Vuolsi così colà dove si puote

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Trascrizione

Ecco a voi un’altra celebre frase della Divina Commedia, di Dante Alighieri, che, al pari di altre, è utilizzata anche ai giorni nostri.

La frase:

Vuolsi così colà dove si puote

Una frase che suona magnificamente, e a mio parere una frase del genere non poteva non trovare una sua applicazione anche nel linguaggio moderno.

Vediamo prima cosa significa e quando è stata usata da Dante, così da capire anche come usarla e in quale occasione.

Siamo all’inferno e Dante la utilizza ben due volte. Vediamo le singole parole.

Colà è un termine che oggi non si usa ma significa “là” , quindi indica un luogo e precisamente indica il paradiso, che è il luogo in cui si trova Dio.

È proprio là (colà) che si prendono le decisioni, è il luogo in cui si decidono le cose. Ma là dove?

Ce lo dice la parte finale:

dove si puote

cioè dove si può, dove si può tutto, dove tutto è possibile. Si parla del paradiso, perché è là che c’è Dio, e Dio infatti può tutto.

Vuolsi significa invece “si vuole” e anche vuolsi non è un termine usato oggi nella lingua italiana, come neanche il termine “puote“, tra l’altro.

Vuolsi così colà dove si puote

Si vuole così, là, in paradiso, dove tutto si può.

Questo è il senso della frase.

In pratica si potrebbe dire è che “questa è la volontà di chi comanda, chi detiene il potere”.

Prima Dante la usa all’inizio del suo viaggio infernale, in una frase nei confronti di Caronte, il cosiddetto traghettatore delle anime dei morti, cioè colui che trasportava le anime per passare da una sponda all’altra del fiume Acheronte.

Infatti Caronte non lo voleva trasportare a Dante perché lui non era morto ma vivo. E lui portava solo anime quindi non si trattava di persone vive.

Ma poi di fronte alla volontà di Dio, non poteva certo far nulla neanche Caronte.

Lo stesso invito viene fatto più tardi a Minosse e anche questa volta si fa riferimento alla volontà divina alla quale devono obbedire tutti.

E allora tutti, anche oggi, possiamo usare questa espressione, ovviamente in senso ironico, nel momento in cui voglio esprimere un concetto semplice:

Inutile lamentarsi, inutile cercare di obiettare contro una decisione che viene dall’alto. Bisogna obbedire e basta, perché così è stato deciso.

Chiunque venisse paragonato a Dio, ovviamente, non può essere fatto che in senso ironico.

Siamo evidentemente in una situazione in cui c’è un capo, qualcuno che comanda e la sua volontà o le sue decisioni non possono essere messi in discussione, perché quello è un vero e proprio ordine e non possiamo far nulla per opporci.

Non vi garantisco però che tutti gli italiani vi capiranno! Diciamo che un dieci per cento, più o meno, degli italiani potrebbe capire subito il senso della vostra frase.

Di certo comunque vi capirà il vostro professore di lingua italiana!

Quindi, se vi chiederà se avete fatto tutti i compiti da lei/lui assegnati, voi potrete rispondere:

Certo che li ho fatti, vuolsi così colà dove si puote!

A quel punto non potrete mai essere bocciati!

Oppure, ancora più adatta se la usate quando qualcuno si lamenta di qualche decisione di una persona importante, e voi gli fate presente che è inutile lamentarsi.

Esercizio di ripetizione adesso. Impariamo a pronunciare la frase. Ripetete dopo di me:

vuolsi

così

Vuolsi così

colà

Colà dove si puote

Vuolsi così colà dove si puote

Il Sasso di Dante Alighieri

Il sasso di Dante Alighieri

Sofie: Oggi come programma del venerdì, che mi piace dedicare a qualcosa di diverso rispetto ad una semplice espressione italiana, voglio parlarvi del cosiddetto “sasso di Dante”. Sono stata deputata da Gianni a raccontarvi questa bella storia.

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La lingua del sì

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Lo sapevate che la lingua italiana, da Dante Alighieri era chiamata “la lingua del sì” ?

Dante ne parla all’interno de “de vulgari eloquentia” e anche nella divina commedia.

Dante infatti era un sostenitore delle lingue volgari, e una di queste lingue era appunto la lingua italiana.

Questo perché rispetto al latino e al greco, diceva Dante, non è una lingua artificiale.

In particolare Dante parla di tre volgari che si affemnarono nell’Europa meridionale. Oltre al volgare italiano, detto “la lingua del sì” , c’era anche la “lingua d’oc” e la “lingua d’oil“, che si parlavano in Francia.

Il volgare italiano dunque si differenziava dagli altri due per il modo di esprimere l’affermazione.

Infatti, proprio come “” , anche la oïl e oc erano le particelle affermative rispettivamente del Nord della Francia e della Provenza.

Nel canto XXXIII, dell’inferno si legge:

del bel paese là dove ’l sì suona,

Quindi “là dove risuona la lingua del sì”, e questo è appunto un modo per indicare l’Italia.

Anche Il nome dato alla lingua d’oc si deve a Dante Alighieri, sempre all’interno del “De Vulgari Eloquentia”

Dante fu il primo a intuire le potenzialità del volgare e dopo di lui altri grandi lo seguirono, come il Canzoniere di Petrarca e il Decameron di Boccaccio.

Ma oggi l’italiano è ancora la lingua del sì?

C’è chi direbbe piuttosto che è la lingua delle preposizioni e dei congiuntivi.

Scherzi a parte, spero abbiate gradito questa parentesi aperta sulla lingua italiana, visto che recentemente dovete ascoltare un episodio al giorno della rubrica dei due minuti con Italiano Semplicemente.

Tra l’altro è stata un’occasione anche per me che ho approfondito la questione con l’occasione.

