho fatto io.

Ora sapete quindi come usare la parola MICA, o meglio sapete la regola, ma per essere sicuri che sarete in grado di utilizzarla, dovete fare esercizi di ripetizione e di pronuncia.

Prima per facciamo altri esempi per memorizzare meglio: immaginiamo una mamma col suo bambino, e la mamma si accorge che il pavimento è molto sporco ed allora dice a suo figlio: “Adesso che hai sporcato tutto il pavimento, dovrò pulire tutto”. Il figlio allora risponde: “Mamma, mica sono stato io”. In questo modo il figlio vuole dire a sua madre che si è fatta un’idea sbagliata, che non è vero che lui ha sporcato il pavimento, quindi le risponde:

Mica sono stato io!

Attenzione al tono usato, che è la parte più importante. Si tratta di una esclamazione, quindi deve avere un tono adeguato, e l’accento, l’enfasi, è sulla parola MICA.

Allo stesso modo, se state all’università, e un vostro amico vi incontra e vi chiede:

“com’è andato ieri l’esame di Italiano?”. Voi potreste rispondere al vostro amico:

Ieri mica ho fatto l’esame di italiano, ma l’esame di filosofia!

Quindi state avvisando il vostro amico che sbaglia a credere che voi abbia dato l’esame di italiano. La verità è che voi avete fatto l’esame di filosofia, che è un’altra materia.

Un ultimo esempio: state andando in automobile, e la Polizia vi ferma, vi sa segno di accostare, di fermare la macchina, dopodiché un poliziotto vi domanda: come mai siete passati con il semaforo rosso? Evidentemente il poliziotto crede che voi siate passati, in un incrocio, col semaforo rosso, e non col semaforo verde, come si dovrebbe fare.

Voi allora, che invece avete sempre rispettato le regole stradali, rispondete al poliziotto dicendo:

“non sono passato mica col rosso, ma col verde!”

Anche in questo caso si vuole dire al poliziotto che si sbaglia, che non è vero che siete passati col rosso.

In questi tre esempi che vi ho fatto ho usato la parola MICA nei tre modi che sono stati visti in precedenza. Teoricamente potreste anche utilizzare la parola MICA alla fine della frase, come ultimissima parola, ma è più raro, meno utilizzato. IN questo caso potreste dunque dire:

“Oggi non vado a casa mica!”. Questa comunque è una forma poco usata che potete anche dimenticare.

C’è da dire che la parola “MICA”, oltre che all’interno di una frase, può anche essere usata da sola. Questo è l’ultimo modo in cui è possibile utilizzare questa parolina.

Quando si usa da sola la parola MICA? Si tratta sempre di una risposta, si tratta ancora di una esclamazione, e precisamente si tratta di una esclamazione ironica, spiritosa. Con questa risposta si vuole mettere in discussione quanto si è appena ascoltato, e lo si fa in modo ironico.

Se ad esempio due fratelli di nome Giovanni e Pietro, che stanno parlando con la madre, e la madre si sta lamentando perché uno dei due fratelli ha rotto un vetro in cucina, ad esempio. Allora Giovanni si difende e dice alla madre:

“Non sono stato io a rompere il vetro!”; allora Pietro potrebbe dire:

No, mica!

Rispondendo in questo modo Pietro vuole semplicemente dire: “certo che sei stato tu a rompere il vetro”. La risposta quindi è ironica, e la madre capisce subito che è stato Giovanni, perché Pietro glie l’ha confermato con quella frase ironica.

Quando la parola mica è pronunciata in questo modo, da sola o insieme alla parola No, in realtà vuol dire esattamente il contrario: vuol dire Sì.

Allora adesso vediamo a fare alcuni esercizi per vedere se avete capito bene. Io proverò a farvi alcune domande.

Provate a rispondere alle domande che vi farò, cercando di usare la parola MICA. Io dopo una piccola pausa risponderò e darò una delle tre risposte. Voi quindi state cercando di farmi capire che io ho una idea sbagliata. Siete pronti?

Via!

Visto che vai a Roma domani, puoi comprare un pacco di pasta?

——

Esempio di Risposta:

Mica vado a Roma domani! Vado a Milano!

Seconda domanda:

Scusami, adesso che hai finito gli esami all’università, che farai?

—-

Esempio di risposta:

Non ho mica finito gli esami all’università! non ancora!

Terzo esempio:

Hei, Ho saputo che hai imparato l’inglese in sei mesi! Come hai fatto?

—-

Esempio di risposta:

Non ho imparato mica l’inglese, ma l’italiano

Bene ora spero che, Amany, hai capito come usare la parola MICA. Spero non imparerai la regola a memoria perché quando si parla o quando si ascolta non c’è il tempo di pensare alle regole da applicare.

Un’ultima osservazione: l’utilizzo di mica è da sconsigliare in ambito formale, e quindi con persone che non conoscete o delle persone importanti, diciamo. L’uso di MICA fa più parte del linguaggio di tutti i giorni; tra l’altro è una parola che se non è pronunciata col tono giusto può anche essere offensiva, quindi fate attenzione.

In generale la parola MICA è usata anche in parecchie espressioni italiane, anche con un significato leggermente diverso. Ad esempio alla vista di una bella ragazza, qualcuno potrebbe dire, o pensare:

Mica male!

Che equivale a dire: questa ragazza non è male, cioè è carina. Mica male! è come dire: Non è mica male, cioè non è mica una brutta ragazza, tutt’altro, è carina. “Mica male” riassume il concetto in due semplici parole.

Analogamente se vedete una bella macchina potete dire:

Mica male questa macchina!

