Non mi si fila

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Trascizione

Buongiorno, un caro saluto a tutti voi, amici di Italiano Semplicemente. Oggi vorrei rispondere all’invito di Alex che mi ha chiesto di spiegare una frase: non so dove l’abbia sentita o letta, ad ogni modo lo accontentiamo subito Alex.

La frase è: “Non mi si fila“.

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Non mi si fila è una espressione idiomatica, chiaramente. E’ una espressione che capita spessissimo di ascoltare ed anche di leggere, anche se più raramente, essendo una di quelle frasi che si dicono a voce. Può comunque capitare di leggerla in chat o in email tra amici, soprattutto se nell’età dell’adolescenza.

L’espressione inizia con una negazione: “non“. In realtà esiste anche l’espressione “mi si fila“, senza la negazione. Il suo significato ovviamente è l’opposto.

Non quindi, la prima parola della frase, è la negazione. Attenzione a non confondere NON con NO: molti stranieri lo fanno. NON è un avverbio di negazione e precede di regola immediatamente il verbo. Tra i due può esserci però anche la particella “ci“, “ce“, ed anche “ne” a volte, ed anche l’avverbio “più” o “meno” qualche volta.

Esempio:

  • mia figlia non vuole sorridere;
  • mia figlia non ci vuole;
  • Quanto tempo ci vuole? Non ce ne vuole molto;
  • Non ne posso più;
  • Quanto zucchero vuoi nel caffè? Non più di un cucchiaino, grazie.

Questi sono vari esempi con “NON”.

Invece “NO” è il contrario di sì, e si usa soprattutto nelle risposte. Quindi “NON” si usa prima del verbo e si può usare sia nelle domande che nelle risposte. Invece NO è il contrario di sì e si usa solo nelle risposte.

Vediamo “mi si fila“, seconda, terza e quarta parola della frase di Alex. Cominciamo da “filare”. In questo caso filare è un verbo.

Ma filare è anche un sostantivo (anche se non è questo il caso). Il filare indica una fila, una fila di piante allineate, cioè di piante che stanno su una fila, come le viti: le viti sono le piante dell’uva, che serve a fare il vino. Il filare di viti, che è una fila di viti. Dove c’è una fila di piante quindi c’è un filare.

Come verbo “filare” significa invece più cose.

Primo significato: filare significa lavorare le fibre tessili, lavorare con il filo, cioè un tessuto ridotto in fili sottili. Il ragno ad esempio, fila la ragnatela, e mia nonna filava a maglia, cioè faceva la maglia filando la lana, filando cioè il filo della lana.

Quindi ci sono sia “le file” intese come un ordine di cose che stanno una dietro l’altra come gli alberi e ci sono “i fili“, intesi come filamenti di tessuti, parti sottili di tessuti.

Filare è però un verbo che non ha soltanto a che fare con le file di piante e con i fili dei tessuti.

Infatti nel linguaggio comune, nel linguaggio informale il verbo “filare” si usa in almeno quattro modi completamente diversi tra loro: quattro modi diversi e tutti e quattro relativi al linguaggio informale.

Il primo modo è per indicare che tutto va bene.

Come va? Fila tutto liscio?

Sì, tutto fila liscio, tranquillo. Tutto fila alla perfezione!

In questo modo quindi si vuole indicare che tutto va bene. Si usa filare per indicare che le cose che accadono, le cose che si susseguono una dietro l’altra, scandite dal tempo, si susseguono senza problemi: tutto fila liscio indica quindi lo scorrere del tempo e il fatto che il programma di attività che avevamo pensato si sta svolgendo nel migliore dei modi: “tutto fila liscio“, cioè tutto procede senza problemi, senza intoppi, senza impedimenti.

Si vuole soprattutto sottolineare l’assenza di problemi quindi. Il termine “liscio“, che si aggiunge in questo caso indica infatti una superficie senza rilievi, senza sporgenze, liscia, dove la mano può scorrere senza problemi, senza incontrare ostacoli. Quindi è una superficie uniforme, piatta, levigata, come un tavolo.

Quando tutto va bene – quando tutto fila liscio tutto va bene – tutto è a posto (si dice anche così) possiamo anche dire che “tutto fila liscio”.

Si può anche dire: “tutto fila liscio come l’olio“. In realtà sono molti i modi di esprimere l’assenza di problemi. Se volete saperne di più abbiamo fatto un approfondimento, una lezione completa che fa parte del corso di Italiano Professionale, dove nella lezione n. 9, ci occupiamo proprio dei problemi e delle espressioni che si usano: formali ed informali.

Il secondo modo di usare il verbo filare è per indicare un comportamento di una persona, soprattutto dei bambini:

Quando un bambino “fila dritto” vuol dire che si comporta bene. Semplicemente. Infatti spesso i bambini sono indisciplinati, fanno dispetti, si comportano in modo da far arrabbiare i genitori o i maestri a scuola. Allora potreste ascoltare frasi come:

Questo ragazzo è molto indisciplinato! Occorre farlo filare dritto!

Lo faccio filare dritto io, vedrai!

Finché non fili dritto sarai in punizione!

Queste sono tutte frasi che indicano il comportamento di un bambino o di un ragazzo che, se fila dritto, vuol dire che rispetta le regole. Se invece non fila dritto occorre migliorare questo comportamento, occorre qualcuno che faccia filare dritto questo ragazzo. Dritto o diritto in questo caso significa senza fare curve. Dritto è il contrario di “storto” e di “piegato“. Inoltre diritto indica anche una direzione. In questo caso la direzione del buon comportamento.

Si dice anche, “rigare diritto” col comportamento, con lo stesso significato.

Riga dritto, altrimenti sono guai!

Fila dritto, se non vuoi che mi arrabbi!

Vedete che si prende sempre ad immagine una fila, cioè una serie di oggetti messi in fila, perché quando le cose stanno in fila, come le piante, sono più ordinate. Tutte le cose in realtà se sono in fila sembrano migliori. Anche le persone quando si mettono in fila, uno dietro l’altro, e quando rispettano la fila, sono persone più ordinate e migliori. Spesso gli italiani sono un po’ carenti in questo, lo ammetto: molti italiani non rispettano la fila.

Quindi “filare” può significare che tutto va bene se diciamo “tutto fila liscio” oppure si usa nel caso di comportamenti che vanno migliorati: “il ragazzo deve filare dritto (o diritto): Fila liscio indica i problemi, fila dritto indica i comportamenti

Il terzo significato di filare è quello che ci interessa di più nella frase proposta da Alex. Infatti filare significa anche prendere in considerazione, cioè avere un interesse verso qualcosa. Solitamente si tratta di interesse verso le persone. Si usa però il verbo filare nella forma riflessiva: filarsi. Quindi si parla rivolgendosi a sé stessi ed indicando l’oggetto del nostro mancato interesse, che è solitamente una persona.

“Io mi filo Marco” che equivale a “io me lo filo”, dove “lo” indica Marco e “me” è la trasformazione di “mi” quando è seguito da un altro pronome (“lo” in questo caso è il secondo pronome)

tu ti fili Marco – tu te lo fili

lui/lei si fila Marco – lui/lei se lo fila

Noi ci filiamo Marco – Noi ce lo filiamo

Voi vi filate Marco – Voi ve lo filate

Loro si filano Marco – Loro se lo filano

Marco se lo filano proprio tutti!

Questo esempio che vi ho appena fatto non è alla forma negativa, ma nella maggior parte dei casi si usa proprio in frasi negative, che quindi hanno una negazione davanti. Quasi sempre si usano in questo modo. Sono molto rare frasi senza il non davanti. Ad esempio:

Io non mi filo Maria – io non me la filo.

Questo significa che io non do importanza a Maria. Questo è il terzo significato. A me non interessa Maria, non presto attenzione a ciò che fa Maria. Si usa normalmente quando vogliamo sottolineare una mancanza di considerazione verso una persona (Maria in questo caso).

Giovanni non si fila più Maria, hai visto?

Quindi Giovanni non prende più in considerazione Maria. Prima lo faceva, ora non più. Questo dice la frase.

Perché si usa “filare” in questo caso? Perché questo verbo? Interessante!

Credo che l’origine sia la parola “philos” che in greco significa amare, perciò se Giovanni non si fila più Maria vuol dire che non è più interessato a lei. L’origine quindi è l’amore (pensate u po’!) che tra l’altro è in generale l’origine di tutto, non solo della frase di oggi!

Non è un caso che esiste la frase “fare il filo“, un’altra espressione informale (anche questa) che è strettamente collegata all’amore ed ai sentimenti: fare il filo vuol dire essere interessati, amare qualcuno; esattamente il contrario dell’espressione di oggi “non mi si fila“. Anche questa è una espressione che si usa molto tra i ragazzi:

Una volta Giovanni faceva il filo a Maria, ricordi? Ora invece non se la fila più!!

Questa frase significa che Giovanni, una volta, cioè prima, qualche tempo fa, amava Maria, o semplicemente la corteggiava, era interessato a lei, le faceva il filo, cioè le mostrava interesse, voleva mettersi con lei, voleva fidanzarsi con Maria. Oggi invece Giovanni ha perso interesse verso di lei. HA perso interesse verso Maria. Oggi Giovanni non si fila più Maria. Non se la fila più. Oggi Giovanni non è più interessato a Maria.

Notate che ho detto “non se la fila più“: “Giovanni non se la fila più“.

La parolina “se” (che è un pronome) è quindi una trasformazione di “si”. Come prima quindi: si diventa “se” perché dopo c’è un altro pronome “la“, che si riferisce a Maria. “Se la” serve a non ripetere il nome di Maria.

Giovanni non si fila più Maria” che è uguale a “Giovanni non se la fila più“.

Maria potrebbe dire: Giovanni non mi si fila più! Questo potrebbe dire Maria.

Ecco che siamo arrivati alla frase di Alex: “non mi si fila“.

Non mi si fila quindi significa “non mi dà importanza”, “non è interessato a me”.

Attenzione perché in teoria devo mettere la particella “si” prima di filare (non mi si fila) perché in questo modo si indica “filarsi”, la forma riflessiva di filare. In realtà però anche “Giovanni non mi fila più” (senza il “si”) ha lo stesso significato ed è una forma equivalente ed ugualmente usata nel linguaggio comune. Con o senza il “si” non cambia. Quindi allo stesso modo “Marco non se la fila” equivale a “Marco non la fila”, eccetera. Possiamo eliminare il riferimento a sé stessi.

Facciamo quindi un po’ di esercitazione con queste frasi per fissarle bene in mente. Provate quindi a ripetere dopo di me. Non pensate troppo alla grammatica. E’ importante questo. Limitatevi a ripetere.

