52 – La formula “Soddisfatti o rimborsati” e i vizi – ITALIANO COMMERCIALE

La formula “Soddisfatti o rimborsati” e i vizi (scarica audio)

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Una delle frasi magiche del commercio, che trovate un po’ dappertutto è “soddisfatti o rimborsati” , che in altre lingue non ha sempre una espressione equivalente con una traduzione letterale.

Si tratta di una garanzia.

È l’abbreviazione di: se non sarete soddisfatti sarete rimborsati.

La soddisfazione è il gradimento, la compiacenza per un fatto positivo: l’acquisto.

Se l’acquisto però non ci soddisfa saremo rimborsati, cioè avremo i nostri soldi indietro.

La formula “SODDISFATTI O RIMBORSATI” garantisce infatti il cliente che effettua un acquisto, quindi spende una certa cifra col rischio che il prodotto non sia esattamente ciò che cercava, o che non soddisfi esattamente le sue aspettative.

Il cliente si sente in qualche modo anche assicurato e rassicurato contro la possibilità che il prodotto abbia vizi di fabbricazione o difetti.

In questo modo ha la facoltà di restituirlo ottenendo il rimborso dell’intera spesa sostenuta.

Allora, apriamo una parentesi sui vizi di fabbricazione.

Di solito il termine “vizi” si usa per le persone. I vizi sono l’opposto delle virtù.

Si possono definire come abitudini radicate, che provocano nelle persone dei bisogni negativi, nocivi, dannosi.

Ad esempio:

Il vizio di bere, di fumare, di giocare.

Con un senso più attenuato, può trattarsi semplicemente di cattive abitudini, di difetti, come il vizio di parlare troppo.

Per non parlare dei vizi capitali, cioè i peccati capitali: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia.

Ma esistono anche i vizi nella vendita (o di fabbricazione) cioè dei difetti della cosa venduta che ne diminuiscono il valore o la rendono non idonea all’utilizzo.

Ci sono, oltre a quelli delle persone e a quelli di vendita, tanti altri tipi di vizi, e soprattutto questo è un termine molto usato nella giurisprudenza.

Ma restando nel mondo del commercio, i vizi di vendita, o vizi di fabbricazione sono i difetti di un prodotto che derivano da un errore nella fabbricazione.

In un negozio di abbigliamento può capitare di trovare il cartello “capi viziati” che indica dei capi d’abbigliamento che hanno alcuni vizi, cioè difetti di fabbricazione, allora vengono messi in vendita ad un prezzo più basso.

Su questi prodotti non troverete chiaramente la garanzia soddisfatti o rimborsati.

Potreste trovare anche il settore “prodotti fallati”. Stesso significato: prodotti tessili o anche altri manufatti che hanno un difetto che ne determina una diminuzione di qualità o di prezzo.

Un pantalone fallato

Una maglia fallata

Ecc.

“Fallati” significa che hanno un fallo, cioè qualcosa che non va, quindi parliamo di un difetto di fabbricazione.

La formula “soddisfatti o rimborsati” però tutela il cliente non solo contro i vizi di fabbricazione ma più in generale nella possibilità che il prodotto non sia soddisfacente.

Si tratta, lo avete capito, di un’iniziativa promozionale.

Ma si tratta anche di una norma.

Dal punto di vista normativo, ci si può avvalere del diritto di recesso o diritto di ripensamento.

Ho appena usato il verbo avvalersi, un verbo che è stato oggetto di spiegazione dettagliata nella sezione dei verbi professionali. Ci si può avvale di un diritto o di una facoltà. Non è obbligatorio pertanto avvalersi del diritto in questione. Già, perché stiamo parlando di un diritto.

Ogni consumatore se ne può avvalere per legge: è il cosiddetto “Codice del consumo”.

Ci sono comunque numerose eccezioni. Se volete approfondire la questione date un’occhiata al decreto legislativo n. 21 dell’anno 2014.

In questo modo, se siete consumatori saprete quando avvalervi del diritto di recesso e se siete commercianti conoscerete cosa comporta questo diritto del consumatore.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

51 – Il saldo – ITALIANO COMMERCIALE

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Dopo aver parlato dell’acconto, nell’episodio 28, è giunto il momento di parlare del saldo.

Abbiamo parlato giustamente prima dell’acconto che del saldo, poiché l’acconto, per definizione, si paga prima del saldo.

Parliamo di pagamenti in cui il venditore e il cliente si accordano per spezzare il pagamento in almeno due parti.

Normalmente si tratta di grosse cifre perché i piccoli importi vengono pagati in un’unica soluzione.

Si dice proprio così quando il pagamento avviene in una sola volta: il pagamento avviene in un’unica soluzione.

Quando invece non avviene un’unica soluzione ma in due o più diverse soluzioni, cioè attraverso due o più pagamenti diversi, il primo pagamento si chiama acconto, come abbiamo visto nell’episodio 28, e l’ultimo si chiama saldo.

Il termine saldo ha più significati, ma in questo caso è il pagamento di ciò che manca per completare il totale dovuto.

Con il saldo, si dice che avviene l’estinzione di un rapporto di credito. Col il saldo si estingue un debito.

Il saldo estingue il debito.

In pratica dopo aver corrisposto (cioè pagato) il saldo, non c’è più il debito.

L’acconto come detto è la parte di debito che si paga all’inizio, quindi prima della sua totale estinzione.

Il pagamento che si effettua quando si paga il saldo si chiama anche “pagamento a saldo“.che si contrappone al “pagamento in acconto”.

Oltre al sostantivo saldo, esiste anche il verbo saldare:

Saldare un conto

Saldare una fattura.

È curioso che saldare è anche semplicemente un sinonimo di pagare. Saldare il conto al ristorante, ad esempio significa semplicemente pagare il dovuto. Possiamo dire anche che saldare significa regolare una questione sospesa.

In questo modo andiamo anche al di là dei pagamenti perché “avere un conto in sospeso” si usa anche in senso figurato.

Notate che non esiste il verbo “accontare” per indicare l’atto di pagare un acconto per l’acquisto di un prodotto.

In questo caso si dice:

Pagare un acconto

Versare un acconto

Pagare in acconto

Saldare significa dunque pagare il rimanente di un conto, portando il saldo a zero. In quel momento non resta più nulla da pagare, quindi il saldo sarà pari a zero.

Quando i pagamenti sono più di due, l’ultimo pagamento si chiama comunque saldo, ma se tutti i pagamenti sono uguali, i singoli pagamenti vengono chiamati rate.

L’acconto è la prima rata e il saldo è l’ultima rata. Si parla di acconto generalmente quando i pagamenti per l’acquisto di un bene o altro sono due (come nel caso del pagamento dell’IRPEF ) e sono di importo diverso.

La differenza rispetto alle rate è però soprattutto un’altra.

Mentre le rate servono a dividere grossi importi impossibili o difficili da pagare in una sola soluzione, l’acconto solo a volte rappresenta un pagamento parziale.