Spesso si usa anche sotto forma di domanda. Ad esempio:

  • Non ti sarai mica offeso!
  • Mica sarai andato a scuola oggi!
  • Mica sarai impazzito!

In tutti questi casi si sta facendo una domanda, anche se non sembra una vera domanda, e quello che conta è il tono usato.

Mica ti sarai offeso! equivale a: non ti sei offeso, vero?

Mica sarai andato a scuola oggi! Equivale a: oggi non sei andato a scuola, vero?

Mica sarai impazzito! equivale a: stai parlando sul serio? sei impazzito? no, vero?

Quindi attenzione alla pronuncia e usate la parola MICA solamente in conversazioni informali. Meglio non rischiare.

Terminiamo questo podcast ricordandovi che ognuno di voi, se vuole, può chiedermi di spiegare qualcosa che non vi è molto chiaro. Cercate di concentrare la vostra attenzione però non sulle regole grammaticali ma sulle espressioni tipiche italiane. In questo caso posso aiutarvi attraverso un podcast come questo che potreste poi scaricare ed ascoltare durante i vostri tempi morti della giornata. Ciao amici e grazie a quanti di voi mi hanno aiutato attraverso una donazione con Paypal.

Alla prossima

Grandi personaggi Italiani: Roberto Benigni

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Audio

Trascrizione

Buongiorno amici di Italiano Semplicemente e grazie di essere qui all’ascolto di questo nuovo episodio dedicato ai grandi personaggi Italiani. Questo è un nuovo modo di ascoltare la lingua italiana, un nuovo modo che abbiamo cominciato a  sperimentare.

Spero di aver trovato una modalità interessante, che vi renda piacevole l’ascolto, ed in questo modo riuscirete senz’altro a migliorare la vostra comprensione della lingua italiana, a memorizzare le regole grammaticali in modo automatico, e nello stesso tempo riuscirete ad imparare qualcosa sulla cultura italiana, fatta anche di grandi personaggi, cioè di persone importanti, persone che nella loro vita hanno fatto o stanno tuttora facendo qualcosa di importante per l’Italia.

Oggi parliamo quindi di un secondo grande personaggio italiano. Abbiamo visto per primo Umberto Eco, scelto perché la maggioranza di voi me lo aveva richiesto. Abbiamo visto alcune curiosità della sua vita e il suo contributo a favore della lingua italiana, cioè abbiamo visto che cosa ha fatto e cosa ha dato Umberto Eco alla lingua italiana e come ha contribuito alla diffusione della conoscenza della lingua italiana in Italia e nel mondo, ed abbiamo visto anche alcune questioni interessanti che lo riguardano, come il rapporto tra la lingua italiana ed i dialetti italiani, cioè le lingue locali, le lingue diffuse a livello locale, territoriale.

Oggi vorrei invece parlarvi di un altro grande personaggio italiano: Roberto Benigni. Roberto Benigni è un comico italiano. Un comico è una persona che per mestiere, come lavoro, fa divertire le persone, deve far ridere, diciamo che guadagna facendo divertire le persone. Il suo compito è questo, cosa non affatto facile direi. Benigni è un comico, o farei meglio a dire che Benigni nasce come comico.

Ha fatto anche molti film, alcuni di successo, sia film comici, appunto, ma anche film drammatici. Il suo film più famoso, che appartiene proprio alla categoria dei film drammatici, è “la vita è bella“, film che ha avuto un successo clamoroso, tanto da vincere anche il premio oscar nel 1997. “La vita è bella” è il titolo di questo film, film diretto e interpretato da Roberto Benigni. “Diretto” significa che lui è stato il regista di questo film, lui l’ha diretto, e chi dirige un film si chiama il “regista”. “Interpretato” invece significa che Benigni era un attore di questo film, era un interprete di questo film; lui ha quindi interpretato una parte in questo film, e la parte che Benigni ha interpretato è stata la parte dell’attore protagonista, cioè la parte dell’attore principale, il più importante, il protagonista principale del film, il cui nome nel film era Guido.

Benigni ha interpretato la sua parte talmente bene da vincere il Premio Oscar come attore protagonista. Questo è uno dei tre premi oscar che ha vinto il film “la via è bella”. Gli altri due premi oscar che ha vinto il film sono stati il premio come miglior film straniero e il premio come miglior colonna sonora.

La colonna sonora è fondamentalmente la musica del film, la base musicale del film. La colonna sonora è l’insieme della voce, della musica e dei rumori di un film. Per chi non avesse visto questo film vi consiglio di farlo, perché è un film molto originale perché Benigni ha avuto il coraggio di fare un film sull’Olocausto facendo anche dell’ironia. Inoltre il film fa vedere l’Olocausto dagli occhi di un bambino. Questo film è quindi anche un film molto ironico,  è un film che riesce  far divertire nonostante parli di un tema serissimo, quello della strage degli ebrei, dello sterminio nazista.

Il film è ironico perché  quando la famiglia di cui il protagonista fa parte nel film viene deportata all’interno del campo di concentramento nazista, cioè del Lager nazista, Benigni, nei panni di Guido, fa credere al figlio che tutto sia un gioco. Guido fa credere al figlio che ci sia un gioco in cui i giocatori devono affrontare delle prove difficili per vincere un premio finale. Tutto questo, naturalmente, Guido lo fa per proteggere il figlio, per proteggere il proprio figlio dall’orrore del nazismo, per non fargli vivere quella terribile esperienza. Un’idea geniale questa che è stata premiata con ben tre premi oscar appunto. Il campo di concentramento è una struttura carceraria, un carcere quindi, una prigione, ma all’aperto; è quel campo, quel terreno, quell’area territoriale aperta in cui venivano concentrati, cioè venivano messi tutti assieme,  i detenuti. Questo campo quindi è una struttura in cui venivano concentrate molte persone, una grande quantità di persone.

