I verbi professionali: RISCUOTERE

Sommario del corso di Italiano Professionale

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Trascrizione

Buongiorno e benvenuti sul corso di Italiano Professionale, sezione verbi professionali. Io sono Giovanni di ItalianoSemplicemente.com, sito per imparare a comunicare in italiano in modo semplice e divertente.

Oggi è il turno del verbo RISCUOTERE, un verbo quasi esclusivamente utilizzato nel lavoro, ma che ha in realtà diversi utilizzi. Vedremo oggi tre diversi modi in particolare, quelli più utilizzati nella lingua italiana.

Questi tre diversi utilizzi sono comunque utilizzati quasi solo esclusivamente in ambiti lavorativi e professionali.

riscuotere_immagine.jpg

Riscuotere è un verbo che inizia con le due lettere RI, e, analogamente a tanti altri verbi che iniziano in questo modo, possono indicare la ripetizione. Quindi riscuotere significa scuotere due volte, scuotere ancora una volta. Ad esempio se scuoto un ramo, vuol dire che prendo il ramo di un albero, lo prendo con le mani ad esempio, e lo scuoto, cioè lo sposto a destra e sinistra, con una certa energia, e così facendo il ramo viene scosso. Dopo che il ramo è stato scosso, se al ramo erano attaccati dei frutti, questi frutti possono cadere per effetto dello scuotimento del ramo. Se lo faccio ancora una volta, se cioè scuoto il ramo ancora una volta posso dire che lo riscuoto.

Questo senso però non è il modo più diffuso di usare questo verbo, e se ci avete fatto caso non è un verbo professionale.

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Il file MP3 da scaricare e la trascrizione integrale in PDF di questo episodio  è disponibile per chi ha acquistato il corso di Italiano Professionale o chi ha acquistato solamente la sezione “verbi professionali”. 

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Capitare, succedere,  avvenire, accadere, realizzare, avverare

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Trascrizione

Buonasera e bentornati all’ascolto di questo nuovo episodio di Italiano Semplicemente. Quest’oggi rispondo ad una domanda di Alexandre, che mi ha domandato di spiegare la differenza che esiste tra una serie di parole  che hanno un significato simile. Le parole in questione sono in realtà dei verbi:

– accadere
– avvenire
– succedere
– capitare
– avverare
– realizzare

Bene, quindi si tratta di sei verbi, diversi, ma molto simili tra loro. Vediamo però se ci sono differenze e quando si usa ciascuno di questi verbi.

capitare_immagine Ovviamente ci sono delle differenze, altrimenti non esisterebbero più verbi, ma sapete bene che la lingua italiana è molto variegata e di conseguenza a volte si tratta solamente di leggere sfumature.

A volte, semplicemente, ciascun verbo si usa in contesti specifici o in specifiche frasi.
Tutti questi verbi comunque si usano quando si parla di fatti, di eventi, di cose già accadute, che devono ancora accadere e che stanno accadendo.
Avrete notato che ho appena utilizzato uno di questi verbi: il verbo “accadere“. Accadere è un verbo  molto generico che si usa quando si parla di fatti. Se qualcosa “accade” vuol dire che si verifica, e questo verbo evidenzia soltanto un aspetto di un qualsiasi evento: l’aspetto evidenziato è il tempo. Quindi una cosa qualsiasi può essere già accaduta, oppure ancora deve accadere, oppure sta accadendo in questo momento. Si usa molto spesso per fatti casuali, improvvisi e soprattutto quando già sappiamo di cosa stiamo parlando. Questo è molto importante per capire la differenza con gli altri verbi.
Ad esempio:
Se una mamma sgrida il proprio figlio per qualcosa di sbagliato che ha fatto, la mamma può dire, tra le altre cose:

Giovanni, questo non deve più accadere!

risposta:

va bene, non accadrà più

risponde il figlio. Il padre, se presente anche lui, potrebbe commentare:

può accadere a chiunque di commettere uno sbaglio!

Oppure se in una famiglia una persona ha una depressione, ha una forma di malessere psicologico, posso dire che:

queste sono cose che accadono anche nelle migliori famiglie.

Il confine tra “accadere” e “capitare” è abbastanza sottile. Attenzione in questo caso perché spesso si usano uno al posto dell’altro e non si può dire sia un vero errore, ma “capitare” non è un verbo “neutro” come accadere. Infatti capitare ha una accezione negativa ed inoltre si usa maggiormente con gli eventi che accadono alle persone, quindi si tratta di eventi negativi che accadono a delle persone. Quindi ogni volta che si parla di qualcosa che accade, se questa cosa che accade è una cosa che porta delle conseguenze negative ad una persona possiamo usare il verbo “capitare” al posto di accadere. Capitare è più adatto di accadere in questo caso. Perché?

Beh, innanzitutto accadere viene da “cadere“, ma non nel senso di cadere a terra, ma cadere nel senso di cadere temporalmente. Mi spiego meglio. Se ad esempio sto parlando del mese di marzo 2017 e della prima domenica del mese di marzo, posso dire che nel 2017 la prima domenica cade nel giorno 5 di marzo. La prima domenica di ogni mese in generale può cadere in uno dei primi sette giorni del mese, perché un mese può iniziare di domenica, oppure di lunedì, di martedì, di mercoledì, di giovedì eccetera. Nel 2017 la prima domenica si dice che “cade” nel giorno 5 di marzo. Per questo accadere, che viene da “cadere” indica un evento qualsiasi.

Capitare invece si usa spesso in caso di eventi negativi e con le persone. Quindi nel caso dell’esempio che ho fatto prima della famiglia, quando il bambino commette un errore, la mamma gli dice: “non deve accadere più!”, quindi utilizza “accadere” perché sottolinea l’evento accaduto, che poteva accadere ma poteva anche non accadere, mentre il padre che dice: “può accadere a chiunque di commettere uno sbaglio” potrebbe anche dire:

può capitare a chiunque di commettere uno sbaglio.

In questo caso lo sbaglio è stato commesso dal bambino, è capitato a lui di commettere lo sbaglio, e questo può capitare a tutti. Allo stesso modo in caso di eventi negativi si usa spesso dire frasi come:

 queste sono cose che capitano!

e questo si dice con un tono di rassegnazione. Oppure la frase:

mi è capitato un contrattempo

cioè mi è capitato, cioè è capitato a me, un contrattempo, che è una cosa inaspettata.

Capitare quindi si usa di più con le persone e quindi è anche più informale come verbo. Qualsiasi cosa può capitare. Al lavoro potete dire che:

vi è capitato un buon affare

in questo caso non volete evidenziare un evento che accade in un momento preciso, ma che è accaduto a voi e che è casuale.

