Essere incardinato – ITALIANO PROFESSIONALE (n. 39)

Italiano Professionale

Sezione n. 4: lavorare in Italia

Essere incardinato (episodio n. 39) (scarica audio)

Trascrizione

Bentornati alla quarta sezione del corso di Italiano Professionale.

Per la sezione “lavorare in Italia”, vediamo l’espressione essere incardinato o incardinata, al femminile.

Il verbo incardinare è abbastanza usato nel linguaggio amministrativo e istituzionale italiano.

Non si tratta di un verbo comune nella lingua parlata quotidiana, ma è frequente nei documenti ufficiali, nei bandi di concorso, nei contratti pubblici e negli organigrammi delle pubbliche amministrazioni.

Vedremo insieme che cosa significa, quando si usa, e quali alternative più semplici si possono eventualmente usare in contesti meno formali.

Il verbo incardinare deriva da cardine, che è un perno, un elemento fisso intorno al quale ruota qualcosa (come una porta).

Avete presente il cardine della porta?

Si usa chiaramente anche il senso figurato per indicare qualcosa di molto importante, di cui non si può fare a meno.

In senso figurato, essere incardinato – quindi usando il verbo incardinare – significa essere stabilmente inserito in una struttura organizzativa, o fare parte formalmente di un ufficio, di un ente o di un’amministrazione.

Esempi:

Il funzionario è incardinato presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Che è come dire che fa parte dell’organico di quel Ministero, è ufficialmente assegnato a quell’amministrazione.

La posizione sarà incardinata nella Direzione Generale per le Risorse Umane.

Vale a dire che il ruolo, che sarà occupato da qualcuno, sarà collocato strutturalmente all’interno di quell’unità organizzativa.

Pur lavorando in distacco presso un’altra sede, il dipendente resta incardinato nell’ufficio originario.

Cioè a dire (come direbbe Camilleri) che l’ufficio di appartenenza resta formalmente quello di origine.

Essere “incardinato” non significa soltanto “lavorare in”, ma implica una collocazione formale e duratura, spesso di natura giuridico-amministrativa.

È un termine che riguarda il rapporto strutturale con un’organizzazione.

Il termine cardine sta a rappresentare il legame saldo, che ha implicato una serie di azioni: la creazione dell’account aziendale, l’assegnazione di un ufficio, e ha comportato l’occupazione di una posizione programmata, eccetera. Una serie di cose che rendono anche difficoltosa una variazione, un eventuale spostamento. Bisogna fare ogni volta una serie di procedure.

In ambito universitario, ad esempio:

Il professore è incardinato nel Dipartimento di Giurisprudenza.

Cioè, è formalmente assegnato a quel Dipartimento.

Espressioni simili (ma non equivalenti):

essere stato assegnato a (più generico)

fare parte di (più colloquiale)

essere strutturalmente incluso in (più tecnico ma simile)

Lavorare in/presso (il più generico dei modi)

L’espressione “essere incardinato” è dunque un ottimo esempio di linguaggio tecnico-amministrativo italiano.

Conoscerla è utile per leggere correttamente i documenti ufficiali, interpretare correttamente un contratto di lavoro, un bando di concorso o un’organizzazione istituzionale.

Ci vediamo alla prossima lezione di Italiano Professionale e ricordo a tutti che per accedere all’intero corso occorre diventare membri dell’associazione Italiano Semplicemente. In alternativa, se siete interessati solamente alle lezioni di Italiano Professionale, si possono anche acquistare i libri su Amazon o sul sito di Italiano Semplicemente.

Un saluto a tutti.

Mettiamo un punto fermo: uso dell’asterisco e della “e” rovesciata (ə)

Mettiamo un punto fermo: uso dell’asterisco e della “e” rovesciata (ə)

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Associazione Italiano Semplicemente

Indice degli episodi della rubrica

Trascrizione

Cari ascoltatori di Italiano Semplicemente, oggi voglio parlarvi di un’espressione molto utile quando si vuole chiudere una questione una volta per tutte: mettere un punto fermo.

E chi ha deciso di mettere un punto fermo di recente?

Ad esempio lo ha fatto il Ministero dell’Istruzione e del Merito, che recentemente ha inviato una circolare (una comunicazione ufficiale) a tutte le scuole italiane per stabilire che nelle comunicazioni ufficiali si devono rispettare le regole della lingua italiana.

In particolare: niente più asterischi (*) e niente più schwa (ə). Quest’ultima è una e rovesciata. Ma di che si tratta? Cos’è questa e rovesciata?

Ora, per chi non ha seguito il dibattito degli ultimi anni, facciamo un passo indietro: perché mai qualcuno aveva iniziato a usare questi simboli nella lingua italiana?

L’uso è legato al problema del genere nella lingua italiana.

L’italiano è una lingua che distingue chiaramente tra maschile e femminile: “cari amici” se ci si rivolge a un gruppo misto, “care amiche” se sono tutte donne. Ma alcune persone ritengono che questa divisione escluda chi non si riconosce in nessuno dei due generi.

Per questo, in certi ambienti – soprattutto nelle università, in alcuni enti pubblici e in gruppi attenti alle tematiche di inclusione si era diffuso l’uso sia dell’asterisco o in alternativa della rovesciata.

