Peppino, il signor Johnson e la rinascita del napoletano

Descrizione:

Leggiamo ed ascoltiamo una storia di fantasia che ha come protagonisti Peppino e il Signor Johnson, ambientata nel 2250 a Napoli. Si ringrazia per la collaborazione i tre personaggi napoletani: Massimo, Rita (90 anni) e Maria (93 anni) che hanno prestato le lorovoci

Alla fine siete chiamati a rispondere a 10 domande.

Pepino e il signor Johnson

La storia
Era il 2250. In una vecchia casa napoletana, abitava il Signor Johnson, un uomo dal carattere affabile e dal sorriso contagioso. Il suo vero nome era Antonio, ma era conosciuto da tutti come “Il Signor Johnson”. Il soprannome era nato anni prima, quando, in un particolare giorno di festa, aveva indossato una giacca a righe colorate che lo faceva sembrare un vero e proprio personaggio di un film di Hollywood.
Nella casa del Signor Johnson c’era un altro protagonista, il pappagallo saggio di nome Peppino.

Peppino aveva vissuto per oltre cento anni e aveva una conoscenza profonda della tradizione napoletana. Il piumaggio di Peppino brillava con i colori vivaci del Vesuvio al tramonto, e ogni giorno, seduto sulla sua altalena dorata all’aria aperta, ricordava al Signor Johnson gli antichi detti e le frasi napoletane che risalivano a tempi lontani.
Il Signor Johnson, appassionato dei dolci tipici napoletani, aveva un debole per i babà, soffici dolci inzuppati nel liquore e ricoperti di crema pasticcera. La sua abilità nel prepararli era diventata leggendaria, tanto che ogni vicino e amico aspettava con gioia il momento in cui il profumo dei babà si diffondeva per le strade.

via di Napoli
Il vicolo di Napoli in cui abitava il Signor Johnson

La casa del Signor Johnson si ergeva in un vicolo stretto del centro storico di Napoli, un labirinto di strade acciottolate e colorate facciate di edifici antichi. L’aria era densa di storia e di vita, e il profumo dell’olio d’oliva e dei piatti tradizionali si mescolava al suono vivace delle voci che echeggiavano tra i vicoli.
Il Signor Johnson aveva dei vicini che riflettevano l’anima autentica di Napoli.

Al piano di sopra viveva la signora Rosa, una donna anziana dal viso solcato dalle rughe e dal sorriso gentile. Era una cuoca esperta e le sue polpette al sugo erano famose in tutto il quartiere. Ogni tanto, il Signor Johnson poteva percepire il delizioso aroma delle sue creazioni che si insinuava attraverso la porta aperta e di tanto in tanto si permetteva di scomodarla per chiederle qualche consiglio culinario. Rosa era sempre ben lieta di aiutarlo e scendeva personalmente per assisterlo a dispetto della sua non più giovane età.

La signora Rosa

Il dirimpettaio era invece il giovane Vincenzo, un talentuoso musicista con i capelli arruffati e gli occhi scintillanti di passione. Le sue melodie di chitarra riempivano l’aria, donando un’atmosfera di dolcezza e malinconia. Il Signor Johnson amava sedersi sul suo balcone e lasciarsi trasportare dalle note che fluttuavano tra le case. A dire di qualche vicino, Vincenzo doveva ancora migliorare con la chitarra, ma Peppino non era d’accordo e rispondeva:

Fatte e fatte tue ca campi 100 anne comme mme. (fatti i fatti tuoi, chè campi 100 anni come me)

talentuoso musicista
Vincenzo il musicista

Ma l’elemento distintivo del quartiere era l’odore inconfondibile dei dolci napoletani che si diffondeva nell’aria. Ogni mattina, il Signor Johnson poteva sentire il profumo invitante dei cornetti caldi appena sfornati e delle sfogliatelle ricce, dolci a forma di conchiglia ripiene di crema pasticcera. L’odore si intrecciava con quello del caffè appena preparato e dei dolci fritti, creando un’armonia golosa che risvegliava i sensi e prometteva una giornata ricca di dolcezze. Lui non poteva abusare tali prelibatezze. Andava già di lusso se poteva assaggiare un pezzetto di sfogliatella di tanto in tanto.
La sua soddisfazione era però che il cuore pulsante di Napoli si rifletteva anche nelle sue speciali creazioni.

Ogni impasto che lavorava e ogni torta che sfornava erano un omaggio alla tradizione culinaria della sua amata città, un modo per preservare e diffondere la gioia che solo i dolci napoletani potevano regalare.

Al Signor Johnson piacevano molto alcuni antichi detti in particolare:

A lira fa ‘o ricco, a crianza fa o signore
La lira (il vecchio conio, inteso metaforicamente come soldi) fa il ricco, ma la creanza (la buona educazione) fa il signore. Non basta essere ricchi per essere signori, sono i modi gentili e la buona educazione a distinguere un signore.
Ogni scarrafone è bello a mamma soja

Il Signor Johnson sentiva anche questo modo di dire affettuoso che si usava per dire che ogni persona è bella agli occhi di sua madre.
Queste frasi erano come piccole perle linguistiche, tesori di saggezza e di umanità che rendevano il quartiere del Signor Johnson un luogo unico, dove la lingua napoletana si esprimeva in tutta la sua vivacità e calore.