Analogamente potete dire che, se cercate qualcosa in casa e casualmente trovate una cosa inaspettata, come un anello ad esempio, potete dire:

mi è capitato tra le mani questo anello.

L’anello è capitato a voi, ed è capitato per caso, casualmente. Riferendosi a delle persone specifiche quindi è normale che con “capitare” si usi spesso specificare il soggetto: “mi è capitato”, “capita a tutti”, “ci capita spesso”, “vi è mai capitato?”.

Vediamo adesso il verbo “succedere“. Anche succedere può indicare l’accadimento di un evento casuale, proprio come accadere e capitare, ma succedere ha anche altri significati. Nel caso in questione però si usa soprattutto quando si fanno le domande:

Se mi accorgo che il mio amico ha qualcosa di strano, ad esempio nella sua espressione, posso chiedergli:

cosa è successo?

oppure

cosa ti è successo?

E’ ovviamente la stesso cosa che dire “cosa ti è accaduto” oppure “cosa ti è capitato”, ma successo è più confidenziale e familiare, accadere è più formale, si usa più spesso con i colleghi che coi familiari. Anche capitare come detto è abbastanza familiare.

Come dicevo poi “succedere” ha anche altri significati, perché ad esempio significa “venire dopo” nel tempo, seguire.

Ad esempio posso dire che in caso di pioggia e di temporale, ci sono dei tuoni e dei lampi.  I tuoni sono il rumore ed i lampi sono la luce. Ebbene, come sapete prima viene il lampo, cioè la luce e dopo viene il tuono, cioè il rumore, perché la velocità della luce è più veloce della velocità del suono, quindi posso dire che “al lampo succede il tuono“, oppure al contrario che “il tuono succede al lampo“. Allo stesso modo posso dire che “i giorni si succedevano l’uno all’altro” cioè dopo un giorno ne viene sempre un altro. Ma questo, dicevo,  è un altro significato di succedere. Nello stesso senso di accadere e capitare ricordatevi che è solamente più informale e familiare.

Vediamo adesso il verbo “avvenire“. Su questo verbo basta dire che è esattamente come accadere. E’ più utilizzato di accadere probabilmente a livello giornalistico, quindi in un notiziario o un telegiornale potete più facilmente ascoltare che un certo evento è avvenuto a Roma, piuttosto che è accaduto, ugualmente utilizzato comunque.

Passiamo al verbo “avverare“. Avverare significa semplicemente “diventare vero“.

Il verbo quindi si usa quando qualcosa accade, ma quando in particolare si traduce in realtà, si concretizza. Avverare quindi è molto simile a concretizzare, che è ancora un altro verbo. Entrambi sottolineano il fatto che qualcosa è diventato vero, concreto.

Se sono fortunato posso dire ad esempio che:

i miei sogni si sono avverati.

Ciò che io un tempo sognavo avvenisse, e quindi ciò che anni fa non era ancora accaduto, ora si è avverato, è diventato vero. Possono avverarsi i sogni, ma anche le profezie, le previsioni, quindi tutto ciò che viene previsto in un tempo precedente.

Vediamo infine il verbo “realizzare“: è simile sia ad avverare che a concretizzare, che però sottolineano maggiormente il desiderio precedente, il sogno ad esempio che abbiamo fatto da bambini.

Realizzare significa “diventare reale“, “verificarsi” (che è ancora un altro verbo) e si usa in sostituzione si avverare o concretizzare, ma maggiormente per evidenziare la realtà di oggi. Ad esempio:

ho realizzato il mio sogno.

Oggi il mio sogno è realtà, quindi si è realizzato, e realizzandosi il sogno si è avverato il mio sogno. Ma realizzare è un verbo che si usa anche per le persone.

Io stesso, ad esempio, posso realizzarmi. Ad esempio posso realizzarmi nel lavoro. Se mi realizzo nel lavoro significa che riesco ad esprimere me stesso nel lavoro, riesco cioè a fare ciò che mi piace e ad arrivare dove merito di arrivare. Questa è la realizzazione personale.

Tutti sperano di realizzarsi nel lavoro ma anche nella vita in generale. Una persona si realizza se vede i propri sogni diventare realtà o meglio ancora se ottiene dalla vita ciò che lo rende felice e soddisfatto. Come vedete il significato è diverso da prima. Chi si realizza non è un evento, un sogno, ma una persona.

Infine occorre ricordare che realizzare significa anche fare, portare a termine, fare fisicamente nel senso di costruire qualcosa: posso realizzare un progetto, posso realizzare una casa, una scuola, un ristorante, un albergo eccetera. Qualunque cosa può realizzarsi.

Quindi caro Alexandre queste sono le differenze tra i verbi che hai elencato. Spero di essere stato chiaro.

Per chi ne vuole sapere di più dei verbi in generale ricordo che nel corso di italiano professionale settimanalmente spieghiamo ed approfondiamo un verbo, in particolare quei verbi che sono poco usati dagli stranieri ma che sono molto professionali e quindi è molto importante conoscere, soprattutto per chi lavora in Italia.

Un saluto a tutti e grazie a chi sostiene italiano semplicemente attraverso una piccola donazione personale.  Tutti possono donare a partire da 1 euro al mese, un piccolo contributo per avere un insegnante di italiano a disposizione!

Non capita tutti i giorni.

Ciao amici alla prossima.

I Verbi fraseologici 

Audio

Trascrizione

Buongiorno a tutti. Io sono Gianni e voi state ascoltando un episodio audio di ItalianoSemplicemente.com. Di tutto quello che ascolterete oggi, come sempre, potrete trovare la trascrizione completa sul nostro sito.

Oggi vediamo i verbi fraseologici, come ci ha suggerito Jasna che saluto, dalla Slovenia. Jasna mi aiuta spesso nei podcast di Italiano Semplicemente, è un vero vulcano di idee, cioè ha sempre molte idee da sottopormi, non so se conoscete questa espressione essere “un vulcano di idee“.

Arenal-Volcano
Un vulcano

Comunque grazie a Jasna, è un argomento molto interessante questo dei verbi fraseologici, e ringrazio tutti coloro che sostengono Italiano Semplicemente, cioè tutti coloro che hanno partecipato al progetto “Donazione“, col quale fanno una piccola donazione mensilmente, a partire da 1 euro.

E’ un progetto che è partito da un paio di mesi e già una decina di persone hanno contribuito economicamente al progetto. Li ringrazio perché è grazie a loro se Italiano Semplicemente può aiutare gli stranieri di tutto il mondo a conoscere meglio la lingua italiana utilizzando il nostro metodo, basato sull’ascolto e sulle sette regole d’oro.

Grazie anche a coloro che lasciano le loro recensioni sulla pagina Facebook di Italiano Semplicemente. Anche questo è un modo per aiutare a rendere più visibile la pagina e per avere un maggior numero di stranieri che possono beneficiare dei consigli e ascoltare e leggere i nostri episodi.