Spiego meglio.

L’asterisco (*) viene usato al posto della vocale finale: “Car* amic*, tutt* quell* che ricevono questo messaggio”.

Lo schwa (ə) viene usata come vocale neutra che, nelle intenzioni di chi la propone, dovrebbe evitare di scegliere tra il maschile e il femminile: “Carə amicə, benvenutə”.

Non si tratta di pronuncia, ma solamente di testo scritto. È infatti non c’è una pronuncia associata sia nel caso di uso dell’asterisco che della schwa.

Il problema, però, è che nella nostra lingua questo simbolo non è mai stato usato né nella grammatica tantomeno nella pronuncia.

Il ministero allora mette un punto fermo, cioè chiarisce la questione una volta per tutte.

Secondo la circolare firmata dal Ministero dell’Istruzione, questi simboli compromettono la chiarezza della comunicazione istituzionale. Possono creare confusione, specialmente nei documenti ufficiali.

Il documento cita anche un parere dell’Accademia della Crusca, l’istituzione che studia e protegge la lingua italiana, la quale aveva già espresso dubbi su questi esperimenti linguistici. In particolare:

L’asterisco è inutilizzabile nei testi ufficiali perché non si sa come si legge.

Lo schwa non è un simbolo usato nella scrittura italiana, e quindi potrebbe generare difficoltà nella comprensione dei testi.

Ora, chiaramente c’è chi sospetta che dietro questa decisione ci siano anche motivazioni politiche.

Oggi in Italia c’è un governo di centro-destra, che ha una visione più conservatrice su molte questioni, inclusa la lingua. Quindi niente forzature ideologiche sulla lingua italiana.

Secondo questa prospettiva, la grammatica italiana non deve essere modificata per ragioni sociali o politiche, e le comunicazioni scolastiche devono essere chiare e accessibili a tutti. Da qui la decisione di mettere un punto fermo sulla questione, vietando asterischi e schwa nei documenti ufficiali.

La si può pensare come si vuole, ma per me questo è solo un pretesto per spiegare qualcosa in più. In questo caso mi interessa l’espressione “mettere un punto fermo”.

Vediamo anche altre espressioni simili a “mettere un punto fermo”.

Se volete variare un po’, potete usare altre espressioni più o meno equivalenti, come:

“Tagliare la testa al toro” cioè Prendere una decisione netta per eliminare ogni dubbio. Povero toro ♉…

Chiudere la questione una volta per tutte“, senza lasciare spazio a ulteriori discussioni. Ci siamo già occupati di questa locuzione.

Simile è anche “Mettere i puntini sulle i” poiché si vuole definire con precisione ogni dettaglio, e mettere i puntini sulle i, capite bene, è veramente da precisini, no?

Dare un colpo di spugna” è abbastanza simile.

Questa espressione indica la volontà di dimenticare o mettere a tacere situazioni o problemi.

Il modo di dire nasce dall’azione di passare la spugna su una superficie, che permette di pulire senza lasciare residui.

Tirare una linea” è ugualmente molto usata. Più formale e elegante. Significa stabilire un confine chiaro su cosa è accettabile e cosa no. Come dire: da oggi in poi le cose saranno diverse.

Insomma, il ministero ha deciso di chiudere la discussione e di imporre una regola chiara.

Fine delle sperimentazioni linguistiche? Probabilmente no, perché la lingua è un organismo vivo e continua a cambiare. Ma, per ora, nelle scuole italiane il punto fermo è stato messo.

Adesso un piccolo esercizio di ripetizione:

Mettere un punto fermo

Tirare una linea

Chiudere una discussione

Chiudere la questione una volta per tutte.

Tagliare la testa al toro.

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Il verbo “avanzare”

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Associazione Italiano Semplicemente

Indice degli episodi della rubrica

Trascrizione

Buongiorno e benvenuti nell’episodio dedicato al verbo “avanzare“. Mi avanzava un po’ di tempo così mi sono detto: perché non rispondere alla domanda di Marguerite, che mi ha chiesto un approfondimento su questo verbo? Saluto la cara Marguerite.

È un verbo pieno di sfumature, cara Marguerite, un verbo che si può usare in tanti contesti diversi.

Vi è mai capitato (mi rivolgo a tutti adesso) di dire che “il lavoro avanza a fatica“?

Oppure di sentir dire che “il buio avanza“?

O magari vi siete trovati con un piatto di pasta avanzata dal pranzo? Ecco, vediamo un po’ insieme come funziona questo verbo poliedrico.

1. Avanzare nel senso di procedere, andare avanti

Il primo significato, quello più intuitivo, è quello di “andare avanti”, “procedere”.

  • L’esercito avanza su tutti i fronti.
  • Non stare fermo, avanza di qualche passo!
  • Il progetto sta avanzando rapidamente.
  • Il lavoro avanza a fatica, ma almeno non è fermo!

Spesso c’è un movimento fisico in avanti, altre volte c’è un progresso, una progressione o uno sviluppo positivo, ma in tutti i casi si tratta di un avanzamento.