Francesca non mi si fila! … Francesca non mi fila!…

Leonardo non ti si fila! … Leonardo non ti fila! …

Eleonora non se lo fila! … Eleonora non lo fila! …

Marco non se la fila! … Marco non la fila! …

Ok. Adesso vediamo adesso un altro esercizio verbale. Io vi dico una frase e su questa frase vi farò qualche domanda. Ascoltate la frase, poi provate a ripetere la domanda oppure a rispondere, ok? Avrete il tempo necessario per farlo. Poi dopo la pausa vi do io la risposta che potete ripetere se volete. La frase è la seguente

Leonardo non si fila più Maria. Non se la fila più perché a Leonardo ora piace Stefania.

Domanda: Chi non si fila più Maria?

Risposta: Leonardo. E’ Leonardo che non si fila più Maria.

Domanda: Chi è la persona che Leonardo non si fila più?

Risposta: E’ Maria. La persona che Leonardo non si fila più è Maria.

Domanda: Perché Leonardo non si fila più Maria?

Risposta: Leonardo non si fila più Maria perché a Leonardo ora piace Stefania.

Domanda: perché Leonardo non se la fila più?

Risposta: Leonardo non se la fila più perché ora gli piace Stefania.

Domanda: a chi ora piace Stefania?

Risposta: a Leonardo ora piace Stefania.

Domanda: è Maria che non si fila più Leonardo?

Risposta: no, non è Maria che non si fila più Leonardo. E ‘Leonardo che non si fila più Maria.

Domanda: Leonardo ora chi si fila?

Risposta: Leonardo ora si fila Stefania. E’ lei che si fila ora Marco.

Bene, prima di concludere questo episodio, vorrei dirvi che esiste anche un altro modo molto diffuso per esprimere un concetto simile: la frase è “dare retta” o anche “dar retta“, senza la e finale del verbo dare.

Il concetto non è del tutto uguale a “filarsi qualcuno“, perché non c’è più il verbo filare che ha un significato più importante. Però “dar retta” è quasi uguale, e comunque si usa in più circostanze rispetto a filarsi qualcuno.

La retta però in fin dei conti indica una linea diritta in geometria, quindi dar retta è abbastanza simile a filare.

Quindi “dar retta” significa ugualmente ascoltare, prestare attenzione, ma per motivi meno personali in genere:

Dammi retta un momento, ti prego, ho una cosa importante da dirti!

Questo è un esempio per farvi capire. Oppure:

Se mi avessi dato retta, ora non avresti questi problemi!

Quindi dar retta è più leggero, diciamo rispetto a filarsi, è più “ascoltare“, “prestare attenzione” o anche “ascoltare i consigli” a volte. Non c’entrano i sentimenti.

Caro Alex, se mi hai dato retta attentamente confido che tu ora sappia usare l’espressione “non mi si fila” anche se ti auguro di non usarla mai per motivi sentimentali ovviamente.

Avevo dimenticato però di parlarvi del quarto modo di usare il verbo filare: “filarsela“, anche questo informale, che significa andarsene via rapidamente- questo è filarsela – squagliarsela, telare, svignarsela, quindi andar via rapidamente, per fretta, oppure per paura. Non ha niente in comune con i tre significati precedenti del verbo filare che abbiamo visto prima:

Filare liscio (1° significato) che significa “va tutto bene”, “filare dritto” (2° significato) che è il comportamento di chi si comporta bene, e poi c’è “filarsi qualcuno”, prendere in considerazione qualcuno (3° significato). Questo quarto significato però (filarsela, cioè andarsene) potrebbe trarci in inganno a volte. Attenzione infatti alla seguente frase: io non me la filo:

Io non me la filo” può significare due cose. Primo significato: io non presto attenzione ad una persona (io non mi filo Maria, quindi io non me la filo, riferito a Maria), oppure (secondo significato) io non me ne vado, cioè io resto, io rimango qui, in questo posto.

Analogamente “tu non te la fili” può significare che tu non presti attenzione, che tu non sei interessato ad una persona, di sesso femminile ovviamente (non te “la” fili), oppure che tu non te ne stai andando rapidamente, che non stai andando via, cioè che non te la stai squagliando. Tu non te la fili in questo caso è come “non te la svigni”, “non teli”, “tu non te la dai a gambe levate”. Ci sono molti modi per dire che tu non te ne vai.

Attenzione perché in questi casi è solamente il contesto che può aiutarci a capire la frase. Non sempre infatti, come avete visto, il pronome “la” si riferisce ad una persona di sesso femminile.

Terminiamo questo episodio con un saluto a tutti i membri della famiglia di Italiano Semplicemente che ci seguono sempre e con un ringraziamento ad Alex che mi ha fatto questa domanda. Spero non se ne sia pentito!

Ringrazio anche chi sostiene economicamente Italiano Semplicemente e che lo fa attraverso una donazione. Lo faccio spesso perché mi sembra giusto ringraziare coloro che, tra tutti, si filano maggiormente Italiano Semplicemente (possiamo dire così) e quindi che si filano la sua missione che è quella di aiutare tutti gli stranieri a non perdere il filo che li tiene attaccati all’Italia ed alla lingua italiana. Scusate il gioco di parole!

Adesso si è fatto tardi, saluto tutti e me la filo anche io! Ciaooo!

16^ lezione di Italiano Professionale: Introdurre una presentazione (descrizione)

Descrizione

Questa lezione è la prima lezione della seconda parte del corso di Italiano Professionale, disponibile per i membri dell’Associazione Italiano Semplicemente.

Se ti interessa il corso e vuoi far parte dell’Associazione inoltra la tua domanda.

Per farti un’idea, ascolta un episodio in cui sono utilizzate alcune delle espressioni della lezione n. 16

italiano dante_spunta La prima parte di una presentazione: benvenuto, saluti, ringraziamenti, espressioni tipiche.
portogallo_bandiera A primeira parte de uma apresentação: bem vindo, saudações, obrigado, expressões típicas.
spagna_bandiera La primera parte de una presentación: bienvenida, saludos, gracias, expresiones típicas.
france-flag La première partie d’une présentation: accueil, salutations, remerciements, expressions typiques.
flag_en The first part of a presentation: welcome, greetings, thanks, typical expressions.
bandiera_animata_egitto

الجزء الأول من العرض: ترحيب، تحية، شكر، تعبيرات نموذجية.

russia Первая часть презентации: приветствие, приветствия, спасибо, типичные выражения.
bandiera_germania Der erste Teil einer Präsentation: Begrüßung, Grüße, Danke, typische Ausdrücke.
bandiera_grecia Το πρώτο μέρος μιας παρουσίασης: ευπρόσδεκτα, χαιρετισμούς, ευχαριστίες, τυπικές εκφράσεις.

Non sia mai

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Descrizione

 

Questa espressione è “Non sia mai”. L’espressione è composta da tre parole. La prima parola è “non”.

Cos’è “non”? “Non” è simile a “no”, che è un’esclamazione, una negazione.

Anche “non” serve per negare. Spesso gli stranieri, prevalentemente i principianti confondono l’utilizzo di “no” e l’utilizzo di “non”.

La differenza fondamentale tra “no” e “non” è che dopo la parola “non” ci va sempre un verbo, mentre “no” è un’esclamazione.

Quindi ad esempio:

“Sei Italiano?”.

“No, non sono Italiano”.

La seconda parola dell’espressione è “sia”. Quindi “sia” è il verbo essere.

Infatti dopo “non” va un verbo, quindi “non sia” è corretto.

Sia è il congiuntivo del verbo essere. “Non sia” è simile a “non è”. Sappiamo che il congiuntivo si usa in determinate occasioni.

Quando si usa il congiuntivo?

Abbiamo già visto in altri episodi di Italiano Semplicemente che la presenza del congiuntivo in generale possiamo dire che avviene quando c’è incertezza, cioè quando non c’è certezza. Quindi “non sia” è diverso da “non è” perché “non è” è la negazione di “è”.

Quindi se una cosa “è” vuol dire che esiste, se “non è” non esiste. “Non sia” esprime invece incertezza.

Non sia mai, che è esattamente l’espressione che sto cercando di spiegarvi, non è la stessa cosa che “non è mai”.

“Non è mai” è un rafforzativo di “non è”. “Mai” è la terza parola, sta lì a rappresentare la frequenza di un avvenimento, di qualcosa che accade.

“In Italia non è mai accaduto che nevicasse ad agosto”, ad esempio, vuol dire che ad agosto non nevica mai.

Quindi vuol dire che ad agosto non capita mai. Non nevica mai.

Okay, questa è una certezza. Non è mai accaduto, non c’è alcun dubbio su questo.

Invece non sia mai esprime incertezza, una mancanza di certezza. Quando si usa questa frase?

Si usa ogni volta che nel futuro potrebbe accadere qualcosa ma noi non vogliamo che questa cosa accada.

Quindi la allontaniamo.

La allontaniamo mentalmente dicendo “non sia mai”.

In particolare, non solo la allontaniamo mentalmente ma vogliamo anche fare qualcosa.

Vogliamo rimediare, anzi vogliamo prevenire. Vogliamo prevenire questa cosa che potrebbe accadere, questo evento. Okay?

Ad esempio “Non sia mai che domani piove”

Quando è che usiamo questa frase?

La usiamo quando facciamo qualcosa che serve a prevenire, a ripararci contro la possibilità che domani piova.

E cosa si fa per prevenire le conseguenze negative della pioggia?

Ad esempio si acquista un ombrello: si può acquistare un ombrello.

Allora posso dire:

Voglio acquistare un ombrello, non sia mai che domani piova

Oppure: non sia mai che domani piove.

Oppure non sia mai che domani dovesse piovere.

Ci sono diversi modi di esprimere lo stesso concetto, dipende dalla forza che vogliamo dare all’incertezza.

È meglio che compri un ombrello, è meglio che io acquisti, che io compri un ombrello, non sia mai che domani piove, o non sia mai che domani piova o non sia mai dovesse piovere domani.

Okay, c’è incertezza.

Non sappiamo se domani pioverà.

Per poterci cautelare contro l’eventualità che domani possa piovere acquistiamo un ombrello.

Questo è uno dei tanti modi di usare la frase non sia mai.

Posso fare altri esempi:

È meglio che io ripassi l’inglese, non sia mai che domani debba capitare di parlare con qualcuno in inglese e che io non sia preparato.

È meglio che domani io sia ben preparato.

È quindi meglio che io inizi a studiare inglese, non sia mai dovessi parlare con qualcuno in inglese.

