La scuola primaria in Italia – presentazione

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Presentazione

Questa lezione appartiene al corso di Italiano Professionale, disponibile a tutti i membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

Quella che ascoltate in questa pagina è solamente un estratto di 4 minuti. L’intera lezione dura 34 minuti ed è disponibile anche il file PDF della trascrizione completa.

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Le specialità italiane: Le ciambelle di carnevale

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Trascrizione

giuseppina_redazione

Giovanni: buongiorno, vi presento una nuova puntata della rubrica: Le specialità italiane, curata da mia madre Giuseppina. State ascoltando un nuovo episodio di italianosemplicemente.com ed io sono Giovanni.

Mia madre Giuseppina vi parla oggi delle ciambelle di Carnevale. Il carnevale è una festa che si celebra nei Paesi di tradizione cattolica, e non ha una data fissa. Si tratta di un periodo di tempo compreso tra la festa dell’Epifania (la Befana, cioè il 6 gennaio) e l’inizio della Quaresima. Una festa religiosa quindi, cattolica. Il Carnevale è famoso perché bambini e adulti posso mascherarsi, cioè indossare delle maschere – le maschere di carnevale appunto. Famosissimo il carnevale di Venezia e di Viareggio in merito, o anche il Carnevale di Putignano, un comune della regione Puglia.

Ma il carnevale è famoso anche per i dolci di carnevale. Giuseppina ci racconta qualcosa sulle ciambelline di Carnevale.

Giuseppina: Quando ero bambina, la guerra era finita da poco e nelle nostre famiglie c’era poco, però ci piaceva festeggiare insieme il carnevale che inizia a metà gennaio.

Allora mia madre, con i pochi ingredienti che avevamo in casa, faceva queste ciambelle che vi assicuro sono buonissime e facili da fare. Io le ho fatte oggi. Iniziamo, facciamo bollire 2 patate medie.

Quando sono ben cotte, le sbucciamo e schiacciamo bene bene.

Sbattiamo 2 uova con 200 grammi di zucchero, aggiungiamo la buccia grattugiata di un’arancia e metà del suo succo, mezzo bicchiere di olio, un pochino di cannella e un quadretto di lievito di birra fresco (sono 25 grammi), sciolto in mezzo bicchiere di latte tiepido. Impastiamo queste uova insieme alle patate, con circa 300 grammi di farina.

Facciamo un impasto morbido con cui formiamo un cordone largo come un dito, lo dividiamo in pezzetti di circa 10 cm.A me sono venute 18 ciambelline, con cui formiamo delle ciambelle.

Le lasciamo riposare una mezz’ora poi le friggiamo in olio bollente.Dopo cotte, ci versiamo sopra un pochino di zucchero.

Eccole qua, le volete provare?

Facciamo un impasto morbido con cui formiamo un cordone largo come un dito, lo dividiamo in pezzetti di circa 10 cm.

A me sono venute 18 ciambelline, con cui formiamo delle ciambelle.

Le lasciamo riposare una mezz’ora poi le friggiamo in olio bollente.Dopo cotte, ci versiamo sopra un pochino di zucchero.

Eccole qua, le volete provare?

Giovanni: grazie mamma, allora patate, farina, uova, zucchero, arance, latte, olio (mi raccomando extravergine d’oliva), cannella (è una spezia) e lievito di birra. Sono questi gli ingredienti.

Approfitto dell’occasione per fare una comunicazione: su Amazon potete trovare il primo audiolibro di Italiano Semplicemente.

Un e-book quindi, con trascrizione integrale degli episodi più istruttivi e divertenti di Italiano Semplicemente. Un libro molto economico da leggere con il vostro dispositivo kindle e ascoltare quando volete, anche mentre vi mangiate le vostre ciambelle di Carnevale appena fatte.

Se non avete un kindle oppure nel vostro paese non avete la possibilità di acquistare su Amazon, nessun problema, posso spedirvi io il file PDF del libro e i file MP3. Fatene richiesta nella pagina sul sito di Italiano Semplicemente.

E’ un modo divertente per imparare l’italiano; spero vi piaccia, perché ne va della reputazione di Italiano Semplicemente.

Un saluto a tutti. E ci vediamo per la prossima specialità.

Buone ciambelle a tutti.

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Le preposizioni semplici italiane

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Trascrizione

Benvenuti a tutti in questo nuovo episodio di ItalianoSemplicemente.com, io sono Giovanni.

Per chi non conosce Italiano Semplicemente, in questo sito ci occupiamo di lingua italiana e ci impegniamo affinché gli stranieri imparino o migliorino il proprio livello di italiano e allo stesso tempo non si annoino a studiare con i metodi classici.

Bene, allora speriamo di riuscirci anche oggi, perché oggi parliamo di preposizioni semplici.

Un argomento in cui è difficile non annoiarsi, perché stiamo parlando di grammatica. Vediamo se riuscirò nel mio obiettivo dunque.

Allora parliamo di preposizioni semplici, cioè di come usare le parole di, a, da, in, con, su, per, tra, fra. Sono nove in tutto. Servono semplicemente a mettere in relazione due parti di una frase o due frasi diverse.

Gli stranieri, anche i più esperti, sbagliano spesso le preposizioni semplici. Oggi facciamo quindi tanti esempi di utilizzo e lo facciamo parlando dei paesi da cui ultimamente sono arrivate le donazioni ad Italiano Semplicemente. Un omaggio quindi ai donatori, che hanno aiutato Italiano Semplicemente.

Bene, cominciamo nel fare alcuni esempi di utilizzo. Faremo più episodi per non annoiarvi, altrimenti un solo episodio verrebbe troppo lungo e vi annoiereste. Allora iniziamo:

La città di l’Hospitalet de Llobregat è un comune spagnolo di 261.130 abitanti situato nella comunità autonoma della Catalogna, in Spagna. A pochi km da Barcellona quindi.

Quindi “La città di l’Hospitalet de Llobregat è un comune spagnolo di 261.130 abitanti”. La Preposizione “di” l’ho utilizzata due volte. Prima per specificare quale città, per dire il nome della città. sto precisando di quale città sto parlando.

La città di l’Hospitalet de Llobregat

Analogamente posso dire:

La città di Nova Friburgo si trova in Brasile. Quale città? Quella di Nova Friburgo. Oppure semplicemente: Nova Friburgo.

Quale città è un comune spagnolo di 261.130 abitanti? La città di l’Hospitalet de Llobregat, in Spagna.

Poi la seconda volta che ho usato “di”, ho detto:

“è un comune spagnolo di 261.130 abitanti”. In questo caso specifico il numero degli abitanti, ma ogni volta che specifico qualcosa uso “di”: il peso, la misura ad esempio.

Una animale di 10 kg, una memoria di 100 megabyte.

In questo caso indichiamo il numero di abitanti.

Poi diciamo che la città si trova a pochi da Barcellona.

Quando si parla di luoghi, di località, spesso troviamo “da“.

Ad esempio quando vogliamo indicare una distanza, come in questo caso.

Quindi la città si trova a pochi km da Barcellona. Significa che la distanza tra Barcellona e questa città è di pochi chilometri. Si sta prendendo Barcellona come un punto di riferimento.

Analogamente posso dire:

Itápolis è un comune del Brasile nello Stato di San Paolo ma è molto distante da San Paolo. Per andare da Itápolis a San Paolo ci vogliono almeno 4 ore di automobile.

Quindi_

da Itápolis a san Paolo ci vogliono almeno 4 ore guidando.

“Da” ed “a” si usano spesso nelle stessa frase quando si parla di distanze: Da un luogo ad un altro. Cioè da un luogo di partenza a un luogo di arrivo. Ad esempio

Da Silkeborg (in Danimarca) a Hagen (in Germania), ci sono 682 km di guida.

In questo caso abbiamo usato anche “in” (in Danimarca, in Germania) e ancora “di” (682 km di guida).

Notate che é veramente difficile costruire una frase qualsiasi senza utilizzare nessuna preposizione semplice (o articolata).
In Danimarca, in Germania: posso fare lo stesso con qualsiasi altra nazione. Attenzione però, non tutte le nazioni a dire il vero.

Quali sono le eccezioni?