In questo senso possiamo anche avanzare nella vita, negli studi, nella carriera:

  • Gianni è avanzato di grado ed è stato promosso.
  • Emanuele vuole avanzare negli studi e ottenere un master.
  • Con il tempo, tutti avanziamo negli anni (e magari ci piacerebbe fermarci un po’!).
  • Quando l’età avanza, posso dire (permettetemi la battuta) “lui” rimpicciolisce…. Questa l’ho trovata su internet!

2. Avanzare nel senso di superare, oltrepassare o spostare

A volte, “avanzare” significa “andare oltre”, “oltrepassare”, “superare un ostacolo” o “lasciare qualcuno indietro: qualcuno o qualcosa”.

  • Gianni si mise a correre e avanzò Marcelo di qualche metro.
  • Se vuoi vincere, devi avanzare i tuoi avversari!
  • Cerca di avanzare il tavolo di un metro. Prendilo e spostalo.

3. Avanzare nel senso di proporre, presentare, inoltrare

Ma “avanzare” non riguarda solo il movimento fisico. Si può anche “avanzare” qualcosa di meno tangibile, come una richiesta, una proposta o un’idea.

  • Vorrei avanzare una domanda di pensionamento. Un uso burocratico questo.
  • Giovanni ha avanzato un’ipotesi interessante su come spiegare l’italiano agli stranieri. A volte questo uso è in contesti formali, ma non è necessario.
  • Il prof. di italiano ha avanzato delle obiezioni.

In questi casi, “avanzare” è sinonimo di “presentare”, “proporre”, “portare avanti” (sottolineo la parola avanti), una richiesta o un’idea.

4. Avanzare nel senso di addurre, accampare.

Qui siamo vicini al senso precedente di “presentare”, infatti avanzare può anche significare “portare come giustificazione“, “dare una motivazione” o “presentare un pretesto“. Non molto informale questo uso.

Vediamo qualche esempio:

  • Sofie ha avanzato delle scuse ridicole per giustificare il ritardo.
    (Ha dato delle giustificazioni poco credibili.)
  • Non puoi avanzare sempre la stessa scusa per non venire!
    (Non puoi sempre usare la stessa motivazione per giustificarti.).
  • L’imputato ha avanzato delle pretese ingiustificate.
    (Ha richiesto qualcosa senza avere reali motivi per farlo.)
  • Hartmut ha avanzato una serie di motivazioni per non partecipare alla riunione.
    (Ha dato una serie di ragioni, vere o presunte.)

In questi casi, “avanzare” è simile a “portare avanti”, “presentare” un motivo, una giustificazione o una richiesta, spesso, quando non si tratta di contesti formali, con un tono un po’ polemico o scettico. Quando si dice che qualcuno “avanza pretese“, ad esempio, significa che sta richiedendo qualcosa che forse non gli spetta davvero.

Quindi, possiamo dire che “avanzare” in questo senso è un modo più formale o leggermente critico per indicare che qualcuno sta portando delle ragioni, delle richieste o delle giustificazioni, che possono essere valide o meno.

5. Avanzare nel senso di rimanere

E poi c’è un significato molto diverso: quello di “rimanere“, “essere in eccesso”, “essere di avanzo”, “rimanere come resto”. Se qualcosa avanza, spessissimo vuol dire che non serve più.

  • Dopo cena è avanzata una fetta di torta. Che ne facciamo? La gettiamo?
  • Hai ancora quei soldi che ti ho dato? Ti è avanzato qualche soldo?
  • È avanzata un po’ di pasta, la vuoi riscaldare?
  • Sei di avanzo nella nostra azienda. Te ne devi andare!

Questo è un uso molto comune nella vita quotidiana, soprattutto a tavola!

6. Avanzare nel senso di essere creditore

Un uso molto interessante poi è quello legato al credito e al debito. Se vi capita di dover reclamare qualcosa, il verbo “avanzare” fa al caso vostro.

  • Avanzo ancora cento euro da te! Quando me li dai?
  • Scusa, ma da questo contratto io avanzo un rimborso!
  • Scusa, avanzi qualcosa da me per la cena di ieri o siamo pari? Casomai te li do domani.

Qui “avanzare” è sinonimo di “essere creditore”, “aspettarsi di ricevere qualcosa”. Abbastanza simile , se vogliamo, al senso di avanzare delle pretese, ma in quel caso si propongono queste pretese. In questo caso invece si sta parlando di soldi, o comunque si parla della cosa che “si avanza” nel senso che si pretende: che siano soldi o altro. Si parla di un credito non ancora riscosso, che può essere di denaro o di qualunque altro tipo di diritto, come un favore, ad esempio.

7. Avanzare nel tempo

Infine, “avanzare” si usa anche per indicare il passare del tempo. Col passare del tempo cosa va avanti? Cosa aumenta? Cosa progredisce? Varie cose. Vediamo quali.

  • Avanza la sera, dobbiamo andare.
  • Quando l’inverno avanza, le giornate si accorciano.
  • Il buio avanza, sbrighiamoci ad uscire dal bosco.

In questi casi, il verbo indica qualcosa che si avvicina, che procede inesorabilmente, con il tempo che passa.