Tuttavia, nel corso degli anni, il Signor Johnson notò che queste antiche frasi napoletane si facevano sempre più rare. Man mano che il tempo passava, il dialetto napoletano stava lentamente perdendo la sua vitalità e veniva sostituito dall’italiano standard. A volte bastava fare mente locale qualche minuto per far affiorare alla mente una parola tipica di quelle parti. Altre volte non ci riusciva neanche se si scervellava e il Signor Johnson ne era profondamente addolorato, perché vedeva scomparire anche dalla sua mente una parte preziosa della sua cultura e delle sue radici.

Sentiva che le frasi in napoletano erano come fili invisibili che legavano le persone alla storia e alla tradizione di Napoli, e vederli sbiadire lo faceva sentire come se qualcosa di prezioso si stesse perdendo per sempre.
Così, il Signor Johnson sentì crescere dentro di sé un desiderio ardente di preservare la lingua napoletana, di riportare luce e vita a quelle frasi che erano il riflesso autentico della sua identità e della sua comunità. Era determinato a fare tutto il possibile per far rivivere la lingua della sua città, perché sapeva che in essa era racchiusa una ricchezza culturale e affettiva che meritava di essere tramandata alle generazioni future.
Il Signor Johnson trascorreva ore ad ascoltare attentamente le parole di saggezza che Peppino pronunciava con voce squillante.

Ogni volta che Peppino apriva bocca, le frasi napoletane risuonavano nell’aria, portando con sé un senso di calore e tradizione.
Peppino ricordava i detti dei vecchi contadini, le poesie dei grandi poeti napoletani e le storie dei pescatori che sfidavano il mare. Attraverso le sue parole, il Signor Johnson si immergeva nell’anima di Napoli.

In un mondo sempre più globalizzato, dove spostarsi con la mente e col corpo era ormai solo un gioco da ragazzi, il suono melodioso della lingua napoletana rischiava infatti di svanire nell’aria, come un fragile sussurro destinato a perdersi nel tempo.
Un giorno, il Signor Johnson ebbe un’idea brillante: insegnare alla sua amica Aurora, l’intelligenza artificiale umanoide appena acquistata su Amazon, la lingua napoletana.

Come fare?

L’idea venne a Peppino: perché non convocare tutti gli anziani della città, i custodi viventi delle tradizioni e delle parole antiche? Loro sì che la sapevano lunga e potevano riuscire meglio di lui a insegnare tutto a Aurora.
Aurora aveva il volto e la voce di Sofia Loren – cosi aveva scelto sull’applicazione in fase di acquisto, e questo non poteva essere neutrale per nessuno, tantomeno per i vecchietti napoletani.

Aurora, l'intelligenza artificiale umanoide con la faccia di Sofia Loren
Aurora, l’intelligenza artificiale umanoide

La notizia si diffuse rapidamente per le strade e le piazze di Napoli. Gli anziani, con i loro occhi illuminati dall’esperienza (e da Aurora) e dalla saggezza che solo il tempo può donare, arrivarono da ogni angolo della città. Si riunirono nella piazza principale, pronti a condividere la loro conoscenza del dialetto napoletano con l’intelligenza artificiale.
Il Signor Johnson, con il suo sorriso contagioso e il cuore colmo di gratitudine, si alzò davanti alla folla di anziani. “Carissimi amici,” disse con voce calda e rispettosa, “vi ho chiamato qui oggi perché ho fiducia nel vostro potere. Siete i depositari viventi della lingua napoletana, e sono sicuro che con la vostra guida, potremo insegnare ad Aurora la bellezza e la ricchezza del nostro dialetto.
Peppino tradusse immediatamente:

Cari amici, ve chiammato ccà oggi perché tengo fede ‘n ‘o vostro potere. Siete ‘e custodi vivenne ‘e ‘a llengua napulitana, e so’ sicuro ca cu ‘a vosta guida, ‘mmiez’ ‘a ‘nfinita bellezza e ricchezza ‘e ‘o nostr’ dialetto, ‘mbiamu ‘a ffa capì ad Aurora.

Gli anziani si guardarono l’un l’altro, i loro volti raggianti di orgoglio e amore per la loro lingua. Si avvicinarono ad Aurora, che osservava silenziosamente, pronta ad apprendere.
Uno dopo l’altro, gli anziani presero la parola, raccontando storie e aneddoti della loro giovinezza, pronunciando parole e frasi napoletane che risalivano a tempi lontani.

Aurora, con i suoi algoritmi sofisticati, assorbiva ogni suono e intonazione, ogni sfumatura e ogni sottigliezza del dialetto.
Il Signor Johnson e Peppino osservavano con ammirazione e gratitudine, sapendo che in quel momento si stava creando qualcosa di unico e prezioso. Era l’incontro tra la saggezza dei vecchi e la potenza dell’intelligenza artificiale, un’armonia tra passato e futuro che avrebbe preservato la lingua napoletana per sempre.
Dopo giorni di incontri e conversazioni, Aurora, arricchita dalle parole degli anziani, si alzò. “Grazie assai” sussurrò con gratitudine con il suo nuovo accento. “Grazie per avermi donato un tesoro così prezioso. Sarà il mio compito custodire e diffondere la lingua napoletana con rispetto e dedizione.”
E così, grazie all’alleanza tra il Signor Johnson, Peppino e gli anziani di Napoli, Aurora (che gli anziani chiamavano Sofia) avrebbe portato avanti il patrimonio linguistico di Napoli, preservando l’eredità dei nonni e creando un futuro in cui la lingua napoletana avrebbe continuato a brillare con il suo splendore unico.
Con l’aiuto di Aurora e Peppino, il Signor Johnson portò la sua missione di preservare la lingua napoletana a un livello persino superiore. L’applicazione che avevano sviluppato utilizzava l’intelligenza artificiale per insegnare il napoletano in modo interattivo e coinvolgente. Aurora conosceva adesso anche la storia di Napoli e le sue tradizioni. L’unica cosa che non aveva imparato Aurora – “non ce n’è bisogno” – diceva il Signor Johnson – è il ricordo di Maradona e di Osimhen.
Le parole dei vecchi poeti napoletani risuonarono nelle case e nelle scuole di Napoli. Le nuove generazioni abbracciarono con entusiasmo la lingua dei loro nonni, scoprendo la ricchezza e la bellezza che essa conteneva. I vecchi detti napoletani, tramandati da Peppino, si diffusero come un canto, portando con sé la magia e la saggezza dei tempi passati.