Ad esempio Cuba:

per andare a Cuba, prendo l’aereo

“A” cuba quindi.

Perché? Generalmente “a” si usa con le città (vado a Roma, a Venezia, a Bolzano) e in con le nazioni (vado in Brasile, in Germania ecc), oltre che con i continenti (vado in Asia, in Africa ecc) ed anche con le Regioni (vado In Calabria, mi trovo in Lombardia ecc. Invece Cuba è uno stato insulare, fatto di isole, come anche Trinidad e Aruba.

Dunque in realtà non c’è una regola. Il motivo non esiste in realtà. Non chiedetevi il perché! Meglio no? Così non dovrete studiare la regola! C’è una consuetudine, che si è rafforzata col tempo e per gli italiani si dice così: vado a Cuba!

Quando si tratta di una sola isola invece generalmente con le isole piccole si usa “a”: vado a Ponza, vivo a Ventotene, mentre con le isole grandi si usa “in”, come se fosse una nazione, un continente o una regione. Quindi:

Ora mi trovo in Sicilia

Mi piacerebbe andare in Sardegna.
In Madagascar non ci sono mai stato.

Con le città dicevo, per indicarle invece si usa generalmente “a”: vado a Roma, mi trovo a Silkeborg. Posso usare “in” solamente quando voglio intendere dentro, all’interno della città, senza dire il nome ma dicendo “città”.

Vado in città.

Simile a quando vado in ufficio.

Quindi la città, se la nominiamo col nome, indica un punto d’arrivo, mentre una nazione o un continente sono più grandi, quindi usiamo “in” perché andiamo “dentro” lo spazio di appartenenza. Lo stesso per le grandi isole: in Sardegna, in Sicilia eccetera.

Le città invece è come se avessero una sola dimensione, come se fosse un punto adimensionale: vado a Bolzano, mi trovo ad Umeå (in Svezia) eccetera.

Non è però la dimensione quella che conta, non c’è come abbiamo visto una regola fissa.

Infatti “in” si usa anche con spazi più piccoli: ad esempio se sono in una casa a Roma, evidentemente la mia casa è più piccola della città di Roma.

Se mi trovo in una casa a Roma e devo andare da una camera a un’altra e devo indicare il punto di arrivo, uso “in” e non “a”:

Voglio andare in camera da letto

Vado in giardino

Mi trovo in cucina

Lo stesso vale per dei luoghi precisi, più piccoli della città:

Vado in un albergo a Nova Friburgo, vicono alla Cattedrale di San Giovanni Battista;

Mi trovo in un appartamento di Itápolis, la città brasiliana gemellata con Pomezia (che si trova vicino Roma.

Quindi in un appartamento. Come anche:

Vado a pregare in una chiesa ad Umeå, in Svezia.

I luoghi possono essere molti quindi. Quando si indica un luogo uso in e a, a meno che si voglia indicare una appartenenza, allora è più adatto “di”:

Università di Umeå ad esempio, che nel 2012, è stata classificata 23ª tra i migliori istituti d’istruzione del mondo.

Quindi Università “di” Umeå, cioè che appartiene ad Umeå.

Oppure:

Nello Stato di Rio de Janeiro, la città di Nova Friburgo è quella più fredda di tutte temperatura media annuale: circa 19 °C)

Riguardo alla differenza tra “a” e “in”, quando parliamo di luoghi, prima abbiamo detto che si usa una o l’altra a seconda che si tratti di una città, una regione, uno stato, un continente eccetera.

A volte si possono usare entrambe le preposizioni (“a” e “in”) e non cambia nulla, ma a volte cambia il livello di precisione che voglio dare: in ha più un senso fisico:

“sono in bagno” e “sono al bagno” ad esempio hanno lo stesso significato,

mentre “sono alla stazione” e “sono in stazione” possono avere significati un po’ diversi:

“A” ha un’idea di prossimità, quindi sono “alla stazione” significa che sono nei pressi della stazione, da quelle parti, magari anche fuori della stazione, mentre invece “sono in stazione” può indicare all’interno della stazione, non certamente fuori dunque.

Secondo episodio

In questo secondo episodio dedicato alle preposizioni semplici passiamo alle preposizioni “con, su, per, tra, fra“. Ancora un episodio dedicato ai paesi ed alle località da cui provengono le donazioni ad Italiano Semplicemente.

Vediamo qualche esempio usando “con e su“:

Nel mese di settembre 2019 ci vedremo in Italia con i membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

Quindi “con” esprime compagnia, unione. Ma non solo questo.

Posso anche parlare di uno strumento, un mezzo che viene utilizzato.

Ad esempio:

Se dovessi un giorno andare ad Hagen, in Germania, per vedere l’Hagen Open-air Museum, credo che andrei con l’aereo. Poi con un taxi arriverei al museo.

Quindi con un taxi, con l’aereo. La stessa cosa vale per qualsiasi tipo di strumento o mezzo.

Poi con si usa anche per esprimere un modo di fare una cosa, una maniera.

Quindi ad esempio, se dovessi recarmi in catalogna lo farei con entusiasmo.

Invece nello Stato di rio de Janeiro ci andrei con prudenza, visto che è più pericoloso.

Possiamo esprimere anche una qualità, una caratteristica:

Itápolis è una città brasiliana con molte attrazioni da scoprire, con la sua atmosfera particolare e con un passato affascinante da scoprire.

Posso inoltre dire: mi piacerebbe visitare anche Umea, in Svezia, che è stata la capitale europea della Cultura del 2014, ma con la crisi attuale credo che dovrò rimandare. Quindi “con la crisi attuale”, cioè a causa di questa crisi economica.

Vediamo un altro utilizzo, l’ultimo, della preposizione “con”. Sapete che a Silkeborg in Svezia spesso piove, ma nonostante tutto molte persone vanno a lavorare in bicicletta. Allora come si fa con la pioggia a Silkeborg per andare al lavoro? Si va lo stesso, questa è la risposta!

Allora ho usato “con” per limitare, per delimitare il discorso ad un argomento: con la pioggia. Analogamente potrei dire:

Come va con la salute? Non intendo dire “insieme” alla salute, e non intendo dire che la salute è uno strumento per fare qualcosa, e non è neanche un modo, una modalità, così come non è una caratteristica di Silkeborg. Infine non è una causa. In quest’ultimo caso sto delimitando il discorso ad un solo argomento: la pioggia.

Vediamo adesso “su“.

Diciamo innanzitutto che spesso troviamo sul, sullo, sulla, sui, sugli, sulle perché, come tutte le preposizioni si può unire all’articolo e forma una preposizione articolata.

Però capita spesso anche si usare “su”, mi raccomando senza accento.

Quando lo usiamo?

Ad esempio su è il contrario di giù.

Su quindi è quasi come “sopra”, ma non esattamente uguale.

Ad esempio: sei mai stato su in Svezia? (su quindi indica una localizzazione, si usa spesso quando si va in un luogo che sta più a nord).

Sì, sono stato in Svezia. Non ricordo esattamente quando ma avevo sui 30 anni quando ho visitato la città di Umeå. Quindi avevo sui 30 anni. In questo caso indica una approssimazione, come “avevo circa 30 anni”, “più o meno 30 anni”.

Allora in quell’occasione, quando sono andato In Svezia, abbiamo visitato anche la Danimarca, cosa che probabilmente fa un turista su due. In questo caso: “un turista su due” equivale a “per ogni due”: Si usa spesso anche così: Quanti riescono a visitare, nello stesso anno, sia Nova Friburgo in Brasile, che Hagen in Germania, sia La città di l’Hospitalet de Llobregat in Spagna?

Credo solo uno su mille, più o meno. Diciamo uno su mille, suppergiù.

Ecco, “uno su mille”, “un su due” è come dire “ogni 1000 persone, soltanto una persona riesce a farlo. “ogni due persone, solo una persona” riesce a farlo.

La parola “ogni” naturalmente non nel senso di tutti o tutte (tipo mi piace ogni tipo di pasta) ma nel senso di “gruppo” di due persone: uno ogni mille=uno su mille.