Esercizio di ripetizione

E adesso, un piccolo esercizio di ripetizione per voi. Ripetete dopo di me:

  • Avanzare
  • Avanzo ancora dei soldi!
  • Il progetto avanza lentamente.
  • Ha avanzato una proposta interessante.
  • Ultimamente avanzi delle pretese assurde.
  • È avanzato del cibo dalla cena.
  • No grazie, non mangio mai gli avanzi del giorno prima!
  • La notte avanza, meglio andare a dormire.

Bene, l’episodio finisce qui! Spero di avervi aiutato ad avanzare nella conoscenza dell’italiano. Alla prossima!

Ah, se vi avanza qualcosa potete fare una donazione per Italiano Semplicemente. Se invece la richiesta avanzata vi sembra troppo pretenziosa, vi ringrazio dell’ascolto e alla prossima!

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Il verbo “sollevare”

Il verbo “sollevare”

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Associazione Italiano Semplicemente

Indice degli episodi della rubrica

Trascrizione

sollevare

Buongiorno amici di Italianosemplicemente.com e benvenuti nell’episodio dedicato al verbo “sollevare”, che, a quanto pare, ha sollevato dei dubbi in alcune persone che mi hanno chiesto una spiegazione, per via dei molteplici utilizzi di questo verbo poliedrico. Finora abbiamo trattato solamente l’espressione sollevare da un incarico, all’interno del corso di Italiano Professionale.

Il verbo sollevare è uno di quei verbi tuttofare che si infilano dappertutto, sia in senso letterale che figurato. È come un amico sempre pronto a darti una mano… o meglio, a tirarti su quando serve! Sapete bene perché ho usato “tirare su”, vero?

Vediamolo insieme, questo verbo, con un po’ di leggerezza naturalmente (guarda caso, è spesso l’opposto di quello che fa il verbo “sollevare” quando si tratta di pesi!).

1. Sollevare nel senso più atletico della parola

Sollevare vuol dire innanzitutto alzare qualcosa o qualcuno. Questo è l’utilizzo più frequente. Puoi sollevare il tuo amico ubriaco da terra, ma puoi anche sollevare pesi in palestra (o almeno ci si prova), solleviamo le borse della spesa (con grande fatica), solleviamo le mani al cielo quando la nostra squadra segna un gol. Se solleviamo gli occhi, invece, non significa che abbiamo i muscoli nelle palpebre, ma semplicemente che guardiamo in alto.

Altri esempi di questo tipo?

L’aereo si sollevò dalla pista

Aiutami a sollevarmi dal letto per favore

2. Sollevare da un peso (figurato)

Ti vorrei sollevare da questo peso!

Questo è un modo gentile per dire “Vorrei aiutarti a liberarti di questa difficoltà”, “Vorrei alleggerirti da questa responsabilità” (notate come la preposizione cambia al cambiare del verbo).

Notate anche che quando il “peso” è figurato si usa spesso la preposizione “da” o una delle preposizioni articolate collegate (dai, dagli, dalla, eccetera). Ho detto spesso, non sempre. Infatti a volte non si usa nessuna preposizione:

Ti senti sollevato adesso che ho detto che non è colpa tua?

Significa “Ti senti più tranquillo, più leggero?”.

Se qualcuno si sentiva in colpa o preoccupato per qualcosa, sapere che non è colpa sua lo può sollevare, cioè farlo sentire meglio, togliendogli un peso dalla coscienza. Vedete che parliamo sempre di pesi, alla fin fine (questa espressione credo di non averla mai spiegata… me la segno e presto avrete mie notizie 🙂

Non pesa nulla, ma si può sollevare ugualmente. Cos’è? Il sopracciglio può essere una risposta!

Hai sollevato il sopracciglio. Significa qualcosa? Forse hai dei dubbi? Non ti fidi?

Notate che se solleviamo un solo sopracciglio generalmente è proprio per manifestare dubbi o sfiducia, mentre se li solleviamo entrambi è per esprimere stupore.

3. Sollevare pensieri (e non solo pesi)

A volte, però, solleviamo cose più leggere, come i pensieri o le preghiere. “Sollevare il pensiero a Dio” non significa metterlo su un montacarichi, ma elevarlo spiritualmente. Poco usato in questo modo comunque. Lo stesso vale per “sollevare una preghiera al cielo”.

4. Sollevare qualcuno dai guai

Un po’ come un supereroe, “sollevare” può anche significare liberare qualcuno da un problema. Se hai un amico in difficoltà economiche e gli presti qualche soldo, lo stai sollevando dalla miseria (anche se il tuo portafoglio potrebbe sentirsi un po’ meno sollevato).

Quindi parliamo di riuscire a venire fuori da uno stato di difficoltà materiale. Ecco, qui meglio usare risollevarsi.

Grazie all’eredità è riuscito a sollevarsi dalla miseria
Con grande impegno, è riuscito a risollevarsi dopo mesi di recupero

5. Sollevare da un impegno

Se un collega si offre di fare il lavoro al posto tuo, ti sta sollevando da un peso, ma anche da un impegno.

Per sollevare qualcuno da un impegno comunque è sufficiente dirgli che non deve più fare quella cosa, che non ha più quell’impegno. Non è necessario che quell’impegno venga assunto da altri.

