Ci voleva o non ci voleva? (Ep. 937)

Ci voleva o non ci voleva? (scarica audio)

non ci voleva

Trascrizione

L’espressione “Non ci voleva” è interessante perché è usata spessissimo nel linguaggio di tutti i giorni. Si usa quando accade un problema, ma non un grande problema. parliamo di un inconveniente, un contrattempo, un ostacolo che può provocare un disagio. Spesso la conseguenza è un ritardo in una attività. Nell’espressione “non ci voleva” si utilizza l’imperfetto del verbo volere. Questo perché stiamo commentando un evento già accaduto.

Non ci voleva” è dunque un’esclamazione che viene utilizzata per esprimere un senso di irritazione o frustrazione quando si verifica qualche cosa che si temeva potesse accadere oppure che arriva del tutto inaspettata.

Di solito, considerata la bassa portata del problema, viene usata in modo scherzoso o ironico per commentare una situazione spiacevole o sfortunata che si è manifestata.

Ecco alcuni esempi di come puoi utilizzare l’espressione “Non ci voleva“:

  1. Immagina che tu stia guidando in macchina e, improvvisamente, una ruota inizia a sgonfiarsi. Potresti dire: Oh no, non ci voleva! Proprio quando dovevo arrivare in tempo alla riunione!
  2. Se stai lavorando col computer e, ad un certo punto, il PC si impalla. Potresti esclamare: Ecco, non ci voleva! Ora come faccio a finire il lavoro?
  3. Se stai organizzando una festa all’aperto e improvvisamente inizia a piovere, potresti dire: No! Non ci voleva proprio questa pioggia! Avevamo preparato tutto per un giorno di sole.

In sostanza, l’espressione “Non ci voleva” viene utilizzata per sottolineare che la situazione indesiderata o sfortunata che si è verificata era qualcosa che sarebbe stato meglio evitare o di cui non si aveva bisogno in quel momento. Le conseguenze non sono gravi ma comunque la cosa ci provoca un certo malumore.

E’ importante sottolineare che in caso di grossi problemi o grossi eventi negativi, anche se improvvisi, non ha senso usare “non ci voleva“. Se facciamo un incidente stradale, se una persona si sente male, se c’è una guerra, un terremoto o accadono altri eventi molto gravi, è ridicolo commentare con “non ci voleva”. In tali casi, se proprio dobbiamo commentare, sarebbe opportuno qualcosa come “è una tragedia”, “si tratta di un evento drammatico”, “è un disastro” eccetera.

Chiaramente esiste anche “ci voleva” (senza negazione) che si utilizza in situazioni opposte, cioè positive. In questi casi si aggiunge solitamente “proprio“. L’uso di “proprio” in questa frase serve ad aumentare la propria soddisfazione, quindi l’intensità dell’affermazione, enfatizzando l’importanza di ciò che si sta dicendo.

Ci voleva proprio questa bella giornata di sole!

Mi ci voleva proprio questa bella notizia!

Ironicamente si potrebbe comunque dire:

Ecco, piove ancora! Ci voleva proprio!

Oppure quando si fa presente che sarebbe stato necessario qualcosa:

Ci voleva più coraggio per affrontare questa situazione

Si tratta sempre di qualcosa che è già accaduto

Si può usare quindi quando ci si rammarica, ci si dispiace per una situazione che poteva essere salvata o che poteva andare diversamente. In questi casi in genere non si usa “proprio“.

Forse è il caso di fare un chiarimento sull’uso della particella “ci”.

“Ci voleva” e “non ci voleva”, di cui vi sto parlando in questo episodio non si riferiscono a “noi”, tipo:

Lei (non) ci voleva offendere!

Lui (non) ci voleva dire questo

Quindi la particella “ci” non fa riferimento a “noi” ma alla situazione, al contrattempo, alla cosa positiva o negativa che è accaduta. Il “ci” si riferisce a questo.

Infine, non ci sono modalità del tutto equivalenti che possono usarsi in sostituzione di “ci voleva” e “non ci voleva” ed è proprio questa caratteristica che la rende così utilizzata. Si tratta di una sintesi informale che se non utilizzassimo saremmo costretti a pronunciare una frase spesso molto più lunga e articolata, tipo, nel caso di “non ci voleva“:

Anthony: Accidenti, questo inconveniente rischia di crearmi un sacco di problemi! Avrei preferito evitarlo! Vabbè, vorrà dire che ricomincerò daccapo!

Ulrike: Noooo! Lo sapevo che sarebbe potuto accadere questo! Un bel problema che avrei volentieri evitato! Senza contare che adesso dovrò passare la notte in ufficio per rimediare!

Marcelo: Mi spiace per questo inconveniente! Anche se si poteva immaginare potesse accadere, sarebbe stato meglio non fosse accaduto! Adesso dovrai fare appello a tutta la tua professionalità per recuperare il tempo perso.

Insomma, in tutti questi casi si fa prima a dire “non ci voleva“.

Negli esempi appena visti abbiamo inserito anche delle espressioni di ripasso, quindi per oggi ci possiamo ritenere soddisfatti.

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Rudimenti e rodimenti (Ep. 936)

Rudimenti e rodimenti (scarica audio)

Trascrizione

Voi che state ascoltando o leggendo questo episodio, sarete sicuramente interessati al termine “rudimenti“, perché ha a che fare con l’apprendimento.

Un termine che si può usare per indicare un livello di conoscenza di qualcosa.

Ci sono diversi modi per esprimere questo concetto, dipende soprattutto dal livello che è stato raggiunto.

Il sostantivo “rudimenti” si riferisce agli elementi di base, alle nozioni fondamentali di un determinato argomento.

Indica i principi o le fondamenta che devono essere comprese e padroneggiate (bel verbo questo) prima di progredire in una determinata disciplina.

Ad esempio, i rudimenti del tennis potrebbero includere le tecniche di base come il modo di impugnare la racchetta o il posizionamento in campo.

Le fondamenta” sono sicuramente più utilizzate ma non fanno pensare necessariamente all’apprendimento.

Come termine, “fondamenta” rende anche meglio l’idea: sulle fondamenta di un palazzo si costruisce l’edificio. Senza le fondamenta, l’edificio potrebbe inclinarsi, deformarsi o addirittura collassare. Senza fondamenta un edificio non sta in piedi.

Lo stesso, in senso figurato accade se non si hanno i rudimenti, cioè gli elementi di base o le fondamenta di un determinato argomento o disciplina o materia.

Attenzione perché “le fondamenta” non è semplicemente il plurale di “il fondamento“.

Infatti il fondamento si usa soprattutto ad esempio, come abbiamo visto in un episodio, nella locuzione “privo di fondamento“, o “senza fondamento , cioè vano, campato in aria (altra espressione interessante), con riferimento a un’affermazione che non ha basi logiche o più in generale che è poco credibile.

I sinonimi di “rudimenti“, usati anch’essi in ambito di apprendimento includono anche “fondamenti” (pensate ai titoli di libri come “fondamenti di psicologia” ), “principi” (ugualmente usato in contesti di apprendimento: “principi di algebra”), “basi” (le basi della grammatica), “elementi” (es: elementi di diritto amministrativo).

Questi termini possono essere utilizzati in modo intercambiabile a seconda del contesto.