Poi prima ho usato la parola suppergiù, tutta unita. Suppergiù, che contiene “su” (ed anche giù) ed è un avverbio che indica un numero non preciso o in quantità approssimativa. Più o meno si usa maggiormente, circa è ancora più usato. Suppergiù è il più informale di tutti. Si usa nello stesso modo comunque.

Quante persone entrano ogni anno nel Duomo di Bolzano? Si tratta della chiesa più importante della città di Bolzano. Quante persone la visitano ogni anno? Non so, migliaia di visitatori, suppergiù 100 mila diciamo. Quindi più o meno, circa 100 mila visitatori ogni anno. Il senso dell’approssimazione quindi è presente anche nell’avverbio suppergiù, quindi è come dire “sui 100 mila visitatori ogni anno”, oppure “intorno ai 100 mila visitatori”.

Bene, quella stessa sera, durante il viaggio in Svezia e Danimarca, siamo stati a cena a Silkeborg, abbiamo cenato in albergo che fa anche degli ottimi dolci su ordinazione.

I dolci su ordinazione: un modo un po’ strano per dire che i dolci vanno ordinati. Si tratta di una locuzione in questo caso. Non puoi andare lì nel ristorante e prendere i dolci senza averli prima ordinati. I dolci sono su ordinazione. Quindi si indica una modalità, un modo di ordinare. E’ un po’ come dire: bisogna insegnare l’italiano sull’esempio di Giovanni ad esempio.

Questo è ancora un modo diverso di usare su. Come abbiamo visto quindi su diventa facilmente sui, sugli eccetera. Dipende dalla cosa a cui ci riferiamo. Ad esempio questo dolce costa sui 15 euro. Eccetera. Ci sono poi utilizzi di “su” che sembrano un po’ strani e qualcuno di questi ha qualche legame con il senso di “sopra”

  • posso contare su di te?
  • Italiano Semplicemente è sulla bocca di tutti

Poi altre locuzioni perdono del tutto il senso di “sopra”:

  • fare o dire sul serio: tornerò in Brasile: dico sul serio, cioè dico veramente.
  • stare sulle sue: oggi non mi va di parlare con nessuno, voglio stare un po’ sulle mie.
  • su due piedi: allora mi lasci così su due piedi? Così all’improvviso?

Nelle locuzioni, nelle frasi fatte, nelle frasi idiomatiche non ci si deve chiedere il perché a volte si usa o non si usa una preposizione semplice o articolata o qualche altro termine. Queste espressioni particolari si riconoscono anche per questa loro caratteristica. Adesso vi lascio al terzo episodio dedicato alla preposizione per.

Terzo episodio

Eccoci di nuovo qui, sono sempre Giovanni di Italianosemplicemente.com. Parliamo della preposizione “per“. Questo è il terzo episodio dedicato alle preposizioni semplici, che sono 9 in tutto: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.

Adesso tocca a “per”. Come al solito cercherò di fare molti esempi parlando dei paesi da cui provengono le donazioni ad Italiano Semplicemente.

Vi racconterò una storia, immaginata da me in cui utilizzerò tutti i modi possibili di usare la preposizione per. Vedremo che “per” si può usare sia in una stessa frase sia per collegare due elementi della stessa frase, sia al fine di collegare due frasi diverse.

Ecco la storia:

Allora:

Viaggio in Spagna: Quando sono partito per la Spagna, sull’aereo sono entrato per primo, ma i posti erano tutti prenotati dunque mi sono seduto per terra. Che sfortuna!

Sarei volentieri passato per Madrid ma non ho avuto il tempo, così ci andrò per tempo in un’altra occasione.

Sull’aereo c’era un signore di Itápolis che si lamentava per la fame che aveva, ed era appena entrato in aereo, quando ad un certo punto la hostess gentilmente le ha detto: prego sono qui per servirla. Arriverà qualcosa da mangiare per giovedì prossimo. Oggi purtroppo non possiamo aiutarla.

Giovedì prossimo? Al massimo aspetto per 5 minuti, non di più. Certo che lei non è proprio il numero uno per pazienza, replicò la hostess. Non sopporto di essere preso per i fondelli, rispose il brasiliano , mentre tutti gli altri passeggeri se ne stavano ancora in piedi in fila per per due pronti ad entrare anche loro.

Tra loro, un danese di Silkeborg perse la pazienza: ma cosa pretende per soli trenta euro? Che lo facciano anche mangiare? Per la miseria!

Se vuole, aggiunse, le posso dare il panino che mia moglie aveva preparato per me. Glielo vendo per soli 10 euro.

Ad un certo punto il pilota, un esperto pilota tedesco che abitava ad Hagen, disse al microfono: attenzione prego, l’aereo è in partenza per non fare ritardo.

Allora vediamo bene un pezzo alla volta:

Viaggio in Spagna: Quando sono partito per la Spagna, sull’aereo sono entrato per primo, ma i posti erano tutti prenotati dunque mi sono seduto per terra. Che sfortuna!

Sono partito per la Spagna. Indica la direzione, come anche:

  • vado per la mia strada
  • parto per l’Italia

Sono entrato per primo: Per primo, per secondo, per terzo, per ultimo. Per quindi si può usare quando parliamo di ordine:

  • per prima cosa, fai silenzio!

Mi sono seduto per terra. Con la terra, cioè il suolo, per si usa per dire dove si trova una cosa o una persona:

  • seduto per terra
  • appoggiato per terra

Sarei volentieri passato per Madrid ma non ho avuto il tempo, così ci andrò per tempo in un’altra occasione.

Sarei volentieri passato per Madrid: qui per indica un passaggio. Non si usa solo per le destinazioni dunque (partire per Roma) ma anche per indicare una tappa intermedia: partire per Roma (destinazione) passando per Napoli (tappa intermedia).

Ci andrò per tempo: A Madrid ci andrò per tempo, cioè ci andrò più in là, in un’altra occasione, nel futuro, senza specificare esattamente quando. Notate che a volte “per tempo” si usa come “in tempo“, cioè prima che accada qualcosa. Quindi posso dire:

  • Andremo “per tempo” a raccogliere le fragole (prima che sia troppo tardi quindi)

oppure:

  • Oggi impariamo l’italiano, poi “per tempo” studierò anche l’inglese.

Sull’aereo c’era un signore di Itápolis che si lamentava per la fame che aveva, ed era appena entrato in aereo, quando ad un certo punto la hostess gentilmente le ha detto: prego sono qui per servirla. Arriverà qualcosa da mangiare per giovedì prossimo. Oggi purtroppo non possiamo aiutarla.

Si lamentava per la fame: indico la causa, il motivo. Posso indicare anche un obiettivo come vedremo:

  • sono qui per servirla (obiettivo)

Altri esempi:

  • morire per la sete (causa)
  • scrivere per piacere (obiettivo)
  • complimentarsi per aver fatto qualcosa (causa)
  • pettinarsi per essere più carino (obiettivo)
  • Sono contento per il tuo successo (causa)
  • partecipo alla gara solo per vincere (obiettivo)

Qualcosa da mangiare per giovedì prossimo. Qui indichiamo un tempo preciso, determinato; può essere una scadenza oppure un giorno preciso.

  • quel documento che riguarda il turismo a Nova Friburgo mi serve per giovedì (scadenza. é come dire: “entro giovedì”);
  • Facciamo un giro in bici a Silkeborg: ho fatto una prenotazione per domani (esattamente domani);
  • ho un appuntamento per l’ora di pranzo al museo di Alexandre Gusmao ad Itápolis (durante l’orario del pranzo, non entro, ma esattamente in quel tempo)

Giovedì prossimo? Al massimo aspetto per 5 minuti, non di più. Certo che lei non è proprio il numero uno per pazienza, replicò la hostess. Non sopporto di essere preso per i fondelli, rispose il brasiliano, mentre tutti gli altri passeggeri se ne stavano ancora in piedi in fila per per due pronti ad entrare anche loro.

Al massimo aspetto per 5 minuti. Qui si indica quanto tempo si aspetta, quindi dopo quel tempo andrò via:

  • ti aspetto per mezz’ora davanti al museo di Hagen e poi vado via;
  • sono rimasto alla stazione di Newcastle per un’ora;

Il numero uno per pazienza. Si indica la cosa a cui ci si riferisce:

  • Per bellezza il campo sportivo Nou Camp, vicino Barcellona non lo batte nessuno;
  • Per intonazione è il numero uno;
  • Per bellezza, il museo dell’immagine ad Umeå in Svezia è uno dei primi.

