52 – La formula “Soddisfatti o rimborsati” e i vizi – ITALIANO COMMERCIALE

La formula “Soddisfatti o rimborsati” e i vizi (scarica audio)

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Una delle frasi magiche del commercio, che trovate un po’ dappertutto è “soddisfatti o rimborsati” , che in altre lingue non ha sempre una espressione equivalente con una traduzione letterale.

Si tratta di una garanzia.

È l’abbreviazione di: se non sarete soddisfatti sarete rimborsati.

La soddisfazione è il gradimento, la compiacenza per un fatto positivo: l’acquisto.

Se l’acquisto però non ci soddisfa saremo rimborsati, cioè avremo i nostri soldi indietro.

La formula “SODDISFATTI O RIMBORSATI” garantisce infatti il cliente che effettua un acquisto, quindi spende una certa cifra col rischio che il prodotto non sia esattamente ciò che cercava, o che non soddisfi esattamente le sue aspettative.

Il cliente si sente in qualche modo anche assicurato e rassicurato contro la possibilità che il prodotto abbia vizi di fabbricazione o difetti.

In questo modo ha la facoltà di restituirlo ottenendo il rimborso dell’intera spesa sostenuta.

Allora, apriamo una parentesi sui vizi di fabbricazione.

Di solito il termine “vizi” si usa per le persone. I vizi sono l’opposto delle virtù.

Si possono definire come abitudini radicate, che provocano nelle persone dei bisogni negativi, nocivi, dannosi.

Ad esempio:

Il vizio di bere, di fumare, di giocare.

Con un senso più attenuato, può trattarsi semplicemente di cattive abitudini, di difetti, come il vizio di parlare troppo.

Per non parlare dei vizi capitali, cioè i peccati capitali: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia.

Ma esistono anche i vizi nella vendita (o di fabbricazione) cioè dei difetti della cosa venduta che ne diminuiscono il valore o la rendono non idonea all’utilizzo.

Ci sono, oltre a quelli delle persone e a quelli di vendita, tanti altri tipi di vizi, e soprattutto questo è un termine molto usato nella giurisprudenza.

Ma restando nel mondo del commercio, i vizi di vendita, o vizi di fabbricazione sono i difetti di un prodotto che derivano da un errore nella fabbricazione.

In un negozio di abbigliamento può capitare di trovare il cartello “capi viziati” che indica dei capi d’abbigliamento che hanno alcuni vizi, cioè difetti di fabbricazione, allora vengono messi in vendita ad un prezzo più basso.

Su questi prodotti non troverete chiaramente la garanzia soddisfatti o rimborsati.

Potreste trovare anche il settore “prodotti fallati”. Stesso significato: prodotti tessili o anche altri manufatti che hanno un difetto che ne determina una diminuzione di qualità o di prezzo.

Un pantalone fallato

Una maglia fallata

Ecc.

“Fallati” significa che hanno un fallo, cioè qualcosa che non va, quindi parliamo di un difetto di fabbricazione.

La formula “soddisfatti o rimborsati” però tutela il cliente non solo contro i vizi di fabbricazione ma più in generale nella possibilità che il prodotto non sia soddisfacente.

Si tratta, lo avete capito, di un’iniziativa promozionale.

Ma si tratta anche di una norma.

Dal punto di vista normativo, ci si può avvalere del diritto di recesso o diritto di ripensamento.

Ho appena usato il verbo avvalersi, un verbo che è stato oggetto di spiegazione dettagliata nella sezione dei verbi professionali. Ci si può avvale di un diritto o di una facoltà. Non è obbligatorio pertanto avvalersi del diritto in questione. Già, perché stiamo parlando di un diritto.

Ogni consumatore se ne può avvalere per legge: è il cosiddetto “Codice del consumo”.

Ci sono comunque numerose eccezioni. Se volete approfondire la questione date un’occhiata al decreto legislativo n. 21 dell’anno 2014.