In questi casi casi, il pagamento di un acconto può rappresentare una parte del totale dovuto e il saldo finale può essere pagato in un momento successivo, ma nella maggioranza dei casi il pagamento di un acconto serve a garantire una prenotazione o a dimostrare la buona fede o a finanziare i costi iniziali di processo di produzione.

Ad esempio, quando si prenota una vacanza o si effettua un ordine per un prodotto su misura, si può pagare un acconto per confermare la prenotazione o l’ordine. Così forniamo una garanzia. Tra l’altro, pagando un acconto poi è difficile che cambieremo idea.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

50 – La fruibilità – ITALIANO COMMERCIALE

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Oggi, per la rubrica di Italiano Commerciale, ci occupiamo della fruibilità.

Una questione che ha a che fare con i beni e i servizi.

Come sapete sia beni che i servizi possono essere prodotti e venduti da una azienda o dalla pubblica amministrazione.

La fruibilità è maggiormente usata per i servizi ma si può usare anche per i beni materiali.

Allora, un bene o un servizio si dice fruibile quando è pienamente accessibile dal punto di vista del consumo.

Che significa? Potremmo usare anche aggettivi più semplici al posto di fruibile. Può essere utile dare h un’occhiata alla spiegazione del verbo fruire, che fa parte del corso di Italiano Professionale, ma che ne pensate di disponibile, godibile, usufruibile, utilizzabile?

Se ho acquistato un bene o un servizio ma non sono in grado di utilizzarlo, allora non è fruibile. In pratica è inutile che io lo abbia acquistato perché è inservibile, inutilizzabile.

La fruibilità è un termine più specifico, più professionale.

Se ad esempio utilizzo una piattaforma online per vedere le partite di calcio, quando il sito non è disponibile, quando cioè non posso collegarmi e dunque non posso vedere le partite, posso dire che il servizio in questione non è fruibile o che i contenuti della piattaforma non sono fruibili.

Posso usarlo anche in ambito non strettamente commerciale:

Dopo il completamento dei lavori, tornerà fruibile il teatro.

Da quando è caduto un fulmine vicino alla porta d’ingresso, la biblioteca non è più fruibile.

Probabilmente molti di voi avete più familiarità con usufruire.

Il verbo usufruire si usa sicuramente più spesso di fruire. Si parla di disponibilità all’utilizzo, all’uso. È parecchio simile a adoperabile.

Significa valersi di qualcosa a proprio vantaggio, quindi beneficiare, godere di qualcosa. Usufruire però è più generico, infatti si può usufruire non solo di un servizio o un bene, ma anche di un condono, di un’amnistia, di una disposizione di legge, di un privilegio. È più simile al verbo approfittare. C’è una possibilità di cui si può approfittare.

Posso usufruire della tua casa in tua assenza?

Posso usufruire di un diritto.

Di può usufruire delle agevolazioni concesse da una legge.

Riguardo ai beni e servizi, usufruire è più rivolto a chi può utilizzarli per necessità, mentre fruire si usa più specificamente per indicare il fatto che non ci sono ostacoli all’utilizzo di questi servizi quando sono fruibili.

I servizi sono pienamente disponibili, chi vuole può usufruire di questa possibilità senza incontrare difficoltà. I servizi sono assolutamente fruibili.

Anche la disponibilità è abbastanza simile alla fruibilità, ma è più generica e infatti anche una persona può essere disponibile o indisponibile, non solo un bene o un servizio.

Fruibile non si può usare per descrivere una persona.

All’inizio ho accennato anche alla accessibilità. Va bene usare accessibile al posto di fruibile, ma si tratta di una caratteristica che ha tanti altri utilizzi diversi.

Accessibile infatti vuol dire che questa cosa è di facile accesso, facilmente raggiungibile.

Posso dire ad esempio che un locale/luogo è accessibile con sedia a rotelle (quindi è raggiungibile con una sedia a rotelle), ma in senso figurato ha diversi utilizzi, tutti legati alla facilità.

Se un libro è chiaro e facilmente comprensibile, allora è accessibile a tutti.

Se è facile avvicinare una persona per parlarle, per qualunque motivo, posso parlare di una persona facilmente accessibile.

Anche dei prezzi possono essere accessibili, e questo accade quando sono alla portata di tutti, non solo dei più ricchi. Tutti se lo possono permettere.

Riguardo alle preposizioni da usare sono corrette tutte le seguenti frasi:

Bisogna fare in modo che i musei e i teatri non siano appannaggio di pochi, ma che siano fruibili a tutti.

I luoghi della cultura dovrebbero essere fruibili anche per i disabili.

Il cinema deve essere fruibile da tutti, anche parte dei più giovani, senza automobile.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

49 – La chiusura infrasettimanale – ITALIANO COMMERCIALE

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Oggi, per la rubrica di Italiano Commerciale, ci occupiamo della chiusura infrasettimanale.

Come sapete la chiusura di un negozio è esattamente l’opposto dell’apertura.

Un negozio infatti ci sono giorni in cui è chiuso e altri in cui è aperto. Oggi non ci sono più limitazioni normative riguardo ai giorni in cui un esercito commerciale deve essere aperto o chiuso.

Molti esercizi commerciali chiudono un giorno alla settimana, altri non chiudono praticamente mai, qualcun altro chiude solamente una o due settimane nel periodo estivo.

Non c’è dunque una regola da rispettare da questo punto di vista.

I negozianti sono liberi di alzare e di abbassare la saracinesca nei giorni che ritengono opportuno. Domenica e feste a parte.

In altre parole, i giorni in cui alzare e abbassare la saracinesca sono facoltà del negoziante.

Alzare e abbassare la saracinesca (o serranda), è la modalità che spesso si usa per indicare l’apertura e la chiusura di un negozio.

Saracinesca e serranda sono i termini che si utilizzano, a scelta, per indicare quel serramento metallico di sicurezza usato per chiudere i negozi. Prima si chiude la porta e poi si abbassa la saracinesca.

Le saracinesche oltre che chiudere, impediscono completamente la vista, quindi è una duplice forma di sicurezza perché limitano le tentazioni.

Ad ogni modo, il titolo dell’episodio di oggi è la chiusura infrasettimanale.

Una chiusura infrasettimanale è una chiusura che riguarda uno o più giorni intermedi della settimana.

Non parliamo quindi della domenica, ma solo dei giorni dal lunedì al sabato.
Infrasettimanale è un aggettivo che si può usare anche per altre cose, non solo per la chiusura.

Anche una festività, cioè un giorno di festa, può essere infrasettimanale.

Se dunque una festa cade (cioè capita), o si attua entro la settimana lavorativa, cioè in uno dei giorni dal lunedì al sabato, possiamo chiamarla una festività infrasettimanale.

Anche una vacanza può essere infrasettimanale. Basta partire e tornare dal lunedì al sabato all’interno della stessa settimana.

Spesso poi gli esercizi commerciali usano, in alternativa a “chiusura infrasettimanale”, “riposo infrasettimanale”.

Perché si usa questo prefisso infra?

Infra significa “in mezzo”. Simile quindi a tra e fra.

Ci sono altre parole che ci ricordano questo.

Pensiamo agli infradito.