Esiste anche il singolare del termine, che è “rudimento“. Tuttavia, è più comune utilizzare la forma plurale, “rudimenti“, per indicare l’insieme di più elementi di base.

I rudimenti sono spesso menzionati o utilizzati in contesti educativi o formativi, come nell’apprendimento di una disciplina o di una competenza.

Prima come esempio parlavo dei rudimenti del tennis.

Si potrebbe fare riferimento come altro esempio ai rudimenti del pianoforte per indicare gli elementi di base che devono essere imparati prima di poter progredire nella pratica musicale.

Inoltre, il termine può essere utilizzato in riferimento alle nozioni fondamentali di un determinato argomento o settore di conoscenza.

Nello sport poi si usano spesso “i fondamentali” cioè gli elementi che costituiscono la tecnica di base.

Es:

un calciatore privo dei fondamentali.

Un tennista senza fondamentali

Un atleta a cui mancano i fondamentali

La scuola calcio serve a Imparare i fondamentali

Si usa quindi come sostantivo e solo nella forma plurale.

Se ad esempio a un calciatore mancano i fondamentali, potrebbe non possedere abilità come il controllo del pallone, il passaggio, il tiro, il dribbling e il posizionamento tattico, cose che si imparano soprattutto da piccoli.

Al lavoro in genere si usano anche “le basi del mestiere”, soprattutto quando mancano. Parliamo sempre delle capacità di base necessarie per produrre risultati.

Tornando ai rudimenti, si usano come detto prevalentemente in ambito di apprendimento, ma possono essere applicati anche in contesti più ampi, come nel campo degli affari, dove si possono identificare i rudimenti dell’amministrazione aziendale o della gestione finanziaria come i concetti di base che devono essere compresi e applicati per ottenere successo.

Un corso di formazione può servire per acquisire i rudimenti necessari per proseguire e poter essere produttivo in un certo ambito.

Imparando i rudimenti di Excel, ad esempio, potremmo costruire un foglio di calcolo per memorizzare e gestire le spese familiari.

Infine non confondete i rudimenti con i rodimenti.

Nel contesto colloquiale, il termine “rodimenti” (con la lettera o al posto della u) può essere utilizzato per riferirsi a una sensazione di agitazione o irritazione che una persona può provare in determinate situazioni.

Ad esempio, si potrebbe dire:

Mi dà dei rodimenti quando qualcuno mastica rumorosamente.

In pratica, come si dice informalmente, “mi rode“, cioè mi dà fastidio, mi irrita, mi provoca rodimenti o rodimento. Il verbo è “rodersi“.

In genere però quando ti rode per qualcosa, cioè in caso di rodimenti, non si parla solo di comportamenti altrui che fanno fastidio, quanto invece di impedimenti, di qualcosa che non permette di fare ciò che vogliamo.

Ad esempio, se dici:

Mi rode di non poter partecipare alla riunione di italiano semplicemente

Significa che sono infastidito o deluso per non poter partecipare alla riunione.

Il rodimento può essere il risultato di rimpianti, sensi di colpa, invidia, frustrazione o insoddisfazione riguardo a una determinata situazione. Comunque si possono provare rodimenti (si “provano”, come le altre emozioni) anche se qualcuno ti ha fatto qualcosa di ingiusto o se ti sei lasciato sfuggire un’opportunità importante, come appunto la riunione dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

Dunque i rodimenti e i rudimenti sono cose profondamente diverse. Adesso come forma di ripasso vi propongo di parlare di cosa vi dà fastidio nelle altre persone. Una forma di rodimento, come si è detto.

Cosa vi dà particolarmente fastidio?

Ulrike: Non so voi amici, ma a me non sconfinferano quelli che prendono tutto, ma veramente tutto, alla leggera per poi, quando le cose gli vanno di traverso, lamentarsi della sorte o delle responsabilità altrui.

Anthony: concordo pienamente, ma per metterci del mio, aggiungerei anche che quelli che annunciano in pompa magna di essersi prefissi degli obiettivi ma poi cincischiano all’infinito, mi fanno cadere le braccia e mi danno decisamente sui nervi. Vai a capire perché certe persone hanno una fifa blu nel portare a termine le cose. C’è da darsi una mossa nella vita. Altrimenti non si va da nessuna parte!

Marcelo: ciò che mi fa uscire di testa è la mancanza di rispetto per i diritti del prossimo, l’egoismo e la maleducazione. Sono persone tutte accomunate dal portare acqua solo al proprio mulino. Questo è quanto!

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Il verdetto – IL LINGUAGGIO DEL CALCIO (EP. 14)

Il verdetto (scarica audio)

Indice episodi del linguaggio del calcio

Benvenuti nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al mondo del calcio.

Oggi parliamo del verdetto.

Nel linguaggio calcistico, il termine “verdetto” può essere utilizzato per descrivere il risultato finale di una partita o di una competizione, come un campionato di calcio.

Di solito, viene usato per indicare l’esito di una partita o di un torneo. Ad esempio, si potrebbe dire:

Il verdetto della partita è stato un pareggio 1-1.

Bisogna aspettare il verdetto del campo prima di dire che una squadra è più forte di un’altra

In questo contesto, il termine “verdetto” viene impiegato in modo metaforico, per richiamare il concetto di una sentenza o di una decisione finale simile a quella pronunciata in un processo legale.

Infatti il termine “verdetto” rappresenta una dichiarazione o un giudizio pronunciato dal tribunale.

Il termine “verdetto” ha quindi origine nel contesto legale e si riferisce a una decisione o a una sentenza pronunciata da un giudice o da una giuria in un processo. Il verdetto rappresenta la conclusione del processo e stabilisce se l’imputato è colpevole o innocente.

Qual è stato il verdetto del giudice? Colpevole o  innocente?

La metafora del verdetto del campo, come se il campo da gioco fosse un giudice, era troppo affascinante per non essere usata!

I termini “risultato” e “esito” sono molto simili:

il risultato di una partita

l’esito del campionato

l’esito della coppa

Si parla sempre di come termina una gara, di come finisce una partita, ma il “verdetto del campo” si preferisce usare quando si vuole evidenziare il confronto delle forze in campo. Il campo ha “detto” questo. Il campo dice il “vero”. Il verdetto del campo non si può pertanto discutere.

Anche il “verdetto dell’arbitro“, cioè il giudice di gara, è chiaramente molto usato ugualmente.

Il verdetto dell’arbitro non si discute.

Parliamo della sua decisione, qualunque essa sia. Anche quando l’arbitro fischia un calcio di rigore o di punizione, ha appena preso una decisione, cioè ha emesso un verdetto.

Si usa spesso il verbo “emettere” quando c’è di mezzo il verdetto, proprio come si fa con le sentenze, quindi con le condanne o le assoluzioni del giudice.

L’espressione “emettere un verdetto” si usa per indicare l’azione di pronunciare formalmente la decisione finale da parte di un giudice o di una giuria in un processo.

Ad esempio:

Il giudice ha emesso il verdetto di colpevolezza.

La giuria ha emesso il verdetto di non colpevolezza.

In questo modo, il verbo “emettere” sottolinea l’atto formale di dichiarare e rendere ufficiale il verdetto da parte dell’autorità giudiziaria competente.