Benigni però non ha fatto solamente film e spettacoli comici però. Infatti nella sua vita Benigni si è anche occupato della lingua e della cultura italiana. Cosa ha fatto per la lingua italiana Benigni? Forse gli stranieri non ne sono a conoscenza, ma ci sono moltissime cose che accomunano Roberto Benigni alla lingua ed anche alla cultura italiana. Benigni e l’Italia hanno molte cose in comune, e quindi possiamo dire che ci sono molte cose che “accomunano” Benigni alla lingua ed alla cultura italiana.

Benigni ha aiutato gli stessi italiani a comprendere il significato e la bellezza della Costituzione Italiana, che è la legge italiana più importante in Italia, e questa è una cosa che per un comico è molto originale. Solitamente i comici sanno far divertire le persone e basta infatti.

Benigni ha, non dimentichiamo, anche cantato ed spiegato l’Inno di Mameli, che è l’Inno d’Italia, la canzone dedicata all’Italia.  L’Inno di Mameli è la canzone che si canta in occasioni dei mondiali di calcio ad esempio, prima dell’inizio di ogni partita. Benigni ha quindi spiegato l’inno d’Italia in TV, davanti a tutti gli italiani: ha appunto spiegato le singole parole dell’Inno, una ad una, facendo scoprire a tutti gli italiani il loro vero significato, evidentemente non proprio così scontato.

Benigni infine parla più volte pubblicamente della cultura italiana, lo fa nel suo modo simpatico e appassionato, come al solito. Allora vi voglio far ascoltare un pezzo di cui riporto anche la trascrizione su Italiano Semplicemente. Dopo, considerando che Roberto parla abbastanza velocemente, vi ripeterò brevemente quello che dice.

È il sud dell’Italia che ci deve dare un’identità. L’Italia è l’unico luogo al mondo in cui è nata prima la cultura e poi la nazione, dobbiamo andare fieri di questo, è una cosa meravigliosa… Il sud dell’Italia quante cose c’ha dato: tutti i più grandi pensatori; è il sud che deve dare un’identità, ci darà un’identità perché tutti i più grandi pensatori sono nati al sud. Non è un caso: Campanella, Telesio, Benedetto Croce, Galiani, Vigo, Giordano Bruno, Tommaso D’Aquino. Tutti i pensatori che ci sono stati in Italia vengono da sud; è da lì che aspettiamo l’identità, dal sud dell’Italia..

Benigni, avete sentito, parla molto velocemente in questo pezzo che vi ho fatto ascoltare. Nel caso aveste avuto dei problemi di comprensione,  Benigni dice che i più grandi personaggi italiani, quelli che hanno dato una identità all’Italia, sono del sud Italia, appartengono alle zone del sud-Italia.

L’Italia infatti è divisa in regioni, in venti regioni, ed in tre grandi macro-aggregati di regioni: le regioni del nord, quelle del centro e quelle del sud. Ci sono molte differenze tra queste tre parti dell’Italia: differenze culturali, linguistiche, stili di vita, oltre che differenze di abitudini quotidiane, di dialetti e tradizioni. E Benigni esalta, cioè parla bene delle regioni del sud, della parte sud dell’Italia, che, c’è da dire, è anche la parte economicamente più svantaggiata dell’Italia, la parte che è meno vicina all’Europa, al nord Europa, quella più produttiva, e quindi per questo il sud-Italia è la parte più carente di infrastrutture, più carente di lavoro e più carente di opportunità in generale. Nel sud dell’Italia, dice Benigni, sono nati però i più grandi personaggi della letteratura, i più grandi pensatori, che sono coloro che pensano, che usano la testa per pensare.

Benigni parla anche di Dante Alighieri in quella stessa occasione. Tutti voi sicuramente conoscete Dante Alighieri, che sarà anche uno dei prossimi grandi personaggi di cui parleremo. Ebbene, Benigni è stato molto importante per avvicinare gli italiani alla bellezza dell’Italia, ed in particolare alla bellezza della Divina Commedia, l’opera più importante di Dante Alighieri. E ascoltate anche cosa dice Benigni della Divina Commedia:

La Divina Commedia è una di quelle opere… il dono più grande proprio! Prima di tutto chiariamo una cosa: che è l’opera di poesia più grande! Tutte le letterature di tutti i tempi e di tutto il mondo. Non c’è una cosa grande nel mondo come la Divina Commedia; e guardate che  non potete sapere la bellezza quando si va all’estero. No potete sapé (=sapere) quanta gente impara l’italiano per leggerla dall’originale: più di quella che pensate. Questa è l’opera più ardita dell’ingegno umano.

Nella seconda parte parla della Divina Commedia come della cosa più grande, l’opera più grande di poesia che ci sia al mondo, l’opera più grande che sia mai stata scritta nella letteratura mondiale e che ci sono molti stranieri, tante persone di altre nazionalità che hanno voluto imparare la lingua italiana per il piacere di poter leggere e capire la Divina Commedia in lingua originale.

Insomma avete sicuramente capito perché ho scelto Benigni come uno dei principali personaggi di cui parlare nella nostra rubrica dei grandi personaggi italiani. La passione con cui parla è veramente incredibile. Benigni ha un accento toscano, quindi quando parla si nota, o almeno gli italiani notano chiaramente il suo accento, la sua inflessione tipica della regione Toscana, che tra l’altro è proprio la Regione di dante Alighieri.