Se volete quindi potete diventare sostenitori attraverso una piccola donazione mensile – naturalmente non è obbligatorio e quando volete potete interrompere la vostra donazione. Potete utilizzare anche Paypal e come ho detto potete donare anche un solo euro.

Bene, passiamo al nostro argomento del giorno: i verbi fraseologici.

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Detto molto brevemente,  i verbi fraseologici sono verbi  che, combinati con un altro verbo all’interno di una frase cambiano di significato. Il primo verbo, quello fraseologico, cambia di significato rispetto al suo significato abituale.

Questo è il modo più veloce per definire i verbi fraseologici. Per capire meglio però bisogna fare degli esempi ed aggiungere qualche informazioni in più.

La prima cosa da dire è che tra i due verbi, tra il primo verbo (quello fraseologico) ed il secondo spesso c’è una preposizione semplice: a, di, per da eccetera.

La seconda cosa da dire è che i verbi fraseologici, cioè i verbi che possono cambiare di significato sono i verbi come mettersi, stare, andare, continuare, cominciare, finire, smettere. Sono tutti verbi che hanno a che fare con una azione temporale e che servono a fotografare un momento preciso mentre un’azione viene compiuta, appena prima, durante o dopo.

Inoltre la maggior parte delle volte questi sono dei verbi che difficilmente stanno da soli, voglio dire difficilmente non sono accompagnati da un altro verbo, quindi sono verbi quasi sempre fraseologici.

Ad esempio il verbo “stare” posso usarlo in modo normale, classico: “io sto a casa”, nel senso di trovarsi in casa, essere in casa, quindi stare in casa, trovarsi in casa. Oppure posso usare il verbo “stare” per indicare un’azione che sta per iniziare. Ad esempio:

Io sto per mangiare“, che significa appunto che io non ho ancora iniziato a mangiare, ma mi accingo a farlo, sto per iniziare, cioè sono quasi sul punto di mangiare. Si utilizza la preposizione semplice “per” in questo caso. In questo caso quindi il verbo “stare” è usato non per dire che io mi trovo (io sto) da qualche parte fisicamente, ma che “sto per mangiare”, cioè sono sul punto di mangiare, quindi indica una fase temporale, un momento preciso: non ho ancora iniziato ma sto per iniziare. Tra pochissimo tempo inizierò.

Allo stesso modo posso usare il verbo “mettersi“. Posso dire “io mi metto sul letto” in cui mettersi è utilizzato in modo classico, quindi io mi metto sul letto significa io mi sdraio, io mi posiziono fisicamente sul letto, metto il mio corpo sul letto, io appoggio sul letto. Anche mettersi può usarsi come verbo fraseologico.

Ad esempio “io mi metto a mangiare“. Anche qui c’è il tempo di mezzo. “Io mi metto a mangiare” significa che incomincio, inizio a mangiare, che è poi è come dire “io sto per mangiare”. La differenza è che “io mi metto” sottolinea di più la volontà di fare quell’azione, di mangiare appunto. I questo caso si usa la preposizione “a”: “io mi metto a mangiare”, equivalente a “io sto per mangiare”.

Tutti i diversi momenti temporali, quando si compie un’azione, possono essere decritti utilizzando un verbo fraseologico.

Ad esempio mentre si mangia, proprio nel momento in cui si mangia, posso dire: “Io sto mangiando“, oppure “io sto a mangiare“. Il verbo “stare” anche qui è fraseologico perché sottolinea un momento preciso, quello in cui si sta facendo l’azione che è quella di mangiare.

Quindi “io sto per mangiare” viene subito prima prima di “io sto a mangiare” o “io sto mangiando”. Solitamente comunque il verbo stare si usa mentre si compie l’azione, ed in questo caso usiamo il gerundio: io sto mangiando.

Allo stesso modo potete usare i verbi “cominciare”, “iniziare” e “finire”, che difficilmente potete usare in modo non fraseologico.

Nelle frasi “io comincio a mangiare” oppure “io inizio a mangiare“, che sono del tutto equivalenti a  “io mi metto a mangiare” viene fotografato il momento in cui si sta iniziando, come prima, il momento in cui si sta cominciando a mangiare; quando si pronuncia questa frase ancora non abbiamo iniziato a mangiare.

Notate che difficilmente potete usare i verbi “iniziare” e “cominciare” in senso non fraseologico. Se mentre state a tavola dite: “io inizio” senza aggiungere altro, qualcuno potrebbe dirvi: scusa, non ho capito, inizi a fare cosa?

“Inizio a mangiare” rispondete voi. ed ecco che il verbo iniziare è un verbo fraseologico in questo caso. Iniziare e cominciare si usano quasi solamente in questo modo. In modo non fraseologico potete dire ad esempio: “la festa inizia” o “inizia il carnevale”. Quindi vedete che il significato di iniziare e di cominciare in questo caso non cambia molto da quello classico.

La stessa cosa vale per il verbo “finire” o il verbo “terminare”.

“Io finisco di mangiare” si riferisce quindi ad un momento che si trova alla fine dell’azione di mangiare. “Io finisco di mangiare” cioè “io sto terminando l’azione di mangiare”. In tal caso si usa “di”: “io finisco di mangiare alle 14:00” ad esempio.

Tra l’inizio e la fine c’è il centro dell’azione, il centro temporale dell’azione. In questo caso si usa il verbo “continuare” o “proseguire” anche.

“Io continuo a mangiare” o, cambiando il soggetto della frase posso dire: “Giovanni continua a mangiare”.

Quindi il verbo “continuare” in questo caso fotografa un tempo preciso: Giovanni ha iniziato a mangiare ed ancora non ha terminato, non ha finito di mangiare: Giovanni continua a fare ciò che aveva iniziato a fare, cioè continua a mangiare. Qui usiamo la preposizione “a”.

Poi c’è il verbo “smettere“. Qui si fotografa una fase temporale successiva: “ho smesso di mangiare”, analogo al verbo terminare e finire, anche se “smettere” è un verbo diverso perché si usa più con le abitudini di vita o all’imperativo quando si danno degli ordini: “ho smesso di fumare” ad esempio: cioè non ho più l’abitudine di fumare. Oppure “smettila di urlare!” che è un ordine.

Questi esempi che ho fatto sono abbastanza semplici. Ho usato quasi sempre il verbo mangiare come secondo verbo, quello che si chiama anche “verbo nucleare” o “lessicale” per gli amanti della grammatica. Inoltre ho usato solamente i verbi fraseologici principali.