Nel calcio chiaramente ad emettere un verdetto può essere l’arbitro, nel momento in cui prende una decisione, o, in senso metaforico, il campo, che quando emette un verdetto, dichiara il vincitore di una gara o di un torneo.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente dedicato al linguaggio del calcio.

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L’Aventino – Il linguaggio della politica (Ep. n. 39)

L’Aventino (scarica audio)

L'AventinoTrascrizione

Bentornati nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al linguaggio della politica.

Oggi vediamo il termine AVENTINO.

L’Aventino è una delle sette colline di Roma.

A Roma in realtà vengono chiamati colli.

I famosi sette colli di Roma. Del “Colle“, in particolare, abbiamo già parlato.

Uno di questi è l’Aventino.

Gli altri sei colli di Roma sono: Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale e Viminale.

Questi colli hanno un’importanza storica e culturale molto grande per la città di Roma, poiché su di essi si sono sviluppate alcune delle principali attrazioni turistiche, monumenti e luoghi di interesse della città.

Il termine AVENTINO viene utilizzato spessissimo nella politica italiana per indicare un movimento di opposizione o di contestazione.

Questo perché ai tempi degli antichi romani gli abitanti dell’Aventino, in gran parte artigiani e commercianti, come forma di protesta contro le decisioni dei Patrizi (le persone benestanti, quelle più ricche, la classe d’élite dell’antica società romana) si riunivano sull’Aventino e facevano una protesta non violenta.

Si parla di Aventino anche quando, nel 1924, quando c’è stata una storica protesta e molti deputati dell’opposizione rifiutarono di tornare nell’aula della Camera e partecipare ai suoi lavori. Si è trattato di una secessione nei confronti del governo Mussolini (il Duce) in seguito alla scomparsa di Giacomo Matteotti avvenuta nel giugno dello stesso anno.

Da allora, il termine “Aventino” è stato spesso utilizzato per indicare un’opposizione a un governo o a una decisione politica.

Non si tratta come detto di una rivolta violenta però.

La caratteristica dell’Aventino è il rifiuto di partecipare alla vita politica ed economica della città o del paese o al limite anche di un gruppo che fa attività politica, almeno fino a quando quelle richieste non verranno accettate. L’unica differenza rispetto ai tempi antichi è che oggi non si va più fisicamente sul colle dell’Aventino a protestare.

Vediamo qualche esempio:

Un partito ha deciso di sciogliere la sua sezione di Roma, a seguito di una serie di contrasti interni. Questo episodio è stato definito dalla stampa come un “Aventino interno” del partito , ovvero una sorta di protesta interna contro la linea ufficiale del partito.

Il partito di opposizione resterà sull’Aventino contro l’arroganza del governo.

Sulla decisione di eleggere come presidente il candidato indagato per mafia, il partito di opposizione sceglie l’Aventino: “impossibile un confronto democratico”, secondo i partecipanti alla protesta.

Se dunque dei parlamentari di un partito, anziché recarsi al parlamento e votare democraticamente, decidono di non partecipare alle votazioni, possiamo parlare di Aventino, una forte protesta, una forte opposizione a una decisione politica di qualunque tipo. L’impatto mediatico è sicuramente garantito, anche se non è detto ci siano risultati concreti dal punto di vista politico.

L’Aventino però può riguardare, sebbene si usi più raramente in questo modo, anche il popolo, non solo un gruppo parlamentare.

I cittadini, che protestano per l’aumento delle tasse, dicono: “staremo sull’Aventino fino a quando il governo non cambierà idea”.

L’obiettivo è sempre quello di ottenere un risultato protestando contro una decisione politica.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente dedicato al linguaggio della politica.

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Nevvero (ep. 935)

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Trascrizione

Nevvero“, tutto attaccato, sta per “non è vero“. “Nevvero” è la forma contratta di “non è vero“.

Abbiamo visto, nell’episodio dedicato a “N’è“, che a volte “N’è” si utilizza anche nella forma “N’è vero” col significato di “non è vero” ma vi ho detto che questa è solo una forma dialettale.

Invece “nevvero“, tutto attaccato, quindi senza apostrofo, è un termine che come ho detto si può utilizzare nella lingua italiana al posto di “non è vero“. L’origine è sempre questa forma dialettale; però in questa forma è consentito usarla. Ma quando si usa?

E’ propria del linguaggio parlato e familiare, ed è usata in fine di frase o di periodo, quasi a chiedere conferma a quanto si dice.
Es:
Tu vieni alla mia festa di compleanno nevvero?
Normalmente, in queste occasioni si utilizzano più spesso altre forme: giusto? no? Sbaglio?
Anche con nevvero si sta chiedendo una conferma di quanto detto (non a caso c’è il punto interrogativo alla fine) ma molto spesso nevvero si sua in frasi ironiche, in domande retoriche, dove già sappiamo che ciò che ho detto corrisponde alla verità. Può essere anche una forma di provocazione.
Ad esempio, il professore in una classe vuole dire ad uno studente (di nome Giovanni) che se non studia seriamente dovrà ripetere l’anno e vuole essere convincente mostrando un esempio concreto. Nella stessa classe c’è infatti un altro studente che ha ripetuto l’anno perché lo scorso anno non aveva studiato abbastanza. Questo studente si chiama Marco.
Il professore potrebbe dire:
Attento Giovanni, ché chi non studia ripete l’anno. Nevvero Marco?
Sul web trovate vari esempi di questo tipo.
Nevvero, notate bene, non si può usare per dare risposte, ma solo in questa forma interrogativa.
Quando voglio dire che una cosa non è vera, pertanto, la forma contratta “nevvero” non si usa. In questi casi basta dire: non è vero, non è affatto vero, non è per niente vero, assolutamente no! Eccetera.
Nevvero somiglia anche a “davvero“, ma “davvero” è sempre una vera domanda, e solitamente esprime meraviglia (a meno che non sia ironica).
Non è questo il caso di “nevvero”, che come detto si usa solamente alla fine delle frasi in forma retorica. Non sempre è così, a dire il vero, ma vediamo meglio dopo.
Possiamo usare nevvero non solo per chiedere conferma di ciò che si dice (spesso come detto, in forma di domanda retorica), ma anche per sottolineare un’affermazione, o sotto forma di ammonimento, rimprovero.
Es:
Non stai dicendo sul serio, nevvero? (si chiede conferma)
Non lo farai più, nevvero? (ammonimento, rimprovero)
Mi prometti che da oggi in poi studierai, nevvero? (si chiede conferma, ma è anche una raccomandazione, un ammonimento, un rimprovero)
Oppure si usa sotto forma di inciso:
Questo, nevvero, è l’argomento più importante del corso….
Direi che venire in Italia, nevvero, è utile ma non indispensabile per imparare l’italiano
In questo caso non c’è alcun punto interrogativo, nevvero?
E adesso vediamo un bel ripasso, che quasi sempre, nevvero, si trova alla fine di ogni episodio di questa rubrica.
Marcelo: Ragazzi, ho un problema con l’uso dell’apostrofo, soprattutto quando si tratta delle preposizioni articolate. Lo uso sempre in modo indebito. È una cosa suscettibile di creare confusione, non trovate?

Ulrike: Fare attenzione all’uso corretto dell’apostrofo è fondamentale. Hai fatto gli esercizi che ci ha dato il prof? E’ la solerzia nell’impiegarlo che fa la differenza.