Rispolverando l’episodio di Italiano Professionale di cui sopra, se il tuo capo ti solleva dall’incarico, beh… diciamo che hai un sacco di tempo libero da quel momento in poi!

Sollevare qualcuno da un incarico infatti è un modo più formale e “delicato” per dire che qualcuno è stato rimosso dal suo ruolo, che spesso equivale a dire che è stato licenziato o destituito. C’è da dire però che una persona può anche essere promossa ad un livello superiore e anche in questo caso possiamo usare sollevare. Es:

Sollevare qualcuno al trono

Poco usato comunque.

6. Sollevare un problema (e creare scompiglio!)

Così come si sollevano dubbi (non ve l’avevo detto ancora?) si possono allo stesso modo sollevare delle questioni. In entrambi i casi si porta all’attenzione qualcosa a altre persone.

“Scusate, vorrei sollevare una questione.” Classica frase da riunione che può scatenare il caos! Sollevare una questione significa proprio questo: portarla all’attenzione di tutti. Poi però qualcuno potrebbe risponderti: non sollevare questioni inutili che rischiano di sollevare un polverone! Quest’ultima espressione l’abbiamo già incontrata nell’episodio dedicato al “polverone”, se ricordate. È simile a sollevare una polemica. D’altronde abbiamo già visto che si può sollevare anche una bufera, un putiferio o un vespaio.

7. Sollevare proteste (o rivoluzioni!)

Estremizzando e generalizzando, quando una nuova legge o qualunque altra cosa, non piace, può sollevare polemiche. Se le polemiche sono tante, possono addirittura sollevare una ribellione. E qui passiamo al significato più epico del verbo: far insorgere le masse! Sollevare le masse significa esattamente questo: far insorgere le masse, cioè scatenare proteste da parte della gente, del popolo, che potrebbe manifestare apertamente il loro dissenso attraverso manifestazioni, proteste di piazza eccetera. Anche il verbo agitare si può usare in questi casi, come abbiamo visto quando vi ho parlato del verbo suddetto.

8. Sollevarsi da soli (la vera sfida!)

C’è il lato più motivazionale del verbo: sollevarsi significa anche rimettersi in piedi dopo una caduta (reale o metaforica). Dopo una brutta giornata, dopo un periodo difficile, dopo aver sentito una brutta notizia… ci si deve sempre sollevare. E magari, nel farlo, ci scappa anche un sorriso! Spesso si usano anche risollevare e risollevarsi in questo caso.

La differenza principale è che “sollevarsi” può indicare sia il semplice atto di alzarsi (fisicamente o metaforicamente), sia il riprendersi da una situazione difficile. Invece, “risollevarsi” mette più l’accento sul fatto che si sta tornando a stare meglio dopo una fase negativa.
Es:

Dopo la crisi economica, l’azienda si sta risollevando.

Qui è ancora più chiaro che prima stava male e ora si sta riprendendo.

Dopo quella sconfitta, la squadra si è risollevata e ha vinto la partita successiva.

Bene, l’episodio finisce qui, nella speranza di aver sollevato il vostro animo o di avervi risollevato lo spirito se la vostra giornata fosse iniziata male.

Anzi no, prima un piccolo esercizio di ripetizione:

Sollevare

Risollevare

Sollevare un dubbio

Mi aiuti a sollevarmi dal letto?

Vorrei sollevare una questione importante

Adesso mi sento veramente risollevato. Grazie per l’aiuto morale!

Vorrei sollevarti da questo peso, credimi, ma non posso!

Ti sollevo dall’incarico!

Per oggi siete sollevati dall’ascolto di altri episodi! (potete ripetere anche questa 🙂

FINE.

Ciao!

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In linea di principio

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Indice degli episodi della rubrica

Trascrizione

In linea di principio

Buongiorno amici di Italianosemplicemente.com e benvenuti in questo nuovo episodio. Io sono Giovanni e oggi vi vorrei parlare di una locuzione molto usata nella lingua italiana: “in linea di principio”.

Iniziamo dal principio, cioè dall’inizio:  la parola “principio” l’abbiamo sicuramente incontrata in molte occasioni. Ne abbiamo parlato anche nell’episodio dedicato alla “questione di principio”. Approfondiamo un po’.

Principio”  ha diversi significati a seconda del contesto. Indica l’inizio di qualcosa, ma può anche indicare la base o il fondamento di un ragionamento, ad esempio una legge o un fenomeno.

Vediamo alcuni significati principali:

Quando significa inizio o origine, posso dire ad esempio:

Il principio dell’universo è ancora oggetto di studio.

Era chiaro fin dal principio che la situazione sarebbe stata complessa.

Abbiamo trattato, qualche episodio fa “fin da”, a cui può seguire la parola inizio, oppure principio fin dall’inizio, sin dall’inizio, fin dal principio, sin dal principio. Stesso significato.

Se invece parliamo di un fondamento, base di un sistema o di una teoria, cioè di qualcosa di molto importante che è alla base del nostro ragionamento, posso dire:

Il principio di Archimede è uno dei capisaldi della fisica.