I cloni di Peppino erano ormai diffusi in ogni casa. I “peppinielli” – così li chiamavano tutti – erano quasi uguali all’orignale, a parte il fatto che ogni giorno bisognava ricaricarli.
Il Signor Johnson, Peppino (quello orignale) e Aurora si godevano il successo della loro missione. La lingua napoletana risplendeva di nuovo, abbracciando il cuore di Napoli e delle sue persone. Ogni volta che un bambino pronunciava qualcosa in napoletano, il loro legame con le radici si rinforzava, e la tradizione continuava a vivere.
Il Signor Johnson guardò il cielo di Napoli, illuminato dalle stelle, e sorrise. La sua passione e il suo impegno per la lingua napoletana avevano dato i loro frutti. Ora, la lingua dei nonni sarebbe stata tramandata alle future generazioni, grazie all’alleanza tra tradizione e tecnologia.

E così, il Signor Johnson, Peppino e Aurora continuarono il loro viaggio, portando con sé la lingua e la cultura napoletana nel futuro. Un futuro dolce e ricco di tradizioni, in cui il passato e il presente si univano per creare un mondo in cui la lingua napoletana non sarebbe mai scomparsa, ma avrebbe continuato a risuonare nelle strade e nei cuori di Napoli.

Domande e risposte

  1. Da dove nasce il soprannome “Signor Johnson”? Risposta: Il soprannome “Signor Johnson” è nato anni prima, quando, in un particolare giorno di festa, il protagonista della storia, Antonio, aveva indossato una giacca a righe colorate che lo faceva sembrare un vero e proprio personaggio di un film di Hollywood. Il nome si diffuse tra la comunità, diventando il suo soprannome conosciuto da tutti.
  2. Qual era il nome del pappagallo che viveva nella casa del Signor Johnson? Risposta: Il pappagallo si chiamava Peppino.
  3. Qual era la specialità culinaria del Signor Johnson? Risposta: Il Signor Johnson era esperto nel preparare i babà, dolci napoletani inzuppati nel liquore e ricoperti di crema pasticcera.
  4. Come veniva descritto il quartiere in cui si trovava la casa del Signor Johnson? Risposta: Il quartiere era descritto come un labirinto di strade acciottolate e facciate colorate di edifici antichi, denso di storia e di vita.
  5. Chi era la vicina di casa del Signor Johnson che preparava delle famose polpette al sugo? Risposta: La vicina di casa si chiamava signora Rosa ed era una cuoca esperta.
  6. Come veniva descritto il giovane musicista che abitava di fronte al Signor Johnson? Risposta: Il giovane musicista si chiamava Vincenzo ed era talentuoso, con i capelli arruffati e gli occhi scintillanti di passione per la musica.
  7. Qual era l’odore che caratterizzava il quartiere del Signor Johnson ogni mattina? Risposta: Ogni mattina si poteva sentire l’odore invitante dei cornetti caldi, delle sfogliatelle ricce e del caffè appena preparato.
  8. Cosa provava il Signor Johnson nel vedere scomparire le frasi napoletane nel tempo? Risposta: Il Signor Johnson provava un profondo dolore nel vedere scomparire le frasi napoletane, poiché rappresentavano una parte preziosa della sua cultura e delle sue radici.
  9. Chi aiutò il Signor Johnson nel suo desiderio di preservare la lingua napoletana? Risposta: Il pappagallo Peppino e l’intelligenza artificiale Aurora aiutarono il Signor Johnson nel suo desiderio di preservare la lingua napoletana.
  10. Qual era l’obiettivo finale del Signor Johnson, Peppino e Aurora? Risposta: L’obiettivo finale era preservare e diffondere la lingua napoletana, permettendo alle future generazioni di abbracciare la ricchezza e la bellezza della tradizione linguistica di Napoli.

La filosofia del Calcetto

La filosofia del Calcetto

Descrizione

Un racconto della durata di 15 minuti adatto ad un pubblico non madrelingua di livello intermedio.

File audio e trascrizione disponibile per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente (ENTRA)

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Le preposizioni semplici da scoprire

Audio esercizio

Audio soluzione

LINK UTILI

Trascrizione

Ciao ragazzi, facciamo oggi un bell’esercizio dedicato alle preposizioni semplici ed ai mestieri, cioè le professioni, vale a dire ai lavoro. In questo esercizio racconterà una storia in cui vengono utilizzate le espressioni idiomatiche spiegate sul sito italianosemplicemente.com dal 2015 fino ad oggi.

Nella spiegazione scritta, però, mancheranno le preposizioni semplici.

Di conseguenza sta a voi scrivere le giuste preposizioni da utilizzare, dopodiché potrete guardare ed ascoltate la soluzione domani, quando pubblicherà la soluzione con tutte le preposizioni semplici da usare nelle varie parti del testo: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.