Rauno: No, ma di tanto in tanto faccio una scappata su internet per cercare la regola grammaticale.

André: No!!! Io quasi mai: pare brutto confessarlo, ma non mi prende mai lo schiribizzo di andarmi a leggere le regole su niente.

Peggy: ancora ancora come ausilio, va anche bene, ma io preferisco seguire le sette regole d’oro. Che volete, sono membro di Italiano Semplicemente!

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Debito e indebito (ep. 934)

Debito e Indebito (scarica audio)

Trascrizione

Oggi voglio parlarvi degli aggettivi debito e indebito. Ne abbiamo già parlato, lo so, in due diversi episodi, ma non fa male fare un episodio aggiuntivo su due termini complicati. Un episodio, questo, che mi ero ripromesso di fare.

Approfitto dell’occasione anche per inserire qualche altro ripasso, tanto non costa nulla. cosicché possiamo anche evitare il consueto ripasso finale.

Sapete che il termine debito, inteso come sostantivo, si utilizza prevalentemente per indicare una responsabilità finanziaria o un obbligo nei confronti di qualcuno. Il debito è l’opposto del credito in questi casi.

Il sostantivo ci aiuta anche a capire l’aggettivo.

Infatti quando abbiamo un debito, dobbiamo restituire ciò che dobbiamo, prima o poi. È giusto che sia così. Potremmo anche dire che è opportuno.

Il concetto di “giustizia” c’è anche nell’aggettivo.

L’aggettivo si utilizza soprattutto associato a alcuni termini, come il tempo, le circostanze, le precauzioni, il rispetto, le distanze (sia in senso proprio che figurato), le scuse ed altro. Nel prosieguo dell’episodio vediamo esempi su questo.

Si indica in generale qualcosa che è imposto da leggi o consuetudini o che è richiesto dalle circostanze o da motivi di opportunità.

Cosa significa?

Es:

Lo farò a tempo debito.

Ricordate l’episodio in cui ne abbiamo parlato?

Oggi però aggiungiamo qualcosa in più.

Soprattutto vedremo anche l’aggettivo indebito. Anche questo è stato trattato, ma non credo sia indebito fare un altro episodio, chiaramente con le debite attenzioni per non confondere le idee.

Sapete già che il momento debito è quello giusto, il momento corretto per fare (o non fare) qualcosa.

Mamma: Quando deciderai quale università fare?

Figlio: Mamma, ci penserò a tempo debito. Adesso ho solo 6 anni!

Fare una cosa a tempo debito, pertanto, significa farla quando sarà il caso, al momento opportuno, al momento giusto. In qualche modo stiamo anche escludendo gli altri momenti, perché non sono quelli debiti, quelli giusti, quelli opportuni.

Il concetto di giustizia è evidente anche quando l’aggettivo viene associato alla circostanze, alle precauzioni, al rispetto, alle distanze, alle scuse, ai controlli ed altro.

Es:

Mario, dopo aver accusato ingiustamente Giovanni, gli fece le sue debite scuse.

Queste scuse erano debite, quindi giuste, dovute, necessarie, appropriate, opportune. Sicuramente non sono scuse che lasciano il tempo che trovano.

Ogni volta che ti lanci col paracadute, devi sempre fare i debiti controlli che tutto funzioni, e va ovviamente presa ogni debita precauzione per assicurarsi che tutto vada bene.

I debiti controlli sono i controlli che vanno fatti, quindi anche qui sono quelli necessari, giusti, opportuni.

Con i serpenti devi sempre mantenere le debite distanze, altrimenti può essere pericoloso.

Con me, mantieni le debite distanze da oggi in poi. Mi stai troppo antipatico!

Parliamo delle giuste distanze, delle distanze opportune, necessarie. Non sto indicando esattamente la giusta distanza, ma sto dicendo che una “certa” distanza ci vuole.

In senso figurato le debite distanze possono anche indicare non avere e non cercare confidenza con una persona.

Alle persone anziane va portato il debito rispetto.

Bisogna rispettare gli anziani perché è dovuto, perché è giusto, è necessario, è opportuno.

La Commissione si riserva di non assegnare il contributo ove non ricorrano le debite circostanze.

Esempio difficile? Allora facciamone uno più facile:

Per conquistare una donna, bisogna scegliere il momento giusto e anche farlo nelle debite circostanze.

Cosa sono, dunque, le debite circostanze?

Si parla dell’occasione giusta, cioè quando si presentano (quando ricorrono) alcune caratteristiche favorevoli.

Parliamo dell’occasione giusta, del momento opportuno. Parliamo delle giuste circostanze, di precise circostanze.

Le circostanze sono le condizioni o situazioni che accompagnano un fatto. In questo caso parliamo della giusta atmosfera, del giusto ambiente, del momento migliore eccetera.

Le debite circostanze” è il modo migliore per riassumere l’insieme ideale di queste circostanze appropriate.

Esiste però anche l’aggettivo indebito. Ricordo che questo aggettivo si utilizza prevalentemente per indicare qualcosa di illegittimo oppure di arbitrario, o anche di immeritato. Vediamo meglio.

Illegittimo perché esiste ad esempio “l’appropriazione indebita” che avviene quando una persona si appropria (cioè si impossessa) di qualcosa senza averne diritto.

Nel linguaggio giuridico si usa molto spesso e indica una prestazione eseguita e non dovuta.

Anche una richiesta può essere indebita, specie se parliamo di una richiesta di pagamento. Significa che questa richiesta di pagamento non è adeguatamente giustificata o non ha una base legale valida.

Potremmo, in senso più ampio, dire che non è giusta o che non è opportuna, o che non era il caso di farla, quindi è qualcosa di sconveniente o inopportuno.

Come dicevo può indicare qualcosa di immeritato:

Ha ricevuto onori o meriti indebiti.

Questi onori o meriti ricevuti non erano dovuti perché non sono giusti, sono immeritati.

Un altro esempio:

Quando in tv parlano delle persone celebri e dei loro rapporti sentimentali, questo fatto spesso viene considerato una indebita intromissione nella loro vita privata.

I giornalisti quindi si intromettono indebitamente nella loro vita privata, senza averne diritto, quindi anche ingiustamente, in modo inopportuno.

Ultimo esempio: un’ora indebita:

Dovevamo andare a cena insieme ma ti sei presentato alle 11 di sera. Decisamente un’ora indebita, non credi? A quell’ora i ristoranti sono tutti chiusi. Magari per essere aperti, sono anche aperti, ma stanno tutti facendo le pulizie.

Un’ultima precisazione. Gli aggettivi “debito” e “dovuto”, sono quasi sempre utilizzabili l’uno al posto dell’altro. Tenete presente però che in “dovuto” c’è il senso del dovere molto più che in “debito”. Di conseguenza non sempre “dovute” si adatta a sostituire “debite”.

Le “debite scuse” e le “dovute scuse” si usano indifferentemente perché il senso del dovere è evidente, ma sostituire le “debite circostanze” con le “dovute circostanze” è un po’ forzato. In questo caso si tratta di precise, ben determinate circostanze.