Alla prossima.

625 Prestarsi

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Trascrizione

Giovanni: prestate un attimo attenzione per favore perché oggi vorrei parlarvi del verbo prestarsi, la forma riflessiva di prestare. Ci siamo già occupati del verbo prestare infatti, nel corso di Italiano Professionale. si trova all’interno della sezione “verbi professionali” che è diventato anche un bel libro. fatevelo prestare se volete leggerlo!

In quella occasione si è parlato anche della forma riflessiva.

Oggi ci occupiamo solo di questa forma riflessiva.

L’esempio che abbiamo fatto in quella lezione è:

Il suo comportamento si presta a molte critiche

e anche:

Le tue parole si prestano a diverse interpretazioni

Il verbo prestare, anche nella forma riflessiva “prestarsi”, indica a volte una “disponibilità“, altre volte quello della “possibilità“, ma voglio farvi notare anche il senso della “debolezza” o della “criticabilità” derivante da un atteggiamento.

Ad esempio se ti dico:

Non devi prestarti a fare un lavoro al di sotto della tua qualifica

Oppure:

Non prestarti a simili comportamenti

Voglio dire che non devi “abbassarti” (ne abbiamo parlato recentemente) a fare cose che non dovresti fare, che sia un lavoro poco onorevole o anche un comportamento poco onorevole. Non devi dare la tua “disponibilità” a fare cose che non vanno fatte, che ti rendono “debole” da un certo punto di vista.

Nell’esempio riportato sopra:

Il tuo comportamento si presta a molte critiche

Quindi il tuo comportamento è probabile che verrà criticato, poiché ci sarebbero molti punti criticabili. C’è un elemento di debolezza ancora una volta. E poi con il tuo comportamento ti sei mostrato disponibile ad accogliere critiche.

Anche se parlo di:

Parole che si prestano a più interpretazioni

Sebbene in questo caso manchi un evidente punto di debolezza (potremmo però parlare di poca chiarezza delle tue parole) sicuramente c’è la “possibilità” che il tuo messaggio sia frainteso, e anche questo può costituire un punto di debolezza. Certo, la disponibilità in questo caso è meno evidente rispetto ad esempio a:

Nella vita bisogna sempre prestarsi ad aiutare gli altri, cioè coltivare l’amicizia

La debolezza però a volte può diventare persino una caratteristica di fascino, portato dal mistero:

Sicuramente alcuni versi della Divina Commedia di Dante Alighieri si prestano a molteplici letture (significa molteplici interpretazioni – stesso significato). E questo è affascinante vero?

Allora proviamo a ripassare qualche episodio passato commentando i seguenti versi della Divina Commedia di Dante Alighieri, che parla dell’Amore tra Francesca e Paolo, due amanti che si trovano in un girone dell’Inferno chiamato dei lussuriosi.

È Francesca che parla:

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona

Che ne dite ragazzi? Volete prestarvi a provare col rischio di fare qualche figuraccia oppure avete paura di sfigurare?

Ma ascoltiamo ancora questa terzina dalla voce di Flora, la nostra prof. di Italiano.

Flora:

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona

Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente

Edita: Difficile decifrare la risposta di Francesca al sommo Dante. Però raccolgo la provocazione di Gianni e vi dico la mia in merito: Se fortuna vuole che sei amato, non sarai risparmiato anche tu dalla freccia di Amor, cioè devi per forza amare a tua volta anche tu. In parole povere: la passione è quello che è, non c’è scampo

Marcelo: ma l’immagine che ne esce di Paolo e Francesca, nonostante anche i tempi fossero quelli che fossero, non è negativa alla fine, almeno questo è quello che risulta a me.

Karin: anche il poeta Boccaccio difende Francesca, dicendo che lei in realtà doveva sposare Paolo e non il marito assassino che ha pensato di fargliela pagare. Ma pare che questa critica non regga granché, nel senso che non è credibile. e così anche Boccaccio si è prestato ad alcune critiche.

Spiegazione dettagliata della terzina

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,mi prese del costui piacer sì forte,che, come vedi, ancor non m'abbandona

Nel mezzo del cammin di nostra vita

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Inizia così la Divina commedia:

Nel mezzo del cammin di nostra vita.

Si tratta del  primo verso della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Oggi, che è il giorno dedicato a Dante, voglio parlarvi proprio di questo “verso” della Divina commedia.

I versi, come saprete, sono ciascuno delle singole parti in cui si articola un testo metrico definito da un particolare disegno ritmico e alla fine del quale, di solito, si va a capo.

Allora questo verso è il primo della Divina Commedia, e il primo della parte dedicata all’Inferno, dove vanno i cattivi.

Questo primo verso è quello più famoso del Poema.
Il poema è la Divina commedia.

Questo è un termine che più in generale indica un’opera letteraria in versi, di notevole estensione. Quindi si tratta di grandi opere letterarie, proprio come la Divina Commedia.

Ma cosa significa questo primo verso?
Questo verso è da leggere insieme ai due versi immediatamente successivi:

«Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.»

Vediamoli insieme.
Questi tre versi. Faccio riferimento a quella che è l’interpretazione più diffusa di questi versi, e quindi quella più attendibile, credibile.

Dante Alighieri parla della vita, della vita di un essere umano, che a quei tempi durava circa 70-80 anni.

“Il mezzo del cammin di nostra vita” sarebbe interpretabile dunque come il centro della nostra vita, quando quindi abbiamo una età attorno ai 35-40 anni.

La vita dunque è un cammino che termina a circa 80 anni e quando siamo nel mezzo del cammino abbiamo circa 40 anni.

Dante si immagina dunque per una selva oscura (siamo nel secondo verso).