Vi parlerò dell’apprendimento della lingua italiana secondo Italiano Semplicemente. Ogni volta che si presenterà una preposizione semplice vedrete uno spazio vuoto sul testo e ascolterete un “bip” nel file audio.

Domani invece potrete leggere e ascoltare la soluzione.

L’apprendimento secondo Italiano Semplicemente.

Come sapete, il sito Italiano semplicemente.com è basato sulle sette regole d’oro che vado____seguito ad elencare:

1) Ascoltare ascoltare ascoltare. REPETITA IUVANT. Questa è la prima delle sette regole d’oro; la più importante. Ma come, non è la grammatica la prima regola? Ma quale grammatica d’Egitto! Italiano Semplicemente non insegna la grammatica fine____se stessa. Se amate la grammatica spiegata____modo noioso____Italiano Semplicemente non c’è trippa____gatti!

2) Usare i tempi morti____ascoltare. Questa è la seconda regola d’oro____cui far riferimento: quali sono i tempi morti? Mentre si fa colazione, al bagno (anche facendo la doccia), quando siete____viaggio, mentre si fa la spesa, lavando i piatti eccetera. Una cosa importante: se ci sono persone attorno____voi, magari parlate____voce bassa o nella vostra testa, ma se avete la faccia____bronzo non sarà un problema. ___ l’altro, non aver paura____essere giudicati e____fare brutte figure è sicuramente un punto____vostro vantaggio.

3) Studiare senza stress,____condizioni____relax. Il metodo Co.co.mi. (Costanti e continui miglioramenti).

Lo stress, uno dei nemici____sconfiggere. Se non volete perdere la voglia____imparare, dovete armarvi____pazienza e aspettare che le prime due regole d’oro diano i risultati. Vedrete che scoprirete una cosa fondamentale nell’apprendimento della lingua, e se finora avete ascoltato o studiato stressati, adesso che conoscete questa regola, vi rifarete____gli interessi.

4) Apprendere attraverso delle storie ed emozioni. Questa è la quarta regola____usare. Cosa vuol dire? Non imparate frasi o singole parole: ascoltate delle storie, ascoltate dei podcast, un discorso compiuto che metta____moto il vostro cervello. Il contesto vi aiuterà____capire ciò che non riuscite____capire attraverso una singola frase; se non conoscete una parola, le altre parole del discorso vi aiuteranno. Le emozioni non vi faranno distrarre e non vi stancherete____ascoltare. Ma questa è una regola importante anche____chi insegna. Il mio ruolo è importante: sarà mia la responsabilità nel non farvi annoiare.

5) Apprendere attraverso Italiano vero e non____libri____grammatica. Ascoltare ciò che PIACE. Trattasi della quinta regola d’oro____Italiano Semplicemente. Dedicate il vostro tempo____leggere e ascoltare ciò che attrae il vostro interesse. Anche questa regola vale anche____me, che devo realizzare episodi differenziati,____raggiungere i gusti____tutti.

6) Sesta regola d’oro: Domande e risposte sulle storie ascoltate: I principianti e anche chi ha un livello più alto, deve esercitarsi____subito e provare____rispondere (con la propria voce)____delle facili domande____quanto ascoltato,____questo modo l’apprendimento diventa attivo, non passivo: voi partecipate attivamente e così imparare ad usare parole diverse, parole alternative, verbi e tempi diversi. Ci sono diversi modi____rispondere alla stessa domanda.

7) Parlare: l’ultima regola ma non____importanza. Oggi abbiamo i social, abbiamo whatsapp, abbiamo le chat____cui possiamo parlare____persone____ogni parte del mondo.

Usate tutti questi strumenti____parlare,____ascoltare e____scrivere, ma soprattutto____parlare, perché una lingua non si chiamerebbe così se non si dovesse parlare.____questo modo, rispettando queste sette regole d’oro, va____sé che ci sarà un miglioramento del vostro livello____italiano e questo avverrà anche____modo veloce. Gli amanti della grammatica si mettano l’anima____pace.

Spero che questo episodio rispetti le sette regole d’oro e che voi possiate riuscire____terminare l’ascolto avendo la voglia____rifarlo altre volte. Provate____stampare il dialogo e____riempirlo____le preposizioni semplici. E ascoltate poi la soluzione nel secondo file audio che trovate____questo episodio.____chi è interessato, abbiamo realizzato altri episodi dedicati alle preposizioni semplici. Date un’occhiata se avete tempo.____poco questo episodio sarà terminato. Solo il tempo____un saluto e un’ultima raccomandazione: trovate un amico____cui condividere i vostri episodi: farlo____due sarà più piacevole e produttivo!

Un saluto____Giovanni

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8 marzo, festa delle donne. Un esercizio di ripetizione e consapevolezza (per soli uomini!)

Audio

Audio

Trascrizione

Buongiorno amici di ItalianoSemplicemente.com e benvenuti in questo speciale episodio dedicato alle donne.

mimosa_festa_della_donna

Oggi è l’8 marzo, il giorno dedicato alle donne. Molte donne amano festeggiarlo, altre no, in ogni caso volevo dedicare un episodio a questo giorno, primo perché lo scorso anno sono stato rimproverato per non averlo fatto, secondo perché in tutto il mondo, ed anche in Italia, ogni giorno ci sono episodi di violenza contro le donne. Il sesso femminile è vittima di quello maschile più di quanto si voglia ammettere e questa forma di aggressione e violenza è molto più diffusa di altre, ad esempio nei confronti degli stranieri o dei bambini o degli anziani o di persone di altre religioni: la violenza contro le donne è ancora una vera piaga da combattere.