Infatti qualche anno fa ha recitato e commentato la Divina Commedia in TV, davanti a milioni di telespettatori. Ha spiegato il significato anche qui di ogni singola parola, e l’ha fatto in modo appassionato e divertente, a modo suo, facendo anche riferimenti storici, senza i quali è praticamente impossibile capire fino alla fine. Ma questo lo vedremo la prossima volta, quando il personaggio di cui ci occuperemo sarà proprio Dante Alighieri.

Un saluto a tutti, tutti i visitatori ed ascoltatori di Italiano Semplicemente, che vengono un po’ da tutti i paesi del mondo. Spero che questo episodio di sia piaciuto, e grazie anche a coloro che hanno usato lo strumento della donazione, strumento che ho messo recentemente a disposizione per coloro che vogliono aiutare Italiano Semplicemente a svilupparsi ed a crescere.

A proposito di visitatori: I primi visitatori del 2016, quelli più numerosi, lo voglio ricordare, sono i finlandesi. Un saluto speciale dunque a tutti i finlaldesi: “hei hei” è il classico saluto finlandese, un saluto che ho imparato quest’estate durante le mie vacanze nella splendida Finlandia.

Ancora uno hei hei a tutti amici!

Il quarto d’ora accademico

Audio

E’ possibile leggere ed ascoltare e/o scaricare il file audio di questo episodio in formato MP3 tramite l’audiolibro (+Kindle o cartaceo) in vendita su Amazon, che contiene in tutto 54 espressioni italiane e 24 ore di ascolto.

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Buongiorno amici di Italiano Semplicemente e grazie di essere all’ascolto di questo nuovo episodio.

Ho notato che l’ultimo episodio dedicato a Umberto Eco è stato molto apprezzato da tutti voi. Sono contento di questo, ed oggi come promesso torniamo alle espressioni idiomatiche italiane.

Oggi ne vediamo una che ha a che fare con una abitudine tutta italiana: il quarto d’ora accademico. Questa è l’espressione di oggi: “il quarto d’ora accademico”.

Allora “Il quarto d’ora accademico” è l’espressione di oggi. I più fedeli ad Italiano Semplicemente ricorderanno sicuramente che questa frase  la avevamo già affrontata in una lezione di Italiano Professionale, il corso che stiamo costruendo di giorno in giorno insieme ai membri dello staff del sito, e la lezione è la numero quattro, lezione dedicata a tutte le espressioni che riguardano la precisione e la puntualità. In quell’occasione avevamo visto in particolare tredici espressioni che riguardavano l’argomento precisione e puntualità, argomento molto importante nel lavoro, ed il quarto d’ora accademico è la prima espressione spiegata nella lezione in questione.

Bene, oggi le rivediamo, la spieghiamo nuovamente, e lo facciamo in un nuovo contesto, in modo che vi rimanga più impressa nella mente.

Il nuovo contesto è quello del tempo, in generale. Il tempo è un argomento ancora più generale della puntualità, e in questo contesto più generale ci sono moltissime espressioni, che riguardano il tempo: l’importanza del tempo che passa, l’inesorabilità del tempo, vale a dire il fatto che il tempo passi sempre e comunque, inesorabilmente; il valore del tempo, le scelte collegate all’utilizzo del tempo, ci sono espressioni che riguardano persino la bontà del tempo, o la sua cattiveria. Ebbene all’interno del corso di Italiano professionale verrà inserita anche una lezione sul tempo in generale dove vedremo tutte queste espressioni, tutte molto usate in Italia dagli italiani. La lezione sarà inserita nella prima sezione, dedicata proprio alle frasi idiomatiche.

Allora il quarto d’ora accademico è una usanza tutta italiana, come vi dicevo.

Il “quarto d’ora”, come avrete intuito, sono semplicemente 15 minuti, e sono quei 15 minuti che fanno la differenza tra una persona puntuale ed una persona in ritardo.

Mi spiego meglio: Quando in Italia abbiamo un appuntamento, una lezione all’università, un appuntamento di lavoro, molto spesso sono concessi fino a 15 minuti di ritardo, cioè si può arrivare anche un quarto d’ora dopo l’appuntamento, fino a 15 minuti dopo l’ora dell’appuntamento, della riunione, della lezione. Questo è il quarto d’ora accademico. Se ad esempio avete una lezione alle 15:00, cioè alle tre di pomeriggio, se arrivate alla lezione un po’ in ritardo, fino alle 15 e 15 minuti siete giustificati, e non siete in realtà considerati in ritardo.

Non è sempre così ovviamente, dipende dalla città, dal tipo di appuntamento ed anche dalla regione in cui vi trovate, dipende anche dalle persone che partecipano o che organizzano l’incontro, ma è abbastanza diffusa l’abitudine del quarto d’ora accademico. Quindi quando è permesso arrivare fino a 15 minuti in ritardo si dice che c’è il quarto d’ora accademico, e chi arriva 15 minuti dopo l’ora dell’appuntamento si dice che questa persona si è presa il quarto d’ora accademico.

Soprattutto a Roma, ma anche in altre città l’abitudine del quarto d’ora accademico è molto diffusa. Se andate all’università a Roma, alla Sapienza di Roma, (La Sapienza è il nome dell’università di Roma) e guardate l’orario delle lezioni appeso alla bacheca di una qualsiasi facoltà: lettere, matematica, scienze politiche, geologia, medicina eccetera, potete vedere ad esempio l’orario delle lezioni, e ad esempio potete leggere che dalle 10:30 di mattina alle 11.30 è prevista la lezione di Matematica, ma se andate nell’aula alle 10:30 precise, o alle 10:35, vedete che le persone stanno ancora  cercando un posto per sedersi, tutti stanno chiacchierando tranquillamente, chi in piedi, chi seduto, e magari neanche il professore, neanche cioè il docente di matematica è ancora arrivato. Se aspettate ancora un po’ vedrete intorno alle 10:45 cioè esattamente dopo un quarto d’ora, dopo 15 minuti l’orario stabilito per l’inizio della lezione il professore inizierà a parlare. Coloro che invece arriveranno oltre il quarto d’ora accademico saranno considerati in ritardo. Il professore, il docente potrebbe arrabbiarsi, potrebbe dire: non si arriva tardi alla lezione, non si può arrivare oltre il quarto d’ora accademico.