Gli infradito sono un tipo di calzatura estiva in cui c’è una striscia passante tra l’alluce e il secondo dito. Quindi c’è una striscia che passa tra due dita, quindi “in mezzo”.

Tornando alla chiusura di un esercizio commerciale, questa può essere infrasettimanale se avviene dal lunedì al sabato, oppure si chiama chiusura festiva, ma la chiusura festiva, che avviene di domenica e nei giorni di festa, è in generale obbligatoria, a parte pochissime eccezioni.

Allora ricapitoliamo.

Abbiamo parlato della chiusura e dell’apertura degli esercizi commerciali, e abbiamo detto che quando la chiusura avviene nei giorni dal lunedì al sabato, si chiama infrasettimanale.

Abbiamo parlato della saracinesca (o serranda) che si alza e si abbassa rispettivamente al momento dell’apertura e della chiusura.

Poi si è detto del prefisso “infra” che sta per “in mezzo”.

Infine abbiamo visto l’uso del verbo cadere per indicare che un giorno di festa capita in un determinato giorno.

Un verbo che si usa spesso anche in altre occasioni:

Quest’anno il giorno si Natale cade di lunedì, mentre lo scorso anno è caduto di domenica. Si parla sempre di date o feste periodiche. Molto simile a capitare, come ad indicare che è merito del caso.
Simile anche al verbo ricorrere. Il prefisso ri, d’altronde, ci ricorda la ricorrenza, cioè la periodicità dell’evento.

Avrete notato che si usa la preposizione di (con i giorni) oppure in (con i mesi le possiamo usare entrambe). Ad esempio:

Quest’anno Pasqua cade di (o in) aprile.

È tutto per oggi.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

48 – La trattabilità – ITALIANO COMMERCIALE

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Oggi, per la rubrica di Italiano Commerciale, ci occupiamo della trattabilità.

Ci sono due cose che, in un esercizio commerciale, possono essere intrattabili: i clienti e i prezzi dei prodotti in vendita.

Quando un cliente è intrattabile, come qualsiasi altra persona intrattabile, vuol dire che ha un brutto carattere o che in quel momento si comporta in modo maleducato perché molto nervoso. È difficile capire come trattarlo, come gestirlo, come comportarsi con una persona così.

A noi però interessano maggiormente i prezzi intrattabili.

Qualunque prodotto o servizio in vendita ha un prezzo, e questo prezzo è stato deciso dal venditore, dall’esercente

Ma questo prezzo è trattabile? Un cliente può trattare questo prezzo?

Il prezzo può essere oggetto di trattativa? In poche parole, si può cambiare? Si può modificare? Si può discutere? Si può trovare un accordo tra cliente e negoziante su un prezzo diverso da quello esposto e deciso dal negoziante? Il prezzo può essere abbassato? Questo interessa l cliente.

Nel caso dei prezzi dunque la trattabilità ha a che fare con la trattativa.

La trattativa è proprio il tentativo di trovare un accordo tra le parti (in questo caso sono il cliente e l’esercente). La trattativa è una discussione finalizzata a trovare un punto d’incontro tra le parti. In questo caso il punto d’incontro è il prezzo di un prodotto.

Insomma, questo prezzo è trattabile oppure è intrattabile?

Nei supermercati e nei centri commerciali non c’è possibilità di trattare sui prezzi Il prezzo è quello e bisogna accettarlo), ma nei piccoli negozi è soprattutto nelle vendite online dell’usato o nei mercatini dell’usato, così come nelle applicazioni sul telefono con cui si vendono prodotti (prevalentemente usati) compare spesso, negli annunci di vendita, la dicitura “prezzo intrattabile” oppure “prezzo trattabile”. La bella notizia per il cliente è quando il prezzo è trattabile: si può trattare al ribasso (verso il basso).

Anche negli annunci immobiliari, dove ad essere messi in vendita sono gli appartamenti, a volte si trova tale dicitura, anche se gli appartamenti hanno generalmente sempre un prezzo trattabile, a meno che non si scriva esplicitamente sull’annuncio.

In Italia, negli esercizi commerciali, nessuno esplicita mai la trattabilità dei prezzi attraverso un avviso esposto al pubblico (un cartellino ad esempio). Sarebbe anche poco professionale.

Tuttavia un cliente può sempre provare a cercare un accordo sul prezzo nei piccoli negozi. Si chiede in questi casi uno sconto sul prezzo, cioè un piccolo ribasso del prezzo rispetto a quello esposto.

Può farmi uno sconto?

Solitamente è questa la domanda che si fa.

Quando si acquista un prodotto usato invece si può domandare:

Il prezzo è trattabile?

C’è margine di trattativa?

C’è un margine di trattabilità?

La risposta potrebbe essere:

Sì, c’è un minimo margine di trattativa/trattabilità.

No, mi spiace, il prezzo è intrattabile.

No, nessun margine, mi spiace!

No, mi spiace il prezzo è già ridotto ai minimi termini

Più informale, ma con lo stesso significato, invece è:

No, il prezzo è già ridotto all’osso!

Questa è un’espressione interessante!

Ridurre all’osso un prezzo” fa pensare a un pezzo di carne, come un coscio di pollo, dove non c’è più nulla da mangiare. C’è rimasto solamente l’osso, che come si sa, non si mangia. Quindi un prezzo ridotto all’osso è stato già ridotto al massimo e di conseguenza non si può più abbassare. Un’espressione informale ma molto d’effetto.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

Esprimere le proprie competenze – ITALIANO PROFESSIONALE (n. 38)

Italiano Professionale

Sezione n. 4: lavorare in Italia

Esprimere le proprie competenze (episodio n. 38)

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Bentornati alla quarta sezione del corso di Italiano Professionale.

Per la sezione “lavorare in Italia”, vediamo come esprimere le proprie competenze, in particolare in forma scritta.

Nella prima sezione del corso abbiamo infatti affrontato lo stesso argomento dal punto di vista delle espressioni idiomatiche. In quell’occasione abbiamo visto espressioni come “essere alle prime armi”, “andare a nozze”, “cavarsela”, “fare del proprio meglio”, “prendere la mano“, e altre espressioni comunemente usate nella forma orale, quindi a voce.

Quando scriviamo un curriculum però, cioè quando dobbiamo tracciare il nostro profilo per iscritto, le cose sono diverse. Ci sono infatti delle formule più o meno standard per scrivere le proprie professionalità e descrivere le proprie competenze nei vari ambiti professionali.

Cominciamo nel dire che la parte del curriculum europeo che ci interessa maggiormente oggi è quella denominata “profilo professionale” e “esperienze lavorative

Nell’ultimo episodio vi ho parlato proprio del profilo e di cosa si intende esattamente per profilo professionale.

Oggi vediamo alcuni esempi di come compilare queste due parti.

Si tratta, nel caso del profilo professionale, di descrivere in massimo due o tre righe la propria professionalità, le competenze organizzative e gestionali, personali e anche tecniche.