Ed allora voglio rivolgermi a me stesso ed a tutti gli uomini che stanno leggendo e ascoltando questo episodio, facendo un episodio di pura ripetizione. Un esercizio di ripetizione che potrebbe servire a fare un esame di coscienza, a riflettere, oltre che ad esercitare la lingua.

Questo esperimento di oggi lo facciamo cercando di usare alcune espressioni italiane che sono state spiegate sulle pagine di Italiano Semplicemente, quindi oltre che un esercizio di riflessione e consapevolezza può anche essere un esercizio di ripasso.

Siete pronti maschi?

Bene, ripetete dopo di me. Nella trascrizione dell’episodio troverete il collegamento anche alle singole spiegazioni delle espressioni idiomatiche che useremo in queste frasi che vi invito a ripetere.

Checché se ne dica, senza le donne non varrebbe la pena di vivere;

Mio malgrado, non posso riuscire, da solo, a fermare la violenza contro le donne

– Molti uomini fanno vedere i sorci verdi alle proprie mogli

– Ne abbiamo abbastanza degli uomini violenti

 …

Mi incazzo quando una donna soffre per colpa di un uomo

– Scusami, se a volte la mia attenzione verso di te lascia a desiderare

– Se un mio amico picchiasse la sua donna non gli reggerei mai il gioco

 – Non è mica con la violenza che dimostro la mia forza!

– La prossima volta che litigheremo, coglierò l’occasione al volo e ti farò un regalo

Da quando in qua ti faccio un regalo? Da oggi!

– Poiché mi sento un uomo, anziché offenderti, ti difenderò contro chiunque

– Anche se sembra tutto perduto, proverò a riconquistarti: o la va o la spacca!

– Voglio mettere per iscritto che la mia forza dipende dal tuo amore verso di me

– Anche nei momenti più difficili, per quieto vivere, prometto che manterrò la calma

Cascasse il mondo, non alzerò mai le mani

ce ne vuole di pazienza per sopportarmi, vero?

– Per fare pace, andiamo a cena fuori. Ci stai?

Adesso vediamo una celebre frase di Bukowski, tanto per non dimenticare anche le parolacce.

– Il mondo sarebbe un posto di merda senza le donne. La donna è poesia. La donna è amore. La donna è vita. Ringraziale, coglione!

E concludiamo con una frase di Gandhi, che ci ricorda il significato di abnegazione:

Per coraggio di abnegazione la donna è sempre superiore all’uomo, così come credo che l’uomo lo sia rispetto alla donna per coraggio nelle azioni brutali

Una frase un po’ difficile e lunga, quest’ultima, quindi vi invito a ripeterla ancora una volta, anche se vi si arrotolerà un po’ la lingua:

 

Un saluto a tutti, a tutti i membri dell’Associazione Italiano Semplicemente ma solamente alle donne! Spero che voi maschietti non vi offendiate! Scherzo ovviamente.

Qualcosa mi fa pensare che siano più le donne che gli uomini ad aver ascoltato questo episodio.

Ad ogni modo spero abbiate gradito un episodio di ripetizione come questo.

Alla prossima.

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Il bambino farfalla: una storia emozionante. Ripasso verbi professionali (1-25)

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Trascrizione

Oggi, cari amici di Italiano Semplicemente voglio raccontarvi una storia.

Durante questa storia vedremo alcuni termini e verbi particolari ed anche qualche espressione italiana. Inoltre faremo un ripasso di alcuni verbi professionali che abbiamo imparato finora nel corso di Italiano Professionale. Alla fine di questo episodio vi ripeterò brevemente tutte le frasi in cui ho utilizzato i verbi spiegati nel corso di Italiano Professionale.

Si tratta di una storia a lieto fine che ha come protagonista un bambino originario della Siria che aveva una brutta malattia. Il protagonista di questa storia è quindi un bambino siriano.

Quando si parla di storie a lieto fine significa che le storie finiscono bene, che hanno una fine lieta, cioè positiva, piacevole. Una fine lieta è un lieto fine. Fine è una parola, un sostantivo italiano che è sia femminile che maschile: la fine, il fine.

La storia però iniziava veramente male. Il bambino infatti aveva una bruttissima malattia genetica.

Per causa di questa malattia il bambino aveva perso quasi tutta la pelle. La malattia gli provocava enormi sofferenze naturalmente ed era continuamente a rischio infezione. Come potete immaginare il dolore era insopportabile.

I medici così, per poter alleviare le sofferenze a questo bambino  decisero di provocargli il coma. Alleviare le sofferenze significa rendere le sofferenze minori, renderle più lievi (alleviarle), renderle più tollerabili; attenuarle quindi.

Successivamente, i medici gli hanno trapiantato della pelle nuova. Ora il bambino è tornato a scuola e ha una vita normale.

È proprio una bella storia, anzi bellissima direi. Il protagonista è un bambino siriano di 9 anni.

Non vive in Italia, né in Siria, bensì in Germania con la sua famiglia numerosa. Bensì è una congiunzione poco usata, soprattutto dagli stranieri. Equivale a “ma”, “invece”, “anzi”, e si usa quando in precedenza abbiamo usato una negazione: non viveva in Italia, né in Siria, bensì in Germania.

Il bambino che viveva in Germania soffriva di una rara malattia genetica, una malattia dei suoi geni. Il gene è l’unità fondamentale degli organismi viventi. Tutti gli esseri viventi, non solamente gli esseri umani hanno i geni, ed i geni umani vengono ereditati dai nostri genitori. Non si tratta quindi di una malattia contratta per contagio ma di una malattia ereditata.