Una selva è come un bosco, un luogo dove ci sono molti alberi, molta vegetazione.
Si parla generalmente si selva e non di bosco quando però la vegetazione è molto fitta o quando è molto facile perdersi in questo bosco.

Siamo in questa selva dunque e abbiamo 40 anni circa.

Questa selva è “oscura”. Questa immagine della selva oscura, cioè buia, rappresenta lo stato d’animo di un essere umano che, intorno all’età di 40 anni circa, attraversa un momento di confusione interiore. La sua mente è confusa, e l’uomo si sente perduto, come se si trovasse in una selva oscura, fitta di alberi, dove è facile perdersi.

E infatti nel terzo verso si legge che “la diritta via era smarrita”.

La via, cioè il cammino della vita, ad un certo punto della vita viene persa, viene smarrita.

Non sappiamo più dove ci troviamo, come quando ci troviamo in un bosco oscuro, pieni di alberi, un bosco molto fitto. Ci siamo persi.

Sembra che Dante, nel periodo in cui scrisse l’opera, vivesse infatti un momento di crisi, uno sbandamento morale. Questa è la selva oscura.

“Mi ritrovai”. Il verbo ritrovarsi si usa proprio per indicare il non accorgersi di questo. All’improvviso si è ritrovato in una selva oscura. Ovviamente ritrovai è il passato remoto.

Ma non si tratta solamente di Dante nella Divina Commedia. Si parla invece dell’essere umano in generale, che, senza accorgersene, perde la via del bene, la via positiva, per farsi travolgere dal peccato.

Si parla quindi delle sorti degli uomini nel loro complesso, del destino dell’essere umano.

In senso letterale dunque, Dante aveva smarrito il sentiero per il quale stavo andando e si perse in una selva oscura, tanto che scoprì che la “diritta via”, quella del bene, era smarrita, era persa. Ma questa, come si è detto, è una immagine figurata per indicare il destino dell’umanità che si fa travolgere dal peccato e dall’immoralità.

Attenzione però perché la via del bene, la diritta via è solo momentaneamente smarrita, perché alla fine del poema, Dante riacquista la via del bene e la grazia di Dio.

Speriamo che accada lo stesso anche a tutti noi!

E ti pareva!

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Bentrovati a tutti e bentornati sulle pagine di Italiano Semplicemente.

Io sono Giovanni, il creatore del sito, senonché la voce principale, anche se ci sono molte persone che mi aiutano di tanto in tanto.

Oggi ragazzi vediamo di affrontare la spiegazione di una frase utilizzata in tutta Italia.

La frase è “e ti pareva!”. Tre parole: e, ti, pareva.

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Capita spessissimo di incontrare questa esclamazione, perché di una esclamazione si tratta.

Questa esclamazione, in quanto tale, si utilizza solamente all’orale. Difficile ma non impossibile trovare questa frase per iscritto ma può capitare, soprattutto quando si esprime una opinione personale e ci si rivolge in modo informale ad un amico.

Questo quindi è molto importante dirlo subito: si sta esprimendo una opinione personale. Vediamo perché.

Diciamo subito che il sentimento, l’emozione legata alla frase non è positivo. Si tratta di leggero stupore, di leggera meraviglia, e nello stesso tempo di dispiacere. A volte c’è anche dell’ironia, ma non è detto. Non sempre.

E’ accaduto qualcosa e di fronte a questo evento di fronte a questo accadimento, si esprime una emozione di dispiacere. Leggero stupore e dispiacere.

Dico leggero stupore perché si tratta di qualcosa che non era del tutto inaspettato. Non è proprio una cosa sbalorditiva quello che è successo. In qualche modo me l’aspettavo; poteva accadere. Questa cosa che è accaduta me l’aspettavo, ma speravo che non accadesse. La mia speranza era che questa cosa non accadesse, che questo accadimento non si fosse verificato; ma purtroppo è avvenuto.

Infatti “pareva“, il verbo utilizzato nella frase – la terza parola della frase – è il verbo “parere” che è un verbo equivalente a “sembrare” e “somigliare“.

E ti pareva!” col punto esclamativo, è una frase che appunto sta ad indicare che la cosa accaduta era prevedibile. Non era certa ma prevedibile e di fronte a questa cosa si manifesta dispiacere. Oppure, se non si tratta di una cosa negativa della quale ci si dispiace, è un avvenimento che non ci stupisce, che “era nelle corde“, “era nell’aria” che cioè poteva accadere, e con questa esclamazione si sottolinea che chi parla lo aveva intuito.

Quindi si esprime o dispiacere verso quanto accaduto o la prevedibilità di quanto accaduto. O entrambe le cose: dispiacere e prevedibilità. Con prevedibilità intendo la constatazione che quello che è accaduto era stato previsto personalmente; la constatazione, cioè l’aver constatato, l’aver verificato, che quello che è avvenuto c’era un alto rischio che accedesse. Dico rischio perché la cosa ha delle conseguenze negative.

E ti pareva!”. E’ molto importante il tono che viene usato: alto all’inizio e basso a seguire: “E ti pareva!”. La lettera “e” iniziale è più marcata, più evidenziata, pronunciata con un tono più alto, perché come detto serve a enfatizzare. Se non metto la “e” iniziale invece dico semplicemente “ti pareva!” accentuando la parola “ti”.

“E” all’inizio della frase è una congiunzione. Può anche essere omessa. Potete anche togliere questa prima parola perché serve solamente a enfatizzare, serve solo a sottolineare lo stupore ed il sentimento di dispiacere legato all’espressione.