Ci sono però anche altri verbi fraseologici, un po’ più difficili perché cambiano di significato. Oltre al verbo “stare” che abbiamo visto prima c’è anche il verbo “venire” che quasi sempre si usa in modo classico, non come verbo fraseologico.:

“Io domani vengo a Roma” ad esempio, oppure “io vengo da Roma” se volete indicare la vostra provenienza.

Qui usiamo il verbo venire ma non c’è il secondo verbo, quello che si chiama come abbiamo detto “nucleare”, ma c’è solamente il primo verbo, che non è fraseologico quindi.

Se questo verbo invece, il verbo “venire” lo uso in modo fraseologico posso dire ad esempio la frase:

“Io venni a sapere“. Ad esempio “Lo scorso anno venni a sapere che mio fratello era emigrato”.

La frase “Io venni a sapere” utilizza il verbo “venire” al passato remoto (venni). Potevate anche semplicemente dire “io seppi che mio fratello era emigrato”. Il significato non cambia.

Oppure potete dire “sono venuto a sapere che ti sei sposato“. In questo caso c’è sempre “venire” e “sapere” che sono i due verbi utilizzati. La frase è identica a “ho saputo che ti sei sposato”.

sono venuto a sapere che ti sei sposato”=”ho saputo che ti sei sposato”.

La differenza tra “sono venuto a sapere” e “ho saputo” è quasi inesistente: diciamo che nel primo caso voglio maggiormente sottolineare quasi che c’è stata una ricerca della notizia prima di conoscerla, oppure che la notizia era riservata ma che è ugualmente arrivata a me.

E’ la stessa differenza che esiste tra “io venni a sapere” e “io seppi” se usiamo il passato remoto.  Questo lo dico solamente perché spesso non è necessario utilizzare dei verbi fraseologici per esprimere un concetto. Possiamo anche usare una frase senza verbi fraseologici.

Quindi, ricapitolando,se vogliamo fare un piccolo riassunto di quanto abbiamo detto possiamo dire che i verbi fraseologici si dividono in due gruppi.

Il primo gruppo è formato da verbi come iniziareaccingersi, avviarsi, cominciarecontinuare, seguitare, proseguire, finire, smettere, ecc. che come abbiamo visto hanno a che fare col tempo: c’è qualcosa che  è imminente, che inizia, che continua o che termina, finisce, si conclude. In questi verbi del primo gruppo notiamo che il secondo verbo è sempre alla forma infinita: “io ho iniziato a studiare”, “continuo a studiare”, “ho messo di studiare” eccetera.

In tutti questi casi poi il significato del verbo fraseologico: iniziare, continuare finire smettere, non è molto diverso dal significato classico del verbo.

Poi c’è un secondo gruppo di verbi fraseologici, come fare, stare, prendere, mettersi, andare, venire, lasciare, ecc. che invece a differenza dei verbi del primo gruppo perdono il loro significato di base, quello normale, che è collegato  al movimento o ad una posizione precisa nello spazio. Ad esempio “io sto a casa” (posizione nello spazio) oppure “io faccio una corsa nel prato” (movimento); “io prendo una mela” (movimento), “io metto le scarpe” (movimento), “Io lascio la stanza” (movimento). Perdono quindi questo significato  e prendono un secondo significato, legato al tempo.

“io sto mangiando”, “io mi metto a pranzare”, “il sole andava tramontando” eccetera.

Da notare che una seconda differenza tra i due gruppi di verbi è che in questo secondo gruppo molto spesso il verbo nucleare, cioè il secondo verbo della frase non è all’infinito come nel primo gruppo ma spesso, non sempre, si usa al gerundio, perché in questo caso stiamo al centro dell’azione: “Io sto mangiando”, che però posso anche dire “io sto a mangiare” con lo stesso significato. La seconda forma è più colloquiale rispetto al gerundio, che è una form più adatta all’ufficio e nella forma scritta: meno colloquiale comunque.

Analogamente “tu stai ascoltando” è equivalente a “tu stai ad ascoltare”. Quello che conta è che sono al centro dell’azione, mi trovo al centro dell’azione, quindi sono nel secondo gruppo.

Ma questo non è molto importante in fondo: la cosa da sapere è che ci sono sempre due verbi in una frase e il primo cambia di significato, spesso cambia  totalmente significato, ed al centro, tra i due verbi, c’è una preposizione semplice: in questo caso il primo verbo è fraseologico e attenzione perché il suo significato può cambiare molto e potreste non capire il motivo.  Il motivo è che siete di fronte, appunto, a dei verbi fraseologici.

Spero veramente di aver affrontato con parole semplici e chiare questo argomento, molto ostico per gli stranieri. Ho notato che il linguaggio che viene utilizzato su internet e sui libri di grammatica quando si affronta questo argomento è molto difficile, molto complicato. Io ho cercato di  non complicare troppo le cose, ad esempio non vi ho detto che i due gruppo di verbi fraseologici sono chiamati rispettivamente  lessicali e grammaticali. Non ho usato parole troppo complicate, quello che conta è che capiate cosa siano questi verbi ed a cosa servano.

Il resto secondo me è inutile.

Bene se volete possiamo fare un esercizio di ripetizione. Non pensate alla grammatica ma ripetete semplicemente quello che dico io.

Io mi accingo a partire

Tu inizi a studiare

Lui continua a fare errori.

Lei sta terminando gli esercizi

Noi finimmo di fare gli esercizi

Voi vi metteste a ridere

Loro seguitarono ad insultarci

Grazie ancora a tutti gli ascoltatori, grazie a chi ci segue con interesse e anche e soprattutto a chi sostiene Italiano Semplicemente attraverso il progetto Donazione, che permette anche agli altri di migliorare l’italiano e di passare del tempo insieme. Grazie a tutti, continuate a consigliarmi gli argomenti dei prossimi episodi, un saluto ed un ringraziamento a Jasna che ha proposto l’episodio di oggi.

Alla prossima amici.

 

 

 

 

 

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Annullare, eliminare e cancellare

Audio

E’ possibile leggere ed ascoltare e/o scaricare il file audio di questo episodio in formato MP3 tramite l’audiolibro (+Kindle) in vendita su Amazon, che contiene in tutto 54 espressioni italiane e 24 ore di ascolto.

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Trascrizione

Gianni: Buongiorno a tutti i membri della famiglia di Italiano Semplicemente, oggi sono qui con Khaled che mi ha fatto una domanda alla quale oggi vorrei rispondere.

Khaled: ciao Gianni. Qual è la differenza tra annullare, eliminare e cancellare? Puoi spiegarmi la differenza? Penso che tutti più o meno abbiano lo stesso significato, ma si usano in contesti diversi, vero?

Gianni: Ciao Khaled. Non hai torto Khaled. Grazie della domanda innanzitutto. Parlaci di te Khaled. Di dove sei?