“Non sopporto di essere preso per i fondelli, rispose il brasiliano”: essere preso per i fondelli è un’espressione idiomatica, che significa “prendere in giro”, ma “prendere qualcosa per“, in senso materiale significa afferrare per, cioè prendere con la mano una parte di qualcosa: si indica la cosa che si prende:

  • ti prendo per la giacca; uso la giacca afferrandola con l’obiettivo di fermarti o tirarti verso di me;
  • ti tiro per la camicia: la camicia è la parte che utilizzo per tirarti con la mano

In senso figurato invece “Prendere per” significa anche scambiare per, cioè confondere una persona per un’altra:

  • Ciao Giovanni. Ah, scusa Marco, ti avevo preso per Giovanni. Ti avevo scambiato per Giovanni. In questo caso posso usare anche “con”: ti avevo confuso con Giovanni.

In fila per due: si usa “per” in questi casi; “per due” indica il gruppo composto da due persone. Due persone, poi altre due, dietro altre due. In breve: in fila per due.

Tra loro, un danese di Silkeborg perse la pazienza: ma cosa pretende per soli trenta euro? Che la facciano anche mangiare? Per la miseria!

Per soli trenta euro: in questo caso c’è un prezzo pagato; c’è uno scambio. Ogni volta che c’è un pagamento o uno scambio posso usare “per”:

  • per circa 50 euro possiamo visitare la città di Mosca e visitare 40 diverse località turistiche.
  • per 8 euro potete invece visitare il Victoria Tunnel, a NewCastle, un tunnel sotterraneo che corre sotto Newcastle in Inghilterra, che fu costruito nel 1800 per trasportare il carbone.

Per la miseria!

In questo caso si tratta di una imprecazione! si usa spesso nella lingua italiana la preposizione per in questi casi.

Possiamo anche dire “Per Dio!” che in realtà si scrive attaccato: perdìo!

Non è molto educato, ed in fatti anche questa è un’imprecazione. E’ un’esclamazione imprecativa che serve ad esprime disappunto, risentimento, insofferenza o anche una sorpresa, a volte si usa per rafforzare qualcosa che viene detto, per dare più forza ad un discorso. Anche una minaccia: la vuoi smettere perdio!; ti avevo detto di non disturbarmi, perdio! (sempre attaccato); gliela farò pagare a Giovanni, perdio!

Attenzione perché non è molto carino usare questa imprecazione.

Quindi “per” serve a chiamare in causa qualcosa, come se stessimo facendo una scommessa, come se fosse in gioco qualcosa: per la miseria! Esistono anche espressioni senza un particolare riferimento, come Perdinci!, Perdindirindina! Perbacco! che sono tra l’altro più usate come imprecazioni perché diciamo che sono più leggere.

Se vuole, aggiunse, le posso dare il panino che mia moglie aveva preparato per me. Glielo vendo per soli 10 euro. Ad un certo punto il pilota, un esperto pilota tedesco che abitava ad Hagen, disse al microfono: attenzione prego, l’aereo è in partenza per non fare ritardo.

Aveva preparato per me: per qui indica un beneficiario, quindi la persona che subisce un vantaggio (o anche uno svantaggio)

  • L’ho fatto solo per te, ho acquistato due biglietti per Mosca.

Glielo vendo per soli 10 euro: ancora un prezzo, come prima.

L’aereo è in partenza per non fare ritardo: si indica nuovamente il fine, lo scopo, l’obiettivo.

  • Vado a Mosca per fare una passeggiata nel parco di Dyussel’dorfskiy
  • Vado avanti per non farvi annoiarvi;

Volevo dirvi che “per” si usa spesso nelle espressioni idiomatiche e in molte locuzioni o in alcuni avverbi che contengono “per” e spesso frasi equivalenti esistono usando altre preposizioni. Frasi ad esempio come:

  • per quanto ne so io; cioè “che io sappia”, “secondo le mie conoscenze”, a quanto ne so io;
  • peraltro, che si scrive attaccato, cioè del resto, d’altronde;
  • per esempio, che si dice anche “ad esempio”; a titolo di esempio (più formale)
  • Lì per lì, che significa in un primo momento;
  • per causa di, per colpa di
  • Poco per volta, cioè gradatamente, gradualmente, piano piano, lentamente;
  • senza riguardi per nessuno;
  • Per intuito, cioè a naso;
  • un po’ per tutti;
  • A tu per tu. cioè a faccia a faccia, a quattr’occhi;
  • per forza o per amore, cioè con le buone o con le cattive
  • Per caso, cioè accidentalmente, senza volerlo, senza l’intervento della volontà;
  • Per dispetto, cioè con l’intenzione di procurare un dispiacere, per farti un dispetto, per farti arrabbiare;
  • Per filo e per segno. cioè raccontare tutti i particolari di qualcosa, che è successo;
  • Per giunta. cioè inoltre, per di più, tra l’altro, oltre a ciò;
  • Per il rotto della cuffia, cioè “a malapena”, “a stento”, “pelo pelo” (più informale);
  • Per miracolo, cioè “a stento”, “a malapena”; “per caso”.
  • Per monti e per valli, cioè dappertutto, ovunque.

Bene, adesso tocca alle preposizioni tra e fra. Ho cercato di fare molti esempi per farvi capire bene, nella speranza di non avervi annoiato. Nel’ultimo episodio vedremo tra e fra.

Quarto episodio

Eccoci all’ultimo episodio dedicato alle preposizioni semplici pubblicato su Italianosemplicemente.com. Siamo arrivati alle ultime due preposizioni semplici: tra e fra.
Tra e fra possiamo considerarle identiche e intercambiabili, questo significa che possiamo usare tra e fra sostituendoli se vogliamo in tutte le frasi.

A volte la scelta dipende dal suono, che non deve essere fastidioso. Ad esempio se dico:

Tra fratelli non si deve litigare.

Fra fratelli suona un po’ male non credete? Inoltre vi si attorciglia anche la lingua. Meglio “tra” in questo caso.

Si usano in molti casi diversi comunque.

Ad esempio:

Mi piacerebbe abitare in una casa fra le montagne di Bolzano.

Si indica un luogo indicativo, che non si trova esattamente tra una montagna e l’altra.

Tra e fra può indicare una posizione centrale tra due cose, in mezzo. Ma spesso non è così in realtà. Se ad esempio dico che sto camminando tra i fiori, allora vuol dire che attorno a me ci sono dei fiori, che io sono circondato da fiori.

Analogamente se dico che:

Il direttore è sceso tra noi, umili dipendenti

E’ la stessa cosa: non si trova tra una persona ed un’altra, in mezzo, ma tra noi, in mezzo a noi, nel senso di insieme a noi.

Se invece passo con la macchina tra Hagen e Berlino indico esattamente una posizione tra le due città, una zona intermedia tra le due città. Anche col tempo si può usare:

Tra il 15 e il 19 aprile partirò per il Brasile.

Intorno a quelle date quindi. Torna il concetto dell’approssimazione, come con “su” ma qui parliamo di un intervallo di tempo.

Se invece saluto il mio amico di Itapolis e gli dico:

Ci vediamo fra una settimana a casa tua, quando verrò in Brasile in vacanza.

Fra/tra una settimana indica un tempo, una distanza temporale. Si può usare anche con lo spazio:

Tra venti km saremo arrivati a Nova Friburgo.

Quindi dovremo aspettare ancora 20 km prima di arrivarci.

Vediamo poi che le cause si possono indicare anche con tra e fra.

Tra una cosa e l’altra, non sono mai a casa

Questa è anche una espressione ma indica una causa. Perché non sono mai a casa? perché sono impegnato in altre cose; tante cose: tra una cosa e l’altra non ci sono mai a casa.

Vediamo altri due utilizzi di tra e fra:

Tra tutte le città che ho visitato finora, la più fredda è Mosca.

Qui uso tra o fra per scegliere in un gruppo:

Scegli tra Silkeborg e Newcastle: dove vogliamo andare?