Sono un uomo di sani principi. In questo caso parliamo di una norma di comportamento, specialmente in quanto moralmente valido.

Nella Costituzione italiana sono sanciti i principi fondamentali della Repubblica.

Anche se parliamo di una regola morale o etica siamo molto vicini al concetto di fondamento:

Agire secondo principi di giustizia è fondamentale per una società civile.

Non posso accettare questa proposta per una questione di principio.

Ora passiamo all’espressione “in linea di principio“.

Questa locuzione significa “in teoria, secondo il principio generale“, ma lascia aperta la possibilità di eccezioni nella pratica. Non significa “principalmente”, come potrebbe sembrare a qualcuno (che indica qualcosa di prioritario o preponderante, come può essere un principio, in fondo, cioè una base, un fondamento o una regola morale), ma piuttosto “in generale, salvo eccezioni o dettagli da considerare”.

“In teoria” o “teoricamente” sono le modalità più comuni e generali per esprimere lo stesso concetto.

Vediamo come usare “in linea di principio”.

La maggiore età è l’età alla quale una persona acquisisce, in linea di principio, la capacità di agire, cioè la capacità di porre in essere in autonomia contratti giuridicamente validi.

Ciò significa che, in generale, cioè almeno in teoria, una persona maggiorenne ha questa capacità, ma potrebbero esserci delle eccezioni (ad esempio, persone soggette a tutela legale).

Come ho detto potrei usare “teoricamente” o “in teoria” oppure, più formale “sul piano teorico“. Es:

Teoricamente, tutti hanno gli stessi diritti, ma nella pratica non sempre è così.

In teoria potremmo finire il progetto in una settimana, ma potrebbero sorgere imprevisti.

Ci si avvicina anche la locuzione “di norma”, ma qui siamo più vicini a “solitamente” e “di solito” o anche “normalmente”. Parliamo di ciò che avviene la maggioranza delle volte.

Es:

Di norma, le scuole chiudono a giugno, ma possono esserci eccezioni.

Quando si usa allora “in linea di principio”?

Si preferisce usare questa espressione in contesti formali o quando si vuole indicare un quadro generale lasciando aperta la possibilità di eccezioni.

Ecco altri esempi:

In linea di principio, la scienza deve basarsi sull’evidenza empirica.

In linea di principio, accettiamo tutti i candidati con i requisiti richiesti.

In linea di principio, ogni cittadino ha diritto alla salute e all’istruzione.

L’espressione è molto utile per esprimere concetti generali senza essere troppo assoluti, proprio come l’associazione Italiano Semplicemente, che in linea di principio si occupa di insegnare l’italiano, ma lo fa anche attraverso la cultura e il divertimento!

Comunque, nonostante il carattere leggermente formale della locuzione, non c’è niente di male se la usate per frasi più di uso quotidiano:

Es:

In linea di principio hai ragione, ma…

Il concetto di “linea” esprime il fatto di seguire, nel ragionamento, una “linea”. In che senso?

Nel senso che si richiama proprio l’idea di seguire un filo logico, una direzione generale nel ragionamento. Si tratta di un’espressione che suggerisce l’adesione a un principio generale, ma senza necessariamente escludere eccezioni o dettagli specifici.

Questa metafora della linea è usata anche in altre espressioni simili, ad esempio:

  • Seguire una linea di pensiero, che significa sviluppare un ragionamento coerente.
  • Mantenere una linea coerente che indica il rispetto di una direzione logica o politica.
  • Essere sulla stessa linea, che vuol dire condividere lo stesso punto di vista o approccio.

Nel caso di “in linea di principio”, quindi, la “linea” rappresenta un criterio generale, una direzione logica da seguire, pur lasciando spazio a eventuali precisazioni o modifiche in casi specifici.

Adesso un piccolo esercizio di ripetizione. Ripetete dopo di me.

Principio

In principio

In principio avevo dei dubbi

In linea di principio

In linea di principio hai ragione

In linea di principio  a 18 anni si diventa adulti

Alla prossima. Ciao!

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Orecchio: significato e Utilizzo delle Espressioni Italiane

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Durata audio MP3: 11: 40

Descrizione: Un orecchio si può prestare e drizzare, e ci si può persino inserire una pulce dentro! Vediamo le espressioni più comuni.

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Farci il callo

audio mp3

Farci il callo

Trascrizione:

“Farci il callo” è un modo di dire informale che significa diventare abituati o diventare insensibili a qualcosa, di solito a causa della ripetizione o dell’esposizione prolungata a una certa situazione, esperienza o comportamento.

Abbiamo un episodio interessante sulle abitudini. Questa però è un’abitudine che porta delle conseguenze, o meglio che non porta più le conseguenze delle prime volte.

In sostanza, l’espressione indica che una persona, quando fa il callo a qualcosa, è diventata indifferente o immune a qualcosa che inizialmente poteva essere sgradevole o fastidioso.

In realtà non necessariamente parliamo di cose fastidiose e negative.

Anche se spesso è usata per riferirsi a situazioni spiacevoli o fastidiose, il concetto di “farci il callo” può applicarsi anche a esperienze positive o neutre.