Oppure: se ho un esame di matematica domani, ho studiato tutto, tutto quello che c’era da studiare tranne la moltiplicazione ad esempio, allora oggi posso dire è meglio che io mi studi anche la moltiplicazione perché non sia mai che il professore me la chiede (o chieda), non sia mai che il professore me lo  chiederà. In teoria posso anche dire così.

Normalmente nelle frasi di tutti i giorni si può usare l’indicativo:

non sia mai che il professore mi chiede la moltiplicazione

Può capitare di ascoltare l’ uso del congiuntivo:

non sia mai che il professore mi chieda proprio questo.

Oppure:

non sia mai che il professore mi chiederà questo.

Ma questo è anche scorretto dal punto di vista grammaticale.

Dunque, non sia mai che il professore “mi chiede” questo o che “mi chieda” questo. Quindi è meglio che oggi io “mi ripassi”, “mi studi” ancora una volta per poter ricordare meglio domani le moltiplicazioni, non sia mai che domani me le chiede.

Questo è un altro esempio analogo a quello di prima, quando dovevamo acquistare un ombrello (non sia mai domani dovesse piovere) che non ha niente di ironico. Siamo d’accordo su questo.

Dicevo però che questa è un’ espressione che si può usare per prendere in giro qualcuno. E quando è che possiamo prendere in giro qualcuno?

Quando questo qualcuno è particolarmente attento alle cose che possano accadere e che sono fonte di preoccupazione.

Se ci sono delle persone molto ansiose, che cioè sono molto preoccupate in generale delle cose che accadranno o che potrebbero accadere nel futuro, quindi delle persone ansiose (che provano ansia), sono le persone che sono molto preoccupate del futuro in generale, che quindi pensano continuamente a tutte le cose che possano accadere.

Chi di noi non è stato ansioso nella sua vita?

Penso capiti un po’ a tutti.

Ci sono persone poi particolarmente più ansiose delle altre, tanto ansiose che a volte ti trasmettono un po’ d’ansia, fanno provare ansia anche a te, fanno venire la preoccupazione anche a te, dici:

“Oddio, che ansia mi hai messo, mi hai messo un’ ansia addosso! E’ meglio che io mi allontani. Non voglio essere ansioso come te, cerca di stare calmo! stai calmo, non essere cosi ansioso!

E allora, per prendere in giro queste persone si usa spesso la frase non sia mai.

Ad esempio se parlo con un amico e lui mi dice:

Sai, domani ho un appuntamento alle otto di mattina.

Ah, hai un appuntamento alle otto di mattina? E quando parti da casa?

Mah,  – dice il mio amico – dovrei impiegare cinque minuti per arrivare alle otto di mattina ma io per sicurezza partirò alle sei di mattina, due ore prima.

“Ah” – dici tu – “non sia mai arrivi in ritardo.

È questo quindi un modo per prendere in giro, come per dire:

Parti due ore prima perché hai paura che tu possa arrivare in ritardo?

Quindi si dice “non sia mai che tu possa arrivare tardi, quindi è meglio, fai bene a partire alle sei di mattina, non partire più tardi delle sei di mattina perché non sia mai tu possa arrivare tardi.

È meglio partire molto presto, anzi sai che ti dico? Parti alle cinque, non sia mai possano accadere cose che ti possono fare ritardare.

Parti ancora prima delle sei, non sia mai!

Spesso si può dire anche così: “non sia mai”, e non aggiungere altro.

È ancora più ironico delle frasi in cui si specifica la cosa che può accadere dopo.

Quando si dice soltanto: “non sia mai!” potete star certi che la frase è ironica.

E si può usare anche verso se stessi.

Verso gli altri più spesso, ma verso se stessi anche. Succede anche questo.

Dire: “per sicurezza” o “cautelativamente è meglio che io faccia questo” o “per sicurezza è meglio che io faccia questo” non è ironico.

Se si vuole essere ironici, nel linguaggio di tutti i giorni, quindi in modo informale ovviamente, meglio dire “non sia mai” e basta, senza aggiungere altro.

Cosa fai mamma domani?

Domani devo andare a fare la visita dall’oculista, e ho paura di fare un incidente con la macchina.

Ah, come mai hai paura? È tanto lontano?

No, sono cinquanta metri, ma è meglio che io non vada a piedi.

Ah certo, non sia mai!

Posso rispondere io.

Che vuol dire: non sia mai tu debba fare un incidente percorrendo cinquanta metri con la macchina.

Ovviamente questo è soltanto un esempio, ma l’importante è che questi esempi vengano fatti in contesti familiari e quando parlate con persone con le quali potete permettervi di fare una battuta, potete permettervi di essere ironici.

Se state parlando con un vostro professore universitario non potete usare questa espressione perché potrebbe essere offensiva nei suoi confronti.

Anche se parlate di qualcun altro, in questi casi è meglio usare altre espressioni, è meglio dire:

“Per sicurezza è bene che tu faccia questo!

Oppure:

“Ha fatto bene a comportarsi in questo modo perché altrimenti sarebbe successo quest’altro”

Quindi meglio non usare “non sia mai” come forma preventiva.

Nel passato abbiamo visto anche un’ altra espressione simile che si usava in circostanze di questo tipo e l’espressione era “scongiurare un pericolo”.

Se non avete ascoltato quel episodio vi consiglio di ascoltarlo: “scongiurare un pericolo” è un’espressione non ironica, è un’espressione che significa semplicemente allontanare un pericolo, scongiurarlo.

È un verbo particolare “scongiurare”, che si usa soltanto per i pericoli, per le cose pericolose che potrebbero accadere.

Quando si vuole rimediare ad un pericolo, quando si vuole fare in modo che qualcosa non accada, allora si prende una misura preventiva, (cioè che si fa prima), quindi si mette in atto una misura preventiva, qualcosa che possa prevenire l’accadere di qualcosa o che possa attenuare le conseguenze di un evento.

Allora per poter scongiurare il pericolo che io domani mi bagni è bene che acquisti un ombrello.

Per poter scongiurare il pericolo che tu, mamma, domani possa fare un incidente, non sia mai, è bene che tu vada a piedi.

Per poter scongiurare il pericolo che arrivi tardi all’appuntamento alle otto di mattina, non sia mai, è bene che tu parta da casa molto tempo prima.

Quindi la frase “scongiurare un pericolo” si usa in contesti analoghi, contesti dello stesso tipo, soltanto che “non sia mai” è ironica, soprattutto se non è seguita da nient’altro, mentre “scongiurare un pericolo” è una frase molto più spesso usata allo scritto in contesti non ironici.

Bene ragazzi, credo che sia tutto per questa espressione di oggi. Grazie a tutti, grazie di aver ascoltato questi episodi e mi fa molto piacere che questi episodi e le frasi di tutti i giorni che si usano anche in senso ironico, trovino l’apprezzamento da parte vostra, voi che fate parte della famiglia di Italiano Semplicemente, che cioè ascoltate i nostri podcast di frequente.

Questa di oggi è una di quelle tante espressioni che non troverete mai su un libro di Italiano ed è anche difficile trovarla spiegata in maniera accurata su internet.

E’ anche molto importante badare al tono con cui viene pronunciata l’espressione “non sia mai”: se si vuole essere ironici il tono è un tono particolare.

“Non sia mai”, e poi si fa una pausa.

Eh, non sia mai!

Si usa un tono apparentemente serio.

Il fatto che però non segua nulla dopo “non sia mai” dà all’espressione un senso ironico.

Questo è difficile impararlo leggendo una frase e una spiegazione su internet.

Grazie a tutti ancora una volta, grazie ai donatori che sostengono economicamente, che aiutano Italiano Semplicemente con le loro donazioni. Grazie a tutti e ci vediamo presto con la prossima espressione di Italiano Semplicemente. Ciao.

E ti pareva!

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Trascrizione

Bentrovati a tutti e bentornati sulle pagine di Italiano Semplicemente.

Io sono Giovanni, il creatore del sito, senonché la voce principale, anche se ci sono molte persone che mi aiutano di tanto in tanto.

Oggi ragazzi vediamo di affrontare la spiegazione di una frase utilizzata in tutta Italia.

La frase è “e ti pareva!”. Tre parole: e, ti, pareva.

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Capita spessissimo di incontrare questa esclamazione, perché di una esclamazione si tratta.

Questa esclamazione, in quanto tale, si utilizza solamente all’orale. Difficile ma non impossibile trovare questa frase per iscritto ma può capitare, soprattutto quando si esprime una opinione personale e ci si rivolge in modo informale ad un amico.

Questo quindi è molto importante dirlo subito: si sta esprimendo una opinione personale. Vediamo perché.

Diciamo subito che il sentimento, l’emozione legata alla frase non è positivo. Si tratta di leggero stupore, di leggera meraviglia, e nello stesso tempo di dispiacere. A volte c’è anche dell’ironia, ma non è detto. Non sempre.

E’ accaduto qualcosa e di fronte a questo evento di fronte a questo accadimento, si esprime una emozione di dispiacere. Leggero stupore e dispiacere.

Dico leggero stupore perché si tratta di qualcosa che non era del tutto inaspettato. Non è proprio una cosa sbalorditiva quello che è successo. In qualche modo me l’aspettavo; poteva accadere. Questa cosa che è accaduta me l’aspettavo, ma speravo che non accadesse. La mia speranza era che questa cosa non accadesse, che questo accadimento non si fosse verificato; ma purtroppo è avvenuto.

Infatti “pareva“, il verbo utilizzato nella frase – la terza parola della frase – è il verbo “parere” che è un verbo equivalente a “sembrare” e “somigliare“.

E ti pareva!” col punto esclamativo, è una frase che appunto sta ad indicare che la cosa accaduta era prevedibile. Non era certa ma prevedibile e di fronte a questa cosa si manifesta dispiacere. Oppure, se non si tratta di una cosa negativa della quale ci si dispiace, è un avvenimento che non ci stupisce, che “era nelle corde“, “era nell’aria” che cioè poteva accadere, e con questa esclamazione si sottolinea che chi parla lo aveva intuito.

Quindi si esprime o dispiacere verso quanto accaduto o la prevedibilità di quanto accaduto. O entrambe le cose: dispiacere e prevedibilità. Con prevedibilità intendo la constatazione che quello che è accaduto era stato previsto personalmente; la constatazione, cioè l’aver constatato, l’aver verificato, che quello che è avvenuto c’era un alto rischio che accedesse. Dico rischio perché la cosa ha delle conseguenze negative.

E ti pareva!”. E’ molto importante il tono che viene usato: alto all’inizio e basso a seguire: “E ti pareva!”. La lettera “e” iniziale è più marcata, più evidenziata, pronunciata con un tono più alto, perché come detto serve a enfatizzare. Se non metto la “e” iniziale invece dico semplicemente “ti pareva!” accentuando la parola “ti”.