Khaled: Sono egiziano e sono studente alla facoltà di lingue Al Alsun di Ain shams.

In effetti sono termini abbastanza simili. Quello che possiamo fare in questo episodio sono due cose. La prima cosa è dire quali sono le differenze nel significato tra questi tre termini. La seconda cosa da fare è dire quando si usano ciascuno dei termini, quali sono perciò i contesti, come hai detto tu, in cui ciascuna delle tre parole si usa e si preferisce alle altre due.

Cominciamo a dire le differenze, seppur piccole, nel significato, e contestualmente facciamo degli esempi per far capire bene quando usare l’uno o l’altro termine.

Cominciamo da ELIMINARE. eliminare significa, per usare altri verbi simili, escludere, scartare, far scomparire. Se una cosa viene eliminata, viene fisicamente eliminata. Pertanto l’eliminazione si utilizza quando si parla di oggetti, di cose tangibili. Ad esempio:

eliminare un file da un computer“. In questo caso prendiamo questo file, lo selezioniamo con il mouse e lo eliminiamo. Prima il file era nel nostro computer, dopo averlo eliminato non c’è più.

Khaled: in questo però possiamo anche utilizzare il verbo CANCELLARE vero?

Gianni: Sì, infatti anche cancellare va bene, ma cancellare pone maggiormente l’accento sull’operazione manuale che si fa per eliminare il file dal computer. Cancellare significa innanzitutto coprire con un tratto di penna o in altro modo le parole di un testo scritto affinché non si leggano più. Questo è il primo significato di cancellare.

Se ho una lavagna ad esempio, dove scrivono normalmente con un gessetto gli studenti e soprattutto i professori durante una lezione, per poter pulire la lavagna e scrivere altre cose occorre cancellare ciò che è stato scritto in precedenza, quindi in questo caso cancelliamo quello che c’è scritto sulla lavagna, prendiamo cioè il “cancellino“, lo appoggiamo sulla lavagna e cancelliamo.

gessetti
I gessetti

Cancellare quindi è l’operazione che si fa per eliminare un testo scritto. Inoltre eliminare è un po’ più forte come termine, perché è un verbo che si usa anche in sostituzione del verbo “uccidere”. Se vogliamo far sparire fisicamente qualcosa o qualcuno, possiamo usare il verbo eliminare.

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Il cancellino, i gessetti e la lavagna

Quindi si elimina un file dal computer, si eliminano i nemici, o anche si eliminano gli avversari nello sport, nelle competizioni sportive: eliminare si usa molto nello sport. Se in semifinale della Champions League Il Real Madrid si scontra con il Barcellona, una delle due squadre vincerà e giocherà la finale, mentre l’altra squadra verrà eliminata.

Allo stesso modo si possono eliminare i kilogrammi in eccesso se facciamo una dieta, e possiamo eliminare anche una sostanza nociva dall’organismo.

Khaled: e cosa possiamo cancellare invece? Solo le scritte?

Gianni:  Beh in realtà il verbo cancellare si usa anche in molte frasi col significato di ripristinare una situazione precedente. Così come una lavagna torna pulita quando la cancelliamo, allo stesso modo possiamo cancellare una offesa che ci viene fatta. Se una persona ti offende, cioè ti insulta per cancellare l’offesa c’è un solo modo.

Khaled: e qual è?

Gianni: le offese si cancellano col sangue! In molti film potreste ascoltare una farse del genere: devo cancellare l’offesa che mi è stata fatta col sangue!

Comunque si usa molto anche “cancellare dalla memoria”. In questo caso la memoria, cioè tutto ciò che noi ricordiamo, può essere cancellata proprio come una parola, proprio come una lavagna. Puliamo la memoria, quindi cancelliamo qualcosa dalla memoria. In questo caso quindi meglio usare cancellare che eliminare.

Posso usare cancellare anche in altro modo: “cancellare una visita”, “cancellare un appuntamento”, “cancellare una prenotazione”, “cancellare un volo di un aereo”. In tutti questi casi se ci pensi bene è come se qualcosa fosse stato scritto e poi è stato cancellato: un appuntamento infatti puoi scriverlo sulla tua agenda, così come una visita medica e anche una prenotazione di un hotel o di un ristorante. Prima la prenotazione si scrive, poi si cancella. In questo caso cancellare è più simile al verbo ANNULLARE. Se c’è ad esempio uno sciopero dei piloti, se cioè i piloti, cioè coloro che guidano gli aerei, decidono di scioperare, cioè di non lavorare per uno o più giorni, i voli degli aerei devono essere cancellati  o annullati.

Si legge spesso ad esempio “a causa dello sciopero dei piloti, sono stati cancellati tutti i voli nazionali”. Anche in questo caso l’uso di cancellare è del tutto corretto. Annullare è più tecnico. Annullare significa dichiarare nullo, privare di ogni effetto e di validità. Una cosa annullata non è più valida.

Quando si utilizza annullare quindi si sta parlando di una decisione presa e spesso c’è di mezzo una autorità o un documento scritto. Ad esempio si annulla un ordine, ad esempio l’ordine di un comandante di un esercito. In questo caso l’autorità è rappresentata dal comandante.

Si può annullare una disposizione, cioè una decisione presa da un giudice ad esempio, e per fare questo si utilizza un documento scritto, un atto ufficiale quindi. Posso annullare un testamento, ed anche il testamento è un documento scritto. Un’altra cosa che si può annullare è un contratto, ed anche un matrimonio è annullabile. Il matrimonio in fondo è un contratto.

Allo stesso modo posso anche annullare una nomina ed anche una elezione. In tutti i casi si tratta sempre di cose ufficiali, di cose importanti. Però si può anche annullare un compito fatto da uno studente o una intera prova d’esame. Posso annullare un concorso pubblico: Per annullare un concorso, che poi equivale ad una prova d’esame, occorre redigere un documento e anche elencare le motivazioni che stanno a base dell’annullamento. Non è una sciocchezza. 

Khaled: e se annulliamo un gol a Francesco Totti?

Gianni: bravo, possiamo annullare anche un gol, e quando annulliamo un gol il gol non è più valido. E chi è che annulla il gol?

Khaled: l’arbitro?

Gianni: eh sì, infatti è l’arbitro l’autorità in questo caso.

Spero di aver chiarito i dubbi su questo Khaled.

Khaled: perfetto grazie!

Gianni: ciao a tutti

Khaled: grazie Gianni, ci vediamo al prossimo episodio di Italiano Semplicemente.

 

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Audio – prima parte (17 minuti)

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russia Мы говорим об идиомах относительно доверия и недоверия.
bandiera_germania Wir sprechen von Redewendungen über Vertrauen und Misstrauen.
bandiera_grecia Μιλάμε για ιδιώματα που αφορούν την εμπιστοσύνη και τη δυσπιστία.