Infine se dico:

Oggi c’è stata una discussione fra colleghi

Uso fra per indicare un gruppo, una compagnia, un’unione. Posso quindi dire:

  • Una lite tra maschi
  • Un litigio tra fratelli
  • Una birra tra amici
  • Una riunione tra colleghi

Ci vediamo al prossimo episodio. Grazie ancora a tutti i donatori.

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Sparare a zero

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Trascrizione

Sparare a zero è l’espressione di oggi. Ciao a tutti da Giovanni.

L’episodio di Italianosemplicemente.com di oggi comunque non è un episodio in cui parleremo di guerra o di conflitti a fuoco di alcun tipo. Parliamo invece di linguaggio di tutti i giorni.

“Sparare a zero”: una strana espressione che deriva comunque dal linguaggio bellico, cioè il linguaggio della guerra.

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Sparare infatti significa, far partire uno o più colpi d’arma da fuoco, un fucile, una pistola, un cannone. Si dice: sparare un colpo, oppure anche “esplodere un colpo” quindi un colpo di fucile, di cannone eccetera.

Sparare si usa anche nel linguaggio quotidiano. Si usa quando si dice qualcosa senza pensarci troppo. Somiglia anche a provare, tentare, provare ad indovinare, oppure anche semplicemente dire qualcosa che potrebbe far male a qualcuno.

Chi vincerà lo scudetto quest’anno secondo te? Spara il nome della squadra!

Sai che mi è venuta un’idea? E quale? Dai spara!

Indovina quante volte sono andato a Parigi? Spara un numero!

Quindi in quest’ultimo caso significa dire cose di cui non si è sicuri tirando a indovinare.

Sparare ha in realtà molti significati nella lingua italiana, ma nel caso di “sparare a zero“, che è l’espressione di oggi, ha un senso legato alle parole. In particolare quando si spara a zero, si spara a zero “su” qualcuno.

Se io sparo a zero su una persona vuol dire che sto palando di questa persona. Ma in che modo?

Sto dicendo cose positive? Niente affatto!

Infatti sparare a zero su qualcuno significa dire o scrivere tutto il male possibile su qualcuno o anche qualcosa.

Nel linguaggio quotidiano sparare a zero su oppure contro qualcuno significa attaccarlo, criticarlo, insultarlo con grande veemenza, senza controllarsi, senza frenarsi. Si capisce bene che questa espressione deriva dal linguaggio militare.

Si usa spessissimo nel linguaggio giornalistico ma anche tra amici e al lavoro, sempre tra colleghi comunque, e non con persone che non si conoscono. Non è un modo formale di parlare, tutt’altro.

Facciamo alcuni esempi che vi invito a ripetere dopo di me:

Francesco era arrabbiatissimo con Giovanni e ha sparato a zero contro di lui. Era veramente arrabbiato. Povero Giovanni.

Il sindaco di Roma spara a zero contro l’opposizione

Il tecnico ha sparato a zero contro i suoi giocatori dopo la brutta sconfitta in campionato

Ma perché si dice “a zero”? Questo non è molto importante. Generalmente le frasi idiomatiche si utilizzano e basta, ma per i curiosi, si dice così perché in battaglia quando un soldato spara con il suo fucile o pistola, se “spara a zero”, allora nel gergo militare significa che l’arma si fa sparare più volte ripetutamente, senza pause, senza interruzioni. Evidentemente lo zero indica il tempo che passa da una carica all’altra. In questo modo si perde meno tempo anche se i colpi saranno meno precisi.

Vedete che il verbo sparare quindi anche in questo caso, in questa espressione, dà un po’ l’idea dell’approssimazione, della scarsa precisione, come quando si risponde ad una domanda sparando, o sparando a caso. C’è sempre un’idea di approssimazione, di scarsa riflessione, come quando si tira ad indovinare.

Insomma un’espressione semplice. Spesso anche in famiglia accade che uno dei membri della famiglia spari a zero contro un altro: si accusa, si alza la voce, e si perde anche la pazienza. Un breve episodio oggi, spero sia tutto chiaro. Ripetete l’ascolto se volete. Ciao

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Una notizia di calciomercato dal Brasile. Episodio di ripasso.

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Trascrizione

Giovanni: Buongiorno a tutti, bentornati su Italiano Semplicemente. Io sono Giovanni, ed oggi ci occupiamo di buone notizie, una buona occasione anche per ripassare alcune espressioni tipiche italiane che abbiamo già spiegato sulle pagine di Italianosemplicemente.com. Una buona idea vero?

Vorrei in particolare ascoltare una buona notizia dal Brasile.

Ci sono buone notizie dal Brasile? Ci risponde il nostro inviato Andrè Arena da San Paolo. Andrè è membro dell’associazione Italiano Semplicemente, con la sua rubrica che si chiama “quasi 100 secondi con Andrè Arena“. A te la parola Andrè.

Andrè: Ancora buongiorno da André Arena, vi parlo dal Brasile, ed oggi vi voglio raccontare qualcosa dal mio paese, come di consueto. Non intendo però annoiarvi con una brutta notizia oggi.

Andrèarena.jpg

Quasi 100 secondi con Andrè Arena

È stato difficile ma sono riuscito a trovarne una buona che riguarda il Brasile.
Parliamo di Calcio, in particolare del cosiddetto Calciomercato.

A questo riguardo il Brasile è il maggior esportatore di talenti al mondo!

Sono più di 1.200 infatti i calciatori brasiliani impegnati nei campionati esteri!

Da uno studio risulta che alle spalle del Brasile si collocano i giocatori francesi, seguiti da argentini, serbi e britannici.

Questa settimana arriva a Roma il giovanissimo attaccante Felipe Estrella Galeazzi che è stato appena acquistato proprio dalla squadra giallorossa che come immagino sappiate è una delle più importanti squadre di calcio in Italia.

Quest’anno, male che va, dovrebbe arrivare almeno quarta.

Quella capitolina è, tra l’altro, la stessa squadra in cui hanno militato, fantastici calciatori verdeoro, fenomeni come il centrocampista Falcão, l’ala Cafú, il difensore Aldair è, più recentemente, il portiere Alisson.

Felipe proviene dalla squadra della Ferroviaria, club della città di Araraquara, nello stato di San Paolo.

Araraquara è lo stesso posto dove è nato Careca, l’ex calcitatore del Napoli e della nazionale brasiliana, sicuramente uno dei più grandi attaccanti brasiliani!

La storia si ripeterà? A priori si tratta di un acquisto di prospettiva, vista l’età, comunque tutti i tifosi romanisti sperano che Felipe si rilevi subito un grande cannonieri.

Lo vedremo a posteriori.

Che ne pensi Giovanni?

Proprio tu che l’anno scorso quando sei venuto in Brasile hai comprato una maglietta della Ferroviaria come se avessi avuto qualche presentimento!

Giovanni: Eh, hai ragione Andrè, credo di essere l’unico in Italia ad avere una maglietta della squadra dell’Araraquara!! Bella notizia comunque, sia per me per tutti i romanisti. Durante il tuo breve episodio hai usato alcune espressioni di cui ci siamo già occupati; nell’ordine hai utilizzato:

  • Il verbo intendere che è un verbo che appartiene alla categoria verbi professionali, più usato nel mondo del lavoro e la spiegazione fa parte del corso di italiano professionale;
  • male che va, quando hai detto che quest’anno la squadra della Roma dovrebbe arrivare, male che va, almeno quarta. Quindi nella peggiore delle ipotesi dovrebbe arrivare quarta. Spero che tu abbia ragione Andrè;
  • “a priori” ed “a posteriori”, due locuzioni spiegate in un unico episodio ed utilizzate quando ci si riferisce al tempo e a come ci poniamo rispetto ad esso;
  • tra l’altro, una locuzione utilizzatissima nei dialoghi parlati e scritti.