Ovviamente questo mix varia a seconda del settore e della posizione in cui ci si candida. Ci sono alcuni segreti per decidere cosa inserire nel tuo curriculum e cosa, invece, è meglio omettere. Mi raccomando di non scrivere in prima persona, tipo “sono abile a fare questo, riesco a fare quest’altro”, “Sono un organizzatore…”, ma semplicemente “abile nel…”, “Particolarmente capace in…”, “Organizzatore…”

Esperto in bilancio, coordinatore nella redazione di documenti aziendali, orientato all’obiettivo, desideroso di migliorare la produttività del team e massimizzare la soddisfazione della clientela. Abile nello svolgere funzioni amministrative e finanziarie di back-office. Particolarmente capace in ambienti dai ritmi serrati con predisposizione mentale al lavoro intenso.

Il verbo massimizzare è interessante perché generalmente significa “portare qualcosa al limite massimo”. In questo caso si parla della massimizzazione della soddisfazione della clientela. Se ci tratto io quindi, i clienti quindi non potrebbero essere più soddisfatti di così. 🙂

Ma questa non è l’unica cosa che si può massimizzare. La maggior parte delle volte si parla in realtà di massimizzare i profitti di una azienda, che è forse l’unica cosa che interessa veramente l’azienda. Si può massimizzare il rendimento di un gruppo di lavoro, o il suo benessere, ma probabilmente la massimizzazione della soddisfazione della clientela è quella più utilizzata nei curricula.

Si possono anche però “massimizzare i tempi“. Interessante il senso di questo verbo in questo caso specifico. Si potrebbe pensare che sia lo stesso che ottimizzare i tempi. Facile confondere questi due verbi: ottimizzare e massimizzare. In realtà mentre l’ottimizzazione dei tempi è fare qualcosa nel minor tempo possibile, la massimizzazione dei tempi consiste nel metterci il tempo giusto, quello che ci vuole, quello necessario per fare bene un lavoro, che quindi potrebbe anche essere maggiore rispetto all’ottimizzazione, così il lavoro è di migliore qualità.

Questo per dirvi che è certamente meglio usare il verbo massimizzare, piuttosto che ottimizzare se parliamo di “tempi” da impiegare nel fare qualche attività. La differenza è comunque molto sottile e non si fa un grosso errore in questo caso.

es:

  • Ottimizzazione delle spese e massimizzazione dei tempi di attività

Nell’esempio sopra si legge poi “orientato all’obiettivo“. Questa è una formula che sottolinea la cosa su cui siete maggiormente concentrati quando lavorate. Ciò che conta è l’obiettivo, cioè il risultato finale.

Nel corso della seconda lezione del corso abbiamo visto espressioni come “badare al sodo”, badare alla sostanza” “quagliare”, bando alle ciance” ed altre ancora, con cui informalmente si esprime il senso opposto rispetto a “orientato all’obiettivo”. Chi è orientato all’obiettivo è come se avesse una bussola con l’indicazione dell’obiettivo e seguisse sempre quella direzione.

L’orientamento all’obiettivo o al risultato. Si possono usare entrambe le formule. Si tratta quindi di una disposizione alla costante considerazione degli obiettivi lavorativi.

Anche il termine “disposizione” si adatta benissimo a descrivere le proprie competenze professionali. Quando dico che ho una disposizione, in ambito professionale significa avere una Inclinazione, attitudine evidente su un piano professionale, ma si potrebbe parlare anche di piano affettivo, morale, intellettuale.

Un insegnante potrebbe scrivere che ha una naturale/innata disposizione a prendersi cura di giovani studenti.

Più in generale, competenze come: capacità di lavorare sotto stress, l’orientamento al lavoro di squadra, problem solving, flessibilità, disposizione alla leadership, orientamento all’obiettivo etc. sono le cosiddette “soft skills”, ovvero le competenze trasversali favorevolmente spendibili in qualsiasi ambito di lavoro.

Possiamo dire che se le competenze tecniche (o anche quelle linguistiche, digitali etc.) riguardano la capacità concreta di svolgere alcuni lavori, le competenze trasversali sono invece competenze che riguardano la modalità con cui si lavora.

Si chiamano “trasversali” perché riguardano più aspetti e più attività lavorative, quindi servono sempre, qualunque sia il lavoro di cui parliamo.

Ecco dunque altre modalità adatte alla forma scritta, oltre a quella che abbiamo visto sull’orientamento al risultato.

Si potrebbe scrivere ad esempio la “Capacità di analisi e di attenzione al dettaglio”, evidenziando in questo modo che non siamo dei superficiali e che invece sappiamo porre attenzione al dettaglio se vogliamo.

Potremo evidenziare la nostra “Capacità organizzativa”: ossia la capacità di utilizzare al meglio le risorse che abbiamo a disposizione ai fini del raggiungimento dell’obiettivo. Quindi parliamo della strategia da elaborare.

Va molto di moda anche la “Capacità di problem solving”, formula inglese che significa capacità di trovare la soluzione dei problemi, soprattutto inaspettati che possono sorgere; la capacità di far fronte ad una emergenza con delle strategie ogni volta diverse e adattate al momento. Questo è il problem solving.

Nel profilo può essere richiesta anche la creatività. Anche questa è una disposizione, è la disposizione all’innovazione, quindi sottolinea la capacità di vedere il mondo da diverse prospettive. Questa competenza serve per migliorare costantemente il proprio lavoro, anche quando tutto sembra già funzionare per il meglio.

Per ruoli importanti come il manager, quindi per chi deve dirigere uffici o coordinare personale, è importante sottolineare la propria “Capacità di leadership”. Ancora una formula inglese molto gettonata per sottolineare la capacità di porsi come leader, assumendosi le giuste responsabilità e aiutando gli altri a raggiungere gli obiettivi in un clima di fiducia, collaborazione e di comunione di intenti. Un’espressione questa che abbiamo visto parlando di unione e condivisione, nella lezione n. 12.

Per alcuni profili può essere importante evidenziare la propria “Capacità di negoziazione”.

Negoziare significa trattare, contrattare, condurre una trattativa. Quindi saper negoziare vuol dire tenere in considerazione le nostre volontà, i propri obiettivi, le proprie aspirazioni, le proprie istanze (termine più formale) e quelle delle controparti. Si può negoziare con i clienti, con i fornitori e con i membri del proprio gruppo.

Le “Capacità relazionali e comunicative” sono poi importantissime perché significa saper controllare i propri sentimenti e di volta in volta sapersi adeguare alla situazione specifica. Saper curare le relazioni umane e professionali, sapersi esprimere nel modo giusto, con la giusta sensibilità e efficacia.

Una domanda che spesso fanno durante un colloquio è poi relativa alla “Predisposizione al lavoro di squadra”.

Conviene sempre scrivere questa qualità, se posseduta e se è capitato di lavorare in una squadra nelle passate esperienze lavorative.

La “predisposizione” è in pratica come la “disposizione” per come l’abbiamo spiegata poco sopra.

Difficile infatti che gli obiettivi da raggiungere siano del singolo lavoratore. In genere gli obiettivi sono comuni e quindi della squadra, dello staff.

Saper rispettare il proprio ruolo, saper chiedere aiuto quando serve, saper dare aiuto agli altri al bisogno. Si parla di questo.