 

Trascrizione

Introduzione

Benvenuti alla lezione numero 13, dedicata alla fiducia ed alla diffidenza. La fiducia la possiamo definire quell’atteggiamento verso gli altri che è il risultato di una valutazione positiva delle cose, per cui chi ha fiducia confida negli altri e generalmente la fiducia produce un sentimento di sicurezza e tranquillità. Se mettiamo una s, (la lettera s) davanti alla parola fiducia otteniamo il sentimento contrario: la sfiducia, chiamata anche “diffidenza”.

La diffidenza è quindi il sentimento o l’atteggiamento opposto, cioè la mancanza di fiducia negli altri, che deriva da timore o da un sospetto verso gli altri. Chi prova diffidenza verso un’altra persona ha il crede, ha paura o anche ha il sospetto di essere ingannato. Se non ci fidiamo di una persona, si dice che siamo diffidenti nei suoi confronti.

Abbiamo già affrontato nella lezione scorsa, quella sulla condivisione e sull’unione, qualche espressione relativa alla fiducia, Ad esempio le frasi “metterci una mano sul fuoco” e “nutrire una fiducia incondizionata”.

Si tratta in effetti di due argomenti molto vicini tra loro quelli della fiducia e della condivisione. Oggi però vediamo altre espressioni, non solo sulla fiducia ma anche legate alla diffidenza.

Le frasi che vediamo vi saranno particolarmente utili in un ambiente di lavoro, soprattutto quando si parla di lavoro di gruppo e di riunioni, ma è importante anche in fase di presentazione e colloquio di lavoro.

La prima parte di questa lezione, disponibile per tutti sarà quindi dedicata alle prime espressioni sulla fiducia, per continuare il percorso iniziato nel corso dell’ultima lezione, continueremo anche nella seconda parte dove vedremo anche le frasi sulla diffidenza, poi nella terza parte faremo come al solito un approfondimento sui rischi di pronuncia ed un esercizio di ripetizione con domande e risposte.

In questa lezione mi farà compagnia Giuseppina che mi aiuterà nelle spiegazioni.

La Fiducia in coppia

Vediamo prima di tutto delle frasi molto brevi che contengono la parola fiducia, e che si usano spessissimo in ogni circostanza, soprattutto nel lavoro, per esprimere rapidamente un concetto legato a questo importante sentimento. Le frasi sono: “Clima di fiducia”, “Persona di fiducia”, “Incarico di fiducia”, “Questione di fiducia”.

Son tutte frasi, quattro in tutto, composte da tre parole di cui una è proprio fiducia. La prima frase è “clima di fiducia”, che si usa spesso al lavoro per descrivere un ambiente dove si ha subito la sensazione che le persone si fidino tra loro. Normalmente si dice:

In quel luogo si respira un (certo) clima di fiducia.

E dicendo questo si vuole evidenziare un’atmosfera speciale, un luogo dove tutti coloro che lavorano lì hanno fiducia l’uno dell’altro, oppure hanno tutti fiducia in uno futuro positivo. Se ad esempio un’azienda non attraversa un buon momento ma i lavoratori sono fiduciosi nel futuro, allora posso sicuramente dire che in quell’azienda si respira un certo clima di fiducia.

La parola “certo” della frase “si respira un certo clima di fiducia” significa un buon clima, un clima positivo.

Si usa poi il verbo “respirare”, perché si respira l’aria, e l’aria, simbolicamente, porta con sé l’atmosfera positiva o negativa.  Se provate poi a cercare la frase “clima di fiducia” su internet probabilmente troverete tutti siti web che si occupano di economia. Infatti la frase “clima di fiducia” è molto usata quando si parla di indicatori di fiducia economici, ed infatti esistono il Clima di fiducia delle imprese e quello dei consumatori. Il clima di fiducia delle imprese misura, essendo un indicatore, il grado di ottimismo delle imprese italiane, quindi è chiaramente un indicatore economico. Lo stesso vale per il clima di fiducia dei consumatori, dove i consumatori sono tutte le persone, perché tutti siamo consumatori. Anche questo è un indicatore economico. Ma quando usate il verbo respirare vi state riferendo ad una atmosfera di fiducia in un posto specifico, come il vostro luogo di lavoro ad esempio.

La seconda frase è “Persona di fiducia”: molto intuitiva come frase, ed infatti è molto usata soprattutto nelle offerte e nelle domande di lavoro. Chi cerca lavoro, cioè chi sta cercando un lavoro, può ad esempio pubblicare su internet un annuncio, cioè un messaggio pubblico che recita più o meno così:

“Cerco lavoro serio come persona di fiducia presso famiglie private”

Oppure chi offre lavoro, cioè chi sta cercando una persona di fiducia può invece scrivere:

“Cercasi baby sitter, preferibilmente persona di fiducia per lavorare presso una famiglia”

Oppure

“Cerco una persona di fiducia, automunita per un lavoro da colf”

Spesso troverete annunci di questo tipo su internet o giornali italiani.

Al posto della frase “persona di fiducia” potreste anche trovare la parola “referenziata”: cercasi persona referenziata è una frase molto usata. Ma che significa “persona con referenze?” Quando una persona ha delle referenze questa persona si dice che è referenziata.

Le referenze sono tutte quelle informazioni sulle qualità morali e professionali di una persona. Quindi se una donna ad esempio ha delle ottime referenze significa che esiste una persona che conosce questa donna, e che può garantire per lei, perché la conosce e quindi sa con certezza che questa donna è una persona seria, quindi può garantire sulla serietà di questa donna. Anche un’azienda può avere delle ottime referenze, ed anche in questo caso esistono prove sulla solidità e sulla serietà di questa ditta. Ad esempio queste referenze possono venire da chi ne ha avuta diretta esperienza.

Se quindi venite a conoscenza di una baby sitter con ottime o buone referenze, ebbene questa è una persona di fiducia, di conseguenza questa persona – questa ragazza ad esempio – si presenta con buone referenze e sarà subito assunta in servizio. Nel caso soprattutto di ditte, di aziende, si dice anche che questa azienda gode di una buona reputazione. La reputazione è di conseguenza ciò a cui ispira maggiormente una azienda.

La reputazione è la considerazione altrui, ciò che pensano gli altri, e quindi è una misura della qualità e della moralità. Non c’è neanche bisogno di dire ottima reputazione o buona reputazione, è sufficiente “avere una reputazione”.

Possiamo tranquillamente dire ad esempio che Tripadvisor può dare una buona o una cattiva reputazione ad una azienda, come può essere un ristorante o un hotel. Chi ha una media di quattro o cinque stelle sicuramente gode di un’ottima reputazione. Chi ne ha una o due di stelle sicuramente non gode di una buona reputazione.