Andrè ha anche usato dei termini del mondo del calcio, come “calciomercato“, un’unica parola che indica Il complesso delle trattative per il trasferimento, definitivo o temporaneo, di un giocatore di calcio da una società a un’altra, ma è una parola usata anche in politica, a volte. Nel “gergo” della politica, è la stessa cosa ma i calciatori sono gli uomini politici: si parla sempre di una contrattazione privata con la quale il capo di uno schieramento politico cerca di indurre singoli parlamentari a passare dalla propria parte politica offrendo loro denaro o incarichi di prestigio. Non è una bella cosa quindi parlare di calciomercato nella politica.

Poi, parlando dei giocatori brasiliani, Andrè ci ha parlato dei ruoli del gioco del calcio: il portiere (che difende la porta), il difensore, che è un giocatore arretrato di una squadra, non solo di calcio, cui sono affidati compiti di difesa. Il difensore gioca in difesa, quindi il suo ruolo è difendere la squadra. Poi il centrocampista, che gioca a centrocampo. Nel gioco del calcio, il centrocampista (un’unica parola) è ciascuno dei giocatori a cui è affidato il compito d’impostare il gioco nella zona di centrocampo, facendo da collegamento tra la difesa e l’attacco. Infine l’attaccante, che è il giocatore il cui compito è segnare i gol per la propria squadra, quindi attaccando, appunto, gli avversari. L’ala, al plurale “le ali”, nel gioco del calcio ma anche nell’hockey, ecc. l’ala è il giocatore schierato a destra o sinistra del campo; c’è quindi l’ala destra e l’ala sinistra: Cafù (il giocatore brasiliano che ha giocato nella Roma) giocava come ala destra. Per chi volesse approfondire il linguaggio del mondo del calcio ricordo che c’è anche un episodio espressamente dedicato a questo argomento pubblicato su italianosemplicemente.com.

Allora Andrè, la prossima volta la sfida sarà ancora più difficile. Ti sfido a trovare una bella notizia brasiliana nel mondo della cronaca. Una bella sfida vero?

Un saluto a tutti da Roma.

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Le specialità italiane: I supplì

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Trascrizione

Giovanni: Oggi parliamo dei supplì, con l’accento sulla i. Difficile trovare una trattoria romana dove non facciano i supplì, dove non cucinino i supplì. Già, perché stiamo parlando di una preparazione tipica della cucina romana. Intorno alla  metà del 1800 pare sia apparso per la prima volta, su una tavola, un supplì, strano nome vero?

Pare che venga dal francese e che voglia dire “sorpresa”. Il nome infatti suona un po’ francese. Infatti in francese “sorpresa” si dice “surprise”, quindi supplì viene da surprise. Ma qual è la sorpresa che si trova sorpresa dentro un supplì?

In effetti guardando un supplì dall’esterno, non si capisce come sia fatto, non si riesce a capire cosa ci sia dentro un supplì. Una cosa è sicura: l’ingrediente principale è il riso. Ma ve lo lascio raccontare da mia madre Giuseppina. Vai mamma!

Giuseppina: Oggi per le nostre specialità italiane voglio farvi assaggiare dei meravigliosi supplì di riso.Prima proviamo a fare un po’ di storia sul riso?

Giovanni: bene, allora adesso vediamo qualche termine un po’ più difficile che ha usato mia madre, e poi potete mettervi alla preparazione dei supplì.

Mia madre vi ha parlato del riso Carnaroli, e vi ha detto che è indicato per fare i supplì. Infatti ha detto che la sua particolarità risiede (cioè consiste, o più semplicemente “è”) nella sua capacità di non scuocere e non disgregarsi.

Non scuocere. Cosa significa? Scuocere significa cuocere troppo un alimento. Nella lingua della cucina italiana si usa spessissimo, soprattutto quando si parla di pasta in generale. La pasta, come gli spaghetti o qualsiasi altro tipo di pasta hanno un tempo preciso di cottura: 10, 11 12 minuti eccetera.

Non bisogna cuocerla più tempo del necessario, altrimenti la pasta si scuoce. Il verbo è scuocere, ed il risultato che si ottiene quando si scuoce la pasta è la pasta scotta. Qualsiasi alimento comunque, anche il riso, quando si cuoce troppo, si dice che si “scuoce”. Si dice anche che questo alimento è “passato di cottura”, cioè si è cotto eccessivamente, si è cotto troppo.

La pasta scotta non è buona, e neanche il riso. Eppure ai palati non italiani spesso piace anche di più la pasta scotta rispetto alla pasta cosiddetta “al dente” che invece è cotta al punto giusto, o meglio, è cotta un pochino meno di quanto è indicato sulla confezione.

Quando la pasta è scotta, diventa troppo morbida, si rompe facilmente, e spesso si incolla, si attacca. La pasta scotta è anche più difficile da digerire.

Ma oggi parlavamo di riso. Il riso Carnaroli non scuoce e non si disgrega. Il riso è formato da chicchi, cioè da semi. Quelle piccole palline bianche si chiamano chicchi: un chicco di riso, chicchi di riso al plurale.

Il riso di questa qualità, si diceva, non scuoce, e questo significa che scuoce con molta difficoltà, nel senso che ci vuole molto tempo per scuocere. Un riso che non scuoce si dice che “tiene la cottura”, cioè resiste alla cottura. Un riso molto resistente dunque, ed i chicchi di riso Carnaroli non si disgregano, cioè non si rompono. Disgregare significa rompere, frantumare, sgretolare, disfare. Tra questi verbi, disfare è, tra le altre cose, un verbo molto usato in cucina.

Il riso Carnaroli non si disfa ( o disfà), non si disgrega, non si rompe facilmente.

Un altro esempio col verbo disfare? Se parliamo delle patate, ad esempio, quando cuociamo le patate in acqua bollente, si devono cuocere in acqua bollente ma non fino a farle disfare: le patate non si devono disfare.

Poi mia madre vi ha parlato anche di un altro ingrediente del supplì: il parmigiano che viene grattugiato.

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La grattugia

Grattugiare è un verbo che si usa praticamente solamente col formaggio (quelli più duri, non quelli morbidi) e al limite col pane secco, raffermo.

Grattugiare significa ridurre in frammenti minutissimi o in poltiglia con la grattugia. Per grattugiare si usa la grattugia. La grattugia riduce in piccolissimi pezzi, minutissimi frammenti, un pezzo di parmigiano o altro tipo di formaggio oppure anche il pane secco, anche detto “pane raffermo”, come dicevo.

Solo il pane raffermo si può grattugiare perché è duro e secco. Quello morbido non si riesce a grattugiare, non ci si riesce molto bene. Allora buon appetito!

Il Riso si diffuse definitivamente in Europa all’inizio del VIII secolo con l’invasione degli arabi, che lo introdussero.

Risultò da subito apprezzatissimo in ambito alimentare.

In occasione delle grosse carestie, guerre ed epidemie, che si verificarono in quegli anni, la necessità di un cereale altamente produttivo in grado di sfamare molte persone divenne indispensabile.

Nel millecinquecento il riso entrò nella schiera dei nuovi alimenti con i quali placare la fame contadina e fu probabilmente a causa di questa immagine di cibo povero, che il riso non trovò particolare attenzione nei ricettari delle corti cinquecentesco.

Non è facile reperire dei dati sulla produzione e sulla superficie dedicata alle risaia nel corso dei secoli, anche per le alterne vicissitudini di questa amata o odiata coltura, (nei secoli passati si credeva che le risaie fossero causa delle epidemie di malaria. In Italia, durante l’occupazione napoleonica però, risulterebbero già coltivati 40.000 ettari in Piemonte e 120.000 ettari in tutta Italia, mentre nel 1860 solo in provincia di Vercelli sarebbero coltivati a riso 30.000 ettari.

Sono ancora queste le zone dove si produce la maggiore quantità di ottimo riso.

Ora ci sono moltissime qualità di riso, tutte pregiate ed ognuna adatta ad un tipo di cottura.

Il primo fra tutti sicuramente è il Carnaroli, ossia il riso più utilizzato e più pregiato nella cucina italiana.

La sua particolarità risiede nella sua capacità di non scuocere e non disgregarsi, ed è per questo che è indicato per la preparazione di risotti, ma non solo.

Adesso che abbiamo fatto un bel risotto e ne è avanzato un po’ cosa ci facciamo? Io ci farei qualche supplì.

Vogliamo provare a farli?