“E” all’inizio della frase è una congiunzione. Può anche essere omessa. Potete anche togliere questa prima parola perché serve solamente a enfatizzare, serve solo a sottolineare lo stupore ed il sentimento di dispiacere legato all’espressione.

Questo modo di dire “ti pareva” o “mi pareva” con o senza la lettera e, è in realtà una forma abbreviata. E’ un modo veloce di esprimere un parere, cioè una opinione. Un modo veloce che volendo potrei esprimere in altri modi:

  • Me l’aspettavo!
  • Secondo me questa cosa era prevedibile.
  • Per la mia esperienza, mi sembrava strano che non succedesse così!
  • Ecco, hai visto cosa è successo? Cosa ti avevo detto?
  • Guarda cosa è successo! Hai visto? Io l’avevo previsto!
  • Visto? Non sembrava anche a te che fosse nell’aria?
  • Visto? Non pareva anche a te fosse nell’aria?

E altre frasi equivalenti. Più brevemente: “e ti pareva!“. Breve, conciso, sintetico, efficace.

Facciamo alcuni esempi.

C’è la partita Roma-Real Madrid alla tv. Il Real Madrid è molto più forte della Roma, quindi mi aspetto che vinca il Real Madrid. Appena il Real fa un gol io dico: nooooo, e ti pareva!

Se invece segna la Roma dico: sììì, e vai!! Forza Roma!

Se non vi piace lo sport o tifate per il Barcellona, facciamo un secondo esempio più legato al. Un esempio mondo del lavoro.

Ammettiamo che nel tuo ufficio capiti spesso che diano la colpa a te di alcune cose sbagliate che accadono. Sei sempre tu la persona a cui danno la colpa, guarda caso. All’ennesimo episodio, cioè ancora una volta, dopo altre tante volte che è accaduto, danno ancora una volta la colpa a te, puoi dire:

  • E ti pareva! Ti pareva che anche stavolta non era colpa mia! Lo sapevo io! Succede sempre così, è sempre la stessa storia! Guarda caso è sempre colpa mia!

Quindi in questo caso è uno sfogo; ti senti accusato di essere il colpevole di un fatto accaduto, e come al solito, invece di cercare il colpevole, si dà la colpa a te come sempre.

Una alternativa breve e sintetica può essere “lo sapevo!“, che esprime lo stesso concetto, forse in modo meno ironico ma più arrabbiato: “lo sapevo io!”.

Se tu “lo sapevi” vuol dire che lo avevi immaginato, avevi previsto accadesse, perché nel passato era già accaduto più volte un episodio analogo a questo, ed anche questa volta non poteva essere che così!

Apriamo ora una parentesi sul verbo “parere“.

Quando una cosa “pare” un’altra, allora vuol dire che sembra un’altra, che assomiglia ad un’altra. I verbi parere, somigliare e sembrare sono molto vicini tra loro.

Anche per le persone vale lo stesso discorso. Se io paio mio fratello, allora somiglio a mio fratello, sembro mio fratello.

Il verbo parere si utilizza poco però. Si usa quasi esclusivamente con la terza persona: lui pare, lei pare, oppure una cosa pare. Rarissimo l’utilizzo nelle altre persone a parte in alcune forme che vediamo dopo.

Non si usa mai dire ad esempio: io paio mio fratello, o tu pari tuo fratello. Piuttosto si usa “io somiglio a mio fratello”, o tuttalpiù “io sembro mio fratello”. A me personalmente risulta difficile anche intuire come sia la coniugazione del verbo parere in alcuni modi come le varie forme del congiuntivo ad esempio. Il motivo è che si usa poco come verbo al di là dei casi citati. Si usano quasi sempre sembrare, somigliare e apparire.

Parere è invece molto usato nelle poesie e a livello letterario in generale. siete stupiti?

Pensate che era soprattutto molto usato nel passato, soprattutto tra il 1700 e il 1800 ma il suo utilizzo oggi è un po’ scemato.

Ho un esempio da farvi relativo a Dante Alighieri, e questo esempio si riferisce al 1293.

“Tanto gentile e tanto onesta pare”; questo è il titolo di un sonetto di Dante, di un’opera di Dante Alighieri contenuto nella Vita Nova, che è poi la prima opera di Dante. Pensate un po’. La prima opera. Pare sia la prima opera di Dante. Così pare almeno!

Questa frase (Tanto gentile e tanto onesta pare) è riferita a Beatrice, la sua donna. “Pare”, in questo sonetto è un verbo importantissimo. L’utilizzo del verbo parere è fondamentale perché Dante in questo modo vuole esprimere l’emozione soggettiva di chi osserva Beatrice e vuole dire che chiunque osservi Beatrice, chiunque guardi la sua donna, immediatamente nota le virtù di Beatrice. A chi guarda Beatrice, a chiunque la ammiri, Beatrice pare tanto gentile e tanto onesta. L’emozione di chi osserva è sottolineata con il verbo “parere”.
Ovviamente Dante avrebbe potuto scrivere “sembra ma probabilmente Dante non voleva apparire dubbioso, non voleva dare l’impressione di avere dei dubbi su Beatrice, voleva invece lodarla, dare evidenza delle sue qualità, non metterle in discussione.

E infatti “sembrare” dà più l’idea soltanto di una opinione personale, che può essere condivisa o meno da altre persone. Dicendo “sembra” si evidenzia incertezza, la mancanza di sicurezza.

Apparire” è abbastanza simile a “parere” e forse potrebbe meglio essere utilizzato in sostituzione a parere, ma sicuramente parere “suona meglio”, come si dice, vale a dire è più melodico e nella frase, nel titolo del sonetto la frase è più bella con “parere”.

Ai giorni d’oggi il verbo parere, oltre a ricordarci qualche poesia e qualche sonetto, si usa solamente in alcuni contesti ed in alcune locuzioni legate alla conversazione. Una di queste locuzioni è appunto “ti pareva“, o “mi pareva” che hanno lo stesso significato.

In effetti quando si dice “e ti pareva“, non è detto che si stia parlando con qualcun altro. Non ci si sta rivolgendo a qualcuno, non si sta facendo alla persona che si ha di fronte una domanda. Potrebbe anche essere una osservazione che si fa dentro di sé. “Ti pareva” e “mi pareva” sono pertanto equivalenti. Ovviamente si tratta di una osservazione personale, di una opinione di chi parla, quindi in teoria sarebbe più corretto dire “mi pareva”. Si usano entrambe le forme con la stessa frequenza. Forse “ti pareva” esprime una maggiore volontà di condivisione, quasi per voler ricevere conforto dal proprio interlocutore, se c’è un interlocutore.

Potrei ugualmente dire, con lo stesso significato:

  • mi pareva strano!

Notate il tono con cui si pronuncia questa frase: ” e mi pareva strano!”.

La stessa cosa è dire:

  • mi sarebbe parso strano se quello che è successo non fosse successo!

Quindi “mi sarebbe parso strano” diventa “mi pareva strano!“: il condizionale passato, che è la forma corretta, si sostituisce con l’indicativo imperfetto e diventa una esclamazione. Grammatica a parte comunque, che non è il mio forte, questa è un’esclamazione più netta e concisa oltre che più colloquiale, e si sa, quando si parla in modo colloquiale si dà più importanza alle emozioni.

Quando si esprime un parere in modo colloquiale, se vogliamo esprimere quindi rammarico, dispiacere, amarezza per quanto accaduto, uso “mi/ti pareva” all’interno di una esclamazione: mi pareva! mi pareva strano! E ti pareva strano! E mi pareva strano!

Posso mettere in questi casi anche “sembrava” al posto di “pareva” e non cambia nulla. Pareva è più usata perché esprime maggiore rammarico e dispiacere.

Attenzione adesso: se utilizzo l’indicativo presente la frase diventa:

– “Mi pare strano”. Mi pare strano non esprime dispiacere, rammarico. Esprime semplicemente un dubbio. ed anche il tono cambia.

Se oggi c’è il sole e non si vede neanche una nuvola nel cielo, magari un amico ti dice: “ho sentito le previsioni per domani: pioverà tutto il giorno”.

  • Mi pare strano!

Mi pare strano, cioè mi sembra strano, con questo sole che c’è oggi! Possibile che domani piova tutto il giorno? Strano! Infatti nulla è ancora accaduto. Domani vedremo. E domani arriva.

Domani tra l’altro potrei avere un impegno importante e sarebbe un problema se dovesse piovere tutto il giorno come dicono le previsioni oggi. Se poi domani dovesse piovere, allora domani potrò dire:

  • E ti pareva! Proprio oggi! Proprio oggi che avevo un impegno!

Questo esempio mi permette di aggiungere qualcosa in più sull’espressione “ti pareva!” di cui finora vi ho solo accennato.

L’espressione infatti si usa per manifestare dispiacere, come abbiamo detto, perché oggi ho un impegno importante e non vorrei che piovesse, quindi se oggi piove potrei avere dei problemi; oltre al dispiacere però c’è qualcosa di più. E’ come se volessi sottolineare la sfortuna, il caso che mi ha colpito:

  • Tra tutti i giorni possibili doveva piovere proprio oggi! Proprio oggi che ho questo impegno! E ti pareva! Guarda caso! Sono il solito sfortunato! Succede sempre così!

Come vedete ho anche utilizzato “guarda caso”, un’espressione ironica che abbiamo già incontrato e spiegato. Le due espressioni infatti possono usarsi negli stessi contesti. Quando questo accade stiamo ovviamente facendo ironia. Non esprimiamo solo dispiacere ma anche ironia. Un’ironia particolare, un’auto ironia, una ironia su noi stessi la maggior parte dei casi.

In questi casi si usa quindi maggiormente in prima persona, quando si parla di se stessi, quando si esprime un’opinione su un qualsiasi argomento che ha degli effetti negativi su di noi.

Notate che la parola parere non è solamente un verbo, ma è anche un sostantivo. Un parere è semplicemente una opinione; tra le altre cose è una opinione professionale. Questo è molto interessante, e lo vedremo più nel dettaglio all’interno del corso di Italiano Professionale. Merita una lezione a parte.

Il verbo parere quindi si usa poco, come dicevo, nel senso di sembrare, apparire, ed invece fa parte di alcune espressioni particolari come proprio quella di oggi.

Non è l’unico modo di usare questo verbo. Tra l’altro posso farlo anche parlando di una cosa passata: “mi parve strano” che si usa quando si parla di molto tempo fa.

Poi c’è anche “come mi pare“, “come ti pare“, “come vi pare” , “come le pare” e “come gli pare“. In questo caso si usa al posto del verbo volere.