Vedete quindi che se si tratta di una persona è più facile parlare di persona di fiducia, o in modo più formale “avere ottime referenze” mentre per una azienda è più usata l’espressione “godere di una buona reputazione”.

L’incarico di fiducia” è invece un incarico, cioè un lavoro, un lavoro con un obiettivo ben determinato, ben individuato – questo è un incarico – di fiducia: quindi questo incarico è molto particolare, molto delicato, e solamente una persona di fiducia può essere la persona incaricata di realizzarlo. Alle persone di fiducia quindi si affidano incarichi di fiducia.

Infine “questione di fiducia” è una cosa che ha a che fare con la politica. Quando il Governo deve prendere una decisione importante non vuole che il Parlamento si esprima secondo le consuete modalità, dicendo ciò che pensa sul quell’argomento, ma piuttosto il Governo dice: la questione è talmente importante che se siete d’accordo il Governo continuerà a governare, altrimenti se i parlamentari non sono d’accordo il Governo cadrà. Questa è la questione di fiducia.

Naturalmente potete usare la frase anche in altri contesti: se non vi fidate più di un vostro amico, sarà inutile che continuate a frequentarvi, perché l’amicizia è soprattutto una questione di fiducia; quindi questo vuol dire che se non c’è fiducia non c’è amicizia: è una questione di fiducia.

Godere e nutrire

Prima abbiamo visto la frase “godere di buona o ottima reputazione”.

Ebbene il verbo “godere” è uno dei due verbi sui quali voglio soffermarmi. Mentre la frase “godere di buona reputazione” è, come abbiamo detto, più specifica per le aziende, per le persone possiamo ugualmente usare il verbo godere, semplicemente dicendo “godere di fiducia”, o “godere della fiducia di qualcuno”.

Ad esempio se un mio amico si chiama Carlo, posso dire che Carlo gode di fiducia, oppure Carlo gode della mia fiducia, o gode della fiducia della mia azienda. Il verbo godere si riferisce quindi a Carlo.

Se io mi fido di Carlo, è Carlo che gode della mia fiducia.

Se invece voglio riferirmi a me, devo usare il verbo “nutrire”:

Io nutro fiducia in Carlo

oppure:

Io nutro fiducia nei confronti di Carlo.

Carlo gode della mia fiducia ed io nutro fiducia in Carlo.

Godere e nutrire sono quindi due verbi molto adatti quando si parla di fiducia.

Notate però che i due verbi godere e nutrire sono due verbi che cambiano completamente il loro significato naturale associati alla parola fiducia, e per questo motivo sono poco usati dagli stranieri. Vedremo nella seconda parte, quando parleremo di rischi, che dovete fare molta attenzione quando usate questi verbi.

Non verrebbe naturale quindi associarli alla fiducia, ma sono utilizzatissimi nel lavoro e vi consiglio sicuramente di utilizzarli.

Essere degni di fiducia

Adesso prima di terminare la prima parte della lezione vediamo la frase “essere degni di fiducia”.

Essere degni di fiducia non è una frase idiomatica perché essere degni significa semplicemente “meritare”. Quindi essere degni di fiducia e meritare fiducia o meritare la fiducia di qualcuno sono la stessa cosa.

Vale la pena di soffermarci sulla parola dignità, importantissima quando si parla di lavoro. Essere degni significa come detto “meritare”, e più precisamente avere una qualità chiamata “dignità”. Anche questa parola è simile alla parola fiducia, ma mentre la fiducia è una sentimento che riguarda due persone, un sentimento che una persona ha verso un’altra (io ho fiducia di te, tu hai fiducia di me eccetera), la dignità riguarda una sola persona, ed è una cosa che si possiede oppure non si possiede. La dignità o la si ha oppure non la si ha.

Cos’è la dignità? La dignità è il rispetto che l’uomo deve sentire nei confronti di se stesso e di conseguenza deve trasformare in un comportamento adeguato. Se un uomo è consapevole del proprio valore sul piano morale, se è consapevole delle proprie qualità, allora quell’uomo ha dignità.

Si dice spesso che avere un lavoro significhi dare dignità all’essere umano. Senza lavoro si perde la propria dignità, si perde cioè il rispetto verso se stessi. Ogni lavoro, si dice ha la sua dignità. Ogni lavoro è dignitoso.

Se quindi io ho dignità, se io posseggo dignità, io ho rispetto di me stesso, ma anche un lavoro, un mestiere, come detto, ha la sua dignità, cioè ogni lavoro onesto merita di essere rispettato; quindi la dignità non è una caratteristica solamente dell’essere umano: il lavoro è collegato spesso alla dignità, e se un lavoro non è dignitoso vuol dire che chi lo fa, chi fa quel lavoro non ha dignità, non ha rispetto di se stesso, sta mancando di rispetto a se stesso.

Meritare qualcosa quindi si dice anche “essere degni di qualcosa”. Se si posseggono le qualità morali necessarie, si è degni di qualcosa, ed in particolare si è degni di fiducia.

– spezzone della canzone “Non son degno di te” di Gianni Morandi –

Pertanto essere degni di fiducia è una qualità importantissima, perché implica una fiducia profonda, basata sule qualità morali di una persona.

Finisce qui la prima parte della lezione dedicata alla fiducia ed alla diffidenza. Nella seconda parte vedremo molte altre belle espressioni. Poi nella terza parte come detto parleremo di rischi di pronuncia e faremo un esercizio di ripetizione

Fine prima parte

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I verbi professionali: DECLINARE 

Sommario del corso di Italiano Professionale

Trascrizione

Buongiorno amici Benvenuti nel corso di italiano professionale. Oggi è la volta della spiegazione del verbo DECLINARE.

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Si tratta anche questo, probabilmente di uno dei verbi che uno straniero non usa mai, anche se lavora da molti anni in Italia ed i motivi sono molteplici:  Primo perché si usa raramente, secondo perché il suo utilizzo avviene prevalentemente per iscritto ed in ambiti abbastanza formali. Il significato primario di questo verbo inoltre non ci aiuta. Declinare significa diminuire,  scendere verso il basso, volgere verso il basso,  quindi anche abbassare.  Posso infatti usare questo verbo ad esempio nelle seguenti frasi:

  • Declinare la testa in basso

cioè abbassare la testa, muoverla verso il basso, verso terra.

  • La collina declina dolcemente verso il mare.

Quindi in questo caso la collina va, si muove verso il basso, nel senso che c’è una discesa, quindi spostandosi dalla sommità della collina verso il mare, scendiamo dolcemente verso il basso, perché il mare sta in basso.