Come è nata questa strana abitudine dei quindici minuti di tolleranza? Beh diciamo che la scusa è quella del traffico, quella di incontrare traffico per stradaq e quindi questo traffico ci impedisce di arrivare puntuali alle 10:30. Possono anche capitare altri contrattempi in una grande città, come Roma ad esempio, altre cose che ci fanno ritardare, ma ovviamente su questo aspetto ci sono diversi punti di vista.

tolleranza

Un  danese, uno svedese, un olandese e un tedesco ad esempio diranno che il quarto d’ora accademico è una brutta abitudine e che invece è sempre bene arrivare puntuali alle riunioni per una questione di rispetto verso gli altri. Uno spagnolo, un indiano o in altre nazioni  come l’Italia penseranno invece che è una abitudine giusta perché  è bene non stressarsi troppo e considerare che ci sono persone che possono avere problemi e quindi concedere un po’ di tempo in più a queste persone.

A dire il vero se ci pensate bene sono vere entrambi punti di vista, perché dove il quarto d’ora accademico è una abitudine, beh allora una volta passati quei  quindici minuti di tolleranza, dopo il quarto dora accademico non sono più ammessi ritardi, e  la lezione ha comunque inizio. Chi ama la puntualità sa bene che la lezione non inizierà che alle 10:45, non prima, e quindi arriverà alle 10:45, e chi invece non ama stressarsi troppo o ha problemi di traffico, sa bene, anche lui, che gli è concesso solamente un quarto d’ora, non di più di ritardo, e se arriverà alle 10:30 dovrò aspettare 15 minuti prima della lezione. Se invece arriverà alle 10:45 sarà perché ha incontrato traffico, ma tutti sanno comunque che la lezione inizierà alle 10:45 minuti. Quindi il problema potrebbe nascere solamente i primi giorni, quando coloro che amano la puntualità non capiscono che esiste il quarto dora accademico.

Gli italiani in generale, sono, diciamolo, meno rigidi nel rispetto delle regole rispetto ai tedeschi svedesi e finlandesi, alle popolazioni del nord Europa in generale e questo è una questione di cultura ovviamente. Se da una parte questo è un lato negativo, dall’altra gli italiani si sentono più tolleranti, più buoni, più umani, più elastici, più flessibili; non siamo in generale rigidi nel rispetto delle regole, almeno nelle regole dell’orario e della puntualità. Questa mancanza di capacità di stare alle regole, di stare nel “recinto” delle regole, se da una parte è una mancanza di rispetto verso chi invece le regole le rispetta, dall’altra ci dà probabilmente la capacità di stare al di fuori della logica comune, e questo porta l’italiano ad una maggiore creatività, una maggiore inventiva, una maggiore capacità di inventare e di lavorare con la fantasia. Questa ovviamente può essere una delle possibili interpretazioni, una delle tante.

Quella del quarto d’ora accademico è comunque una tradizione tutta italiana, una abitudine esclusivamente italiana (o quasi) e ricordo benissimo che all’università le lezioni iniziano sempre con un quarto d’ora di ritardo. Si tratta per l’appunto del quarto d’ora accademico.

Se vi state chiedendo cosa significhi la parola “accademico” la risposta è che la parola accademico si riferisce generalmente all’università, si riferisce all’organizzazione dell’università, a come l’università è organizzata, infatti ad esempio c’è “l’anno accademico”, ad esempio l’anno accademico 2016-2017, che indica il periodo di tempo in cui si svolgeranno le attività dell’università, come le lezioni ad esempio, che inizieranno ogni anno a partire dal mese di settembre, lezioni che finiranno nell’anno successivo. All’università non si usa parlare di anni: 2016, o 2017 eccetera, ma  piuttosto si parla di anni accademici: l’anno accademico 2016-2017 o l’anno accademico 2017-2018 e via dicendo. Ogni anno inizia un nuovo anno accademico. E non è un caso che il quarto d’ora accademico si usi anche all’università, nelle lezioni universitarie. Credo che l’espressione nasca proprio in ambito universitario.

Però attenzione perché il quarto d’ora accademico non può essere considerato una cosa seria, una cosa da scrivere nei documenti ufficiali. Si tratta di una moda, di una abitudine che è nata per gli arrivi dei ritardatari, per potersi spostare da un’aula all’altra; per qualcuno il quarto d’ora accademico serve a fumarsi una sigaretta tra una lezione ed un’altra. In teoria si fa un’ora di lezione, in pratica la lezione durerà solamente 45 minuti.

Per coloro di voi che non riescono a capire fino in fondo il motivo dell’esistenza del quarto d’ora accademico, sappiate che questo fa parte semplicemente della cultura italiana, che ha delle cose bellissime e delle cose meno belle, la stessa cultura che ha dato origine ai grandi artisti di tutti i tempi ed alle loro opere, la stessa cultura che ha fatto nascere la Gioconda di Leonardo Da Vinci e anche la Divina Commedia di Dante Alighieri.