In questo modo, se siete consumatori saprete quando avvalervi del diritto di recesso e se siete commercianti conoscerete cosa comporta questo diritto del consumatore.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

51 – Il saldo – ITALIANO COMMERCIALE

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Dopo aver parlato dell’acconto, nell’episodio 28, è giunto il momento di parlare del saldo.

Abbiamo parlato giustamente prima dell’acconto che del saldo, poiché l’acconto, per definizione, si paga prima del saldo.

Parliamo di pagamenti in cui il venditore e il cliente si accordano per spezzare il pagamento in almeno due parti.

Normalmente si tratta di grosse cifre perché i piccoli importi vengono pagati in un’unica soluzione.

Si dice proprio così quando il pagamento avviene in una sola volta: il pagamento avviene in un’unica soluzione.

Quando invece non avviene un’unica soluzione ma in due o più diverse soluzioni, cioè attraverso due o più pagamenti diversi, il primo pagamento si chiama acconto, come abbiamo visto nell’episodio 28, e l’ultimo si chiama saldo.

Il termine saldo ha più significati, ma in questo caso è il pagamento di ciò che manca per completare il totale dovuto.

Con il saldo, si dice che avviene l’estinzione di un rapporto di credito. Col il saldo si estingue un debito.

Il saldo estingue il debito.

In pratica dopo aver corrisposto (cioè pagato) il saldo, non c’è più il debito.

L’acconto come detto è la parte di debito che si paga all’inizio, quindi prima della sua totale estinzione.

Il pagamento che si effettua quando si paga il saldo si chiama anche “pagamento a saldo“.che si contrappone al “pagamento in acconto”.

Oltre al sostantivo saldo, esiste anche il verbo saldare:

Saldare un conto

Saldare una fattura.

È curioso che saldare è anche semplicemente un sinonimo di pagare. Saldare il conto al ristorante, ad esempio significa semplicemente pagare il dovuto. Possiamo dire anche che saldare significa regolare una questione sospesa.

In questo modo andiamo anche al di là dei pagamenti perché “avere un conto in sospeso” si usa anche in senso figurato.

Notate che non esiste il verbo “accontare” per indicare l’atto di pagare un acconto per l’acquisto di un prodotto.

In questo caso si dice:

Pagare un acconto

Versare un acconto

Pagare in acconto

Saldare significa dunque pagare il rimanente di un conto, portando il saldo a zero. In quel momento non resta più nulla da pagare, quindi il saldo sarà pari a zero.

Quando i pagamenti sono più di due, l’ultimo pagamento si chiama comunque saldo, ma se tutti i pagamenti sono uguali, i singoli pagamenti vengono chiamati rate.

L’acconto è la prima rata e il saldo è l’ultima rata. Si parla di acconto generalmente quando i pagamenti per l’acquisto di un bene o altro sono due (come nel caso del pagamento dell’IRPEF ) e sono di importo diverso.

La differenza rispetto alle rate è però soprattutto un’altra.

Mentre le rate servono a dividere grossi importi impossibili o difficili da pagare in una sola soluzione, l’acconto solo a volte rappresenta un pagamento parziale.

In questi casi casi, il pagamento di un acconto può rappresentare una parte del totale dovuto e il saldo finale può essere pagato in un momento successivo, ma nella maggioranza dei casi il pagamento di un acconto serve a garantire una prenotazione o a dimostrare la buona fede o a finanziare i costi iniziali di processo di produzione.

Ad esempio, quando si prenota una vacanza o si effettua un ordine per un prodotto su misura, si può pagare un acconto per confermare la prenotazione o l’ordine. Così forniamo una garanzia. Tra l’altro, pagando un acconto poi è difficile che cambieremo idea.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

50 – La fruibilità – ITALIANO COMMERCIALE

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Oggi, per la rubrica di Italiano Commerciale, ci occupiamo della fruibilità.

Una questione che ha a che fare con i beni e i servizi.

Come sapete sia beni che i servizi possono essere prodotti e venduti da una azienda o dalla pubblica amministrazione.

La fruibilità è maggiormente usata per i servizi ma si può usare anche per i beni materiali.