Di contro, per altri lavori potrebbe essere più richiesta la “Capacità di lavorare in autonomia”, cioè lavorare autonomamente quando necessario, senza cioè dover far riferimento ad altri. L’autonomia è una competenza molto apprezzata in molti casi.

Se poi si ha a che fare con i clienti, “l’Orientamento al cliente” è un secondo tipo di orientamento dopo quello al risultato. Essere orientati al cliente significa concentrarsi al fine di soddisfarlo.

Parliamo quindi della capacità di soddisfare le sue esigenze, mettendo in secondo piano le nostre, perché, come si sa, il cliente ha sempre ragione. Così si dice, anche se non sempre è vero.

Flessibilità e adattabilità sono altre due caratteristiche importanti.

Se ho una personalità flessibile e adattabile, non sono rigido e dunque sono disposto a cambiare approccio e modalità lavorative se necessario. senza troppi problemi.

Nell’esempio che vi ho fatto all’inizio, c’è la frase: “Particolarmente capace in ambienti dai ritmi serrati con predisposizione mentale al lavoro intenso.”

Parliamo della “Capacità di lavorare sotto pressione“, o, detta in altro modo, la “Tolleranza allo stress”:.

Soprattutto nei lavori in cui si devono rispettare categoricamente delle scadenze, o quando ci sono periodi particolarmente intensi di lavoro, dal lavoro al ristorante fino ad arrivare al funzionario della comunità europea, saper sopportare la fatica, lo stress rispettando i tempi senza perdere il controllo è senza dubbio una delle principali caratteristiche ricercate.

Ci siamo occupati del “controllo” già in due episodi del corso. La lezione n. 7, proprio al controllo (abbiamo visto diverse espressioni da usare) e poi in un episodio chiamato il controllo e la programmazione del lavoro in cui abbiamo usato queste espressioni con l’aiuto di Daria, un membro dell’associazione Italiano Semplicemente.

E’ importante, quando si mette per iscritto il proprio profilo professionale, usare i termini giusti che sono quelli brevemente sintetizzati sopra.

Le espressioni che abbiamo visto nella prima parte del corso, ripeto, sono adatte maggiormente ad una presentazione orale, anche se spesso vi ho anche presentato delle modalità più formali.

I “ritmi serrati” – sicuramente vi aspettate che spenda due parole su questo – sono i ritmi di lavoro, che possono avere un andamento rapido, incalzante, Spesso non si ha molto tempo per pensare e occorre prendere decisioni velocemente. Per questo sono detti serrati.

Riguardo alle capacità tecniche, parliamo delle cosiddette hard skills, che dipendono dal bagaglio formativo e dalle esperienze lavorative pregresse. Queste sono più specifiche al lavoro che state cercando – diversamente dalle capacità trasversali che sono richieste per tutte le attività.

In questi casi le formule sono più variabili, ma posso consigliarvi di usare alcuni termini e alcune formule tra le più generiche:

  • Dimestichezza con il pacchetto Office (della dimestichezza abbiamo parlato in un episodio dedicato alla gestione dei rischi aziendali)
  • Solide competenze nell’utilizzo di un software specifico
  • Elevate competenze tecniche inerenti al settore informatico (è importante usare sempre la preposizione “a”)
“Inerenti al settore informatico” – ad esempio – significa relative, attinenti, o “che riguardano” il settore informatico.

  • Alta professionalità nel settore dei servizi sportivi
  • Profonda conoscenza delle procedure necessarie per ottenere le migliori performance di analisi ambientali.
  • Maturata esperienza nel settore immobiliare
  • Attività pluriennale nella redazione di documenti scientifici

In settori specifici è particolarmente importante usare i termini settoriali. Se ad esempio siete un ingegnere:

  • trasformazione
  • gestione
  • pianificazione
  • elaborazione
  • progettazione

In alcuni mestieri poi è molto importante un “dettaglio” finale: “automunito/a“. In pratica siete muniti di automobile. Questo è il senso. Il che significa che avete una automobile e potete utilizzarla nel vostro lavoro. pensate alla babysitter, alla badante, all’adetto alle consegne eccetera.

Ci vediamo alla prossima lezione di Italiano Professionale e ricordo a tutti che per accedere all’intero corso occorre diventare membri dell’associazione Italiano Semplicemente. In alternativa, se siete interessati solamente alle lezioni di Italiano Professionale, si possono anche acquistare i libri su Amazon o sul sito di Italiano Semplicemente.

Un saluto a tutti.

Il profilo – ITALIANO PROFESSIONALE (n. 37)

Italiano Professionale

Sezione n. 4: lavorare in Italia

Il profilo (episodio n. 37) – (scarica audio)

Trascrizione

Bentornati alla quarta sezione del corso di Italiano Professionale.

In questa sezione, lo ricordo, l’argomento è “lavorare in Italia”.

Nel passato episodio abbiamo parlato del Curriculum e dei verbi redigere, scrivere e compilare.

Siamo quindi in un momento particolare, quello della nostra presentazione.

Vi ho anche detto che ciò che emerge, una volta redatto il curriculum, è il cosiddetto profilo professionale di una persona.

Conviene aprire una parentesi sul termine profilo.

Nel nostro caso, quindi in ambito professionale, parliamo del profilo professionale, vale a dire dell’insieme delle attività e delle caratteristiche che definiscono, che caratterizzano una persona. In realtà si parla spesso di “figura professionale” della quale un’azienda è alla ricerca.

Una figura professionale non è una persona fisica, ma rappresenta delle caratteristiche, una persona ipotetica che ha certe caratteristiche, quindi rappresenta un certo profilo professionale.

Per questo motivo al posto di “profilo professionale“, possiamo parlare anche di “figura professionale“. Sono due modi per descrivere una professionalità, una persona con specifiche caratteristiche professionali.

Si tratta di una sintetica descrizione delle mansioni e della professionalità necessarie a svolgere determinate funzioni, quindi necessarie a fare un certo lavoro.

Dal punto di vista di un lavoratore, scrivere un curriculum aiuta a comunicare all’esterno (cioè alle aziende che cercano lavoratori) cosa si è in grado di fare. Permette al lavoratore di potersi identificare in una specifica figura professionale; permette di far riconoscere le proprie capacità a chi ne ha bisogno.

Dal punto di vista di un datore di lavoro, (di un’azienda) invece, che sta cercando personale da assumere o ingaggiare (possiamo usare anche questo verbo) è importante sapere se delle persone rispondono a un certo profilo professionale.

Strano questo utilizzo del verbo rispondere vero?

rispondere a Rispondere a un certo profilo professionale significa avere le caratteristiche richieste, le caratteristiche della figura professionale richiesta.

Quindi, se un lavoratore risponde a quella figura professionale, allora l’azienda sa che questo lavoratore è effettivamente capace di portare a termine quel lavoro, e quindi è una garanzia. per l’azienda.

Ma tornando al concetto di “profilo“, questo termine ha più significati. C’è però un senso comune, quello di descrivere qualcosa, di avere indicazioni su qualcosa o qualcuno.