E vero che probabilmente, almeno metà dell’Italia e degli italiani probabilmente non condivide ciò che ho detto oggi sul quarto d’ora accademico, e infatti ognuno ha la sua opinione e ha diritto di pensare che questa sia una abitudine positiva o che sia invece negativa e da superare. L’altra metà però la condivide, e a qualcuno anzi piacerebbe di più se esistesse la “mezzora accademica” e non solo il quarto d’ora accademico.

Ora facciamo un piccolo esercizio orale, come sempre.

Provate a ripetere ciò che dico io, a parlare dopo di me, ripetendo le stesse identiche parole: questo vi aiuterà, poco a poco a memorizzare le parole e sentirvi più sicuri nella pronuncia.

Accademico

accademico_pronuncia

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Accademico

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Il quarto d’ora

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Il quarto d’ora

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Il quarto d’ora accademico

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Il quarto d’ora accademico

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Il quarto d’ora accademico

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Grazie amici di averci seguito anche oggi, mi raccomando: se pensate di non aver capito più dell’80 per cento, ripetete l’ascolto più volte, (ricordate la prima regola di Italiano Semplicemente: repetita iuvant) e se volete approfondire il vostro italiano ancora di più prenotate il corso di Italiano Professionale, che sarà completo e disponibile solo nel 2018, ma  chi vuole può prenotare sin da ora e quando il corso sarà disponibile riceverà un avviso e allora potrò decidere se acquistare o meno il corso. Se poi siete interessati a discutere del corso e a discutere dei contenuti, anche per dare consigli sui temi da trattare e sul modo in cui farlo, potete unirvi al gruppo di discussione su Facebook, vi aspettiamo. Un saluto da Gianni, ci sentiamo al prossimo podcast, che sarà dedicato ad un altro grande personaggio italiano. Ciao ciao.

Ps: grazie per le vostre donazioni

Grandi personaggi italiani: Umberto Eco

umberto_eco

Audio

Trascrizione

Buongiorno, amici di Italiano Semplicemente. Spero stiate tutti bene. Dunque oggi inizia una serie di episodi dedicati ai grandi personaggi italiani.
Lo avevo preannunciato nel corso dell’ultimo episodio, quando abbiamo parlato di terremoto e dei termini più usati quando si parla di terremoto, articolo tra l’altro molto apprezzato a giudicare dal numero delle visite.

Ebbene sulla pagina Facebook vi avevo chiesto da quale grande personaggio italiano iniziare e ho notato che c’è stato molto interesse su questo argomento; ne sono molto felice, quindi ho solamente l’imbarazzo della scelta:
Valentino Rossi per il MotoGP, Umberto Eco per la letteratura, Garibaldi per ciò che ha fatto per l’Italia, Dante Alighieri, chi non conosce la Divina Commedia? I grandi artisti come Leonardo da Vinci, Michelangelo,  Pinturicchio, Giotto, il Ghirlandaio,  Cimabue, Brunelleschi, Bernini,  Caravaggio. Chi più ne ha, più ne metta! C’è anche chi mi ha proposto Nerone; bene. Abbiamo quindi il materiale per un paio di anni di lavoro.

Inizialmente, pensando a questa idea, avevo proposto ai visitatori di Italiano semplicemente l’attore Roberto Benigni, ed anche Rita Levi Montalcini per la letteratura, o anche Pavarotti, famoso cantante lirico, ma voglio considerare ovviamente le vostre indicazioni quindi vorrei iniziare con Umberto Eco.

Prima di iniziare a parlare di Umberto Eco, vorrei darvi una piccola informazione che probabilmente non avete ancora notato, perché pubblicando molti episodi recentemente siete giustamente concentrati su questi, ma vorrei accertarmi del fatto che avete notato che ho creato una pagina che si chiama DONAZIONE. DONAZIONE è una pagina che serve ad aiutare i creatori di contenuti come me, ad aiutare tutte le persone che mettono dei contenuti a disposizione gratuitamente a raccogliere dei fondi che possono donare i donatori. I donatori sono le persone che consumano i contenuti gratuiti, come voi in questo caso, e questa pagina dà la possibilità ai donatori di aiutare il creatore di contenuti attraverso una donazione mensile. Ogni mese voi donate una piccola somma, e quello che è veramente stupefacente è che si può donare anche 1 solo euro. Questo vuol dire che voi potete donare anche 1 euro al mese e così potete aiutare il creatore di contenuti e la pagina internet che seguite. Potete ovviamente pagare usando qualsiasi altra moneta e potete, ovviamente, fermarvi quando volete voi, potete decidere di pagare quanto e quando volete voi. Uno strumento molto flessibile dunque. Quello che mi piace di questo sistema è che è basato sulla fiducia ed è basato sulla volontà: voi non siete obbligati a farlo, potete continuare semplicemente a consumare i contenuti senza aiutare Italiano Semplicemente e ad ogni modo, credo che sia un sistema niente male; non a caso viene utilizzato in molti siti web.

Sapete che Italiano Semplicemente sta crescendo grazie a voi tutti ed io vi ringrazio di questo. Non è facile per me che ho anche un lavoro e una famiglia da seguire quindi devo trovare il tempo per occuparmi anche di ciò di cui sono appassionato. Non ho mai messo alcuna forma di pubblicità sul mio sito perché so che può dar fastidio e può distrarre i visitatori. Quindi continuerò ad occuparmi di voi e a fare in modo che possiate migliorare il vostro italiano con divertimento e se possibile senza annoiarvi.

Se volete aiutare la missione di Italiano Semplicemente, in alto sul sito c’è il pulsante “donazione” e vedrete che è semplicissimo e velocissimo, soprattutto se avete Paypal. Ad ogni modo vi ringrazio di dedicare il vostro tempo per considerare questa possibilità. Non so neanche se funziona ancora, fatemi sapere se avete problemi.