Allora prendiamo il nostro risotto, che può essere sia con verdure che con ragù di carne, o di pisellini, o semplicissimo, lo mettiamo in una ciotola quando è ben freddo.

Ci aggiungiamo del parmigiano grattugiato a piacere, un uovo, giriamo bene, ne prendiamo un po’ sulla mano, mettiamo un pezzettino di mozzarella o altro formaggio e chiudiamo tutto intorno formando una pallina ovale grande come un uovo.

La passiamo nel pane grattugiato e la friggiamo in abbondante olio bollente. Bastano pochi minuti.

Sentirete che bontà! Adatti sia per cena, che per una festa di adulti o dei bambini, andranno a ruba, provate.

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A stretto giro

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Descrizione

Una espressione non formale utilizzata prevalentemente in ambienti lavorativi.

Durata: 18 minuti

Livello: B1-C2

Trascrizione

Buongiorno amici di italianosemplicemente siamo di nuovo qui ed io sono sempre Giovanni.

Voi invece state ascoltando un nuovo episodio di italianosemplicemente.com, episodio quest’oggi dedicato ad un’espressione idiomatica più che altro utilizzata nel mondo del lavoro.

Parliamo dell’espressione “a stretto giro“.

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A stretto giro: tre parole di cui la prima è una preposizione semplice.

Sapete che il lunedì è il giorno in cui pubblichiamo una nuova espressione idiomatica: fa parte, già da qualche tempo, del programma settimanale di Italiano Semplicemente e all’interno del gruppo Whatsapp dell’associazione tutti gli associati possono fare esempi, discutiamo insieme del significato di questa espressione. Invece la spiegazione della frase, quella è disponibile per tutti ed è esattamente questa che state ascoltando.

Allora: “a stretto giro” a, abbiamo detto, è una preposizione semplice, che sono in tutto nove: di a da in con su per tra fra.

Facile da ricordare: a quindi è una preposizione semplice. Stretto e poi giro sono le altre due parole. Che cos’è un giro?

Beh generalmente quando si usa questa parola lo si fa in un contesto amichevole e confidenziale: facciamo un giro? Facciamo un giro per Roma? Ti accompagno a fare un bel giro. Spesso si usa anche giretto.

Ebbene questo significa semplicemente un’uscita, una passeggiata a piedi o in macchina, anche senza un obiettivo preciso. Oppure facciamo un giro a vedere se troviamo una gelateria.

In generale la parola giro indica un percorso, e spesso si tratta di un percorso più o meno circolare. Diciamo un circuito. Infatti quando si parte a fare un giro alla fine si torna sempre al punto di partenza. Questo significato è più esplicito se dico:

Faccio il giro di casa

Come allenamento facciamo tre giri del campo. Quindi giriamo tre volte intorno al campo.

Quest’idea del partire e tornare al punto di partenza è presente anche nella frase “a stretto giro” come vediamo tra un po’.

Restando al lavoro, in ambienti lavorativi soprattutto, si lavora in gruppo. E la parola giro si usa spesso. Si usa in diverse occasioni e in diverse espressioni.

Spesso dobbiamo consultarci con altre persone per fare un lavoro, spesso siamo in contatto con più persone e dobbiamo fare un giro di telefonate per raggiungere un obiettivo. Questo è un modo abbastanza comune di usare la parola giro al lavoro.

“Fare un giro di telefonate” cioè fare più teleonate, a più persone, dobbiamo farne diverse, più di una dunque. Non sappiamo esattamente quante. Alla fine del giro arriverà una conclusione.

In una riunione potremmo fare un “giro di tavolo” per ascoltare tutte le opinioni delle persone che partecipano alla riunione e quindi che sono sedute attorno al tavolo. Facciamo un giro di tavolo per presentarci? Inizio io. Mi chiamo Giovanni e lavoro per italiano semplicemente. Ora tocca al prossimo.

Poi quando dobbiamo sentire più opinioni, opinioni diverse, e non solo presentarci, ma quando ognuno deve dire la propria opinione allora posso dire “facciamo un giro di consultazioni“. Questo significa che tutti, uno ad uno, tutte le persone saranno ascoltate, anzi consultate, fino a esaurire le persone. Spesso il giro diventa stretto:

Facciamo uno stretto giro di consultazioni.

Uno stretto giro di consultazioni vuol dire che le persone saranno ascoltate in breve tempo. Si impiegherà poco tempo per fare il giro, per terminare il giro, cioè per ascoltare tutte le persone.

Sapete che stretto è il contrario di largo. Un pantalone stretto, una maglietta stretta, un anello stretto, una strada stretta: sicuramente avrete ascoltato o letto una di queste modalità di usare la parola stretto o stretta. Simile a piccolo, piccola, sottile, poco spaziosa eccetera.

Sapete che, sempre in senso fisico, un giro largo è più grande di un giro stretto, quindi si impiega più tempo a fare un giro largo che un giro stretto.

Ma uno stretto giro, invertendo quindi le due parole, spesso si usa in senso figurato. Non si tratta di un giro fisico come il giro per Roma o il giro intorno casa, ma si tratta di ascoltare delle persone.

Lo “stretto giro” quindi si usa in senso figurato ed è diverso dal giro stretto.

Ci sono però due modi di usare le due parole stretto giro.

Il primo lo abbiamo già visto. Uno stretto giro si usa quasi sempre in senso figurato per indicare la consultazione veloce di più persone. La parola stretto può anche riferirsi al numero delle persone. Poche persone consultate quindi: non parliamo del tempo ma delle persone.

Attenzione perché se aggiungiamo la preposizione “a” otteniamo: “a stretto giro” che ha un secondo significato.

Non parliamo più necessariamente di consultare più persone. Parliamo invece solamente di tempo.

A stretto giro quindi significa solamente: tra poco tempo.

Perché si usa questa espressione? E perché parliamo di un giro? E infine perché questo giro è stretto?

La strettezza è riferita al tempo, quindi niente di nuovo rispetto a prima, quando parlavamo di consultare persone.

Il giro invece probabilmente si usa perché quando usiamo questa espressione “a stretto giro” solitamente lo facciamo perché dobbiamo dare una risposta, dobbiamo fornire una risposta, dobbiamo soddisfare una richiesta. Si tratta di domande o richieste che ci vengono fatte e noi dobbiamo rispondere in breve tempo. Per poter rispondere a questa domanda o richiesta probabilmente dobbiamo parlare con alcune persone, magari dobbiamo invece consultare dei documenti, oppure dobbiamo recarci da qualche parte a recuperare delle informazioni.

Più in generale dobbiamo fare alcune attività, attività di vario tipo. Non siamo in grado di rispondere subito alla domanda o alla richiesta. Quindi diciamo ad esempio:

A stretto giro ti faccio sapere.

Facciamo alcuni esempi:

Sono in ufficio ed un collega mi chiede se posso invitarlo ad una riunione. Posso venire anch’io alla riunione di italiano semplicemente?

Allora io rispondo:

non so devo chiedere il permesso al presidente Giovanni. Aspetta che gli faccio una telefonata e a stretto giro ti faccio sapere.

Quindi: appena avrò fatto la telefonata al presidente di italiano semplicemente potrò darti una risposta, e appena avrò la risposta ti farò subito sapere. Non passerà molto tempo: a stretto giro avrai una risposta.

Oppure: lavorate in un’azienda italiana che produce pasta. Allora state facendo una riunione di lavoro e decidete tutti insieme che si potrebbe raddoppiare la produzione di pasta in Brasile. Si può fare? Abbiamo delle aziende in Brasile in grado di raddoppiare la produzione della pasta? I brasiliani amano la pasta italiana e non basta quella attualmente prodotta.

A questo punto è necessario che qualcuno verifichi se effettivamente si possa fare questo raddoppio della produzione. A questo punto la riunione sta terminando e uno si alza e dice:

mi occupo io di questo. Farò qualche telefonata ed a stretto giro vi farò sapere se sarà possibile raddoppiare la produzione di pasta in Brasile.

Anche in questo caso non è possibile dare subito una riposta, ma questa risposta sarà data tra pochissimo tempo; giusto il tempo necessario di fare una telefonata. Non sappiamo esattamente quanto tempo passerà: a stretto giro significa esattamente anche questo. Non dipende solo da noi ma i tempi saranno comunque brevi.