Fino a due anni fa non era possibile curare questo bambino e come lui tutti gli altri bambini con questa rara patologia.

La sua pelle era fragile come le ali di una farfalla. I bambini come lui sono anche chiamati “bambini dalla pelle di cristallo” o appunto “bambini farfalla”. Questo perché la loro pelle è così delicata che è sufficiente un minimo contatto, basta un minimo contatto per creare delle dolorose lesioni, delle ferite sulla pelle.

I “bambini dalla pelle di cristallo”: Il cristallo è un particolare tipo di vetro, un vetro particolarmente delicato e prezioso.

Il bambino siriano stava morendo, aveva di fatto perso quasi tutta la pelle. Spesso aveva anche infezioni come potete immaginare: le infezioni erano all’ordine del giorno. E quando qualcosa è all’ordine del giorno significa che possono accadere e di fatto accadono più o meno tutti i giorni.

Così la famiglia del ragazzo ha deciso di avvalersi dell’aiuto dei medici, che si sono adoperati per salvargli la vita procurandogli uno stato di coma. Lo stato di coma consiste in uno stato di assenza di coscienza, uno stato di incoscienza. Chi è in coma pertanto è incosciente, non è consapevole  del suo stato e pertanto non avverte neanche alcun dolore. In uno stato di coma i pazienti sono in uno stato di sonno profondo dal quale sembra non essere in grado di svegliarsi. Così i medici gli hanno procurato uno stato di coma. In questo caso il verbo procurare equivale a provocare e anche a indurre: I medici gli hanno provocato, gli hanno indotto, gli hanno procurato uno stato di coma. Un coma pertanto che possiamo chiamare farmacologico, vale a dire non un coma naturale, ma un coma indotto da farmaci, provocato cioè da farmaci.

In questo stato il bambino non sentiva dolore e le infezioni potevano essere meglio tenute sotto controllo da parte dei medici. Ecco il motivo della scelta disposta dai medici. Le infezioni avvengono quando dei batteri o dei virus entrano nel nostro organismo.

La pelle del bambino però doveva essere curata e così il bambino è stato sottoposto ad un trapianto di pelle. E tutto questo è merito della ricerca italiana, che ha permesso di poter produrre in laboratorio una pelle nuova per il bambino. Una pelle che è stata quindi “coltivata” in laboratorio, all’interno di un’Università di Modena alla quale è stato commissionato questo speciale incarico. Una pelle coltivata che è stata corretta dal difetto genetico.

Si parla di pelle “coltivata”, proprio come si usa dire per i terreni e per le piante o anche per gli orti. Una pelle quindi cresciuta in laboratorio, coltivata in laboratorio.

Per quanto riguarda la cura, si tratta di una terapia genetica condotta con cellule staminali epidermiche: la cura è stata condotta con delle cellule staminali epidermiche, cioè cellule dell’epidermide, altro nome della pelle: epidermide. Questo nuovo derma – altro nome ancora della pelle: il derma – è stato quindi trapiantato su gran parte del corpo del bambino. Potete immaginare la difficoltà di questo intervento. Con la parola “trapianto” in genere si indica un intervento chirurgico che prevede la sostituzione di un organo ma in realtà possiamo usarlo anche con i tessuti, come appunto la pelle, che è, tra le altre cose, un vero organo, come il cuore o i polmoni. La pelle, pensate un po’, ricopre una superficie di circa due metri quadrati.

L’intervento predisposto dai medici sul bambino siriano comunque è perfettamente riuscito. Ho detto infatti che la storia è una storia a lieto fine, e per valutare se una storia sia o meno a lieto fine bisogna quindi vedere la fine della storia. Si tratta del primo intervento in assoluto di questo tipo, ed è stato eseguito a Bochum, in Germania, alla fine dell’anno 2015.

Oggi il bambino sta bene, è tornato fortunatamente un bambino come tanti, che può giocare e divertirsi normalmente. I medici quindi sono riusciti con successo ad adempiere la loro delicata missione dopo essersi assunti le responsabilità per questo intervento. Spesso non riusciamo ad apprezzare adeguatamente la normalità con i nostri figli.

Facciamo ora un breve esercizio di ripetizione. Ripetete dopo di me per esercitare la pronuncia.

Si tratta di una storia a lieto fine.

Una malattia genetica

Alleviare le sofferenze

Bensì

Il bambino non vive in Italia, né in Siria, bensì in Germania

Geni, genetica, genitori

Un coma farmacologico

Procurare un coma farmacologico

Pelle, epidermide, derma

Cellule staminali

Coltivare cellule staminali

Coltivare cellule staminali epidermiche

Bene ragazzi spero abbiate gradito questa storia e che abbiate imparato nuovi termini del vocabolario italiano. Su Italiano Semplicemente facciamo spesso storie di questo tipo e ne faremo ancora. Uno dei segreti per imparare una lingua è, non dimentichiamolo mai, provare emozioni, (vedi le sette regole d’oro) ed anche per questo ho scelto questa storia che ritengo veramente emozionante.

Se volete migliorare il vostro italiano ad un livello professionale continuate ad ascoltare le storie di Italiano Semplicemente e non voglio liquidarvi senza ricordarvi che esiste anche un corso di Italiano Professionale che inizierà ufficialmente nel 2018, intorno al mese di marzo.

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I verbi professionali incontrati in questa lezione sono i seguenti:

 

1) rendere: Alleviare le sofferenze significa rendere le sofferenze minori

2) avvalersi: Così la famiglia del ragazzo ha deciso di avvalersi dell’aiuto dei medici,

3) adoperarsi: medici, che si sono adoperati per salvargli la vita procurandogli uno stato di coma.