Questo modo di dire “ti pareva” o “mi pareva” con o senza la lettera e, è in realtà una forma abbreviata. E’ un modo veloce di esprimere un parere, cioè una opinione. Un modo veloce che volendo potrei esprimere in altri modi:

  • Me l’aspettavo!
  • Secondo me questa cosa era prevedibile.
  • Per la mia esperienza, mi sembrava strano che non succedesse così!
  • Ecco, hai visto cosa è successo? Cosa ti avevo detto?
  • Guarda cosa è successo! Hai visto? Io l’avevo previsto!
  • Visto? Non sembrava anche a te che fosse nell’aria?
  • Visto? Non pareva anche a te fosse nell’aria?

E altre frasi equivalenti. Più brevemente: “e ti pareva!“. Breve, conciso, sintetico, efficace.

Facciamo alcuni esempi.

C’è la partita Roma-Real Madrid alla tv. Il Real Madrid è molto più forte della Roma, quindi mi aspetto che vinca il Real Madrid. Appena il Real fa un gol io dico: nooooo, e ti pareva!

Se invece segna la Roma dico: sììì, e vai!! Forza Roma!

Se non vi piace lo sport o tifate per il Barcellona, facciamo un secondo esempio più legato al. Un esempio mondo del lavoro.

Ammettiamo che nel tuo ufficio capiti spesso che diano la colpa a te di alcune cose sbagliate che accadono. Sei sempre tu la persona a cui danno la colpa, guarda caso. All’ennesimo episodio, cioè ancora una volta, dopo altre tante volte che è accaduto, danno ancora una volta la colpa a te, puoi dire:

  • E ti pareva! Ti pareva che anche stavolta non era colpa mia! Lo sapevo io! Succede sempre così, è sempre la stessa storia! Guarda caso è sempre colpa mia!

Quindi in questo caso è uno sfogo; ti senti accusato di essere il colpevole di un fatto accaduto, e come al solito, invece di cercare il colpevole, si dà la colpa a te come sempre.

Una alternativa breve e sintetica può essere “lo sapevo!“, che esprime lo stesso concetto, forse in modo meno ironico ma più arrabbiato: “lo sapevo io!”.

Se tu “lo sapevi” vuol dire che lo avevi immaginato, avevi previsto accadesse, perché nel passato era già accaduto più volte un episodio analogo a questo, ed anche questa volta non poteva essere che così!

Apriamo ora una parentesi sul verbo “parere“.

Quando una cosa “pare” un’altra, allora vuol dire che sembra un’altra, che assomiglia ad un’altra. I verbi parere, somigliare e sembrare sono molto vicini tra loro.

Anche per le persone vale lo stesso discorso. Se io paio mio fratello, allora somiglio a mio fratello, sembro mio fratello.

Il verbo parere si utilizza poco però. Si usa quasi esclusivamente con la terza persona: lui pare, lei pare, oppure una cosa pare. Rarissimo l’utilizzo nelle altre persone a parte in alcune forme che vediamo dopo.

Non si usa mai dire ad esempio: io paio mio fratello, o tu pari tuo fratello. Piuttosto si usa “io somiglio a mio fratello”, o tuttalpiù “io sembro mio fratello”. A me personalmente risulta difficile anche intuire come sia la coniugazione del verbo parere in alcuni modi come le varie forme del congiuntivo ad esempio. Il motivo è che si usa poco come verbo al di là dei casi citati. Si usano quasi sempre sembrare, somigliare e apparire.

Parere è invece molto usato nelle poesie e a livello letterario in generale. siete stupiti?

Pensate che era soprattutto molto usato nel passato, soprattutto tra il 1700 e il 1800 ma il suo utilizzo oggi è un po’ scemato.

Ho un esempio da farvi relativo a Dante Alighieri, e questo esempio si riferisce al 1293.

“Tanto gentile e tanto onesta pare”; questo è il titolo di un sonetto di Dante, di un’opera di Dante Alighieri contenuto nella Vita Nova, che è poi la prima opera di Dante. Pensate un po’. La prima opera. Pare sia la prima opera di Dante. Così pare almeno!

Questa frase (Tanto gentile e tanto onesta pare) è riferita a Beatrice, la sua donna. “Pare”, in questo sonetto è un verbo importantissimo. L’utilizzo del verbo parere è fondamentale perché Dante in questo modo vuole esprimere l’emozione soggettiva di chi osserva Beatrice e vuole dire che chiunque osservi Beatrice, chiunque guardi la sua donna, immediatamente nota le virtù di Beatrice. A chi guarda Beatrice, a chiunque la ammiri, Beatrice pare tanto gentile e tanto onesta. L’emozione di chi osserva è sottolineata con il verbo “parere”.
Ovviamente Dante avrebbe potuto scrivere “sembra ma probabilmente Dante non voleva apparire dubbioso, non voleva dare l’impressione di avere dei dubbi su Beatrice, voleva invece lodarla, dare evidenza delle sue qualità, non metterle in discussione.

E infatti “sembrare” dà più l’idea soltanto di una opinione personale, che può essere condivisa o meno da altre persone. Dicendo “sembra” si evidenzia incertezza, la mancanza di sicurezza.

Apparire” è abbastanza simile a “parere” e forse potrebbe meglio essere utilizzato in sostituzione a parere, ma sicuramente parere “suona meglio”, come si dice, vale a dire è più melodico e nella frase, nel titolo del sonetto la frase è più bella con “parere”.

Ai giorni d’oggi il verbo parere, oltre a ricordarci qualche poesia e qualche sonetto, si usa solamente in alcuni contesti ed in alcune locuzioni legate alla conversazione. Una di queste locuzioni è appunto “ti pareva“, o “mi pareva” che hanno lo stesso significato.