Ciascuno di noi, se si mette di profilo, ad esempio, si gira su un lato, quello sinistro o quello destro. Il termine profilo si usa spesso in questo senso, e si parla della linea che delimita un oggetto alla vista, fornendo i dati essenziali per individuarne o ricostruirne l’aspetto.

Una persona, quando è vista di profilo infatti, si vede meglio se ha il naso pronunciato, cioè più grande del normale, o se ha il mento sporgente. Poi il profilo destro è diverso da quello sinistro.

Alle persone che vengono arrestate, che vengono messe in prigione, vengono scattate tre foto, una di fronte e due si profilo.

di profilo

Quindi mettersi di profilo significa girarsi di fianco.

In questo modo si vede la linea del volto, dalla fronte al mento, perché la testa si presenta di fianco.

Ci sono persone che hanno un bel profilo, altre che hanno un profilo regolare, cioè senza segni particolari che ne evidenziano una caratteristica poco comune.

Dal profilo quindi, anche quello relativo al viso, emergono le caratteristiche di una persona.

Anche un oggetto ha un profilo, quando viene visto lateralmente.

Se parliamo del significato in ambito letterario, possiamo anche scrivere un profilo.
Si tratta in questo caso di un breve e sintetico saggio critico-descrittivo di un autore.

Se volete, ad esempio, conoscere un profilo di Dante Alighieri, non dovete leggere il suo curriculum, ma la descrizione che ne fa un critico letterario.

alto e basso profilo

Si parla spesso, in politica, di personaggi di alto o basso profilo, intendendo in questo caso persone con profili “professionali” importanti (alto profilo) o poco importanti (basso profilo). Una persona di alto profilo è indiscutibile da questo punto di vista, perché è nota a tutti come una persona molto competente.

Esiste anche l’espressione “mantenere un profilo basso“, che significa cercare di non farsi notare troppo. E’ un comportamento di coloro che non vogliono attirare l’attenzione, e quindi parlano con un tono pacato, controllato, senza prendere una posizione forte su un argomento. Queste persone in pratica cercano di “passare inosservate” e quindi di non farsi notare.

Esiste anche il verbo profilare. Si intende il disegnare una figura tracciandone i contorni, quindi come tratteggiare. Ma se la figura è una figura professionale, perché un’azienda ha bisogno di una specifica figura professionale, profilare questa figura professionale significa scrivere le caratteristiche professionali.

Ci sarà una persona, all’interno dell’azienda che dovrà profilare questa figura professionale, dovrà quindi descrivere la persona di cui necessita l’azienda elencando le caratteristiche richieste.

Interessante l’uso riflessivo del verbo profilare.

il verbo profilarsi

Si profila/profilano” è una modalità particolare che non ha niente a che vedere con il profilo di nessun tipo. L’uso è pertanto figurato. Profilarsi significa apparire imminente o probabile, preannunciarsi.

Quando una situazione sembra volgere in un certo modo, quando le cose sembrano andare in un certo modo, quando il futuro sembra abbastanza prevedibile, posso usare il verbo profilarsi.

Es:

Si profila un periodo di recessione per l’Europa

Quindi sembra che nel prossimo futuro ci sarà una recessione.

Dopo le recenti elezioni, si profila un periodo difficile per l’Italia.

Se mio figlio a scuola inizia a prendere brutte votazioni, brutti voti nelle varie materie scolastiche, posso dire:

Sembra profilarsi un anno scolastico difficile.

È un modo abbastanza ricercato per descrivere il probabile futuro.

Normalmente diremmo:

Secondo me le cose andranno così…

Le cose sembrano mettersi bene/male

Il prossimo futuro appare…

A giudicare da quanto sta accadendo, secondo me adesso….

Stando a quanto sta accadendo….

La questione promette/non promette bene

Eccetera.

Per finire vediamo alcuni tra i profili professionali più ricercati in Italia, vale a dire le figure professionali più richieste:

Manager esperto di e-commerce cioè di commercio elettronico

Ne avrei bisogno anch’io…

In Italia però si cercano soprattutto insegnanti, medici e infermieri. Soprattutto dopo la pandemia.

Se il vostro profilo risponde a una di queste figure professionali, sicuramente non avrete problemi a trovare lavoro.

Ci vediamo alla prossima lezione di Italiano Professionale e ricordo a tutti che per accedere all’intero corso occorre diventare membri dell’associazione Italiano Semplicemente. In alternativa, se siete interessati solamente alle lezioni di Italiano Professionale, si possono anche acquistare i libri su Amazon o sul sito di Italiano Semplicemente.

Un saluto a tutti.

47 – Insoluto – ITALIANO COMMERCIALE

Pagamento insoluto (scarica audio)

lista degli episodi di italiano commerciale

Trascrizione

Oggi ci occupiamo ancora una volta dei pagamenti.

Vediamo un aggettivo che spesso viene associato ad un pagamento e ancor di più a un debito: un pagamento insoluto o un debito insoluto o anche un credito insoluto, o una fattura o una bolletta o una rata insoluta.

Insoluto è un aggettivo che non si usa solamente in questi casi, in realtà.

Insoluto infatti sta per “privo di soluzione“, quindi similmente a “irrisolto“.

Si adatta bene a definire, oltre alle questioni economiche anche le “questioni”, in generale:

una questione ancora insoluta

Parliamo sempre in qualche modo di un problema, ma non certamente di un problema matematico. In questo caso irrisolto indica un problema matematico che nessuno ha mai risolto. C’è anche in teoria una sfumatura di differenza rispetto a insoluto, cioè privo di soluzione. Prima che qualcuno la trovi, ovviamente.

Quindi in realtà sono termini pressoché equivalenti.

Insoluto possiamo ugualmente usarlo anche nella matematica, ma meglio riservare questo aggettivo per problemi diversi, di carattere sociale, politico, eccetera.

Usare l’aggettivo irrisolto è spesso comunque la stessa cosa.

Anche quando usiamo la parola problemi, più in generale, sempre meglio usare sicuramente irrisolto, se non è ancora stato risolto, oppure anche irrisolvibile, se è impossibile risolvere questo problema.

Ma quando parliamo di soldi da dare o da prendere, quindi debiti o crediti, insoluto e insoluta sono gli aggettivi più adatti. Anche i pagamenti possono diventare problemi, ma solo quando sono insoluti.

Semplicemente, un pagamento insoluto è un pagamento non effettuato. Un pagamento dovuto ma non soluto, cioè insoluto.

Se un cliente non salda una fattura, abbiamo così un pagamento insoluto.

Abbiamo un credito insoluto del commerciante e un debito insoluto da parte del cliente.

Nei rapporti tra banche e clienti la gestione degli insoluti è un problema molto grande, un rischio importante che prende la banca.

Pensate a tutte le rate insolute dei mutui per l’acquisto di case.

Un commerciante, allo stesso modo, può avere problemi di solvibilità (si chiamano così) e il debitore viene detto insolvente.

Insolvente è colui o colei che non ha provveduto a soddisfare le proprie obbligazioni, che è in stato di insolvenza. In pratica non ha pagato!

Ovviamente esiste solamente il debitore insolvente e non il creditore.