Allora, un bene o un servizio si dice fruibile quando è pienamente accessibile dal punto di vista del consumo.

Che significa? Potremmo usare anche aggettivi più semplici al posto di fruibile. Può essere utile dare h un’occhiata alla spiegazione del verbo fruire, che fa parte del corso di Italiano Professionale, ma che ne pensate di disponibile, godibile, usufruibile, utilizzabile?

Se ho acquistato un bene o un servizio ma non sono in grado di utilizzarlo, allora non è fruibile. In pratica è inutile che io lo abbia acquistato perché è inservibile, inutilizzabile.

La fruibilità è un termine più specifico, più professionale.

Se ad esempio utilizzo una piattaforma online per vedere le partite di calcio, quando il sito non è disponibile, quando cioè non posso collegarmi e dunque non posso vedere le partite, posso dire che il servizio in questione non è fruibile o che i contenuti della piattaforma non sono fruibili.

Posso usarlo anche in ambito non strettamente commerciale:

Dopo il completamento dei lavori, tornerà fruibile il teatro.

Da quando è caduto un fulmine vicino alla porta d’ingresso, la biblioteca non è più fruibile.

Probabilmente molti di voi avete più familiarità con usufruire.

Il verbo usufruire si usa sicuramente più spesso di fruire. Si parla di disponibilità all’utilizzo, all’uso. È parecchio simile a adoperabile.

Significa valersi di qualcosa a proprio vantaggio, quindi beneficiare, godere di qualcosa. Usufruire però è più generico, infatti si può usufruire non solo di un servizio o un bene, ma anche di un condono, di un’amnistia, di una disposizione di legge, di un privilegio. È più simile al verbo approfittare. C’è una possibilità di cui si può approfittare.

Posso usufruire della tua casa in tua assenza?

Posso usufruire di un diritto.

Di può usufruire delle agevolazioni concesse da una legge.

Riguardo ai beni e servizi, usufruire è più rivolto a chi può utilizzarli per necessità, mentre fruire si usa più specificamente per indicare il fatto che non ci sono ostacoli all’utilizzo di questi servizi quando sono fruibili.

I servizi sono pienamente disponibili, chi vuole può usufruire di questa possibilità senza incontrare difficoltà. I servizi sono assolutamente fruibili.

Anche la disponibilità è abbastanza simile alla fruibilità, ma è più generica e infatti anche una persona può essere disponibile o indisponibile, non solo un bene o un servizio.

Fruibile non si può usare per descrivere una persona.

All’inizio ho accennato anche alla accessibilità. Va bene usare accessibile al posto di fruibile, ma si tratta di una caratteristica che ha tanti altri utilizzi diversi.

Accessibile infatti vuol dire che questa cosa è di facile accesso, facilmente raggiungibile.

Posso dire ad esempio che un locale/luogo è accessibile con sedia a rotelle (quindi è raggiungibile con una sedia a rotelle), ma in senso figurato ha diversi utilizzi, tutti legati alla facilità.

Se un libro è chiaro e facilmente comprensibile, allora è accessibile a tutti.

Se è facile avvicinare una persona per parlarle, per qualunque motivo, posso parlare di una persona facilmente accessibile.

Anche dei prezzi possono essere accessibili, e questo accade quando sono alla portata di tutti, non solo dei più ricchi. Tutti se lo possono permettere.

Riguardo alle preposizioni da usare sono corrette tutte le seguenti frasi:

Bisogna fare in modo che i musei e i teatri non siano appannaggio di pochi, ma che siano fruibili a tutti.

I luoghi della cultura dovrebbero essere fruibili anche per i disabili.

Il cinema deve essere fruibile da tutti, anche parte dei più giovani, senza automobile.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

49 – La chiusura infrasettimanale – ITALIANO COMMERCIALE

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Oggi, per la rubrica di Italiano Commerciale, ci occupiamo della chiusura infrasettimanale.

Come sapete la chiusura di un negozio è esattamente l’opposto dell’apertura.