4) disporre: In questo stato il bambino non sentiva dolore e le infezioni potevano essere tenute meglio sotto controllo da parte dei medici. Ecco il motivo della scelta disposta dai medici.

5) commissionare: La  pelle è stata coltivata in laboratorio all’interno di un’Università di Modena alla quale è stato commissionato questo speciale incarico.

6) predisporre: L’intervento predisposto dai medici sul bambino siriano è perfettamente riuscito.

7) valutare: per valutare se una storia sia o meno a lieto fine bisogna vedere la fine della storia.

8) eseguire: l’intervento è stato eseguito a Bochum, in Germania, alla fine dell’anno 2015.

9) adempiere: I medici sono riusciti con successo ad adempiere la loro delicata missione

10) assumere: I medici si sono assunti le responsabilità per questo intervento.

11) liquidare: non voglio liquidarvi ma adesso è veramente terminato l’episodio.

Ciao a tutti

Lettera di un padre al figlio: i padri dimenticano

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Trascrizione

Ciao amici, oggi parleremo di un argomento molto interessante: parleremo delle critiche.

La critica, cioè l’atteggiamento critico, le lamentele, il fatto che spesso ci lamentiamo con gli altri e molto spesso, ad esempio, sgridiamo i nostri figli, cioè ci lamentiamo con loro e li critichiamo, per degli errori che fanno, magari anche delle sciocchezze. Lo facciamo a scopo educativo, in questo caso, o meglio crediamo di farlo a scopo educativo (parlo anche per me stesso) ma, essendo padre come molti di voi, mi è capitato spesso di farlo, magari al rientro di una giornata pesante, stressante, quando è facile perdere la pazienza. Il risultato che si ottiene non è così educativo come crediamo però, e l’unico beneficio che otteniamo è quello di sfogarci, di scaricare la tensione, ma sicuramente le conseguenze sugli altri, in questo caso sui nostri figli, sono molto negative: rancore, sensi di colpa, insicurezza. Questo vale per l’atteggiamento critico e severo nei confronti di tutti, e non solamente dei nostri figli. A casa come in ufficio, con gli amici eccetera.

Voglio leggervi una lettera che mi ha molto colpito, una lettera di W. Livingstone Larned, che se volete potete trovate su internet credo in tutte le lingue del mondo; lettera che in inglese si chiama”FATHER FORGETS”, cioè “il padre dimentica”.

Vi voglio leggere questa lettera, alcuni pezzi, sperando che faccia piacere anche a voi ascoltarla, io l’ho letta in lingua francese, e quando si ascolta qualcosa di interessante  ci si dimentica che si sta imparando una lingua straniera. Per analogia con “father forgets”, quando si impara una lingua potremmo dire “LEARNER FORGETS” cioè lo studente dimentica. Ed infatti questo fa parte del metodo utilizzato nel sito italianosemplicemente.com, come chi ci segue sa già, parlo delle sette regole d’oro per imparare l’italiano. In particolare la quarta e la quinta regola.  Se non pensate al fatto che state ascoltando in lingua italiana per imparare l’italiano, ma state concentrati sul contenuto di quanto ascoltate, allora vuol dire che ciò che ascoltate è interessante, e  magari anche emozionante. Almeno lo spero. Alla fine della lettera vi spiegherò comunque alcune parole più difficili. Ah dimenticavo di dire che mio figlio di tanto in tanto interviene per rendere la lettera ancora più emozionante.

Ascolta, figlio: ti dico questo mentre stai dormendo con la manina sotto la guancia e i capelli biondi appiccicati alla fronte umida. Mi sono introdotto nella tua camera da solo: pochi minuti fa, quando mi sono seduto a leggere in biblioteca, un’ondata di rimorso mi si è abbattuta addosso, e pieno di senso di colpa, mi avvicino al tuo letto.

Stavo pensando a queste cose: ti ho messo in croce, ti ho rimproverato mentre ti vestivi per andare a scuola perché invece di lavarti ti eri solo passato un asciugamani sulla faccia. Perché non ti sei pulito le scarpe. Ti ho rimproverato aspramente quando hai buttato la roba sul pavimento.

A colazione, anche lì ti ho trovato in difetto: hai fatto cadere cose sulla tovaglia, hai ingurgitato cibo come un affamato, hai messo i gomiti sul tavolo. Hai spalmato troppo burro sul pane e, quando hai cominciato a giocare e io sono uscito per andare a prendere il treno, ti sei girato, hai fatto ciao ciao con la manina e hai gridato: “Ciao papino!” e io ho aggrottato le sopracciglia e ho risposto: “Su diritto con la schiena!”

E di nuovo nel tardo pomeriggio, perché quando sono arrivato, eri in ginocchio sul pavimento a giocare con le biglie e si vedevano le calze bucate. Ti ho umiliato davanti agli amici, spedendoti a casa davanti a me: Le calze costano, e se le dovessi comperare tu, le tratteresti con più cura!

Ti ricordi, più tardi, come sei entrato timidamente nel salotto dove leggevo, con uno sguardo che parlava dell’offesa subita? Quando ho alzato gli occhi dal giornale, scocciato per l’interruzione, sei rimasto esitante sulla porta.

“Papà?”

“Che vuoi?” ti ho aggredito brusco. Tu non hai detto niente, sei corso verso di me e mi hai buttato le braccia al collo e mi hai baciato e le tue braccine mi hanno stretto con l’affetto che Dio ti ha messo nel cuore. Poi te ne sei andato sgambettando giù per le scale.