Quindi “fai come ti pare” significa “fai come vuoi”, cioè decidi tu, prendi tu la decisione. Anche queste sono modalità colloquiali per esprimere una opinione ma in questo caso lo si fa in modo scocciato, in modo infastidito, in un modo che esprime la perdita della pazienza.

– Uffff, ma fai come ti pare! Fai un po’ come ti pare!

Che significa: fai come vuoi, mi sono stancato.

Analogamente se parlo di un’altra persona posso dire:

– Faccia come gli pare!

Cioè: “faccia pure come vuole, faccia pure come preferisce, prenda lui la decisione, considerato che mi ha stancato, considerato che la mia opinione non conta. Mi sono stancato”, oppure “non mi interessa, non posso perdere tempo!”

Il tono anche in questo caso è importante. Lo è anche in ambito professionale, dove si preferisce però utilizzare modalità diverse per esprimere opinioni di questo tipo.

Vedremo nel corso di Italiano Professionale, quali sono i modi per esprimere un parere in modo più formale, quindi le forme più usate al lavoro, nelle riunioni e con persone che non si conoscono. Una lezione molto interessante.

Facciamo ora un esercizio di ripetizione dove dovrete ripetere le frasi che dirò usando lo stesso tono. Assicuratevi che non ci siano italiani attorno a voi!

E ti pareva!

Ti pareva!

Mi pareva strano!

Per finire vi faccio ascoltare un breve spezzone della sigla di una trasmissione tv che ha come titolo “E mi pareva strano“: la sigla è cantata da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, una coppia comica italiana.

Guarda caso!

Trascrizione

Buongiorno ragazzi e benvenuti su Italianosemplicemente.com, il sito internet per imparare l’italiano o per migliorare il proprio livello.

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Saluto tutti i membri della grande famiglia di Italiano Semplicemente, che aumenta di giorno in giorno. Grazie di essere qui all’ascolto di questo nuovo episodio, dedicato ad una espressione idiomatica molto utilizzata dagli italiani di ogni luogo. “Guarda caso”. Questa è l’espressione di oggi: “guarda caso“. Due sole parole.

Non è una espressione facile da comprendere per diversi motivi.

Il primo motivo è che le due parole non sembrano legate tra loro: guarda e caso, le due parole dell’espressione, sembrano non avere cose in comune; un legame particolare.

Secondo motivo: non c’è un senso figurato. L’espressione non ha un senso figurato, non c’è quindi neanche un’immagine, neanche una metafora che può aiutarci.

Terzo motivo: manca qualcosa, sembra mancare un legame tra le due parole: un articolo, una preposizione, qualcosa che possa aiutarci a capire.

Vediamo bene le due parole allora.

“Guarda” viene dal verbo guardare. E’ l’imperativo del verbo guardare: guarda! Quindi si riferisce alla persona con cui si parla: guarda, osserva, vedi.

Cosa deve guardare però?

La persona con cui si sta parlando cosa deve guardare?

Deve guardare il “caso” che è la seconda parola della frase.

Il “caso” è un avvenimento che si verifica senza una causa definita e identificabile. E’ un evento, qualcosa che accade, che avviene, per cause che sicuramente ci sono ma che non sono conosciute.

Se una cosa avviene “per caso” significa che non c’è un motivo per cui è avvenuta, non è successo qualcosa di importante e di identificabile. In poche parole è avvenuta “casualmente” o per caso, appunto.

Non c’è una causa, una causalità. E quando non c’è una causalità c’è quella che si chiama una “casualità”. Questa cosa è avvenuta “per caso. Non c’è una causalità, bensì una casualità. La parola caso dà origine alla parola casualità, opposta alla causalità, che invece deriva da “causa”.

Il “caso” inoltre è anche un sinonimo di “coincidenza“, che è la cosa che accade quando due o più cose accadono contemporaneamente ma senza nessun legame, oppure quando due o più cose sembrano legate tra loro ma non lo sono in realtà: si tratta di una coincidenza.

“Guarda caso” quindi significa “guarda il caso”, però si omette l’articolo “il”. Si omette, cioè si toglie, si evita di mettere l’articolo “il”. Quindi la frase è “guarda caso”, (senza articolo) che possiamo dire anche “guarda che coincidenza”.

Il senso quindi è quello di invitare la persona con cui si parla a notare una coincidenza, una cosa che è avvenuta e che sembra proprio essere legata ad un’altra. Sembra evidente il legame: hei, guarda che coincidenza, hai notato che strana coincidenza? Toh, che caso!

Avrete notato il tono ironico di queste frasi che ho appena pronunciato. Avrete notato che chi parla in realtà non crede affatto si tratti di una coincidenza, anzi, è convinto che ci sia causalità, e non casualità, nell’evento che si è appena verificato, che è appena accaduto. Si tratta evidentemente di una frase ironica. Chi la pronuncia non crede a questa coincidenza!

Quando si usa quindi questa espressione?

Vi faccio alcuni esempi. Parlano due amici. Il primo dice:

Sai, sto pensando di trasferirmi a Roma.

L’amico risponde:

Davvero? Roma?… guarda caso è dove vive ora la tua ex fidanzata!

L’amico quindi non crede si tratti di un caso. Ti trasferisci a Roma? Proprio dove vive la tua fidanzata? Davvero? Ma guarda che caso! Guarda caso proprio dove vive la tua fidanzata!

L’ironia emerge chiaramente, anche dal tono. Ma non c’è bisogno di ascoltare la risposta. Leggere è sufficiente: guarda caso si usa esclusivamente in questi casi, con ironia.

Facciamo un altro esempio. Due politici italiani che parlano.

Hai visto che nel 2016 sono aumentati i furti negli appartamenti?

E l’altro politico risponde:

Nel 2016? Guarda caso nello stesso anno sono aumentati anche i disoccupati.

è chiaro che il secondo politico ha associato l’aumento dei furti negli appartamenti con l’aumento della disoccupazione, nonostante lui abbia detto “guarda caso”.

Secondo lui non si tratta affatto di un caso, di una casualità, di una coincidenza, ma di due eventi che hanno un legame. L’aumento dei disoccupati ha causato un aumento dei furti, perché i furti sono episodi di criminalità, che ha un legame con il fatto che molte persone non abbiano più un lavoro.

L’espressione è adatta in dialoghi informali, ma non è raro trovarla anche in articoli giornalistici ed anche in email di lavoro. In ogni caso, cioè sempre, di tratta sempre di ironia, si cerca sempre di mettere in discussione quella che sembra una semplice coincidenza, ma che, secondo chi parla, non lo è.

Attenzione perché non potete inserire nulla, nessuna parola tra guarda e caso. Se lo fate non si capisce più cosa volevate dire.

Se chi vi ascolta non è un amico o comunque il contesto è più serio e non è il caso di fare dell’ironia, non potete usare questa espressione. Come fare allora? Beh in questi casi possiamo semplicemente dire: “non a caso” oppure “non è un caso”.

Ad esempio:

Sai, sto pensando di trasferirmi a Roma.

L’amico risponde:

Davvero? Roma?… Immagino non sia un caso che è proprio a Roma che vive ora la tua ex fidanzata!

In questo caso non c’è nessuna ironia.

Oppure:

Hai visto che nel 2016 sono aumentati i furti negli appartamenti?

E l’altro politico risponde:

Nel 2016? Non a caso nello stesso anno sono aumentati anche i disoccupati.

è chiaro che resta la volontà di collegare i due eventi in modo causale, in un meccanismo di causa-effetto, ma lo si fa senza ironia, ed il discorso è più serio.

Altri modi, più educati e professionali per manifestare questa volontà sono:

– mi sembra evidente che non si tratti di un caso;

– non è possibile secondo me che si tratti di una causalità;

– è chiaro, dal mio punto di vista, che esiste un legame tra queste due cose.

Bene credo che ormai dovrebbe essere chiaro a tutti il significato dell’espressione, possiamo quindi fare un esercizio di ripetizione.

Ripetete dopo di me cercando di imitare anche il mio tono.

– guarda caso!

– ah, guarda caso!

– ma pensa un po’, guarda caso!

– ma dai, davvero? Ma guarda caso che coincidenza!

Ciao ragazzi continuate a seguire Italiano Semplicemente se vi fa piacere, per me è un onore potervi aiutare quando posso.

Ringrazio tutti per l’ascolto e ovviamente tutti i sostenitori, tutti coloro che hanno fatto una donazione a favore di Italiano Semplicemente.

Alla prossima lezione.

Italiano Professionale: Lezione n. 12 – condivisione ed unione (Prima parte)

lezione_12_condivizione_unione_sommario

Audio – prima parte (15 minuti)

La lezione completa disponibile per gli abbonati al corso.

PRENOTA

Indice delle lezioni: INDICE

italiano dante_spunta Parliamo delle espressioni idiomatiche che riguardano la condivisione e l’unione
spagna_bandiera Hablamos de expresiones idiomáticas referentes a Compartir y fusionar
france-flag Abordons les expressions idiomatiques concernant le partage et l’union
flag_en We’ll talk about idiomatic expressions concerning Sharing and merging
bandiera_animata_egitto نحن نتحدث عن العبارات الإصطلاحية التي تتعلق بالتقاسم و الإتحاد
russia Мы говорим о идиоматических выражений, которые касаются совместного использования и объединения
bandiera_germania Wir sprechen über Redewendungen betreffend Verbindungen und Gemeinsamkeiten in der Arbeitswelt.
bandiera_grecia Μιλάμε για ιδιωματικές εκφράσεις που σχετίζονται με την ανταλλαγή και την ένωση
bandieradanimarca Vi vil tale om sproglige udtryk der handler om enighed og organisering.

Trascrizione

  1. Prima parte – Introduzione

Benvenuti alla lezione numero 12, dedicata alla condivisione ed all’unione.

In questa lezione, importantissima in ambito lavorativo, vediamo le espressioni più utilizzate, in ogni tipologia di lavoro, dal più umile al più professionale, che riguardano il gruppo. In particolare vediamo le espressioni  che si riferiscono all’unione di persone, di interessi, di attività ma anche all’unione di sogni ed emozioni, tutti aspetti che occupano un posto di primo piano in ambito lavorativo.

Come diceva il poeta latino Omero, “Lieve è l’oprar se in molti è condiviso”, vale a dire che operare, cioè lavorare, pesa meno, è meno pesante, cioè è lieve, è leggero, se tale lavoro è condiviso, se cioè il lavoro è frutto di un lavoro di gruppo, se lo condividiamo con qualcun altro.