Un negozio infatti ci sono giorni in cui è chiuso e altri in cui è aperto. Oggi non ci sono più limitazioni normative riguardo ai giorni in cui un esercito commerciale deve essere aperto o chiuso.

Molti esercizi commerciali chiudono un giorno alla settimana, altri non chiudono praticamente mai, qualcun altro chiude solamente una o due settimane nel periodo estivo.

Non c’è dunque una regola da rispettare da questo punto di vista.

I negozianti sono liberi di alzare e di abbassare la saracinesca nei giorni che ritengono opportuno. Domenica e feste a parte.

In altre parole, i giorni in cui alzare e abbassare la saracinesca sono facoltà del negoziante.

Alzare e abbassare la saracinesca (o serranda), è la modalità che spesso si usa per indicare l’apertura e la chiusura di un negozio.

Saracinesca e serranda sono i termini che si utilizzano, a scelta, per indicare quel serramento metallico di sicurezza usato per chiudere i negozi. Prima si chiude la porta e poi si abbassa la saracinesca.

Le saracinesche oltre che chiudere, impediscono completamente la vista, quindi è una duplice forma di sicurezza perché limitano le tentazioni.

Ad ogni modo, il titolo dell’episodio di oggi è la chiusura infrasettimanale.

Una chiusura infrasettimanale è una chiusura che riguarda uno o più giorni intermedi della settimana.

Non parliamo quindi della domenica, ma solo dei giorni dal lunedì al sabato.
Infrasettimanale è un aggettivo che si può usare anche per altre cose, non solo per la chiusura.

Anche una festività, cioè un giorno di festa, può essere infrasettimanale.

Se dunque una festa cade (cioè capita), o si attua entro la settimana lavorativa, cioè in uno dei giorni dal lunedì al sabato, possiamo chiamarla una festività infrasettimanale.

Anche una vacanza può essere infrasettimanale. Basta partire e tornare dal lunedì al sabato all’interno della stessa settimana.

Spesso poi gli esercizi commerciali usano, in alternativa a “chiusura infrasettimanale”, “riposo infrasettimanale”.

Perché si usa questo prefisso infra?

Infra significa “in mezzo”. Simile quindi a tra e fra.

Ci sono altre parole che ci ricordano questo.

Pensiamo agli infradito.

Gli infradito sono un tipo di calzatura estiva in cui c’è una striscia passante tra l’alluce e il secondo dito. Quindi c’è una striscia che passa tra due dita, quindi “in mezzo”.

Tornando alla chiusura di un esercizio commerciale, questa può essere infrasettimanale se avviene dal lunedì al sabato, oppure si chiama chiusura festiva, ma la chiusura festiva, che avviene di domenica e nei giorni di festa, è in generale obbligatoria, a parte pochissime eccezioni.

Allora ricapitoliamo.

Abbiamo parlato della chiusura e dell’apertura degli esercizi commerciali, e abbiamo detto che quando la chiusura avviene nei giorni dal lunedì al sabato, si chiama infrasettimanale.

Abbiamo parlato della saracinesca (o serranda) che si alza e si abbassa rispettivamente al momento dell’apertura e della chiusura.

Poi si è detto del prefisso “infra” che sta per “in mezzo”.

Infine abbiamo visto l’uso del verbo cadere per indicare che un giorno di festa capita in un determinato giorno.

Un verbo che si usa spesso anche in altre occasioni:

Quest’anno il giorno si Natale cade di lunedì, mentre lo scorso anno è caduto di domenica. Si parla sempre di date o feste periodiche. Molto simile a capitare, come ad indicare che è merito del caso.
Simile anche al verbo ricorrere. Il prefisso ri, d’altronde, ci ricorda la ricorrenza, cioè la periodicità dell’evento.

Avrete notato che si usa la preposizione di (con i giorni) oppure in (con i mesi le possiamo usare entrambe). Ad esempio:

Quest’anno Pasqua cade di (o in) aprile.