Ad esempio, potresti “farci il callo” a fare una determinata attività fisica, rendendoti meno sensibile al dolore o alla fatica nel tempo. Un esempio classico:

Se sono sempre trattato male da una persona e ormai mi sono abituato a questo, posso dire che c’ho fatto il callo.

Se una persona viene trattata male ripetutamente, potrebbe diventare insensibile o abituata a quel comportamento negativo, riducendo così la sua capacità di reagire emotivamente o di prendere provvedimenti per cambiare la situazione.

In pratica non c’è più una reazione emotiva perché ormai è accaduto tante volte.

Vediamo alltri tre esempi di utilizzo.

Se una persona vive in un ambiente rumoroso per molto tempo, potrebbe farci il callo al rumore e smettere di notarlo.

Possiamo anche dire “potrebbe fare il callo al rumore” perché sto specificando, ma solitamente si usa “farci”, che io specifichi o meno.

Tipo: ormai c’ho fatto il callo.

Un secondo esempio:

Un dipendente che riceve critiche costanti dal suo capo potrebbe fare il callo alle critiche e non reagire più emotivamente. Ormai non ci fa più neanche caso. È diventato normale.

Un ultimo esempio:

Se una persona mangia cibo piccante regolarmente, potrebbe farci il callo e iniziare a non percepirlo come particolarmente piccante.

Ma come, dici che non è piccante? Io mi sono ustionato la bocca!

Risposta: che sarà mai, ormai ci ho fatto il callo.

Notate che “ci ho” può diventare “c’ho” e vi capiterà più spesso la forma abbreviata perché l’espressione è colloquiale.

Io c’ho fatto il callo

Tu c’hai fatto il callo

Lui c’ha fatto il callo

Noi c’abbiamo fatto il callo

Voi c’avete fatto il callo

Loro c’hanno fatto il callo

In caso si volesse usare un’espressione meno informale potrei dire:

Ormai mi ci sono abituato

Ormai mi sono abituato

Ormai c’ho fatto l’abitudine

Ormai mi sono assuefatto

Oppure un’espressione meno informale potrebbe essere:

Ormai sono diventato insensibile alle critiche

o

Ho sviluppato una certa tolleranza al piccante.

Solitamente si usa “ormai” all’inizio della frase, solo per preparare l’ascoltatore, ma non è obbligatorio.

Poi c’è anche un’altra espressione dal senso simile: “non mi fa più né caldo né freddo” che ha lo stesso uso di “farci il callo” se ci metto il “più”. Altrimenti potrei parlare semplicemente di qualcosa che mi lascia indifferente, che non mi suscita alcuna sensazione o emozione.

Ma cos’è il callo?

Il “callo” è una dura formazione di tessuto cutaneo (quindi il callo viene sulla pelle, cresce sulla pelle) che si sviluppa in risposta a una costante pressione, attrito o irritazione sulla pelle. Se avete le scarpe strette all’inizio vengono delle vesciche che fanno molto male, ma prima o poi vi verranno dei calli sulle dita e allora sentirete meno dolore. “Ci farete il callo alle scarpe strette”, si potrebbe dire.

Anche alle mani possono venire i calli.

Io ad esempio ho fatto il pizzaiolo per più di dieci anni e ho ancora i calli alle mani. Il callo è dunque una risposta naturale del corpo per proteggere la pelle da danni ulteriori. Quando diciamo “farci il callo a qualcosa”, però, ci riferiamo metaforicamente al processo di sviluppare una sorta di protezione o insensibilità nei confronti di un’esperienza ripetuta o sgradevole.

Si usa il verbo fare e farci proprio analogamente alle abitudini:

Farci l’abitudine

Fare l’abitudine

Adesso facciamo un esercizio di ascolto e ripetizione. È importante. Ripetete dopo di me.

Farci il callo.

Bisogna farci il callo a certe cose per non soffrire.

Io c’ho fatto il callo.

Ancora non c’hai fatto il callo?

Non riesco a farci il callo a certi comportamenti.

Mica è facile farci il callo.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente.

Darsi ai bagordi

Darsi ai bagordi

Descrizione: “Darsi ai bagordi” significa indulgere in attività svaganti o piacevoli in modo eccessivo, spesso in maniera disordinata o senza riguardo per le responsabilità. Si tratta di trascorrere il tempo in divertimenti o svaghi senza preoccuparsi troppo delle conseguenze o dei doveri.

Per avere il file audio MP3 e la trascrizione completa in PDF di questo e di tutti gli altri episodi, anche in pdf, diventa membro di Italiano Semplicemente.

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Mettercela tutta

Mettercela tutta (scarica audio)

Giovanni: “Mettercela tutta“. Questa è l’espressione di cui ci occupiamo oggi.
“Mettercela tutta” significa impegnarsi al massimo, dedicare tutto il proprio sforzo e energie a qualcosa, fare del proprio meglio per raggiungere un obiettivo o affrontare una sfida. È un’espressione che sottolinea il massimo impegno e la determinazione nel perseguire un obiettivo.

E’ un’espressione del tutto equivalente ad altre, tipo: “dare tutto” o anche “dare tutto se stessi” o “dare l’anima” e simile anche a “sputare sangue”.