In effetti quando si dice “e ti pareva“, non è detto che si stia parlando con qualcun altro. Non ci si sta rivolgendo a qualcuno, non si sta facendo alla persona che si ha di fronte una domanda. Potrebbe anche essere una osservazione che si fa dentro di sé. “Ti pareva” e “mi pareva” sono pertanto equivalenti. Ovviamente si tratta di una osservazione personale, di una opinione di chi parla, quindi in teoria sarebbe più corretto dire “mi pareva”. Si usano entrambe le forme con la stessa frequenza. Forse “ti pareva” esprime una maggiore volontà di condivisione, quasi per voler ricevere conforto dal proprio interlocutore, se c’è un interlocutore.

Potrei ugualmente dire, con lo stesso significato:

  • mi pareva strano!

Notate il tono con cui si pronuncia questa frase: ” e mi pareva strano!”.

La stessa cosa è dire:

  • mi sarebbe parso strano se quello che è successo non fosse successo!

Quindi “mi sarebbe parso strano” diventa “mi pareva strano!“: il condizionale passato, che è la forma corretta, si sostituisce con l’indicativo imperfetto e diventa una esclamazione. Grammatica a parte comunque, che non è il mio forte, questa è un’esclamazione più netta e concisa oltre che più colloquiale, e si sa, quando si parla in modo colloquiale si dà più importanza alle emozioni.

Quando si esprime un parere in modo colloquiale, se vogliamo esprimere quindi rammarico, dispiacere, amarezza per quanto accaduto, uso “mi/ti pareva” all’interno di una esclamazione: mi pareva! mi pareva strano! E ti pareva strano! E mi pareva strano!

Posso mettere in questi casi anche “sembrava” al posto di “pareva” e non cambia nulla. Pareva è più usata perché esprime maggiore rammarico e dispiacere.

Attenzione adesso: se utilizzo l’indicativo presente la frase diventa:

– “Mi pare strano”. Mi pare strano non esprime dispiacere, rammarico. Esprime semplicemente un dubbio. ed anche il tono cambia.

Se oggi c’è il sole e non si vede neanche una nuvola nel cielo, magari un amico ti dice: “ho sentito le previsioni per domani: pioverà tutto il giorno”.

  • Mi pare strano!

Mi pare strano, cioè mi sembra strano, con questo sole che c’è oggi! Possibile che domani piova tutto il giorno? Strano! Infatti nulla è ancora accaduto. Domani vedremo. E domani arriva.

Domani tra l’altro potrei avere un impegno importante e sarebbe un problema se dovesse piovere tutto il giorno come dicono le previsioni oggi. Se poi domani dovesse piovere, allora domani potrò dire:

  • E ti pareva! Proprio oggi! Proprio oggi che avevo un impegno!

Questo esempio mi permette di aggiungere qualcosa in più sull’espressione “ti pareva!” di cui finora vi ho solo accennato.

L’espressione infatti si usa per manifestare dispiacere, come abbiamo detto, perché oggi ho un impegno importante e non vorrei che piovesse, quindi se oggi piove potrei avere dei problemi; oltre al dispiacere però c’è qualcosa di più. E’ come se volessi sottolineare la sfortuna, il caso che mi ha colpito:

  • Tra tutti i giorni possibili doveva piovere proprio oggi! Proprio oggi che ho questo impegno! E ti pareva! Guarda caso! Sono il solito sfortunato! Succede sempre così!

Come vedete ho anche utilizzato “guarda caso”, un’espressione ironica che abbiamo già incontrato e spiegato. Le due espressioni infatti possono usarsi negli stessi contesti. Quando questo accade stiamo ovviamente facendo ironia. Non esprimiamo solo dispiacere ma anche ironia. Un’ironia particolare, un’auto ironia, una ironia su noi stessi la maggior parte dei casi.

In questi casi si usa quindi maggiormente in prima persona, quando si parla di se stessi, quando si esprime un’opinione su un qualsiasi argomento che ha degli effetti negativi su di noi.

Notate che la parola parere non è solamente un verbo, ma è anche un sostantivo. Un parere è semplicemente una opinione; tra le altre cose è una opinione professionale. Questo è molto interessante, e lo vedremo più nel dettaglio all’interno del corso di Italiano Professionale. Merita una lezione a parte.

Il verbo parere quindi si usa poco, come dicevo, nel senso di sembrare, apparire, ed invece fa parte di alcune espressioni particolari come proprio quella di oggi.

Non è l’unico modo di usare questo verbo. Tra l’altro posso farlo anche parlando di una cosa passata: “mi parve strano” che si usa quando si parla di molto tempo fa.

Poi c’è anche “come mi pare“, “come ti pare“, “come vi pare” , “come le pare” e “come gli pare“. In questo caso si usa al posto del verbo volere.

Quindi “fai come ti pare” significa “fai come vuoi”, cioè decidi tu, prendi tu la decisione. Anche queste sono modalità colloquiali per esprimere una opinione ma in questo caso lo si fa in modo scocciato, in modo infastidito, in un modo che esprime la perdita della pazienza.

– Uffff, ma fai come ti pare! Fai un po’ come ti pare!

Che significa: fai come vuoi, mi sono stancato.

Analogamente se parlo di un’altra persona posso dire:

– Faccia come gli pare!

Cioè: “faccia pure come vuole, faccia pure come preferisce, prenda lui la decisione, considerato che mi ha stancato, considerato che la mia opinione non conta. Mi sono stancato”, oppure “non mi interessa, non posso perdere tempo!”

Il tono anche in questo caso è importante. Lo è anche in ambito professionale, dove si preferisce però utilizzare modalità diverse per esprimere opinioni di questo tipo.

Vedremo nel corso di Italiano Professionale, quali sono i modi per esprimere un parere in modo più formale, quindi le forme più usate al lavoro, nelle riunioni e con persone che non si conoscono. Una lezione molto interessante.