Non confondete poi insolvente con insolente.

Questo è un altro aggettivo che non c’entra nulla con i pagamenti ma ha a che fare con l’insolenza e non con l’insolvenza. L’insolenza è una insopportabile sfacciataggine o arroganza.

Sei proprio un insolente! Come ti permetti di mancarmi di rispetto?

L’insolvenza potrebbe essere confusa anche con l’indolenza, caratteristica ancora diversa poiché esprime una abituale tendenza all’inerzia. Quindi smile all’apatia, alla pigrizia.

Ma torniamo all’insolvenza.

Vi starete chiedendo se esistono anche il credito e il debito soluto.

Ovviamente si, è esattamente il contrario. Il pagamento è stato effettuato in quel caso. E esiste anche il solvente. Di tratta di una persona che è in grado di pagare un debito.

La parola solvente, normalmente, fa pensare ad un liquido, una sostanza che non ha subito il processo di soluzione.

L’acetone e l’acqua ragia sono i solventi più conosciuti. Ma non c’entra nulla con i pagamenti soluti o insoluti.

L’insolvenza dunque cos’è? È la incapacità di far fronte agli impegni finanziari assunti. Cioè è l’incapacità di riuscire a pagare il dovuto.

La solvenza, o meglio, la solvibilità è dunque il contrario dell’insolvenza.

Purtroppo la chimica, in questo caso, ha un vocabolario con parole comuni a quello della finanza. Vi dicevo prima del solvente.

Esiste anche il soluto nella chimica, ma meglio restare nel linguaggio commerciale.

Allora, vediamo alcune frasi per prendere confidenza con questi nuovi termini e cogliamo anche l’occasione per ripassare:

Abbiamo due clienti insolventi. Come facciamo? Lo diciamo al titolare?

La solvibilità è il livello di stabilità finanziaria associato a un’azienda.

La solvibilità è la capacità di un debitore di restituire i suoi debiti alla scadenza.

L’eventuale insolvenza di un cliente può creare problemi a un’azienda.

Anche uno stato può avere problemi di solvibilità

Come recuperare un credito insoluto?

I clienti solventi sono quelli preferiti dagli esercenti.

Il cliente solvente è in grado di pagare un debito.

Questo è l’elenco delle fatture insolute.

Oggi stacco più tardi perché devo recuperare dei crediti insoluti

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

La redazione del Curriculum – ITALIANO PROFESSIONALE (n. 36)

Italiano Professionale

Sezione n. 4

Titolo: La redazione del Curriculum (episodio n. 36)

(scarica audio)

Trascrizione

Eccoci arrivati alla quarta sezione del corso di Italiano Professionale.

In questa sezione ci occupiamo di “lavorare in Italia”.

Un argomento che sviscereremo in ogni aspetto utile a voi, non madrelingua, ovviamente. L’obiettivo è innanzitutto approfondire aspetti della lingua italiana ma allo stesso tempo vi darò informazioni utili, almeno per chi lavora o cerca lavoro in Italia.

Per i dettagli sui singoli episodi di questa quarta sezione potete vedere il sommario del corso.

Durante questo percorso ogni volta che incontreremo un termine particolare cercherò di spiegarvelo.

Iniziamo dal curriculum vitae. Più che una lezione però vorrei che fosse una semplice e non troppo lunga chiacchierata: meglio fare brevi ma tanti episodi su questo argomento.

Iniziamo dal termine “Curriculum“, che è una parola latina che significa “corso della vita in breve”.

Strano vero? Non sembra che stiamo parlando di lavoro.

Il curriculum vitae, indicato con la sigla CV, è un documento che serve a presentare una persona dal punto di vista lavorativo, descrivendone il percorso formativo e professionale.

Questo lo sappiamo tutti.

Gli studenti non madrelingua saranno sicuramente interessati però al vocabolario legato al curriculum.

Prima di tutto, il curriculum va redatto. Non va scritto, non va compilato, né fatto o descritto. Il verbo da usare è redarre.

Ma esiste davvero questo verbo?

Ovviamente no, anche se molti italiani lo usano normalmente. In realtà redarre è una forma errata per redigere.

Il verbo giusto da usare dunque è redigere.

Ah, giusto, diranno adesso gli italiani!

Ma questo episodio non è per voi, cari italiani, ma per gli studenti stranieri o amanti della lingua italiana.

Redigere il curriculum. Si dice così se vogliamo essere precisi.

Apriamo una breve parentesi su questo verbo perché le cose che si possono redigere non sono così tante in fondo.

Redigere significa compilare nella forma prescritta. Si può anche usare il verbo stilare in molte occasioni.

Anche un verbale si può redigere, come il verbale di una riunione di lavoro. Se usiamo invece compilare, c’è l’idea di campi predisposti da riempire, di caselle da barrare, di spazi vuoti da riempire con informazioni di vario tipo.

Oltre al curriculum e al verbale, anche un normale articolo si può redigere. Non è un caso che esiste la figura del redattore, colui o colei (redattrice in questo caso) che si occupa della scrittura (si dice anche stesura) di un articolo.

Il redattore può fare anche la revisione, la correzione di articoli per un giornale, una rivista, eccetera. La redazione dunque è qualcosa di più complesso rispetto alla compilazione.

È un verbo che potrei anche usare per gli episodi di italiano semplicemente.

Redigere un episodio.

È molto simile al verbo scrivere, non è vero?

Sicuramente però è più professionale come verbo. In effetti preferisco usare scrivere per gli episodi, in quanto è un verbo meno impegnativo rispetto a redigere.

In effetti in italiano semplicemente non c’è neanche una “redazione“, che è l’ufficio dove lavorano i redattori.

Per il curriculum però è sicuramente più adatto redigere in quanto si tratta della presentazione di noi stessi. Cosa c’è di più importante?

Si può redigere anche un atto amministrativo, un testamento, una tesi di laurea, un bilancio. Tutte cose molto importanti.

Ma come si redige il CV?

Fortunatamente esiste oggi il cosiddetto “formato europeo del curriculum vitae” , così abbiamo un file predisposto in cui dobbiamo solamente renderlo personale inserendo le nostre informazioni.

Col curriculum europeo viene pertanto quasi più naturale usare il verbo compilare.

Vi consiglio vivamente di usare questo formato perché è il più conosciuto e secondo me molto professionale e elegante.

Non è complicato in fondo redigere un curriculum, ma ci sono alcune accortezze, alcuni accorgimenti che si possono adottare.

L’obiettivo ovviamente è renderlo attraente. Poi, piu in là, vediamo anche un aggettivo alternativo di “attraente“.

È interessante notare che il plurale di curriculum è curricula. I curricula.

Dunque, se c’è un concorso, qualcuno dovrà esaminare i curricula dei candidati.

Anche in questo caso però in molte occasioni gli italiani sbagliano e anche al plurale si tende spesso ad usare il termine curriculum:

Per partecipare al concorso bisogna inviare i curriculum al seguente indirizzo e-mail…

Ah, l’accorgimento! Quasi dimenticavo.