È tutto per oggi.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

48 – La trattabilità – ITALIANO COMMERCIALE

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Oggi, per la rubrica di Italiano Commerciale, ci occupiamo della trattabilità.

Ci sono due cose che, in un esercizio commerciale, possono essere intrattabili: i clienti e i prezzi dei prodotti in vendita.

Quando un cliente è intrattabile, come qualsiasi altra persona intrattabile, vuol dire che ha un brutto carattere o che in quel momento si comporta in modo maleducato perché molto nervoso. È difficile capire come trattarlo, come gestirlo, come comportarsi con una persona così.

A noi però interessano maggiormente i prezzi intrattabili.

Qualunque prodotto o servizio in vendita ha un prezzo, e questo prezzo è stato deciso dal venditore, dall’esercente

Ma questo prezzo è trattabile? Un cliente può trattare questo prezzo?

Il prezzo può essere oggetto di trattativa? In poche parole, si può cambiare? Si può modificare? Si può discutere? Si può trovare un accordo tra cliente e negoziante su un prezzo diverso da quello esposto e deciso dal negoziante? Il prezzo può essere abbassato? Questo interessa l cliente.

Nel caso dei prezzi dunque la trattabilità ha a che fare con la trattativa.

La trattativa è proprio il tentativo di trovare un accordo tra le parti (in questo caso sono il cliente e l’esercente). La trattativa è una discussione finalizzata a trovare un punto d’incontro tra le parti. In questo caso il punto d’incontro è il prezzo di un prodotto.

Insomma, questo prezzo è trattabile oppure è intrattabile?

Nei supermercati e nei centri commerciali non c’è possibilità di trattare sui prezzi Il prezzo è quello e bisogna accettarlo), ma nei piccoli negozi è soprattutto nelle vendite online dell’usato o nei mercatini dell’usato, così come nelle applicazioni sul telefono con cui si vendono prodotti (prevalentemente usati) compare spesso, negli annunci di vendita, la dicitura “prezzo intrattabile” oppure “prezzo trattabile”. La bella notizia per il cliente è quando il prezzo è trattabile: si può trattare al ribasso (verso il basso).

Anche negli annunci immobiliari, dove ad essere messi in vendita sono gli appartamenti, a volte si trova tale dicitura, anche se gli appartamenti hanno generalmente sempre un prezzo trattabile, a meno che non si scriva esplicitamente sull’annuncio.

In Italia, negli esercizi commerciali, nessuno esplicita mai la trattabilità dei prezzi attraverso un avviso esposto al pubblico (un cartellino ad esempio). Sarebbe anche poco professionale.

Tuttavia un cliente può sempre provare a cercare un accordo sul prezzo nei piccoli negozi. Si chiede in questi casi uno sconto sul prezzo, cioè un piccolo ribasso del prezzo rispetto a quello esposto.

Può farmi uno sconto?

Solitamente è questa la domanda che si fa.

Quando si acquista un prodotto usato invece si può domandare:

Il prezzo è trattabile?

C’è margine di trattativa?

C’è un margine di trattabilità?

La risposta potrebbe essere:

Sì, c’è un minimo margine di trattativa/trattabilità.

No, mi spiace, il prezzo è intrattabile.

No, nessun margine, mi spiace!

No, mi spiace il prezzo è già ridotto ai minimi termini

Più informale, ma con lo stesso significato, invece è:

No, il prezzo è già ridotto all’osso!

Questa è un’espressione interessante!

Ridurre all’osso un prezzo” fa pensare a un pezzo di carne, come un coscio di pollo, dove non c’è più nulla da mangiare. C’è rimasto solamente l’osso, che come si sa, non si mangia. Quindi un prezzo ridotto all’osso è stato già ridotto al massimo e di conseguenza non si può più abbassare. Un’espressione informale ma molto d’effetto.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

47 – Insoluto – ITALIANO COMMERCIALE

Pagamento insoluto (scarica audio)

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Oggi ci occupiamo ancora una volta dei pagamenti.