Facciamo ora un esercizio di ripetizione dove dovrete ripetere le frasi che dirò usando lo stesso tono. Assicuratevi che non ci siano italiani attorno a voi!

E ti pareva!

Ti pareva!

Mi pareva strano!

Per finire vi faccio ascoltare un breve spezzone della sigla di una trasmissione tv che ha come titolo “E mi pareva strano“: la sigla è cantata da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, una coppia comica italiana.

Grandi personaggi italiani: DANTE ALIGHIERI

Audio

Trascrizione

dante_alighieri_immagineChloé: “Ciao Gianni! Piacere di fare la tua conoscenza ! Io sono Chloé, e come avrete capito sono francese e abito a Lione. Oggi insegno l’italiano ecco il mio sito https://parlaritaliano.com. Faccio anche un blog su https://mordusditalie.com perché vado pazza per l’Italia !

Gianni: piacere tutto mio Chloé. Io sono Gianni ed il mio sito è italianosemplicemente.com. Approfitto allora per dare un saluto ai miei ed anche ai tuoi visitatori. Io e Chloé abbiamo pensato di fare un podcast insieme, spero che l’idea piaccia ai nostri visitatori!

Chloé: Con te mi piacerebbe trattare di un argomento che mi fa interrogare: “Come mai Dante Alighieri è ancora così importante oggi?”

Gianni: Questo dunque è l’argomento di oggi: Dante Alighieri. Mica male come inizio! Molto interessante, credo, per chi studia la lingua italiana no?

Chloé: credo proprio di sì. Io pensavo che, tranne che negli studi di lettere, Dante non si studiasse più di tanto a scuola, all’estero, invece tante associazioni riprendono questa figura.

Gianni: a dire il vero non so bene, ma molti stranieri spesso mi chiedono di Dante e di parlare di lui.

Chloé: eccoli accontentati dunque!

Gianni: spero di sì. Parlare di Dante è molto interessante.

Chloé: E in Italia si studia tanto?

Giovanni: in Italia si studia moltissimo Dante, almeno nelle scuole superiori, dai 13 ai 18 anni. Forse si studia anche troppo!

Chloé: Certo, Dante Alighieri ha la sua importanza nella lingua italiana; ha contribuito molto alla diffusione ed allo sviluppo della lingua italiana che conosciamo oggi… ma alla fine quanto l’hanno fatto anche Petrarca e Boccaccio… Perché lui?

Gianni: ci vorrebbe un professore di letteratura italiana per poter dare una risposta appropriata Chloé! Ma credo che anche Petrarca e Boccaccio abbiano il loro spazio sui libri che si studiano a scuola in Italia.

Chloé: L’altro ieri ho sentito una canzone di Caparezza, sai il cantante.

Gianni: ah sì Caparezza, come no. Il famoso rapper e cantautore italiano.

Chloé: sì, ha fatto una canzone che si chiama “Argenti Vive”, che tratta proprio di Dante Alighieri e dell’inferno.

Gianni: “Argenti Vive”, sì. Non la conoscevo prima, ma grazie a te che me ne hai parlato ora la conosco anche io adesso. Ho ascoltato la canzone ed ho fatto una piccola ricerca.

Chloè: è interessante perché si parla della vita personale di Dante, e di come la sua vita e la Divina Commedia siano molto legate tra loro.

Gianni: brava, e a me sembra interessantissimo. Dante in questo modo sembra molto più umano, sembra quasi una persona come noi.

Gianni: Ne facciamo ascoltare un pezzo a tutti?

Chloé: maaa sì come no ! Sono d’accordissima, Caparezza è un grande !

Chloé-Gianni: La voilà allora! 

— Spezzone audio della canzone “Argenti Vive” di Caparezza —

mentre solcavamo l’immobile palude,

mi si parò davanti uno spirito coperto di fango, […]

Allora allungò verso la barca entrambe le mani,

ma Virgilio pronto lo respinse, dicendogli:

“Via di qui, vattene a stare con gli altri maledetti!”.

E io: “Maestro, sarei molto desideroso,

prima di uscire dalla palude,

di vederlo immergere in questa melma”.[…]

Poco dopo vidi gli iracondi fare di lui

un tale scempio, che per esso ancora

glorifico e rendo grazie a Dio.

Tutti insieme gridavano: “Addosso a Filippo Argenti!”;

Chloé: ah dunque piace anche a te Gianni, interessante vero? Ma ho visto pure che lo stesso cantante ha concesso un’intervista, sempre su Dante… non sapevo che ogni tanto Caparezza facesse anche il professore di lettere haha.

Gianni: sì, ho visto… beh forse ha voluto solo dare un’idea del personaggio, di questo “Argenti”, che poi si chiama Filippo Argenti.

Chloé: Ma chi è questo “Filippo Argenti” allora, io non ho trovato tante informazioni su di lui ? Non ne ho mai sentito parlare, neanche all’università… Tu lo conosci?

Gianni: io ero bravo in matematica…

Chloé: hahaha che ridere ! Beh io ho fatto il liceo “generale” (come si dice in Francia) e con una specialità “Lettere” ma… a dire vero anche se all’università ho studiato Dante durante la triennale… e questo famoso “inferno”… secondo me non ero abbastanza grande per interessarmi a questo tipo di letteratura. Oggi invece, mi piace informarmi sulla grande letteratura italiana ma a modo mio!

Gianni: sì, mi sono informato anche io:questo Filippo Argenti viene citato da Dante nell’VIII Canto dell’Inferno nella Divina Commedia. Su Wikipedia ho trovato che pare si chiamasse in realtà Filippo Cavicciuli, e che sia stato un membro di una famiglia fiorentina ai tempi di Dante Alighieri. Era soprannominato “Argenti”.