Inoltre “debito” si usa quasi solamente prima del sostantivo: le “debite” scuse, i “debiti” controlli ecc. mentre “dovuto” si mette normalmente anche dopo il sostantivo:

Frasi come: i controlli sono dovuti, gli interessi sono dovuti ecc. sono del tutto normali, ma, a parte alcune eccezioni difficile  trovare frasi come “con le le eccezioni debite” o “le circostanze debite” ecc. Può capitare, ma molto meno frequentemente.

E’ tutto per oggi. Ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente.

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Lo sfottò – IL LINGUAGGIO DEL CALCIO (EP. 13)

Lo sfottò (scarica audio)

Indice episodi del linguaggio del calcio

Trascrizione

Giovanni: benvenuti nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al mondo del calcio.

Oggi parliamo dello sfottò. Sfottò si scrive con l’accento sull’ultima lettera. Chiaramente deriva dal verbo sfottere che significa “prendere in giro“.

Si usa spesso parlando di calcio, in quanto, essendo uno sport, vede contrapposte due tifoserie, e le tifoserie amano prendersi in giro, amano sfottersi.

Ogni tifoseria desidera che la propria squadra vinca e quando una squadra vince, i sostenitori (i tifosi) di questa squadra possono sfottere quelli della squadra perdente.

Lo sfottò è quindi un termine analogo allo scherzo.

Non si usa solo parlando di calcio, ma più in generale viene utilizzato per descrivere un tipo di scherzo o burla che ha un tono leggermente beffardo o sarcastico.

È una forma di umorismo che sta per “prendere in giro” o deridere in modo amichevole qualcuno.

Lo sfottò è spesso usato anche tra amici o compagni di lavoro per scherzare, quindi in un contesto amichevole ma senza intenzioni offensive.

Questa è la caratteristica più importante dello sfottò.

L’obiettivo non è umiliare ma ridere, scherzare.

Può anche riguardare caratteristiche personali, azioni o situazioni divertenti, ma è importante mantenere un tono leggero e giocoso per evitare di ferire i sentimenti delle persone coinvolte.

Ecco alcuni esempi concreti di sfottò, nel calcio e fuori del calcio:

1. Supponiamo che uno dei tuoi colleghi di lavoro abbia la tendenza a dimenticare appuntamenti o scadenze importanti. Potresti fare uno sfottò simpatico dicendogli: “Ecco il nostro campione del mondo della dimenticanza! Mi sa che un promemoria appiccicato sulla fronte potrebbe aiutarti!”

2. La tua squadra del cuore (la Roma) ha vinto il derby e il tuo amico che è un tifoso della Lazio è affranto. La sconfitta per 6-0 lo ha distrutto. Come sfottò potresti dirgli: come è andato il derby? Se non ti bastano le dita di una mano, posso prestarti un dito per mostrarmi il risultato!

4. I tifosi della Juventus, dopo aver perso una partita contro il Torino, sono talmente arrabbiati che non hanno digerito gli sfottò dei tifosi del Torino.

Ricorda sempre che l’obiettivo dello sfottò è quello di creare un ambiente divertente e amichevole, quindi assicurati sempre di avere un rapporto di confidenza con la persona coinvolta e di valutare il contesto appropriato per evitare di risultare offensivi.

Vi può aiutare conoscere alcuni sinonimi di “sfottò“:

1. Beffa
2. Scherno
3. Derisione
4. Ironia
5. Presa in giro
6. Scherzo beffardo
7. Sarcasmo
8. Canzonatura
9. Burla

Tutti questi termini sono in qualche modo correlati al concetto di sfottò, ma possono variare leggermente nell’uso e nell’intensità.

La derisione, ad esempio, ha un senso simile a “sfottò“, ma può avere una connotazione leggermente più negativa.

Deridere e sfottere non sono esattamente la stessa cosa.

Mentre lo sfottò può essere inteso come un’ironica presa in giro amichevole, la derisione tende ad essere più aperta e spietata, con l’intenzione di umiliare o sminuire qualcuno o qualcosa.

La derisione implica un atteggiamento di scherno o disprezzo nei confronti dell’oggetto della burla, ed è spesso considerata più offensiva rispetto allo sfottò.

Mentre lo sfottò può essere scambiato tra amici o colleghi in modo amichevole, la derisione può essere vista come un’azione cattiva o intenzionalmente offensiva.

Nel calcio non è proprio il caso di deridere l’avversario, e ad esempio un calciatore che deride un calciatore avversario può anche essere ammonito dall’arbitro. La derisione nel calcio è un atteggiamento antisportivo.

Pertanto, sebbene “derisione” possa essere considerato un sinonimo di “sfottò” nel senso generale, è importante notare la sottile (neanche tanto sottile in fondo) differenza nel tono e soprattutto nell’intenzione tra i due termini.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente dedicato al linguaggio del calcio.

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N’è (ep. 933)

N’è (scarica audio)

Trascrizione

Oggi mi spetta un compito veramente difficile: devo affrontare un argomento legato alla grammatica italiana, ma non devo risultare noioso.

Tutt’altro: l’obiettivo è di essere persino divertente. So già che non ci riuscirò. Vabbè ci provo lo stesso. Alla fine spero di poter dire che ne è valsa la pena

L’obiettivo è spiegarvi l’uso di “ne è” e anche di “n’è”, che ne è l’abbreviazione.

Come vedete infatti c’è un apostrofo. Poi c’è il verbo essere.

Ma quando possiamo apostrofare? Sempre? La risposta è no.

A volte si può scrivere “n’è” (ho detto può, non deve) mentre altre volte si preferisce conservare la forma staccata: ne è.

Per distinguere i due casi vi può sicuramente aiutare notare cosa c’è prima di “ne è“.

Ad esempio quando diciamo “Ce n’è“, possiamo usare la forma abbreviata. Notate anche la pronuncia.

Ce n’è ancora di caffè?

No, non ce n’è. Bisogna comprarlo. Ma dove?

Al supermercato. Ve n’è uno proprio dietro l’angolo. Una volta c’erano tanti supermercati da queste parti, ma n’è rimasto uno solo adesso.

Chi va a comprarlo? Lo dico a Giovanni?

No, Giovanni se n’è andato. Allora vado io.

Aspetta però che chiediamo prima al vicino di casa.

Ciao, per caso hai un po’ di caffè?

Sì. Me n’è rimasto un pacchetto o due. Prendili pure.

Si, ti ringrazio. Controlla però. Se te n’è rimasto un solo di pacchetto, meglio che lo tieni per te.

Accidenti, è vero. Ce n’è solo uno! Ma che n’è stato dell’altro pacchetto?

Non saprei. Ma non importa quanto n’è rimasto. Prendilo comunque, tanto io lo tengo solo per gli ospiti.

In tutti i casi che avete appena letto o ascoltato, si può anche non usare la forma abbreviata, ma di solito si fa così, soprattutto all’orale e nel linguaggio informale.

Abbiamo già visto come “ci” è simile a “vi. Allo stesso modo “ce” è simile a “ve”. Quindi “c’è” è simile a “v’è” e quindi “ce ne è” è simile a “ve ne è” (con o senza accento) che al plurale diventano “ce ne sono” e “ve ne sono” ma al plurale chiaramente non si possono abbreviare.

Quindi, tornando all’argomento di oggi:

Ce n’è, ve n’è, se n’è, me n’è, te n’è, che n’è, quanto n’è.

Questi sono i casi in cui si può abbreviare. In genere si fa così. Si può però anche scrivere per esteso.