Allora parliamo di Umberto Eco ora: Il motivo di questa scelta è che il primo che me l’ha proposto mi ha ricordato una cosa su Umberto Eco, vale a dire una sua frase celebre che è la seguente:

“Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro”

Umberto Eco è morto abbastanza recentemente, a Milano, il giorno 19 febbraio di quest’anno, del 2016, dopo aver vissuto per 84 anni. Infatti Umberto Eco nasce ad Alessandria, il giorno 5 gennaio 1932. Attenzione perché (apro una piccola parentesi) ho appena detto “nasce” ad Alessandria e non ho detto invece “è nato” e neanche “nacque” ad Alessandria. Ho usato dunque il presente del verbo nascere. Come mai? Non si tratta di un errore: è corretto, quando si parla di nascite, e quando si parla di qualcuno che è nato in un certo luogo in una certa data posso talvolta dire: “nasce”: Umberto Eco nasce ad Alessandria, oppure Umberto Eco nasce nel 1932. Anche nei testi scolastici è comune l’uso del presente; per esempio: “Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785″. Attenzione però perché se la persona è ancora viva, in tal caso si usa dire “è nato”. Vi potrebbe venir voglia di dire che Umberto Eco “era nato” ad Alessandria poiché ora è morto, ma in realtà non si usa fare questo, anche se dal punto di vista grammaticale non sarebbe scorretto. Diciamo che “nasce nel” o “nasce a ” quindi al presente è una forma che si usa quando la persona è morta. Chiudiamo la parentesi; è solamente per dirvi che la grammatica non sempre ci è di aiuto per parlare ed esprimerci correttamente

Tornando ad Eco, non parlerò oggi ovviamente di tutta la sua vita e di tutto quello che ha fatto, anche per non annoiare i visitatori. Quello che farò, ogni volta, in questa rubrica, è ricordare alcune cose, alcuni fatti importanti, alcune cose “degne di nota” di un personaggio. Quando una cosa è degna di nota vuol dire che è importante. Degna di nota vuol dire degna di essere citata, degna di essere ricordata. Degna significa che ha dignità, quindi degna vuol dire che vale la pena di ricordare.

La frase precedentemente citata è una frase infatti veramente degna di essere citata. La lettura è una delle cose che veramente ci distingue dall’animale. C’è anche una famosa frase di Mark Twain secondo la quale “chi non legge non ha nessun vantaggio su chi non sa leggere“. Anche questa è una frase di grande effetto.

Ma innanzitutto perché è famoso Umberto Eco e perché vale la pena di essere ricordato? Non è solo per questa frase evidentemente. Eco è stato un uomo nato in una famiglia normale; era figlio di un semplice impiegato delle Ferrovie dello Stato, quindi  non di personaggi famosi. Apparteneva insomma ad una famiglia normale. Ha studiato filosofia, laureandosi nel 1954. Nella sua vita Umberto Eco si interessò in realtà di molte cose: prima di filosofia e cultura medievale, successivamente si è interessato molto alla comunicazione dei mass media e all’influenza dei mass media nella cultura di massa, ma anche di politica e di molti altri aspetti. Oggi mi soffermerò in particolare su alcune curiosità che riguardano Umberto Eco, che credo siano interessanti per chi segue Italiano Semplicemente.

Mi ha colpito che Eco ad esempio sia stato un grande appassionato di fumetti, ed in particolare di un fumetto di nome “Dylan Dog“, un fumetto del quale anche io stesso sono stato molto appassionato in passato. Mi ha molto colpito questa cosa. Umberto Eco diceva che lui poteva leggere la Bibbia, Omero e Dylan Dog tranquillamente per giorni e giorni senza mai annoiarsi.

Per chi non lo conosce, Dylanj Dog è il famoso “indagatore dell’incubo“, nome sicuramente complicato per voi stranieri. L’Indagatore  dell’incubo è colui che indaga sull’incubo, cioè Dylan Dog è un indagatore, cioè un investigatore, come Sherlock Holmes ad esempio, ed è un investigatore dell’incubo, lui indaga, investiga, sull’incubo. L’incubo è la parola indicata per descrivere un brutto sogno, un sogno pauroso. Pensate che questo fumetto ha anche dedicato uno dei suoi numeri ad Umberto Eco, ed in questo fumetto, in questo numero, il personaggio protagonista, che si chiama appunto Dylan Dog, è stato affiancato proprio da Umberto Eco, per fare, pensate un po’, un’indagine sull’origine delle lingue del mondo. Un’indagine per capire, per scoprire l’origine, cioè come sono nate, le lingue nel mondo.

Umberto si occupa anche di narrativa, ed è all’età di 48 anni fa il suo ingresso nel mondo della narrativa. Il suo più grande successo è il libro dal titolo “Il nome della rosa“, un successo strepitoso che è stato tradotto in moltissime lingue diverse, ben 47 se non sbaglio. Probabilmente moltissimi di voi avranno letto Il nome della rosa.

Una delle caratteristiche più note di Umberto Eco era sicuramente l’umorismo. Questa è un’altra cosa degna di nota, secondo me. Si è parlato dell’umorismo come di una vera arma letteraria di Umberto Eco. Il fatto stesso di citare Dylan Dog vicino alla Bibbia e ad Omero ne è una chiara dimostrazione, secondo me.