Chloé: a proposito, sai che Filippo Argenti appare anche nel Decameron di Boccaccio? Adoro il Decameron ! Queste storie mi fanno morire dal ridere. Ma dai non è l’argomento di oggi 😉

Gianni: deve essere stato un tipo famoso.

Chloé: Ma nella canzone non sembrano molto amici, mi sa giusto? Qual è la tua impressione ?

Gianni: mah, pare di no! Ho letto che una volta questo Argenti, un tipo grande e grosso, prese a schiaffi proprio il nostro Dante Alighieri.

Chloé: sì, lo prese a schiaffi… non è da tutti fare una cosa del genere!

Gianni: a dire il vero… anche io lo avrei fatto se ne avessi avuto la possibilità… mi ha fatto studiare troppo!!

Chloé: hahaha ! Ma ho pure trovato che Argenti aveva scritto una risposta a Dante, per mostrare alle generazioni future che Dante era un personaggio cattivo e violento.

Gianni: beh, a me è arrivata la sensazione che fosse un sognatore, ma sai come si dice: ciascun dal cuore suo l’altrui misura…

Chloé: cerchiamo di spiegare bene la situazione. Dante colloca Filippo Argenti nel girone degli IRACONDI.

Gianni: gli IRACONDI sono coloro che nella loro vita sono stati pieni di IRA.

Chloé: sì, cioè di rabbia.

Gianni: erano arrabbiati dunque!

Chloé: pare di sì. Quando Dante parla di Filippo Argenti lo fa in modo molto pesante.

Gianni: infatti, è uno tra i più violenti e drammatici passaggi dell’intero Inferno.

Chloé: ormai da secoli i lettori ed i commentatori cercano di spiegare il motivo di questa violenza con cui Dante ed anche Virgilio, la sua guida, trattano questo “dannato”.

Gianni: i “dannati” sono le anime dell’inferno.

Chloé:sicuramente la vita personale del poeta ha avuto il suo peso, no?

Gianni: uno schiaffo non si dimentica!

Chloé: questo poi è anche quello che dicono a Firenze già da molti secoli.

Gianni: vorrei far ascoltare un pezzo di questa canzone? Che ne dici Chloè?

Chloé: Certo ! Direi pure che è necessario! Caparezza, nella canzone, che abbiamo detto si chiama “Argenti vive”, si immagina un monologo di Filippo Argenti che si rivolge a Dante Alighieri.

Gianni: esatto, si tratta di un monologo immaginato dal cantautore: Ci sono molte rime ed alcuni pezzi molto difficili. Ascoltiamo prima, poi spiegheremo questi pezzi perché ci fanno capire molto sul rapporto tra Dante e Argenti.

— Filippo Argenti monologo (parte del testo della canzone) —

Ciao Dante, ti ricordi di me?

Sono Filippo Argenti,

il vicino di casa che nella Commedia ponesti tra questi violenti,

sono quello che annega nel fango, pestato dai demoni intorno.

Cos’è vuoi provocarmi, sommo?

Puoi solo provocarmi sonno!

Alighieri, vedi, tremi, mi temi come gli eritemi, eri te che mi deridevi.

Devi combattere, ma te la dai a gambe levate, ma quale vate? Vattene!

Ehi, quando quando vuoi, dimmi dimmi dove!

Sono dannato ma te le dò di santa ragione!

Così impari a rimare male di me, io non ti maledirei, ti farei male

Non sei divino, individuo, se t’individuo, ti divido!

è inutile che decanti l’amante, Dante, provochi solo cali di libido!

Il mondo non è dei poeti, il mondo è di noi prepotenti!

Vai rimando alla genti che mi getti nel fango, ma io rimango l’Argenti!

Chloè: chi parla dunque è Filippo, e faccia passare Dante per un uomo molto violento!

Gianni: sì, esatto, parla malissimo di Dante e fa anche un sacco di battute, giocando con la rima e con le parole.

Chloè: ci sono un sacco di cose difficili da capire per uno straniero.

Gianni: ad esempio quel pezzo in cui Filippo dice: Cos’è vuoi provocarmi, sommo? Puoi solo provocarmi sonno !

Chloè: il gioco di parole qui è con le due parole sommo e sonno. “Sommo” equivale a “grande”, infatti Dante lo possiamo definire anche come “il sommo poeta”, cioè il grande poeta. Spesso si parla di Dante come il “Sommo Poeta

Gianni: infatti, mentre la seconda parola è “sonno”, con due enne al posto delle due emme. Il sonno è la sensazione che si ha quando si vuole dormire: quando si ha sonno, poi si dorme. no?

Chloè: infatti, quindi Filippo Argenti dice – “Cos’è, vuoi provocarmi, sommo?”

Gianni: cioè: “cosa vuoi Dante, mi vuoi provocare? Vuoi che io reagisca?”

Chloè: quindi Argenti dice che Dante vorrebbe provocarlo, vorrebbe provocare Argenti con tutta la sua feroce descrizione nel canto dell’inferno, e si rivolge a Dante chiamandolo “SOMMO”, cioè sommo poeta, grande poeta.

Gianni: infatti, e poi aggiunge che anziché provocarlo, cioè anziché farlo arrabbiare Dante gli provoca solamente sonno, cioè Dante è noioso, fa addormentare Filippo Argenti: gli provoca sonno, cioè lo fa solamente addormentare, come una camomilla!

Chloè: Poi dice anche a Dante: mi temi come gli eritemi.

Gianni: sì, mi temi come gli eritemi, cioè hai paura di me, mi temi, come gli eritemi, cioè come hai paura degli eritemi, che sono una malattia della pelle. In realtà solitamente si parla di eritema, al singolare, di solito.