C’è anche “ma n’è” che si apostrofa meno spesso.

Ma n’è valsa la pena?

Se mettiamo “ma” davanti, viene molto più facile abbreviare. Soprattutto nella forma orale. È una questione di fluidità nella pronuncia.

Ne è valsa la pena?

Soprattutto nella forma scritta, in questo caso normalmente si scrive invece per esteso. All’orale si può chiaramente pronunciare più velocemente ricorrendo all’apostrofo.

A parte i casi di cui vi ho parlato, difficile se non impossibile trovarne altri. Almeno nell’uso comune della lingua.

A volte poi si trovano frasi di questo tipo:

Vacci piano con il vino, n’è mica acqua!

N’è mica facile

N’è vero!

N’è difficile

Queste però sono forme dialettali e in questi casi “n’è” sta per “non è”. Quindi le frasi corrette sono:

Vacci piano con il vino, non è mica acqua!

Non è mica facile

Non è vero

Non è difficile

Quindi “n’è” nella lingua italiana è solamente l’abbreviazione di “ne è”, che in molti casi non si usa invece abbreviare.

Quando?

Questo utilizzo ne è un esempio.

Non si abbrevia in questi casi.

Ce n’è un altro? Sì, più di uno:

Bullismo a scuola: cosa fare se mio figlio ne è vittima?

Quanti errori si possono fare? Qualcuno ne è consapevole?

Cosa ne è stato del sogno americano?

Il tuo compito è pieno di errori. Il mio invece ne è privo.

La forma “cosa ne è ” è chiaramente analoga a “che ne è“, ma l’uso di “cosa” è meno informale e pertanto è più facile trovare la forma non accentata. Nella forma scritta, in realtà, anche “che ne è ” si trova sempre o quasi sempre per esteso.

Vi ricordo ad esempio l’episodio dedicato: Cosa ne è, cosa ne fu, cosa ne è stato, che ne sarà. In questo episodio non ho mai usato la forma abbreviata. A volte però avrei potuto farlo.

Allora, adesso che avete ascoltato o letto questo episodio, ditemi: n’è valsa la pena?

Non state a pensare più di tanto. Occorre solo leggere e ascoltare parecchio.

Attenzione però a non confondere “ne è” con .

Infatti né, scritto senza apostrofo ma con l’accento acuto sulla e, è una congiunzione e significa “e non”, simile a “neanche”.

Non voglio né questo né quello.

Non mangio né carne né pesce.

Adesso facciamo qualche esempio di “ne è” dove si preferisce non usare l’apostrofo e poi vediamo un ripasso degli episodi precedenti.

1. Sono andato a vedere un film. A me è piaciuto ma mia moglie ne è rimasta delusa.
2. Ho preso troppa pizza per stasera. Ne è avanzata parecchia.
3. Ho cercato di scrivere velocemente la relazione che mi è stata chiesta, ma ne è uscito un disastro.
4. Abbiamo piantato molti alberi nel giardino e ne è già fiorito uno.
5. Ho cercato di prenotare due tavoli al ristorante, ma ne è rimasto solo uno disponibile.
6. Ho provato a seguire la ricetta, ma ne è uscito un piatto completamente diverso.

Estelle (Francia 🇫🇷): avete fatto caso che Gianni ci chiede spesso un ripasso di notte? Non voglio passare per una lingua dì vipera, questo però mi sembra un po’ scostumato. Non credete che sia un comportamento che viola le regole delle buone maniere?

Albéric: ma perché criticare? Ce n’è veramente bisogno?

André (Brasile 🇧🇷): Hai ragione, Estelle, Gianni ci chiede dei ripassi quando gli europei sono già sulla soglia dell’incontro con Morfeo!

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Gli esercizi su questo episodio (con soluzione) sono disponibili per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente

ISCRIVITIENTRA

Il malcostume – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 38)

Il malcostume (scarica audio)

Trascrizione

Bentornati nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al linguaggio della politica.

Oggi vediamo il termine malcostume.

Questo termine deriva chiaramente da male (cattivo, negativo) + costume.

Il termine “costume” non si riferisce in questo caso al costume da bagno.

Sappiamo che il termine costume indica infatti anche un capo d’abbigliamento. Il costume si indossa al mare, al lago o in piscina.

Il termine costume però si usa anche per indicare gli usi, le tradizioni o le prassi di un popolo una comunità oppure all’interno di un sistema politico o di una determinata istituzione.

Il “malcostume” (si scrive tutto attaccato) si riferisce a un comportamento o una pratica (o condotta) socialmente inaccettabile, considerata volgare, indecente o immorale. Non si usa solamente parlando di società e politica.

Può anche indicare un abbigliamento o uno stile inappropriato, che viola i canoni culturali o di buon gusto.

Il malcostume può però variare a seconda del contesto culturale, delle norme sociali e delle convenzioni di una determinata comunità.

Ad esempio, ciò che potrebbe essere considerato un malcostume in un certo paese o in un ambiente lavorativo, potrebbe essere accettabile in un ambiente informale o durante certe occasioni sociali o in altri paesi.

L’uso del termine “malcostume” può variare anche a seconda del contesto specifico. La politca è appunto uno di questi.

In particolare in questo contesto il malcostume viene “denunciato” o “condannato“.

Ad ogni modo può essere utilizzato per riferirsi a comportamenti o abbigliamenti provocatori, volgari o di cattivo gusto.

Può essere impiegato per criticare l’eccessiva esibizione del corpo, l’uso di un linguaggio volgare o osceno, la mancanza di rispetto per le norme sociali o l’abbigliamento inappropriato per un determinato evento.

In generale viene utilizzato per sottolineare la non conformità alle aspettative sociali riguardanti il comportamento e l’abbigliamento.

Spesso viene associato a un giudizio negativo sulla condotta delle persone coinvolte. Per condotta si intende il comportamento abituale di un individuo nei suoi rapporti sociali. Anche a scuola esiste la condotta. In particolare esiste il “voto in condotta” che è un giudizio dato sul comportamento sociale dello studente.

In contesti politici, il malcostume può essere utilizzato per riferirsi a comportamenti o pratiche ritenute moralmente o eticamente inappropriati da parte di politici o figure pubbliche. Si denuncia nel senso che si dichiara pubblicamente che c’è un comportamento negativo che va condannato, che non va bene perché nuoce, va male alla società.

Parliamo del “costume politico“, che in particolare riguarda le norme non scritte o le convenzioni che governano il comportamento dei politici, i processi decisionali e le dinamiche delle istituzioni politiche.

Ad esempio, il “costume politico” può riguardare l’etica nella politica, come il rispetto delle regole di trasparenza e l’onestà.

Quando si parla di “malcostume” in un contesto politico, ci si riferisce pertanto a comportamenti o pratiche che violano (attenzione all’accento) o sono contrari a queste norme non scritte.

Ad esempio la corruzione, l’uso abusivo del potere, la violazione delle regole etiche o la mancanza di rispetto per il processo democratico possono essere considerati forme di “malcostume” politico.

Il nepotismo, la tangente (ne abbiamo già parlato, ricordate?) o l’abuso di potere per ottenere benefici personali o finanziari illeciti.

Ogni comportamento sleale può comunque essere condannato e segnalato come malcostume. Il termine potrebbe essere infatti utilizzato per condannare azioni sleali o scorrette durante le campagne elettorali, come la diffusione di informazioni false o calunniose sugli avversari politici.