Quindi declinare rispetto ad abbassare ed abbassarsi è più dolce, più poetico anche.

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Il file MP3 da ascoltare e la trascrizione integrale in PDF di questo episodio  è disponibile per chi ha acquistato il corso di Italiano Professionale o chi ha acquistato solamente la sezione “verbi professionali”. 

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Tirare a campare

Audio (scarica)

questo episodio fa parte dell’audiolibro (Kindle o cartaceo) in vendita su Amazon:

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Trascrizione

Buongiorno amici, spero stiate tutti bene. Da parte mia devo dire che  non c’è male, sto molto bene, sia fisicamente che moralmente.

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A volte mi capita anche di non essere in forma, ma ad ogni modo non faccio sicuramente parte di quella categoria di persone che alla domanda “come stai” risponde con ad esempio: “così così” , oppure “si sopravvive“, o anche “si tira a campare” o “tiro a campare“.   Molte persone rispondono proprio così:  “si tira a campare”. Non so se avete mai sentito questa espressione,  molto usata soprattutto  dalle persone anziane, o almeno a me è capitato spesso di ascoltarla da persone con una età abbastanza avanzata.

Di espressioni simili ce  ne sono molte, tra cui vivacchiare, che poi è un semplice verbo, una distorsione del verbo vivere, oppure anche la frase “vivere alla meglio“.

Tirare a campare è la frase quindi su cui voglio soffermarmi oggi.  Il verbo tirare in questo caso è utilizzato in un modo veramente strano,  insolito direi.  Tirare qualcosa significa prendere una cosa con le mani e portare questa cosa verso di sé: tirarla a sé o tirarla verso di sé.  Questo è il modo più utilizzato di usare questo verbo. Tirare quindi è il contrario di spingere. Si può tirare una corda, si può tirare una maniglia di una porta, ma si può tirare anche un sasso però, ed in questo caso tirare significa lanciare, prendere una cosa e lanciarla, tirarla lontano. Quindi è esattamente il contrario di prima. Analogamente si può tirare un calcio di rigore nel gioco del calcio, e qui tirare il rigore equivale a battere un calcio di rigore o di punizione. Non è esattamente un verbo facilissimo da usare pertanto.

Qui in questa frase “tirare a campare” si sta invece parlando della propria vita. Campare infatti significa più o meno, essere vivi, sopravvivere. Come stai? “Si campa” , “si sopravvive” , anche questa è una risposta del tutto equivalente a tirare a campare. “Si campa”  significa quindi “si sopravvive“, ma “si tira a campare“, oppure se parlo in prima persona:”tiro a campare” ha un senso ancora più forte che indica uno sforzo, una fatica che si fa cercando di sopravvivere.

Infatti quando si fa fatica a fare qualcosa si può anche usare il verbo tirare in un altro modo. Posso dire “tirare avanti a fare qualcosa“. Ad esempio:

Come stai? Una risposta può essere:

Si tira avanti“: anche questa è una risposta analoga ed equivalente a “si tira a campare“.

In altri contesti posso ugualmente usare tirare avanti. Al lavoro posso chiedere ad un collega: Come va con il tuo progetto lavorativo? Risposta:”Lo sto tirando avanti a fatica“.  Cioè faccio fatica a proseguire con il progetto, riesco a portarlo avanti ma con fatica, faccio un notevole sforzo: lo tiro avanti con fatica. È come se spingessi in avanti qualcosa di pesante.  Questo podcast è anche quindi una risposta a Alexandre su Twitter che mi ha chiesto il significato di “fare fatica a fare qualcosa” . Ecco, la fatica, caro Alexandre,  può essere sia fisica che psicologica,  cioè mentale.

Quando si fa fatica a sollevare qualcosa si tratta di fatica fisica, ma se faccio fatica a fare un lavoro mi riferisco invece allo sforzo mentale, all’impegno che devo mettere in quel lavoro, oppure alla volontà che devo mettere perché magari non mi interessa quel lavoro, non mi interessa ma qualcuno mi ha chiesto di farlo,  oppure non ho la capacità di farlo, è troppo difficile. La fatica quindi può dipendere da molte cose diverse.

Nel caso di tirare a campare si fa fatica a campare, cioè a sopravvivere. Se una persona ha delle difficoltà economiche, cioè ha problemi di denaro, dei seri problemi economici, magari non ha i soldi per acquistare il cibo o per la casa o cose di prima necessità, in questo caso ha senso dire: faccio fatica a tirare avanti, oppure tiro a campare come posso, riesco a tirare a campare. In tal caso si vuole dire che nonostante le difficoltà, vado avanti, sopravvivo ma con fatica. Invece questa frase tirare a campare è spesso usata, direi in modo improprio, per dire: va bene ma potrebbe andare meglio, va bene ma ho dei problemi.  Non sono soddisfatto.

Non ci sono quindi in realtà seri problemi  economici legati alla sopravvivenza, problemi a mangiare o cose del genere. Oppure è solo un modo ironico di rispondere.

Alcune persone hanno infatti  quasi il timore, la paura di dire che tutto va bene, che sono felici di come vadano le cose. Chissà perché. Ed allora rispondono con “si tira a campare“. Forse queste persone hanno paura di attirare troppo l’attenzione e che la loro felicità possa essere motivo di invidia da parte di chi ascolta, oppure rispondono così per non sembrare troppo esagerati e per non vantarsi.  Quindi usiamo il verbo tirare: è  come se noi stessi fossimo spinti a fatica in avanti, come se avessimo mille difficoltà a superare dei problemi.  Ecco perché si usa il verbo tirare. È la vita stessa a cui ci si riferisce. Qui è importante l’uso della preposizione semplice “a“. Tirare a campare. È quindi simile alla frase “riuscire a vivere”  o “riuscire a sopravvivere“. Ecco perché si usa la preposizione “a”. Campare non è però esattamente come vivere o sopravvivere. Campare significa avere cibo a sufficienza per sopravvivere, nonostante mille difficoltà. Tra l’altro il verbo campare è molto usato nelle espressioni idiomatiche italiane: Un altro modo di dire abbastanza diffuso è infatti “campa cavallo che l’erba cresce“. Ma questa frase la spieghiamo la prossima volta in un altro episodio di italiano semplicemente.

Insomma avete capito che tirare a campare è la frase idiomatica di oggi, non molto intuitiva da comprendere. Spero sia riuscito a spiegare bene il senso. Spero anche che non impariate ad usare questa espressione parlando di voi stessi e della vostra situazione personale, anche perché,  secondo me, con questo tipo di risposte si mette anche un po’ in imbarazzo chi fa la domanda: come stai? Ci si aspetta sempre che si risponda: benissimo grazie e tu?

Ciao ragazzi ci vediamo al prossimo podcast di italiano semplicemente.