Vediamo un aggettivo che spesso viene associato ad un pagamento e ancor di più a un debito: un pagamento insoluto o un debito insoluto o anche un credito insoluto, o una fattura o una bolletta o una rata insoluta.

Insoluto è un aggettivo che non si usa solamente in questi casi, in realtà.

Insoluto infatti sta per “privo di soluzione“, quindi similmente a “irrisolto“.

Si adatta bene a definire, oltre alle questioni economiche anche le “questioni”, in generale:

una questione ancora insoluta

Parliamo sempre in qualche modo di un problema, ma non certamente di un problema matematico. In questo caso irrisolto indica un problema matematico che nessuno ha mai risolto. C’è anche in teoria una sfumatura di differenza rispetto a insoluto, cioè privo di soluzione. Prima che qualcuno la trovi, ovviamente.

Quindi in realtà sono termini pressoché equivalenti.

Insoluto possiamo ugualmente usarlo anche nella matematica, ma meglio riservare questo aggettivo per problemi diversi, di carattere sociale, politico, eccetera.

Usare l’aggettivo irrisolto è spesso comunque la stessa cosa.

Anche quando usiamo la parola problemi, più in generale, sempre meglio usare sicuramente irrisolto, se non è ancora stato risolto, oppure anche irrisolvibile, se è impossibile risolvere questo problema.

Ma quando parliamo di soldi da dare o da prendere, quindi debiti o crediti, insoluto e insoluta sono gli aggettivi più adatti. Anche i pagamenti possono diventare problemi, ma solo quando sono insoluti.

Semplicemente, un pagamento insoluto è un pagamento non effettuato. Un pagamento dovuto ma non soluto, cioè insoluto.

Se un cliente non salda una fattura, abbiamo così un pagamento insoluto.

Abbiamo un credito insoluto del commerciante e un debito insoluto da parte del cliente.

Nei rapporti tra banche e clienti la gestione degli insoluti è un problema molto grande, un rischio importante che prende la banca.

Pensate a tutte le rate insolute dei mutui per l’acquisto di case.

Un commerciante, allo stesso modo, può avere problemi di solvibilità (si chiamano così) e il debitore viene detto insolvente.

Insolvente è colui o colei che non ha provveduto a soddisfare le proprie obbligazioni, che è in stato di insolvenza. In pratica non ha pagato!

Ovviamente esiste solamente il debitore insolvente e non il creditore.

Non confondete poi insolvente con insolente.

Questo è un altro aggettivo che non c’entra nulla con i pagamenti ma ha a che fare con l’insolenza e non con l’insolvenza. L’insolenza è una insopportabile sfacciataggine o arroganza.

Sei proprio un insolente! Come ti permetti di mancarmi di rispetto?

L’insolvenza potrebbe essere confusa anche con l’indolenza, caratteristica ancora diversa poiché esprime una abituale tendenza all’inerzia. Quindi smile all’apatia, alla pigrizia.

Ma torniamo all’insolvenza.

Vi starete chiedendo se esistono anche il credito e il debito soluto.

Ovviamente si, è esattamente il contrario. Il pagamento è stato effettuato in quel caso. E esiste anche il solvente. Di tratta di una persona che è in grado di pagare un debito.

La parola solvente, normalmente, fa pensare ad un liquido, una sostanza che non ha subito il processo di soluzione.

L’acetone e l’acqua ragia sono i solventi più conosciuti. Ma non c’entra nulla con i pagamenti soluti o insoluti.

L’insolvenza dunque cos’è? È la incapacità di far fronte agli impegni finanziari assunti. Cioè è l’incapacità di riuscire a pagare il dovuto.

La solvenza, o meglio, la solvibilità è dunque il contrario dell’insolvenza.

Purtroppo la chimica, in questo caso, ha un vocabolario con parole comuni a quello della finanza. Vi dicevo prima del solvente.

Esiste anche il soluto nella chimica, ma meglio restare nel linguaggio commerciale.

Allora, vediamo alcune frasi per prendere confidenza con questi nuovi termini e cogliamo anche l’occasione per ripassare:

Abbiamo due clienti insolventi. Come facciamo? Lo diciamo al titolare?