Un abuso di autorità ad esempio. Il malcostume potrebbe essere menzionato per indicare l’uso improprio del potere o l’abuso di autorità da parte di politici, ad esempio nel caso di violazioni dei diritti umani o della libertà di stampa.

Il termine potrebbe essere impiegato anche per criticare politici che non rispettano le regole etiche o le norme di comportamento attese, come l’utilizzo di informazioni riservate a proprio vantaggio o la mancanza di trasparenza nelle attività politiche.

L’aggettivo “scostumato” è interessante perché questo aggettivo viene utilizzato per descrivere generalmente una singola persona o un comportamento che è considerato volgare, indecente o moralmente inaccettabile.

Il malcostume indica invece, in genere, un comportamento non di un singolo, ma di un gruppo, di una parte di una comunità: una abitudine diffusa.

Scostumato si usa per un individuo che si comporta in modo contrario alle norme sociali, anche in maniera provocatoria o offensiva: l’uso di un linguaggio volgare, gesti osceni o abbigliamento provocante, uno stile inappropriato, che viola (notate sempre l’accento. Il verbo è violare) i canoni culturali o di buon gusto. Un aggettivo, questo, che non si usa in genere parlando di politica.

Se una persona va in giro nuda si può dire che è una persona scostumata.

È un sinonimo di “volgare” e sintomo di cattiva educazione. È però un aggettivo abbastanza formale. Gli adolescenti e i giovani non lo usano. In tv si sente a volte ma è pronunciato da persone educate che non vogliono essere volgari.

Vediamo qualche esempio di come usare il termine malcostume:

Bisogna colpire il malcostume diffuso attraverso la vigilanza e il controllo.

È necessario prevenire il malcostume all’interno della magistratura.

Troppe persone non fanno correttamente la raccolta differenziata dei rifiuti. Questo malcostume è irrispettoso nei confronti della legge.

Dilaga (verbo dilagare, che indica una diffusione nella società) il malcostume tra i dipendenti pubblici nel comune, troppo facilmente corrompibili dalla malavita organizzata.

Avrete capito che il malcostume va combattuto, va condannato, va demonizzato, perseguito e prevenuto in ogni ambito perché è un male di una società e potrebbe dilagare. Ho usato anche il verbo perseguire. Meglio se lo spieghiamo nel prossimo episodio dedicato al linguaggio della politica.

Alla prossima.

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La Tachicardia – IL LINGUAGGIO DELLA SALUTE (Ep. n. 4)

La Tachicardia (scarica audio)

Trascrizione

cuore tachicardia

Giovanni: Bentornati nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al linguaggio della salute.

Buongiorno Anthony

Anthony: buongiorno a te Giovanni.

Giovanni: è arrivato il momento di spendere qualche parola sulla tachicardia. Che ne pensi?

Anthony: ottima idea! Parliamo del cuore che batte troppo velocemente.

Giovanni: lo chiedo a te perché sei un medico e voglio farti qualche domanda sulla quale sarai sicuramente ferrato!

Anthony: mi auguro di sì!

Giovanni: bene, cerchiamo di spiegare qualche termine e espressione particolare legati a un disturbo del cuore come la tachicardia.

Innanzitutto, come tanti altri disturbi, il termine Tachicardia termina con – cardia.

In generale, il suffisso “-cardia” viene utilizzato per descrivere qualsiasi cosa che riguardi il cuore, non solo disturbi, come ad esempio procedimenti medici, farmaci e trattamenti terapeutici: l’elettrocardiogramma ad esempio.

Anthony: La Tachicardia, in particolare è un disturbo cardiaco caratterizzato da un aumento della frequenza cardiaca a riposo, ovvero il cuore batte più rapidamente rispetto alla norma.

Giovanni: ma che significa “a riposo” quando parliamo di frequenza cardiaca a riposo?

Anthony: “A riposo” significa senza fare sforzi. Quando si parla di frequenza cardiaca “a riposo“, ci si riferisce alla misurazione del battito cardiaco in condizioni di totale relax, in cui il corpo non è sotto stress o sotto l’influenza di fattori esterni che possano aumentare il battito cardiaco. Il contrario è “sotto sforzo” cioè durante un esercizio fisico intenso. Il battito aumenta quando facciamo sforzi chiaramente.

Giovanni: “A riposo” chiaramente si scrive con la a senza acca! Si tratta della preposizione “a”, che ha lo stesso ruolo in altre locuzioni simili, come “a caldo”, “a freddo”, “a iosa“, “a cavolo”. In pratica la preposizione “a” ha la funzione di specificare il modo in cui viene eseguita un’azione.

Ma partiamo dalle basi: il cuore è l’organo muscolare che pompa il sangue attraverso il sistema circolatorio.

Il cuore quindi pompa il sangue, lo fa scorrere, lo spinge grazie al suo continuo pompaggio. Il cuore stesso è una pompa. Pompa è anche sostantivo.

Il verbo “pompare” viene spesso utilizzato per descrivere l’azione del cuore, in quanto il cuore è un organo muscolare che si contrae e si rilassa per spingere il sangue attraverso le arterie e le vene del corpo. In questo senso, si può dire che il cuore pompa il sangue nel sistema circolatorio.

Quindi abbiamo scoperto anche questi due verbi: contrarsi e rilassarsi. Il cuore si contrae e si rilassa.

Poi abbiamo già usato la parola “disturbo” per indicare che qualcosa non va, qualcosa non funziona bene nel nostro corpo o nella nostra mente. Non c’è nessuno che “disturba” ma c’è qualcosa che crea un disturbo, diciamo un malfunzionamento.

Anthony: In ambito medico, la parola “disturbo” viene utilizzata per indicare un insieme di sintomi o di comportamenti che causano un disagio significativo nella vita di una persona e che sono considerati clinicamente rilevanti.

Giovanni: I disturbi possono essere di natura mentale, emotiva o fisica. Ci sono i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, disturbi della personalità, disturbi dell’attenzione e iperattività, tra gli altri. Hai parlato dei “sintomi” che causano un disagio. Un’altra parola interessante.

I sintomi sono le manifestazioni o le sensazioni che una persona percepisce come indicazioni di un problema di salute o di un disturbo fisico o mentale. Sono dei segni evidenti di una malattia o di un disturbo, come il dolore, la febbre, la tosse, la nausea, la vertigine, la stanchezza, il prurito, l’irritazione, la perdita di appetito, il cambiamento dell’umore, ecc.

Dunque si diceva che il cuore pompa il sangue. Poi si è detto che si contrae e si rilassa. Ma il cuore batte anche. Se il cuore batte, allora siamo vivi. Il cuore batte continuamente. Allora esiste il cosiddetto battito cardiaco, cioè il battito del cuore.

Anthony: I battiti cardiaci sono le contrazioni del cuore (ogni volta che il cuore si contrae abbiamo una contrazione) che spingono il sangue attraverso le arterie e le vene. Ogni volta che il cuore batte, cioè che si contrae, assistiamo ad un battito cardiaco.

Giovanni: Che battito cardiaco bisogna avere? Quale battito cardiaco è considerato normale?