Fino ad ora, dalla corso della sezione n.1, la prima del corso di Italiano Professionale, abbiamo esplorato quasi tutti gli aspetti che riguardano la vita professionale, da come esprimere le proprie professionalità (nel corso della prima lezione), alla sintesi, dall’approssimazione alla puntualità, la sincerità, il controllo, il denaro, i risultati ed i problemi, per finire con i rischi e le opportunità, argomento quest’ultimo che è stato oggetto della scorsa lezione, la numero 11.

Questa lezione, dedicata all’unione ed alla condivisione, è probabilmente quella che più delle altre affronta un argomento trasversale a tutti i lavori, vale a dire un aspetto talmente importante che è veramente difficile trovare, ammesso che esista, una attività lavorativa che non abbia bisogno di contatti umani e relazioni sociali.

Gli ambiti lavorativi ai quali la lezione si riferisce, in particolare, sono quelli della trattativa d’affari e quello delle relazioni interne.

Ci occuperemo più avanti nel corso, nei capitoli che seguiranno, dei singoli aspetti. Ad esempio nella sezione numero tre del corso, dedicata alle riunioni  ed agli incontri di lavoro faremo un approfondimento su tutti i termini che si possono utilizzare per indicare un gruppo di persone. Ci sono dei termini che danno un’immagine positiva ed altri che ne danno una negativa, a volte anche molto negativa, di un gruppo di persone. Vedremo quindi il “gruppo di lavoro”, la “compagine”, la “società”, eccetera. Si tratta della prima lezione della terza sezione, che si preannuncia molto interessante.

Ma entriamo subito nel vivo di questa lezione numero dodici. Anche questa sarà suddivisa in tre parti, come la precedente, per facilitare al massimo l’ascolto e la lettura.

Nel corso della prima parte tratteremo tutte le espressioni “negative”, vale a dire quelle che non danno una immagine positiva di un gruppo, che non aiutano la condivisione e che danno quindi un’immagine negativa di un’azienda o comunque di un gruppo di persone che lavorano insieme.

Nella seconda parte vediamo invece le frasi cosiddette “positive” e poi quelle che possiamo definire “neutre”, la cui valenza e significato dipendono molto dal contesto e dal tono con cui vengono pronunciate. Nella seconda parte vedremo anche i rischi nella pronuncia e nell’utilizzo di queste frasi.

Infine nella terza ed ultima parte faremo un esercizio di ripetizione, con domande e risposte. Io farò delle domande e voi potete provare a rispondere. Poi ascolterete una delle possibili risposte. Ovviamente le domande avranno come oggetto le espressioni spiegate nel corso della lezione.

2. L’armata Brancaleone e l’Attrazione Fatale

Abbiamo detto che iniziamo dalle espressioni negative.

Quali sono dunque le caratteristiche negative di un gruppo? Di primo acchitto verrebbe da pensare a problemi di organizzazione ed efficienza. Insomma, se un gruppo è un cattivo gruppo allora vuol dire che funziona male, vuol dire che il gruppo non funziona come dovrebbe perché manca una organizzazione e c’è un problema di efficienza; poi possiamo aggiungere che le persone che ne fanno parte sono male assortite.

Ebbene, quando un gruppo di persone ha queste caratteristiche negative possiamo chiamarlo l’armata Brancaleone.

L’espressione viene dal titolo di un grande film italiano, un film comico del 1966. Un film di Mario Monicelli, che è quindi il regista.

Protagonista di questo film, ambientato nel Medioevo è appunto, un gruppo, un gruppo di briganti, il cui capo era un certo Brancaleone da Norcia interpretato da Vittorio Gassman, grande attore italiano.

Ebbene, questo gruppo di briganti, cioè di banditi, di disonesti, di persone fuorilegge, era un gruppo di persone completamente disorganizzato, che hanno moltissimi problemi, disorganizzati e che non hanno molte cose in comune tra loro.

Questa tipologia di gruppo, con queste caratteristiche la potete sempre chiamare l’Armata Brancaleone. Si chiama armata perché questo è il nome che si dà ad un gruppo armato di persone, generalmente in un esercito. È una frase molto usata in Italia ed è ovviamente molto negativa.

Se il vostro gruppo viene etichettato con questo nome, non è sicuramente un bel segnale! L’Armata Brancaleone non è però l’unica espressione che deriva da un film in senso negativo.

Considerato che stiamo parlando di espressioni negative, ce n’è un’altra altrettanto negativa: “Attrazione fatale”, che viene dal film del 1987 dal titolo Fatal  Attraction. Se usiamo questa espressione vogliamo rappresentare una situazione in cui, in ambito sentimentale o anche in ambito lavorativo, una iniziale attrazione si è alla fine dimostrata “fatale”. Un’attrazione iniziale, che può essere quell’attrazione che ha portato più persone a formare un gruppo, alla fine è risultata negativa, anzi, fatale, il che significa che c’era di mezzo il fato. Il fato è il destino, e ciò che è fatale è prescritto dal destino; inevitabile, ineluttabile.

Un’attrazione fatale però ha un significato negativo, infatti fatale significa anche mortale, che porta alla morte, o comunque disastrosa. Se un’attrazione è fatale allora significa che l’unione di più persone si è dimostrata molto negativa, fatale, ha cioè portato conseguenze drammatiche per il membri del gruppo.

3. Meglio soli che male accompagnati

Passiamo alla terza espressione della lezione. Eravamo rimasti ai gruppi che non funzionano, alle Armate Brancaleone ad esempio. Ebbene, se si è dell’opinione che un gruppo sia un’Armata Brancaleone, allora si potrebbe pensare: meglio non formare un gruppo. In tali casi si dice spesso: “meglio soli che male accompagnati”.

È questa una frase che è più un proverbio che una frase idiomatica. Il senso è chiaro: meglio soli, cioè meglio non fare nessun gruppo, meglio non unirsi con nessuno piuttosto che accompagnarsi male.

Essere accompagnati significa avere compagnia, cioè avere qualcuno vicino. Essere “male accompagnati” quindi vuol dire essere “accompagnati male”, cioè avere una cattiva compagnia. Quindi meglio essere soli in questo caso: meglio soli che male accompagnati, frase utilizzata dappertutto e da chiunque in Italia, in ogni contesto in cui ci sia un gruppo che non funzioni bene.

4. Fare di tutta l’erba un fascio

Chi è che può dire la frase meglio soli che male accompagnati?

Ad esempio lo può dire una persona che ha capito che le persone che lo circondano non sono persone affidabili secondo lui, persone delle quali quindi lui non si fida.

Qualcuno potrebbe obiettare e dire: non fare di tutta l’erba un fascio! Non devi fare di tutta l’erba un fascio! Il che significa semplicemente: non tutte le persone sono uguali.

Anche questa è una frase fatta usata da tutti in Italia. Ma cosa vuol dire? Da dove viene questa frase?

Questa frase parla di erba, che cresce nel prato, e del fascio, che è un mazzo, un gruppo di erbe raccolte. L’origine è legata evidentemente al mondo contadino. A terra, come sapete, crescono piante buone e piante meno buone, e durante la raccolta nei campi, si poteva scegliere di raccogliere tutta l’erba assieme, oppure raccogliere solamente quella buona, lasciando le erbacce.

Era evidente che non conveniva, non era conveniente, raccogliere tutte le erbe in un unico mazzo, tutte assieme,  senza fare una selezione tra quelle buone e quelle cattive. Col termine fascio si indica quindi un mazzo, un insieme di erbe, un gruppo di erbe, raccolte tutte assieme, senza fare attenzione se le erbe raccolte siano  buone o cattive.

La stessa cosa può avvenire con le persone: in ogni gruppo ci sono persone positive, persone in gamba, adatte a lavorare insieme ad altre, e persone che invece non sono adatte, sono persone diciamo “negative”, professionalmente poco valide, non adatte a lavorare in gruppo. Ebbene, chi dice: no, non voglio lavorare con queste persone, non voglio lavorare con questo gruppo, sta facendo di tutta l’erba un fascio. Questa persona non sta distinguendo le persone positive da quelle negative, ma le considera tutte uguali, dicendo; meglio soli che male accompagnati. Questa persona fa di tutta l’erba un fascio, cioè fa un solo fascio, un solo mazzo, non distingue, fa un solo fascio di tutte queste persone, le considera come tutte uguali, come  un unico fascio d’erba.

5. Chi c’è c’è (e chi non c’è non c’è)

Vediamo la quinta espressione della lezione, che è poi l’ultima espressione della prima parte della lezione.

Quando si decide di far parte di un gruppo, non è detto che tutti siano d’accordo. Solitamente diverse persone hanno diversi gradi di entusiasmo. Qualcuno allora potrebbe dire: ok, d’accordo, formiamo il gruppo, sono contento. Qualcun altro invece potrebbe non essere d’accordo: “beh, un momento, fatemici pensare, non so se voglio appartenere a questo gruppo, ho bisogno ancora di tempo”.

A questo punto, se il gruppo nasce per qualche motivo specifico e non c’è più tempo da perdere, allora una persona del gruppo, una di quelle persone che è entusiasta di formare il gruppo potrebbe dire:

Sapete cosa vi dico? “Chi c’è c’è e chi non c’è non c’è”.

Si tratta di un’espressione chiaramente colloquiale, adatta al linguaggio parlato ma non a quello scritto. Chi c’è c’è e chi non c’è non c’è significa: “basta, non c’è più tempo, chi ha deciso di appartenere al gruppo fa parte del gruppo, e chi invece non ha deciso ancora sta fuori dal gruppo. Più brevemente: Chi c’è c’è e chi non c’è non c’è.

Perché questa è un’espressione negativa? La risposta è che si tratta di una delle espressioni che non evidenziano sicuramente un aspetto positivo del gruppo, ma piuttosto il fatto che esistono due diverse opinioni, due gruppi che non si uniscono tra loro, perché hanno idee diverse. Il meglio sarebbe essere tutti d’accordo, e se siamo in un’azienda e non tutti condividono gli obiettivi aziendali, questo è un bel problema. Diversa è la situazione di un gruppo di persone che si mettono insieme per formare un gruppo motivato e unito. In questo caso è bene e giusto fare una selezione e escludere sin dall’inizio chi non è abbastanza convinto.

Non sempre quindi dividere è sbagliato e negativo.

Bene, finisce qui la prima parte della lezione n. 12. Nella seconda parte vedremo le espressioni neutre e quelle positive, tra cui alcune idiomatiche, come ad esempio “spezzare una lancia a favore di qualcuno”, “chi fa da se fa per tre“, ma anche molte altre espressioni più professionali e meno colloquiali.

Fine prima parte

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Il congiuntivo, come evitarlo?