La solvibilità è il livello di stabilità finanziaria associato a un’azienda.

La solvibilità è la capacità di un debitore di restituire i suoi debiti alla scadenza.

L’eventuale insolvenza di un cliente può creare problemi a un’azienda.

Anche uno stato può avere problemi di solvibilità

Come recuperare un credito insoluto?

I clienti solventi sono quelli preferiti dagli esercenti.

Il cliente solvente è in grado di pagare un debito.

Questo è l’elenco delle fatture insolute.

Oggi stacco più tardi perché devo recuperare dei crediti insoluti

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

46 – La giacenza- ITALIANO COMMERCIALE

La giacenza (scarica audio)

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Lezione numero 46 di Italiano Commerciale.

Parliamo di giacenza, anzi forse meglio parlare di giacenze, al plurale, che nel mondo del commercio si usa più spesso. Mi riferisco in particolare alle giacenze di magazzino.

Cosa sono? Il magazzino, prima di tutto, è un locale, una stanza, un ambiente chiuso adibito a deposito di merci e materiali vari. Ho utilizzato il verbo adibire perché questa stanza, questo locale viene adibito a deposito, cioè viene destinato all’uso di deposito.

Nel magazzino ci vanno depositate le merci in genere, ma ci possiamo mettere anche attrezzature varie. Soprattutto però nel magazzino ci vanno le scorte, cioè la merce in più, che prima o poi finirà in negozio per essere venduta o che resterà invenduta, cioè non venduta. Il termine scorta, più in generale, indica un accantonamento, una riserva, spesso di viveri (cose da mangiare) o di altri materiali, o anche di denari, atti a far fronte a eventuali necessità.

Si può ad esempio fare scorta di benzina perché potrebbe servire in futuro. “Fare scorta di” qualcosa si usa spessissimo per indicare questo concetto. In ambito commerciale però si tratta fondamentalmente di prodotti, di merce da vendere in un secondo momento. Una sorta di riserva dunque. Ma non è detto che si venderà. Le scorte si tengono quindi nel magazzino e ogni negozio che si rispetti ne ha uno. Questi prodotti stanno fermi nel magazzino in attesa che prima o poi possano servire. Possiamo anche dire che questi prodotti giacciono in magazzino. Si tratta di giacenze di magazzino.

Il verbo giacere si può usare anche per le persone oltre che per gli oggetti. Se qualcosa giace su un ripiano, ad esempio, allora significa che è disposto su un piano orizzontale. Il verbo trasmette un senso di immobilità. Non è un caso che se un corpo giace a terra, significa che non si muove, e spesso si usa questo verbo per dire che questa persona è morta.

Ma restiamo in ambito commerciale. Le giacenze si riferiscono quasi sempre alla merce che sta in magazzino. Si chiama così, come detto, la merce invenduta o accantonata ma esistono anche le giacenze di contante (quindi denaro) non utilizzato.

Dopo aver acquistato i macchinari, quanto abbiamo in giacenza?

Quando si parla di denaro, meglio chiamarla giacenza di cassa, che riguarda più in generale un’azienda, il contante e i valori presenti in cassa (giacente in cassa) alla fine di un dato periodo. Il senso di immobilità in questo caso si riferisce al fatto che questi soldi non sono stati spesi.

Sono rimasti in cassa. Il concetto di giacenza è importante anche perché riguarda anche il bilancio di un’azienda. La questione però rischia di diventare molto complicata e meglio non approfondire più di tanto. Basti sapere che quando registriamo nel nostro bilancio delle spese e delle entrate, dobbiamo far riferimento ad un determinato anno, o meglio ad un determinato “esercizio“. Esercizio 2022, ad esempio.

Si tratta dell’Esercizio amministrativo, cioè l’attività economica svolta da una azienda entro il periodo di un anno. Ebbene, alla fine dell’anno vanno fatte delle modifiche, delle rettifiche, dette “rettifiche di storno”.