Anthony: Il battito cardiaco normale varia a seconda dell’età, del livello di attività fisica e di altri fattori. In media, il battito cardiaco a riposo di un adulto sano dovrebbe essere compreso tra 60 e 100 battiti al minuto (si usa la sigla bpm, tre lettere che sono le iniziali di battiti al minuto).

Tuttavia, il battito cardiaco può variare notevolmente da persona a persona. In generale, se è inferiore a 60 bpm è considerato bradicardia. In pratica questo accade quando il cuore batte troppo lentamente.

Giovanni: E’ grave?

Anthony: Diciamo che dipende. Alcune persone possono avere un battito cardiaco più lento o più veloce rispetto alla media senza che ciò rappresenti un problema di salute. Un battito cardiaco inferiore a 60 bpm può essere considerato normale per alcune persone, specialmente per gli atleti o per coloro che hanno una buona forma fisica. In questi casi, il cuore è in grado di pompare una maggiore quantità di sangue con ogni battito.

Giovanni: il che significa….

Anthony: il che significa che il battito cardiaco può essere più lento ma comunque efficace nel fornire ossigeno e nutrienti al corpo. Tuttavia in molti casi la bradicardia potrebbe essere associata a sintomi come stanchezza, vertigini o svenimenti. D’altra parte, un battito cardiaco superiore a 100 bpm è considerato tachicardia.

Giovanni: ma da cosa dipende?

Anthony: può essere causato da una serie di fattori, tra cui lo stress, l’ansia, l’esercizio fisico intenso, la febbre e altre condizioni mediche.

Giovanni: Stiamo parlando quindi della “frequenza cardiaca“: il numero di battiti cardiaci al minuto.
Abbiamo anche nominato le vene e le arterie: è li che scorre il sangue. Si chiamano “vasi sanguigni“, e servono a trasportare il sangue dal cuore ai tessuti e agli organi del corpo. I “vasi” normalmente servono solamente a contenere, sono dei contenitori, ma i vasi sanguigni contengono e anche trasportano il sangue.

L’aggettivo sanguigno è interessante perché può anche essere usato in senso figurato per definire una persona. Ci si riferisce alle sue caratteristiche emotive o psicologiche. Una persona “sanguigna” si usa per indicare una personalità passionale, impetuosa o impulsiva. Una persona con “un temperamento sanguigno” o che ha “un’irruenza sanguigna”. Non si tratta d persone moderate e riflessive, ma non è detto sia negativo come aggettivo associandolo ad una persona. Viene spesso associato a passione, forza e vitalità, e allora è positivo, ma può anche essere interpretato in modo negativo se utilizzato per descrivere una personalità impulsiva o aggressiva.

Tornando alle arterie e alle vene, fanno lo stesso lavoro? Cosa hanno di diverso le arterie dalle vene? Sono entrambi vasi sanguigni, ma cosa li distingue?

Anthony: Le vene fanno l’opposto delle arterie: sono i vasi sanguigni che portano il sangue dai tessuti e dagli organi al cuore. Le vene poi hanno pareti più sottili e meno elastiche rispetto alle arterie.

Poi ci sono anche i capillari, che sono sempre vasi sanguigni, ma sono i più piccoli vasi sanguigni e hanno pareti molto sottili che consentono lo scambio di sostanze tra il sangue e i tessuti.

Giovanni: capillare somiglia non a caso alla parola “capello”. La cosa più sottile che abbiamo.

E’ interessante come il termine “arteria” si usi anche parlando di strade e autostrade. A Roma ad esempio ci sono parecchie arterie che portano le macchine dentro e fuori la città.

Le arterie stradali o autostradali sono dunque una metafora che si riferisce alle principali strade di comunicazione che attraversano una regione o un paese o che collegano una città con la periferia o diverse città e regioni tra loro. Queste strade sono spesso chiamate “arterie” per il loro ruolo fondamentale nel trasporto di persone, beni e servizi attraverso un territorio, così come le arterie del sistema circolatorio che trasportano il sangue dal cuore ai tessuti del corpo.

Ma torniamo alla tachicardia. Da cosa può essere causata?

Anthony: Oltre all’ansia, lo stress, la febbre, l’ipertiroidismo, anche da abuso di sostanze come la caffeina o l’alcol, o anche da patologie più gravi come le aritmie cardiache o le malattie cardiache.

Giovanni: Accidenti, quest’ansia è davvero pericolosa! Lo chiedo ad Estelle, la nostra farmacista francese.

Estelle: Ciao a tutti! Già, l’ansia è veramente pericolosa. E non dobbiamo bere troppo caffè né bere troppo alcool. Mi raccomando.

Giovanni: grazie Estelle. Tu ci parlerai nel prossimo episodio della sana alimentazione, una cosa a cui in Italia teniamo parecchio. Intanto però dicci una cosa: quanti caffè si possono bere ogni giorno per non avere la tachicardia? E quanti bicchieri di vino italiano (o francese!) ci sono consentiti?

Estelle: Purtroppo in medicina la risposta è sempre la stessa: dipende! Parlando in generale però, se parliamo di caffè italiani (quindi molto corti, serviti in una tazzina) tre caffè sono sufficienti e anche salutari per un adulto. In media si ritiene che un consumo moderato di caffeina sia di circa 400 mg al giorno.

Giovanni: che corrispondono più o meno a 3 o al massimo 4 caffè (fatti con la moka) ogni giorno. Quindi massimo 3 caffè al giorno. E vino? Quanto ne possiamo bere? Dipende anche qui?

Estelle: Hai indovinato! Il consumo di birra e vino (e altri alcolici) può causare tachicardia in alcune persone, e la quantità che può essere consumata senza sviluppare tachicardia dipende da diversi fattori individuali. Per questo motivo, è importante prestare attenzione ai segnali del proprio corpo e limitare il consumo di alcol se si sperimentano sintomi come battito cardiaco accelerato o palpitazioni.

Giovanni: palpitazioni? E cosa sono? Come la tachicardia?

Anthony: Non esattamente. Le palpitazioni sono una sensazione soggettiva di un battito cardiaco irregolare, accelerato o “saltellante”. Spesso sono descritte come un “battito cardiaco forte”, o “sensazione di avere il cuore in gola” o una “sensazione di farfalle nello stomaco”.

Giovanni: le farfalle nello stomaco? Io credevo che solo quando siamo innamorati si sentono le farfalle nello stomaco!

Anthony: non è un caso infatti. Anche in quel caso il cuore può accelerarsi.

Giovanni: Avere o sentire le “farfalle nello stomaco” è un’espressione comune usata per descrivere una sensazione di eccitazione o ansia che si manifesta nell’area dello stomaco. Questa sensazione può essere associata a diverse situazioni, come quando si è innamorati, quando si è ansiosi o quando si è nervosi per un evento importante.

Quando siamo esposti a situazioni stressanti o eccitanti (io preferisco queste), c’è un aumento del flusso sanguigno verso gli organi vitali, compreso lo stomaco. Questo aumento del flusso sanguigno può causare la sensazione di formicolio o, appunto, di farfalle nello stomaco.

Con le farfalle nello stomaco possiamo concludere questo episodio. Un saluto a tutti e ci vediamo al prossimo episodio dedicato alla salute in cui parleremo della sana alimentazione.

Estelle: Ciao a tutti

Anthony: un saluto anche da me! Il vostro dottorino!

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