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Buongiorno amici e benvenuti in questo nuovo episodio di Italiano Semplicemente, chi vi parla è Giovanni, il creatore del sito.

Oggi vi vorrei parlare del congiuntivo. Prendo spunto da una mail che mi è arrivata in cui mi veniva chiesto da Lya, dalla Danimarca, se, in certe frasi, si deve usare il congiuntivo oppure no. Il dubbio è sicuramente lecito, è comprensibile; non è facile a volte usare il congiuntivo.

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Bene, allora vorrei condividere con tutti voi questo argomento perché credo che l’uso del congiuntivo sia uno degli ostacoli su cui si imbattono tutti gli stranieri.

Allora oggi vediamo l’uso del congiuntivo e in particolare vedremo come evitare il congiuntivo. Questo è l’obiettivo di questo episodio.

Cosa voglio dire?

Voglio dire che si può evitare di usare il congiuntivo, se non siete sicuri che possa andar bene in alcune frasi, e questi suggerimenti che vi darò oggi vi aiuteranno, almeno lo spero, a capire anche come usarlo oltre che come evitarlo.

È un modo alternativo di approcciare un argomento, e vedere un’altra faccia di un argomento credo possa aiutare a capirlo meglio.

Abbiamo già affrontato l’argomento del congiuntivo già in altri due episodi di Italiano Semplicemente. La prima volta quando parlavamo di tutti i modi di dire “se”: se, qualora, putacaso eccetera, quando si parla insomma di una possibilità probabile.

La seconda ne abbiamo parlato quando abbiamo affrontato la questione della concordanza dei tempi.

In questo episodio invece lo facciamo con un obiettivo particolare: cercare di evitare il congiuntivo. È possibile?

Sappiamo che quando la persona che parla presenta un fatto che per lui è certo e reale usa il modo indicativo, se invece esprime un dubbio, un’ipotesi, una possibilità eventuale o anche un desiderio, o una volontà, usa invece il modo congiuntivo, che quindi è il modo che si usa per esprimere possibilità, soggettività e incertezza. Non si tratta di un fatto certo, ma c’è il dubbio, una incertezza, una possibilità.

Sappiamo anche che, perché lo abbiamo visto nell’articolo della concordanza dei tempi, dove c’è un congiuntivo solitamente nella frase ci sono due verbi, e quello che va al congiuntivo è il secondo dei due verbi. Il primo è il verbo principale, che sta nella prima parte della frase; il secondo, quello che ci interessa, sta nella seconda parte, subordinata alla prima, cioè che dipende dalla prima.

Bene, vediamo alcune frasi, partiamo cioè da alcuni esempi con delle frasi in cui usiamo il congiuntivo e vediamo, per ogni frase, come evitare il congiuntivo, come possiamo fare per dire la stessa cosa ma senza usare il modo congiuntivo, se non siamo sicuri.

Prima frase: Siamo ad un matrimonio, e volete fare gli auguri agli sposi. In questi casi, nei casi di un augurio o un desiderio, è facile usare il congiuntivo, perché fare gli auguri a qualcuno significa augurare che accada qualcosa nel futuro, qualcosa di positivo. È un desiderio quindi. Potete ad esempio dire

Mi auguro che possiate vivere sempre felici.

oppure:

Mi auguro che siate felici per sempre.

La persona che parla, in queste due frasi, usa il congiuntivo dei verbi potere e essere (possiate, siate), e, rivolgendosi direttamente agli sposi, si augura che, gli sposi, possano essere sempre felici, per tutta la vita: mi auguro che (voi) possiate essere felici, o che siate felici.

Allora, un trucco, per evitare il congiuntivo, se non siete sicuri che sia la forma giusta da usare, è non usare il secondo verbo. Evitate il secondo verbo. Questo significa che, ad esempio con gli sposi potete riferirvi direttamente alla “vita felice”, quindi potete dire:

Vi auguro la migliore delle vite insieme

Vi auguro una vita bellissima

Vi auguro un futuro radioso

Vi auguro una vita eccezionale

E via dicendo. Evitate il verbo, il secondo verbo. In fondo per evitare il secondo verbo basta evitare la parolina “che”. Se pronunciate “che” (vi auguro che…) siete fregati: dovete usare il secondo verbo, col rischio che potreste sbagliarvi.

Non dovete quindi usare la frase subordinata, cioè il secondo verbo, perché se usate il secondo verbo si deve usare il congiuntivo. Dopo la frase principale ci va una frase senza il verbo.

Notate inoltre che in teoria c’è un secondo modo per fare un augurio; potete infatti anche dire:

Siate felici per sempre!

Abbiate la miglior vita insieme!

Possiate essere felici per il resto della vostra vita!

In questo caso la frase inizia subito col congiuntivo. Cosa cambia rispetto a prima?

Manca “mi auguro che”. Si tratta in realtà sempre dello stesso augurio, ma non c’è la frase principale (mi auguro che, spero, vi auguro, spero, vorrei, eccetera).

In questo caso siamo di fronte ad una frase che possiamo chiamare “indipendente”, che è ugualmente corretta e si usa frequentemente in italiano. Si chiama indipendente perché non c’è la frase principale e quindi l’unica frase presente non possiamo chiamarla “subordinata”. Non c’è più la subordinazione, cioè la dipendenza, della frase subordinata da quella principale. Se non c’è subordinazione è chiaro che c’è indipendenza: mancanza di dipendenza.

In questi casi evitare il congiuntivo può sembrare più complicato. Infatti in questi casi è necessario cambiare la frase. Manca la frse principale, quindi una possibilità è inserire nuovamente la frase principale. Quindi:

Mi auguro, mi piacerebbe, mi farebbe piacere, vorrei, eccetera. E poi?

Poi dovete fare come prima, cioè evitare il verbo, evitare il secondo verbo presente nella frase, perché se inserite un secondo verbo dovete usare il congiuntivo. Come prima quindi:

Vi auguro la migliore delle vite insieme, una vita bellissima, un futuro radioso, una vita eccezionale.

Vediamo un secondo esempio:

Non ho ancora capito il congiuntivo: che io debba preoccuparmi?

Questa è la frase: Non ho ancora capito il congiuntivo: che io debba preoccuparmi?

Oppure:

Non ho ancora capito il congiuntivo: che sia il caso di preoccuparsi?

In questo caso chi parla ha un dubbio. Chi parla dice di non aver ancora capito l’uso del congiuntivo ed allora aggiunge: che io debba preoccuparmi? Che sia il caso di preoccuparsi?

Anche questa non è una frase subordinata ma è una frase indipendente. Non c’è quindi una frase principale. Un dubbio quindi è come un augurio. Potete esprimerlo anche senza frase principale.

C’è solamente una frase, che è indipendente. Come facciamo? Beh, come prima, dovete reintrodurre, reinserire, inserire nuovamente la frase principale. Se non mettete la frase principale non potete evitare il congiuntivo. Quindi:

Che io debba preoccuparmi? Questa frase equivale a:

Credete che io debba preoccuparmi?

Pensate sia il caso di preoccuparsi?

Queste sono due frasi equivalenti dove c’è però la frase principale: credete che, pensate che…

Ancora una volta quindi, anche se la frase principale non c’è, potete evitare il verbo al congiuntivo:

Che io debba preoccuparmi? equivale come appena detto a “Credete che io debba preoccuparmi?

Bene, in questa frase è difficile fare ciò che abbiamo fatto prima, cioè evitare il secondo verbo, non scrivendo la congiunzione “che”. Dopo la parola “credete” difficile non inserire “che”.

Allora vi propongo un seocndo trucco.

La frase può diventare ad esempio la seguente:

Che ne dite? La situazione è preoccupante? Mi devo preoccupare?

Quindi qual è il trucco stavolta?

Il trucco è fare due domande e non una. Spezzare Così potete parlare sempre al presente o al futuro, o al condizionale.

Anziché dire:

Pensate che la situazione sia preoccupante?

Potete dire

Che ne dite? La situazione è preoccupante?

Che ne dite? Mi dovrò preoccupare?

Che ne dite? Dovrei preoccuparmi?

In questo modo avete spezzato la frase in due frasi separate. Due domande separate.

Se invece Cominciate con Credi o credete, dovete aggiungere “che”, e questo significa usare il congiuntivo: Credi che, pensi che, dovete per forza usare il congiuntivo, perché la congiunzione “CHE” è appunto una congiunzione, che congiunge, unisce due frasi. Dovete invece separare le due frasi. Fare due domande e non una sola.

Vediamo un terzo esempio:

Abbiamo visto come esprimere prima un desiderio, un augurio, e poi dubbio. Ora vediamo cosa succede quando facciamo una richiesta, un’esortazione o un invito, un invito a fare qualcosa. Ad esempio. Se volete dire a un collega, o ad un cliente, dandogli del lei, di avere pazienza, che deve avere pazienza, solitamente si dice:

Abbia pazienza! Abbia un po’ di pazienza!

Questo è un invito. Si invita una persona ad avere pazienza. La frase inizia subito con un congiuntivo: abbia pazienza!

Beh, in questo caso è abbastanza semplice non usare il congiuntivo: l’invito diventa “Lei deve avere pazienza!

Facile quindi evitare il congiuntivo nel caso di un invito.

Facciamo un altro esempio di invito:

Vada via!

Oppure:

Se ne vada subito!

Oppure:

Esca immediatamente da questa stanza!

Anche qui si tratta di inviti: si invita la persona ad uscire, ad andarsene da un luogo, come una stanza.

Anche qui è abbastanza facile: è sufficiente inserire il soggetto nella frase:

Lei deve andare via! Lei deve lasciare subito questo posto!

Inserite il soggetto quindi; rivolgetevi alla persona dicendo “lei”. Sapere bene che sono molte le situazioni e i modi diversi di usare il congiuntivo.

Abbiamo quindi visto tre modi diversi di evitare il congiuntivo:

1) Nel caso di augurio evitare il secondo verbo;

2) Nel caso di dubbio spezzare la frase;

3) Nel caso di invito inserire “lei” davanti alla frase.

Non è facile riuscire a comprendere tutti i casi in cui si usa il congiuntivo, ma abbiamo detto il congiuntivo si usa nelle situazioni in cui non c’è certezza, e infatti per esprimere i dubbi si può usare il congiuntivo. Lo stesso come si è visto vale per gli auguri. In entrambi i casi non sappiamo cosa avverrà: “mi auguro che tu sia felice”, “spero che tu sia felice”. Non so se sei felice, io me lo auguro ma non lo so. Lo stesso per i dubbi: spero che tu sia felice esprime un dubbio oltre che un augurio.