Queste rettifiche sono necessarie perché al 31 dicembre di quell’anno ci potrebbero essere dei costi (oppure dei ricavi) che non sono ancora stati completamenti utilizzati.

Questo accade proprio quando ci sono giacenze di magazzino: ci sono dei costi già sostenuti in questo esercizio, che però saranno venduti (o altro) solo nel prossimo esercizio o in quelli successivi.

Ecco allora che bisogna fare le “rettifiche di storno” per fare in modo che queste giacenze siano sistemate da un punto di vista contabile. Lo storno si è capito che, nell’uso contabile, è l’operazione con cui viene rettificata, cioè cambiata, modificata, trasferita (dunque “stornata”) una somma da una voce di spesa a un’altra. Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

10 Domande sull’episodio

  1. Il verbo giacere indica a)mobilità b)immobilità c) vita
  2. Se c’è della merce che giace in magazzino, significa che a) La merce è stata venduta b) si tratta sempre di merce invenduta c) può trattarsi di scorte di magazzino d) potrebbe darsi che nel negozio non c’è spazio a sufficienza
  3. Le scorte di magazzino sono M _ _ _ _ che G_ _ _ _ _ in magazzino
  4. Lo storno è quell’operazione con cui si R _ _ _ _ _ ICA una voce nel bilancio i un’azienda
  5. Rettificare significa a) mettere la merce su un piano b) fare una modifica c) lasciare tutto com’è
  6.   Le rettifiche di _ _ _ _ _ _ si fanno a) a fine anno b) a inizio anno c) nel mese di giugno
  7. Un esercizio finanziario è pari a a) un giorno b)una settimana c) un mese d) un anno
  8. ciò che G_ _ _ _ in cassa si chiama _ _ _ _ _ _ _ _ di cassa
  9. Mettere in magazzino una certa quantità di merce per eventuali esigenze future significa a) fare scorta di merce b) aumentare le giacenze di magazzino c) diminuire le giacenze di cassa
  10. Se siamo nel 2022, il prossimo _ _ _ _ _ _ _ _ _ amministrativo sarà il _ _ _ _ .

Risposte

  1. b)immobilità
  2. c) può trattarsi di scorte di magazzino d) potrebbe darsi che nel negozio non c’è spazio a sufficienza
  3. Le scorte di magazzino sono MERCE che GIACE in magazzino
  4. Lo storno è quell’operazione con cui si RETTIFICA una voce nel bilancio i un’azienda
  5. b) fare una modifica
  6. STORNO, a) a fine ano
  7. d) un anno
  8. ciò che GIACE in cassa si chiama GIACENZA di cassa
  9. a) fare scorta di merce b) aumentare le giacenze di magazzino
  10. Se siamo nel 2022, il prossimo ESERCIZIO amministrativo sarà il 2023.

45 – Il fido bancario – ITALIANO COMMERCIALE

Il fido bancario (scarica)


Trascrizione

Parliamo del fido bancario e del fido commerciale. impariamo nuove terminologie quali: scoperto di conto corrente, la dilazione di pagamento, andare in rosso, a dare sotto e affidamento

 Disponibile ai soli membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

ISCRIVITIENTRA

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40 – Le migliorie – ITALIANO COMMERCIALE

Le migliorie

Episodio disponibile per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente (ENTRA)

Se non sei membro ma ami la lingua italiana puoi registrarti qui

 

Descrizione

Vediamo la miglioria e l’utilizzo appropriato dei verbi apportare e presentare.

38 – A carico – ITALIANO COMMERCIALE

 “A CARICO”

indice degli episodi

Episodio disponibile per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

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Descrizione

Quando si parla di pagamenti, a volte si deve indicare una spesa dicendo anche chi deve fare questa spesa. Spesso poi c’è il dubbio su chi debba effettuare questa spesa o questo pagamento. Vediamo come usare la locuzione ” a carico” e anche alcuni verbi utili, come spettare, competere, toccare, sopportare e accollarsi.

PER STUDENTI NON MADRELINGUA