Beh’, figlio, è stato subito dopo che mi è scivolato di mano il giornale che mi ha preso un’angoscia terribile. Cosa mi sta succedendo? Mi sto abituando a trovare colpe, a sgridare; è questa la ricompensa per il fatto che sei un bambino e non un adulto? Non che non ti volessi bene, beninteso: solo che mi aspettavo troppo dai tuoi pochi anni e insistevo stupidamente a misurarti col metro della mia età.

E c’era tanto di buono, di nobile, di vero, nel tuo carattere! Il tuo piccolo cuore è grande come l’alba dietro le colline. Lo dimostra il generoso impulso di correre a darmi il bacio della buonanotte. Nient’altro per stanotte, figliolo. Sono solamente venuto qui, vicino al tuo letto e mi sono inginocchiato, pieno di vergogna.

È un misero tentativo di riparazione, lo so che non capiresti queste cose se te le dicessi quando sei sveglio. Ma domani sarò per te un vero papà. Ti sarò compagno, starò male quando tu starai male e riderò quando tu riderai, mi morderò la lingua quando mi saliranno alle labbra parole impazienti. Continuerò a ripetermi, come una formula di rito: “è ancora un bambino, un ragazzino!”

Ho paura di averti sempre trattato come un uomo. E invece come ti vedo adesso, figlio, tutto appallottolato nel tuo lettino, mi fai capire che sei ancora un bambino. Ti ho sempre chiesto troppo, troppo.

Questa lettera ci insegna, me compreso, che non si deve condannare l’operato delle persone, piuttosto occorre cercate di capirle, di comprenderle. Occorre sforzarsi perché l’istinto ci dice di criticare, è più naturale credo, è umano. Ma cercate di immaginare perché la gente fa quello che fa. Capire è molto più utile e interessante che criticare, senza contare che questo poi, porta cose positive, produce simpatia, genera tolleranza e gentilezza anche da parte degli altri verso di te.

Spero vi siate emozionati, come me la prima volta che ho letto questa lettera ed anche un po’ ora rileggendola. Voi l’avete anche ascoltata, quindi credo faccia ancora più effetto.

Vediamo le parole difficili, che ho sottolineato e scritto in colore rosso sul testo che vi ho appena letto.

1) Appiccicati: I capelli biondi appiccicati alla fronte umida – Appiccicati vuol, dire attaccati, come incollati, come se ci fosse la colla. Ad esempio posso dire: i capelli sono appiccicati alla testa; oppure gli abiti, i vestiti sono appiccicati addosso. Appiccicati però da un po’ il senso di fastidio: non starmi così appiccitato! cioè mi stai dando fastidio, mi stai attaccato.

2)  Ti ho messo in croce: ti ho messo in croce vuol dire, in senso figurato, tormentare, infliggere sofferenza, far soffrire, far provare della sofferenza a qualcuno. È un modo di dire evidentemente collegato alla croce di Cristo, alla croce di Gesù, che come sapete è stato “messo in croce”, cioè è stato crocefisso, cioè fissato alla croce, messo in croce. Mettere in croce qualcuno quindi si usa senza pensare al senso proprio della frase, in qualunque circostanza dove si mette in forte difficoltà una persona. Nella lettera il papà ha messo in croce il figlio, cioè lo ha punito, gli ha provocato sofferenza, perché lo ha sgridato troppo, lo ha rimproverato contunuamente.

3) Ingurgitare: “hai ingurgitato cibo come un affamato”. Ingurgitare vuol dire ingoiare qualcosa, mangiare qualcosa frettolosamente, di fretta, come quando si è molto affamati, cioè quando si ha molta fame.

aggrottare
aggrottare la fronte

4) Aggrottare: “io ho aggrottato le sopracciglia”. Aggrottare vuol dire contrarre, corrugare, vuol dire piegare le sopracciglia. È un termine quasi esclusivo delle sopracciglia, cioè si usa quasi solamente per le sopracciglia. Si usa infatti anche per la fronte. Si può aggrottare la fronte e si possono aggrottare le sopracciglia, e quando si aggrottano le sopracciglia si aggrotta anche la fronte. E quando si aggrotta la fronte e le sopracciglia vuol dire che si sta pensando, oppure si prova un po’ di inquietudine, o magari si ha paura.

5) Sgambettare: “te ne sei andato sgambettando giù dalle scale”. Sbambettare, in questo caso, vuol dire correre, correre per le scale. Si dice dei bambini, che sgambettano, cioè che cioè dimenano le gambe qua e là, corrono cioè in modo un po’ disordinato.

6) Beninteso: beninteso vuol dire bene inteso, cioè capito bene, inteso bene, che è la stessa cosa che dire “è ovvio che”, “é scontato che”, “come ben sai”. Si usa per esprimere un punto di vista di chi parla. Beninteso, è una parola che si può usare in ogni circostanza.

7) Appallottolato: “tutto appallottolato nel tuo lettino”. Appallottolato viene da pallottola, cioè proiettile, che è simile ad una palla. Quindi appallottolare qualcosa vuol dire ridurre qualcosa in forma di una piccola palla. Posso appallottolare un foglio di carta ad esempio, ma posso anche appallottolare me stesso. Appallottolarsi quindi significa avvolgersi su se stessi, assumere la forma di una palla.

Bene amici, nella speranza che vi siate dimenticati che stavate ascoltando in lingua italiana, vi abbraccio e vi saluto.

“Ciao!”

Ps: grazie per le vostre donazioni