Un ultimo esempio: se qualcuno vi chiede: cosa significa a stretto giro? Ora potreste rispondere:

Un attimo, vado ad ascoltare l’episodio di italiano semplicemente ed a stretto giro ti darò una risposta.

È bene sapere che l’espressione si usa quasi sempre in contesti lavorativi, sebbene non si tratti di una frase formale. Si può usare nelle mail senza problema, oppure a voce, ma non si usa nei documenti formali.

In occasioni formali, importanti potete sostituire a stretto giro con:

– nel più breve tempo possibile

– nel minor tempo possibile

– non appena sarà possibile

– il prima possibile

Bene ragazzi, ripetete l’ascolto se necessario, fate delle pause e ripetete. Ho letto abbastanza lentamente quindi in teoria potreste ripetere l’intero episodio voi stessi mentre ascoltate.

Grazie a tutti per l’ascolto. Il prossimo episodio sarà dedicato ai donatori, alle persone cioè che hanno recentemente fatto una donazione ad italiano Semplicemente.

Parleremo dei loro paesi, dei paesi dai quali vengono le donazioni ed affronteremo nello stesso tempo un argomento legato alla lingua italiana.

Ad esempio potremmo parlare di preposizioni semplici, uno dei maggiori problemi degli stranieri di ogni livello e nazionalità.

Allora, l’episodio finisce qui. Oggi abbiamo parlato anche di riunioni, di incontri, abbiamo parlato di opinioni, di esprimere opinioni e di consultare persone.

Queste sono tutte questioni legate evidentemente di più al mondo del lavoro ed è per questo che se ne volete sapere di più su questi argomenti professionali, legati al lavoro, italiano semplicemente ha realizzato un corso di italiano professionale, riservato ai membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

La seconda parte di questo corso è interamente dedicata alle riunioni e a tutto ciò che riguarda gli incontri di lavoro.

Ci occupiamo di lingua naturalmente. Come esprimersi nel modo migliore in ogni occasione. Perché ciò che esce dalla nostra bocca spesso non è ciò che arriva all’orecchio di chi ci ascolta.

Migliorare la comunicazione è l’obiettivo di italiano semplicemente dunque.

Adesso un piccolo esercizio di ripetizione:

A stretto giro

Ti faccio sapere a stretto giro

Verrete informati a stretto giro

Riceverete un nostro riscontro a stretto giro

Faccio un paio di telefonate e ti faccio sapere a stretto giro

Ciao a tutti. Allora anche noi ci sentiamo a stretto giro.

Il tempo di preparare il prossimo episodio dedicato alle preposizioni semplici ed ai donatori. Grazie. Ciao.

 

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Le specialità italiane: il parmigiano

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Trascrizione

Giovanni: Ciao a tutti ragazzi. Chi non conosce il parmigiano?

Un prodotto italiano, italianissimo direi e benvenuti su italianosemplicememte.com dove ci occupiamo da qualche tempo dei prodotti italiani, soprattutto i prodotti alimentari, cioè che si mangiano e si bevono. Oggi Giuseppina, cioè mia madre, vi racconterà qualcosa del Parmigiano.

Giuseppina: Oggi per le “specialità italiane” voglio raccontarvi Il parmigiano.

Allora innanzi tutto diciamo che il parmigiano non si fabbrica ma si “fa”. In una zona particolare del nord Italia le mucche producono un latte ottenuto in allevamenti certificati, alimentate prevalentemente con fieno ed erba nella zona delimitata tra il Reno e il Po, nelle province di Modena, Reggio Emilia, Parma e una piccola parte di Mantova (a destra del fiume Po) e di Bologna (sinistra del fiume Reno).

Le sue origini vengono fissate nel medioevo presso i monasteri del luogo.

A distanza di tanti secoli si fa ancora come all’origine, pregiato latte di mucca delle zone di origine, sale e caglio, niente altro.

La sua produzione è soggetta ad un rigoroso controllo sull’applicazione di precise norme di produzione e stagionatura che garantisce l’altissimo livello qualitativo.

Fino a qui la descrizione obbligatoria della sua qualità, ma della sua bontà come ne parliamo? Immagino che lo conosciate già.

Sapete che anche un piattino di squallida pasta o riso diventa una bontà con solo una spolverata di parmigiano grattugiato.

Anche chi è intollerante al lattosio come me, può mangiarlo tranquillamente perché la sua lunga stagionatura lo elimina naturalmente.

Dimenticavo che è ricchissimo di calcio, prezioso alleato delle nostre ossa.

La degustazione del Parmigiano può portare a scoprire nuovi abbinamenti di sapori e può essere fatta da chiunque desideri conoscere i segreti del Re dei Formaggi. Vogliamo Provare?

Lo proviamo con la frutta? Con la verdura? Proviamo dai, poi vediamo se vi piace.

Giovanni: bene, grazie mamma. Dunque innanzitutto vediamo che parmigiano si scrive con una sola p: parmigiano. Molti italiani fanno questo errore comunque, quindi tranquilli! Ad ogni modo se in qualche menù in Italia trovate la scritta con due p abbiate pazienza. Spesso nei menù e nei supermercati trovate poi anche la scritta “parmesan“, ma attenzione perché il termine Parmesan é spesso usato in modo improprio.

Nel caso del ristorante l’utilizzo di questo nome a volte è un tentativo che il ristorante fa per far capire agli stranieri di cosa si tratta. Ad ogni modo personalmente non sono affatto d’accordo con il tradurre i nomi le specialità italiane.

Anche perché, badata bene, come dicevo nei supermercati strati potreste trovare qualche prodotto che ha esattamente questo nome: “parmesan“. Ebbene non si tratta effettivamente di Parmigiano Reggiano. Perché questo è il nome del vero parmigiano italiano. Bisogna aggiungere la parola Reggiano, che indica la regione da cui proviene, Reggio Emilia appunto, come vi diceva mia madre.

Erano in molti a sostenere che il nome “Parmesan” fosse generico e che non indicasse necessariamente solo il “Parmigiano Reggiano” ma un generico formaggio a pasta dura, Questo nome: “parmigiano reggiano“, aggiungendo quindi la parola “reggiano” è un nome protetto invece. Protetto giuridicamente quindi.

Si tratta di un prodotto DOP. Questa è la sigla del Parmigiano Reggiano: è un formaggio DOP, dove DOP significa “Denominazione di Origine Protetta“, una sigla simile alla IGT – Indicazione geografica tipica che abbiamo già visto parlando del Radicchio rosso.

Oggi dunque in Europa la scritta Parmesan non si può più usare, perché questo nome può indurre il consumatore a pensare che si tratti invece dello stesso “Parmigiano Reggiano” quando invece in realtà semplicemente si trattava di un formaggio a pasta dura, grattugiato o da grattugiare. Questo trucco in Europa non si può più usare dunque.

Attenzione però che in altri paesi come in America ad esempio potreste trovarvi davanti ad un Parmesan. Diffidate delle imitazioni (sono tantissime), anche perché se poi non vi piace ve la prendete con l’Italia!!

Mia madre vi ha anche detto che chi è intollerante al lattosio può stare tranquillo col Parmigiano. Il lattosio è lo zucchero contenuto naturalmente nel latte, naturalmente nel senso che non è aggiunto dall’uomo ma già si trova lì, per natura 🙂 .

L’assenza del lattosio vale comunque anche per tutti gli altri formaggi stagionati, “Grana Padano” incluso, molto diffuso anch’esso in Italia.

Per chi invece è allergico alle proteine del latte, cosa diversa rispetto all’intolleranza al lattosio, degli studi medici hanno mostrato come le persone non mostrino sintomi con una stagionatura superiore ai 30 mesi. Sembra che infatti più la stagionatura del Parmigiano è lunga e meno rischi si corrano per chi è allergico alle proteine del latte. Meglio quindi consumare un Parmigiano Reggiano molto vecchio, anche detto stravecchio, cioè stagionato 30 mesi o più. Ad ogni modo meglio chiedere ad uno specialista, non si sa mai. Alla prossima specialità italiana.

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