Uno degli accorgimenti in fase di redazione del Curriculum, è inserire le informazioni, come le esperienze lavorative, in ordine dal più recente al meno recente.

Lo stesso discorso vale per la propria formazione:

Prima il dottorato, poi la Laurea, poi eventualmente il diploma eccetera.

Un altro accorgimento utile è non usare sempre lo stesso curriculum, ma variare a seconda del posto a cui aspirate.

Cercate di allineare il vostro profilo con quello del posto da ricoprire. Eliminate le cose che non servono e sviluppate le vostre caratteristiche più importanti per il profilo cercato.

Ho usato il termine profilo. Un termine interessante perché ha vari significati.

Lo vedremo bene in un episodio dedicato, sempre in questa sezione.

In generale, un curriculum vitæ deve essere efficace. Ecco l’aggettivo alternativo a “attraente”.

Questo significa che deve funzionare, deve sortire effetti, deve produrre i risultati voluti.

Anche questo episodio però deve essere efficace. Allora meglio finirla qui.

Fine della chiacchierata.

46 – La giacenza- ITALIANO COMMERCIALE

La giacenza (scarica audio)

Trascrizione

Lezione numero 46 di Italiano Commerciale.

Parliamo di giacenza, anzi forse meglio parlare di giacenze, al plurale, che nel mondo del commercio si usa più spesso. Mi riferisco in particolare alle giacenze di magazzino.

Cosa sono? Il magazzino, prima di tutto, è un locale, una stanza, un ambiente chiuso adibito a deposito di merci e materiali vari. Ho utilizzato il verbo adibire perché questa stanza, questo locale viene adibito a deposito, cioè viene destinato all’uso di deposito.

Nel magazzino ci vanno depositate le merci in genere, ma ci possiamo mettere anche attrezzature varie. Soprattutto però nel magazzino ci vanno le scorte, cioè la merce in più, che prima o poi finirà in negozio per essere venduta o che resterà invenduta, cioè non venduta. Il termine scorta, più in generale, indica un accantonamento, una riserva, spesso di viveri (cose da mangiare) o di altri materiali, o anche di denari, atti a far fronte a eventuali necessità.

Si può ad esempio fare scorta di benzina perché potrebbe servire in futuro. “Fare scorta di” qualcosa si usa spessissimo per indicare questo concetto. In ambito commerciale però si tratta fondamentalmente di prodotti, di merce da vendere in un secondo momento. Una sorta di riserva dunque. Ma non è detto che si venderà. Le scorte si tengono quindi nel magazzino e ogni negozio che si rispetti ne ha uno. Questi prodotti stanno fermi nel magazzino in attesa che prima o poi possano servire. Possiamo anche dire che questi prodotti giacciono in magazzino. Si tratta di giacenze di magazzino.

Il verbo giacere si può usare anche per le persone oltre che per gli oggetti. Se qualcosa giace su un ripiano, ad esempio, allora significa che è disposto su un piano orizzontale. Il verbo trasmette un senso di immobilità. Non è un caso che se un corpo giace a terra, significa che non si muove, e spesso si usa questo verbo per dire che questa persona è morta.

Ma restiamo in ambito commerciale. Le giacenze si riferiscono quasi sempre alla merce che sta in magazzino. Si chiama così, come detto, la merce invenduta o accantonata ma esistono anche le giacenze di contante (quindi denaro) non utilizzato.

Dopo aver acquistato i macchinari, quanto abbiamo in giacenza?

Quando si parla di denaro, meglio chiamarla giacenza di cassa, che riguarda più in generale un’azienda, il contante e i valori presenti in cassa (giacente in cassa) alla fine di un dato periodo. Il senso di immobilità in questo caso si riferisce al fatto che questi soldi non sono stati spesi.

Sono rimasti in cassa. Il concetto di giacenza è importante anche perché riguarda anche il bilancio di un’azienda. La questione però rischia di diventare molto complicata e meglio non approfondire più di tanto. Basti sapere che quando registriamo nel nostro bilancio delle spese e delle entrate, dobbiamo far riferimento ad un determinato anno, o meglio ad un determinato “esercizio“. Esercizio 2022, ad esempio.

Si tratta dell’Esercizio amministrativo, cioè l’attività economica svolta da una azienda entro il periodo di un anno. Ebbene, alla fine dell’anno vanno fatte delle modifiche, delle rettifiche, dette “rettifiche di storno”.

Queste rettifiche sono necessarie perché al 31 dicembre di quell’anno ci potrebbero essere dei costi (oppure dei ricavi) che non sono ancora stati completamenti utilizzati.

Questo accade proprio quando ci sono giacenze di magazzino: ci sono dei costi già sostenuti in questo esercizio, che però saranno venduti (o altro) solo nel prossimo esercizio o in quelli successivi.

Ecco allora che bisogna fare le “rettifiche di storno” per fare in modo che queste giacenze siano sistemate da un punto di vista contabile. Lo storno si è capito che, nell’uso contabile, è l’operazione con cui viene rettificata, cioè cambiata, modificata, trasferita (dunque “stornata”) una somma da una voce di spesa a un’altra. Ci vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

10 Domande sull’episodio

  1. Il verbo giacere indica a)mobilità b)immobilità c) vita
  2. Se c’è della merce che giace in magazzino, significa che a) La merce è stata venduta b) si tratta sempre di merce invenduta c) può trattarsi di scorte di magazzino d) potrebbe darsi che nel negozio non c’è spazio a sufficienza
  3. Le scorte di magazzino sono M _ _ _ _ che G_ _ _ _ _ in magazzino
  4. Lo storno è quell’operazione con cui si R _ _ _ _ _ ICA una voce nel bilancio i un’azienda
  5. Rettificare significa a) mettere la merce su un piano b) fare una modifica c) lasciare tutto com’è
  6.   Le rettifiche di _ _ _ _ _ _ si fanno a) a fine anno b) a inizio anno c) nel mese di giugno
  7. Un esercizio finanziario è pari a a) un giorno b)una settimana c) un mese d) un anno
  8. ciò che G_ _ _ _ in cassa si chiama _ _ _ _ _ _ _ _ di cassa
  9. Mettere in magazzino una certa quantità di merce per eventuali esigenze future significa a) fare scorta di merce b) aumentare le giacenze di magazzino c) diminuire le giacenze di cassa
  10. Se siamo nel 2022, il prossimo _ _ _ _ _ _ _ _ _ amministrativo sarà il _ _ _ _ .

Risposte

  1. b)immobilità
  2. c) può trattarsi di scorte di magazzino d) potrebbe darsi che nel negozio non c’è spazio a sufficienza
  3. Le scorte di magazzino sono MERCE che GIACE in magazzino
  4. Lo storno è quell’operazione con cui si RETTIFICA una voce nel bilancio i un’azienda
  5. b) fare una modifica
  6. STORNO, a) a fine ano
  7. d) un anno
  8. ciò che GIACE in cassa si chiama GIACENZA di cassa
  9. a) fare scorta di merce b) aumentare le giacenze di magazzino
  10. Se siamo nel 2022, il prossimo ESERCIZIO amministrativo sarà il 2023.