Umberto Eco si è occupato anche della lingua italiana. Lo ha fatto in moltissimi modi diversi a dire il vero, e vorrei soffermarmi un po’ su questo aspetto perché chi ascolta questo podcast sono sicuro troverà interessante le idee di Umberto Eco in proposito. In una intervista del 2011, in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, avvenuta nel 1861, Eco parla ad esempio dei dialetti italiani. I dialetti sono diffusissimi in Italia. Un dialetto è una lingua che si parla in una specifica parte dell’Italia; il dialetto ha quindi un ambito geografico limitato, si parla in un ambito geografico limitato ed in Italia ci sono moltissimi dialetti, moltissime lingue che sono simili alla lingua italiana, chi più chi meno: alcuni dialetti sono veramente difficili da comprendere però.

Molti dialetti sono più famosi degli altri, perché più caratteristici, perché spesso legati a personaggi italiani famosi: parlo del dialetto napoletano, che si parla quindi a Napoli e dintorni, o del dialetto siciliano. Questi due dialetti sono sicuramente più famosi degli altri. Non ci dimentichiamo del dialetto romano inoltre. Ci sono però dialetti altrettanto caratteristici ma meno famosi all’estero, come il dialetto sardo, che si parla in Sardegna, il dialetto milanese eccetera. Potrei continuare all’infinito, perché in Italia in realtà ogni piccolo paese, anche il più piccolo di 100 abitanti ha un suo dialetto caratteristico: qualche volta si parla di una leggera inflessione, di una leggera differenza nella lingua parlata rispetto ad altri dialetti, ed altre volte si tratta di una vera e propria lingua, che può essere anche molto diversa dalla lingua italiana come dicevo prima.

Ebbene Umberto Eco in questa intervista del 2011 parla della lingua italiana e parla anche delle differenze tra la lingua italiana e le altre lingue. Trovo personalmente molto interessante ciò che ha detto in proposito.

“…e un lettore inglese che prendesse in mano il Canterbury Tales di Chaucer (nota: XIV secolo) che è scritto in middle english….. non riuscirebbe a capire niente, mentre un italiano prendendo in mano un libro sessant’anni prima di Chaucer, “nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura“, capisce benissimo”

Umberto Eco ci spiega che la lingua italiana non si è evoluta un granché, tra Leopardi e Petrarca ci sono 500 anni di differenza e non si nota molto la differenza nel linguaggio tra i due grandi letterati.

Umberto Eco dice poi, facendo uso dei suoi studi sulla comunicazione dei mass-media, che esiste un diffuso linguaggio basico che si è diffuso grazie soprattutto alla televisione, e questo ha messo in crisi i dialetti. I dialetti ovviamente hanno sofferto quindi la diffusione dell’italiano basico, ma i dialetti sono una buona cosa o sono considerati una cosa negativa per la lingua italiana e per l’Italia in generale?

Dobbiamo considerare i dialetti locali come una caratteristica di arretratezza culturale, come segno di ignoranza oppure i dialetti sono una cosa da proteggere perché preziosa?

Eco sottolinea come gli esperti della lingua italiana fino a qualche anno fa auspicavano che si abbandonasse l’uso dei dialetti per favorire l’uso della lingua italiana nazionale. Oggi invece gli stessi linguisti credono che i dialetti siano un patrimonio da conservare e si chiedono come fare per evitare l’estinzione dei dialetti, considerati quindi come qualcosa di prezioso, da conservare e proteggere. Ma l’italiano sta comunque cambiando; si evolve, si sviluppa lo stesso nonostante il basic-italian diffuso dalla TV: negli anni 50 in una famiglia italiana i genitori parlavano in dialetto ed i figli che andavano a scuola parlavano l’italiano. Oggi le parti pare si siano invertite. Ora i figli sono cresciuti e sono diventati genitori ed i figli di oggi, dice Umberto Eco, non sanno più parlare italiano, perché i giovani usano molto gli sms, ed oggi ancora più del 2011 usano molto Facebook e Whatsapp, in cui si usa un linguaggio semplificato, fatto di sigle e di scorciatoie, di parole tagliate ed acronimi inventati. Le nuove generazioni leggono meno dei loro genitori, leggono meno i giornali e guardano meno la TV. I giovani preferiscono brevi messaggi, anzi, brevi sms.

Spero che i giovani che seguono Italiano Semplicemente invece siano dei buoni lettori ed anche dei buoni ascoltatori. Trovo la frase di Umberto Eco veramente molto profonda, soprattutto nella parte finale quando dice: “la lettura è un’immortalità all’indietro”, vale a dire con la lettura si vive più a lungo, ma la vita si allunga all’indietro, indietro all’infinito, fino a  diventare immortali: la lettura è un’immortalità all’indietro.

Spero che questa nuova rubrica vi piaccia, ogni volta faremo un personaggio italiano diverso e cercheremo alcuni spunti che possano avere a  che fare con la lingua italiana, con l’apprendimento della lingua italiana, come abbiamo fatto oggi. Continuate a lasciare messaggi sulla pagina Facebook e fatemi sapere quale personaggio volete sia il protagonista del prossimo grande personaggio italiano.

Grazie di essere sempre più numerosi e fedeli a seguire Italiano Semplicemente. Io sono sempre molto felice di leggere i vostri commenti e di discutere con voi, di connettermi con voi anche chiarendo dei dubbi che possono venire ascoltando i podcast.

Non esitate ad unirvi con noi su Facebook o su Twitter o Instagram al fine di riuscire a portare a termine  la mia missione che è quella di aiutarvi ad imparare a comunicare in Italiano. Voi comprendete già l’italiano, lo capite, volete parlarlo ed è la mia missione quella di aiutarvi a riuscirci.

Ora vi dico a presto, ed al prossimo episodio di Italiano Semplicemente, in cui vi spiegherò il significato de “il quarto d’ora accademico“, una caratteristica tutta italiana.

Ciao ciao.

 

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Giovanni Coletta

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