Sapete poi che il congiuntivo si usa non con tutti i verbi ma come regola si tratta sempre di verbi adatti per i dubbi, gli auguri, le volontà, i desideri, insomma tutte le situazioni in cui non c’è certezza: credere, pensare, temere, sperare, desiderare, preferire, dubitare, sembrare eccetera. In tutti questi casi, sono moltissimi, si può usare il congiuntivo. Si dice che questi verbi “reggono” il congiuntivo. Ciò significa che possiamo usare il congiuntivo, ma significa che possiamo anche evitarlo, se vogliamo, ma nel modo giusto.

Spesso la scelta di usare il congiuntivo è legato a quello che noi vogliamo evidenziare nella frase.

Non per forza dobbiamo usarlo. A volte basta semplicemente lasciare la frase uguale e cambiare solo il modo del verbo.

A volte infatti preferiamo dare l’accento alla possibilità, all’eventualità, ed allora usiamo il congiuntivo. Ma non siamo quindi obbligati.

Ad esempio se tu mi chiedi: è possibile imparare una lingua senza studiare la grammatica?

Io potrei rispondere con:

Non so se è possibile;

Oppure con:

Non so se sia possibile.

Potete usare entrambi le forme, l’indicativo o il congiuntivo, si tratta si una scelta più che altro di stile, più o meno formale.

Oppure, la frase:

Non so se può andar bene così, professore.

Che potete anche dire usando il congiuntivo:

Non so se possa andar bene così, professore.

Vanno bene entrambe le frasi, e la seconda, quella col congiuntivo, ha un significato più incerto, ipotetico, come se chi parla non fosse così sicura di quello che dice.

Quindi se volete sembrare più sicuri di voi, sicuri di quello che state dicendo, evitate il congiuntivo: “non so se può andar bene, professore”.

In fondo gli italiani, soprattutto coloro che devono essere credibili, quelli che vogliono convincere gli altri, come ad esempio i politici, cercano di evitare il congiuntivo quando possono, per non sembrare incerti, dubbiosi. Loro devono sembrare sicuri di sé. Spesso fanno anche errori però.

Analogamente:

“Non so se va bene”, e “non so se vada bene” sono entrambe forme corrette.

“Non so se è possibile” è ugualmente equivalente a “non so se sia possibile”.

A volte quindi potete semplicemente evitare il congiuntivo, lasciare la frase così com’è, identica a prima, e mettere l’indicativo al posto del congiuntivo.

Questo quindi è il quarto caso diverso che vi ho presentato: cambiare solamente il verbo e usare l’indicativo.

Vediamo un quinto caso, simile al precedente: Quello che cambia è che ci sono due congiuntivi in una sola frase.

Delle volte infatti ci possono essere più congiuntivi in una frase. Ad esempio:

Non so se esistano persone che abbiano paura di parlare in italiano.

In questo esempio ci sono quindi due congiuntivi: esistano e abbiano

Oppure:

Mi chiedo se ci siano al mondo persone che abbiano paura di parlare in italiano.

Lo stesso. Due congiuntivi; siano e abbiano.

Anche in questo caso si hanno dei dubbi: non so se, mi chiedo se …

In queste frasi in realtà, come prima, non è corretto o scorretto usare due volte il congiuntivo. Tra le due frasi c’è la congiunzione “che” a fare da spartiacque, la congiunzione “che” quindi separa le due frasi, e possiamo usare il congiuntivo in entrambe le frasi, oppure solamente nella prima frase.

Quindi:

Mi chiedo se ci siano al mondo persone che hanno paura di parlare in italiano.

È equivalente a:

Mi chiedo se ci siano al mondo persone che abbiano paura di parlare in italiano.

Analogamente, cambiando frase:

Non so se esistano persone che hanno paura di parlare in italiano.

È equivalente a:

Non so se esistano persone che abbiano paura di parlare in italiano.

Se usiamo due congiuntivi diamo più enfasi all’eventualità, alla mancanza di certezza, ma le frasi sono entrambe corrette. Fate attenzione alla congiunzione “che”.

La congiunzione “che” ci aiuta a capire quindi.

Ma potrebbe anche darsi che nella frase la congiunzione “che” appaia due volte.

Questo è il sesto caso che vi presento oggi.

Ad esempio:

Sono convinto che la lingua italiana abbia alcune caratteristiche che la rendono migliore delle altre.

In questo caso abbiamo due volte “che” (che la lingua italiana abbia) e (caratteristiche che la rendono migliore…).

In questi casi, una volta usato il congiuntivo la prima volta, la seconda volta, cioè dopo il secondo “che”, si deve usare l’indicativo: “che la rendono” e non “che la rendano”.

Non è corretto quindi dire:

Credo che la lingua italiana abbia delle caratteristiche che la rendano migliore delle altre

Ma devo dire: “che la rendono migliore delle altre”.

Vediamo altre frasi simili:

– Penso che tu debba frequentare persone che ti stimano;

– Non credo che Giovanni abbia dei genitori che lo odiano;

– Non credo che Marco debba fare le cose che vogliono i suoi amici.

Naturalmente è importante dire ancora una volta che il congiuntivo è “retto” solamente da alcuni e non da tutti i verbi, quindi in ogni caso si può usare solamente con i verbi che “reggono” il congiuntivo..

Quindi quando dico di prestare attenzione alla congiunzione “che”, questo vale quando ci sono i verbi giusti.

Ad esempio:

– Penso che tu debba frequentare persone che ti stimano;

Abbiamo detto poco fa che in questa frase il primo verbo va al congiuntivo (debba) e poi stimare si deve usare all’indicativo. Ci sono due “che”

Questo discorso va bene, è corretto, perché “pensare” è un verbo di opinione, che “regge” quindi il congiuntivo, come anche credere, ritenere, supporre, o avere l’impressione.

Se cambio la frase invece e uso un verbo diverso, non di opinione, come ad esempio il verbo “dire” cambia tutto:

Io dico che tu devi frequentare persone che ti stimano.

Oppure:

Io direi che tu dovresti frequentare persone che ti stimano.

Il verbo dire non fa parte dei verbi che “reggono” il congiuntivo, quindi non si deve usare il congiuntivo.

Vediamo adesso un altro modo, il settimo, di sostituire e così evitare il congiuntivo.

Un modo particolare di usare il congiuntivo è nelle frasi in cui si vuole esprimere una conseguenza.

Ad esempio:

Studio l’italiano affinché possa riuscire a parlarlo correttamente

Quindi studio l’italiano in modo tale che io riesca, che io possa riuscire a parlare correttamente l’italiano come conseguenza. Prima lo studio, poi lo parlo.

Un altro esempio:

Faccio la dieta cosicché possa riuscire a dimagrire

Il dimagrimento è una conseguenza della dieta.

Vi faccio molti esempi affinché voi possiate capire bene.

Il fatto che voi capirete bene è una conseguenza del fatto che io vi faccio molti esempi.

In questi casi, se vogliamo evitare il congiuntivo, è sufficiente agire sulla parola “cosicché” o “affinché”, usando al loro posto, un sinonimo, una frase equivalente che permetta di usare l’indicativo, o il futuro, o il condizionale eccetera. Spesso è necessario spezzare, dividere la frase in due frasi.

Ad esempio:

Studio l’italiano affinché possa riuscire a parlarlo.

diventa:

Studio l’italiano in modo da poter riuscire a parlarlo. Non c’è il congiuntivo qui.

Studio l’italiano perché così potrò riuscire a parlarlo.

Studio l’italiano così riuscirò un giorno a parlarlo.

Studio l’italiano. In questo modo riuscirò un giorno a parlarlo. Qui uso due frasi.

Studio l’italiano al fine di poterlo parlare un giorno.

Studio l’italiano con l’obiettivo di pararlo un giorno.

Studio l’italiano per poterlo parlare un giorno.

Oppure:

Faccio la dieta cosicché possa riuscire a dimagrire

diventa:

Faccio la dieta in modo da poter dimagrire;

Faccio la dieta perché così potrò dimagrire;

Faccio la dieta così riuscirò a dimagrire;

Faccio la dieta. In questo modo riuscirò a dimagrire;

Faccio la dieta al fine di dimagrire;

Faccio la dieta con l’obiettivo di dimagrire;

Faccio la dieta per poter dimagrire;

Vediamo il terzo esempio:

Vi faccio molti esempi affinché voi possiate capire bene.

diventa:

Vi faccio molti esempi con l’obiettivo di farvi capire bene.

Vi faccio molti esempi. In questo modo capirete bene.

Vi faccio molti esempi. L’obiettivo è infatti quello di farvi capire bene.

Vi faccio molti esempi. Così sicuramente capirete bene.

Vi faccio molti esempi. Così facendo capirete bene.

Vi faccio molti esempi. La speranza è che in questo modo riuscirete a capire bene.

Vediamo altri esempi per fare pratica:

– Dovete allungare le gambe, così che i muscoli non siano più tesi ma siano rilassati.

può diventare:

Dovete allungare le gambe, e vedrete che i muscoli non saranno più tesi ma saranno rilassati.

– Dovete respirare profondamente in modo che il ritmo cardiaco rallenti,

Dovete respirare profondamente. In questo modo vedrete che il ritmo cardiaco rallenterà.

– Dovete seguire le mie istruzioni, così che possiate massimizzare i benefici dello yoga.

Dovete seguire le mie istruzioni. Come risultato massimizzerete i benefici dello yoga.

Dovete mangiare in modo adeguato, in modo che il vostro corpo sia nelle condizioni migliori dal punto di vista metabolico.

Dovete mangiare in modo adeguato, così il vostro corpo sarà nelle condizioni migliori dal punto di vista metabolico.

Bene ragazzi, abbiamo terminato, spero di non avervi confuso le idee. Probabilmente non ho esaurito tutte le possibilità dell’uso del congiuntivo ma spero di avervi dato alcune idee e alcuni suggerimenti utili per usarlo correttamente e per, in caso di dubbio, riuscire ad evitarlo.

Abbiamo visto sette casi diversi di usare e di evitare il congiuntivo. Vi consiglio di ripetere l’ascolto per esercitare l’ascolto. Non preoccupatevi di memorizzare i sette casi che vi ho mostrato. Quello che conta, come sapete è l’ascolto ripetuto e che voi comprendiate quello che ho detto e scritto. Ricordatevi le sette regole d’oro di Italiano Semplicemente. Non dovete stressarvi.

Un saluto a tutti da Giovanni e grazie a tutti i donatori che fanno vivere Italiano Semplicemente, coloro che così ci danno una mano e in questo modo riusciamo ad aiutare tanti stranieri che hanno problemi con la lingua italiana.

Un abbraccio.