Ce ne sono anche altre abbastanza simili:

  • Dare il massimo
  • Sforzarsi al massimo
  • Impegnarsi al massimo
  • Fare del proprio meglio
  • Non risparmiarsi
  • Dare tutto quello che si ha
  • Dare tutto quello che si può

Ma torniamo all’espressione “mettercela tutta”, che utilizza il verbo “mettere”. Questo è chiaro.

Mettere nel senso di impiegare. In questo caso si parla di impegno, di energie, di sforzo, di fatica.
Si sottolinea l’azione di investire completamente se stessi in un’attività o in un obiettivo, indicando massimo impegno e dedizione.

Vediamo qualche esempio:

Nello studio:
“Sto studiando per gli esami e voglio davvero mettercela tutta quest’anno.”

Nello sport:
“L’atleta si è infortunato, ma vuole comunque mettercela tutta per tornare in forma.”

Nel lavoro:
“Ho un progetto importante da completare, e voglio mettercela tutta per consegnarlo entro la scadenza.”

Nelle relazioni:
“Dopo l’ultimo litigio, abbiamo deciso entrambi di mettercela tutta per far funzionare la nostra relazione.”

Nelle passioni personali:
“Ho iniziato a suonare la chitarra e voglio veramente mettercela tutta per migliorare la mia abilità musicale.”

Avrete notato che in “mettercela” c’è la particella “ce” che si riferisce al luogo o l’obiettivo. È anche possibile staccare ce dal verbo.

Es: ce la devi mettere tutta per superare l’esame

Cioè:

Devi mettercela tutta per superare l’esame.

Oppure:

Dovrò mettercela tutta affinché io possa battere il record del mondo

Cioè:

Ce la dovrò mettere tutta affinché io possa battere il record del mondo.

Questo si può fare anche con altri verbi, non solo con mettere. C’è già un episodio in merito (anzi due) fortunatamente, quindi potete dargli un’occhiata se vi interessa.

Avrete anche notato che si usa la forma femminile: mettercela e non mettercelo. Lo abbiamo visto anche in altri episodi. “La” a cosa si riferisce quindi?

Questa cosa di usare il femminile nelle locuzioni e espressioni idiomatiche è una caratteristica della lingua italiana e la forma femminile non è legata in questi casi al genere del sostantivo.

Parliamo di impegno che è maschile, o di dedizione che è femminile, o di energia, ancora femminile, o di sforzo, stavolta maschile. Potreste impazzire se andiamo avanti così…

Ci sono pertanto molte altre espressioni idiomatiche in italiano che seguono la forma femminile. Qualcuna di queste li abbiamo già trattate. Abbiamo anche parlato dei verbi pronominali una volta.

Es:

Farla fuori dal vaso (che ha un senso simile a esagerare)

Prendersela comoda

Buttarla in vacca

Buttarla in caciara

Farla finita

Finirla, piantarla

Prendersela con qualcuno (accusare qualcuno per qualcosa di accaduto)

Farla franca

Buttarla sul ridere (un’espressione che si usa per sdrammatizzare)

Farsela sotto

Bersela

Farcela

Passarla liscia

Vedersela

In tutte queste espressioni il cambiamento al maschile ne compromette il significato. Non avremo più un’espressione o una locuzione.

Spesso accade invece che la stessa modalità possa usarsi anche per riferirsi a un sostantivo femminile, ma in quel caso il senso è quello materiale.

Es: quanta pasta devo mettere nell’acqua?

Risposta: metticela tutta

Oppure: devi mettercela tutta, ce la devi mettere tutta.

Sto parlando della pasta (la) che devo mettere nell’acqua (“ce” indica il luogo).

In questo caso, quando mi riferisco al sostantivo, la frase ha lo stesso uso della forma maschile.

Es:

Ho un etto di formaggio qui, quanto ne devo mettere nella pasta?

Risposta: “ce lo devi mettere tutto” o “metticelo tutto” o “devi mettercelo tutto“.

Stavolta uso il maschile perché il formaggio è maschile.

In altre locuzioni simili, cioè che sono alla forma femminile, a volte accade la stessa cosa, vale a dire che posso usare il maschile o il femminile in senso materiale per riferirmi a qualcosa di maschile o femminile, ma in altri casi non si fa.

Le espressioni citate prima ad esempio non si usano quasi mai al maschile neanche in senso materiale. A volte si può fare però.

Ad esempio “prendersela comoda” potrei usarla così:

Dovrei prendere una poltrona, hai qualche consiglio da darmi?

Risposta: prenditela comoda! In questi casi bisogna prendersela comoda.

Chiaramente sto parlando della poltrona che deve essere comoda, cioè confortevole.

Adesso facciamo un esercizio di ripetizione. Ripetete dopo di me:

Ce la devi mettere tutta!

Stavolta ce la metterò tutta, caschi il mondo!

Metticela tutta mi raccomando!

Per mettercela tutta non ce la dobbiamo prendere comoda

Per farcela, dobbiamo mettercela tutta!

Se vuoi farla franca, devi mettercela tutta!

Mettetecela tutta se volete superare l’esame di italiano

Mi auguro che ce la mettano tutta i vostri figli per laurearsi in tempo.