Chloè: un altro gioco di parole! temi-eritemi

Gianni: sì, forse anche tu temi gli eritemi Chloè?

Chloè: beh dire che fa un po’ paura eh, sembra quasi quasi il diavolo che sta entrando sotto la mia pelle haha…..

Gianni: poi la rima continua: mi temi come gli eritemi, eri te che mi deridevi.

Chloè: eri tu che mi deridevi, cioè eri tu che ridevi di me: mi deridevi. Si tratta del verbo “deridere” che significa prendere in giro.

Gianni: “eri te” vuol dire “eri tu”. Spesso al posto di “tu” si dice “te”, ma in questo caso si tratterebbe di un errore, almeno un errore di grammatica.

Chloè: sì, ma i giovani spesso dicono “te” al posto di “tu”.

Gianni: vai avanti te allora, Chloè. Fa anche rima!

Chloè: lasciale fare a Dante quelle, è meglio!

Gianni: o anzi a Caparezza. Ma vediamo adesso un altro pezzo difficile.

Chloè: Devi combattere, ma te la dai a gambe levate, ma quale vate? Vattene!

Gianni: questo è più difficile: devi combattere, dice Argenti, ma “te la dai a gambe levate”. “Darsela a gambe levate” significa scappare velocemente. Filippo Argenti dice a Dante che lui scappa, se la dà a gambe levate, anziché combattere.

Chloè: e poi aggiunge: “ma quale vate, vattene!” ma quale VATE, cioè ma quale “poeta”, cioè dice “non sei un poeta”: quale vate, vattene!

Gianni: un altro gioco di parole: vate-vattene

Chloè: sì, vattene significa “vai via”, scappa. Argenti dice ancora una volta che Dante è un vigliacco, che è uno che scappa, altro che poeta, altro che VATE!

Gianni: sì, questo pezzo è un po’ difficile, ci vuole un po’ per digerirlo. Sai che alla fine della canzone c’è un pezzo molto simpatico. Ascoltiamo Caparezza:

Caparezza: le tue terzine sono carta straccia, le mie cinquine sulla tua faccia lasciano il segno.

Chloè: sapete cosa sono le terzine? La terzina, al singolare, è una strofa composta da tre versi.

Gianni: Infatti, e chi studia Dante avrà anche notato, o letto che La terzina si chiama anche “terzina dantesca”, perché è la strofa usata da Dante nella composizione della Divina Commedia.

Chloè: infatti molto interessante questo punto: tutta la Divina Commedia è fatta di terzine. Nella Divina Commedia ci sono solamente terzine.

Gianni: vuoi spiegare come funziona una terzina Chloé?

Chloè: certo: terzina significa tre versi, cioè tre frasi: il primo verso (A) ed il terzo verso fanno rima tra loro (A), mentre il secondo verso (B) fa rima con il primo successivo. Poi si continua così sullo stesso modello, con il terzo della terzina successiva. (ABA BCB CDC…)

Gianni: sembra un po’ complicato ma in fondo è semplice. Le terzine, dice Argenti, sono “carta straccia”. Questo è un modo di dire che significa che le terzine non valgono nulla. Quindi Argenti dice che la Divina Commedia non vale nulla, che ha lo stesso valore della carta straccia. Cioè nessun valore.

Chloè: poi aggiunge: le mie cinquine sulla tua faccia lasciano il segno.

Gianni: sì, le tue terzine sono carta straccia, le mie cinquine sulla tua faccia lasciano il segno. Cioè mentre le tue terzine sono carta straccia, le mie cinquine lasciano il segno sulla tua faccia.

Le cinquine sono gli schiaffi. Abbiamo detto prima che Argenti una volta ha schiaffeggiato Dante.

Chloé: quindi gli ha dato una cinquina. Cinquina viene da cinque, che sono le dita della mano.

Gianni: si dice in italiano, ma è un linguaggio familiare: mi ha dato una cinquina ! Cioè mi ha dato uno schiaffo.

Chloé: fanno male le cinquine Gianni?

Gianni: eh altroché, io ne ho presa una, molto tempo fa ed ancora me la ricordo sai?. Ho preso una bella cinquina sulla faccia.

Chloé: quella cinquina deve aver fatto male anche a Dante, tanto male.. Mi sa che Argenti l’ha preso a calci, ti immagini ?!!!

Gianni: un’immagine insolita di Dante… comunque credo che abbia ragione Argenti (cioè Caparezza): una cinquina lascia il segno. Infatti l’ha lasciato il segno. Anche quella che ha dato Argenti a Dante ha lasciato il segno a quanto pare non credi?

Chloé: Eccome! “Lasciare il segno” significa avere un effetto, sortire un effetto, lasciare un risultato/una traccia. Alla fine non sappiamo bene se Dante fosse davvero “un angelo”! Magari era un po’ violento anche lui no?

Gianni: chi lo sa… ma speriamo di averlo lasciato anche noi un risultato Chloé, col nostro episodio su Dante!!

Chloé: speriamo di aver lasciato una bella traccia. Sai, credo che ora Dante abbia un aspetto molto più umano di prima Gianni.

Gianni: credo proprio di sì! Anche Dante come noi si arrabbia e prende schiaffi!

Chloé: un saluto a tutti con affetto, speriamo di aver raccontato qualcosa di divertente ed istruttivo. E soprattutto di avervi dato una versione un po’ più moderna di Dante e della letteratura italiana! Direi pure che Dante non è sempre un inferno da leggere!

Gianni: per me lo è stato….intendo dire molto istruttivo. Infatti non sapevo nulla di questo Argenti prima di questo episodio.

Ciao a tutti!

Fatti non foste a viver come bruti

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Buongiorno, un caro saluto a tutti. Chi vi parla è Gianni, o Giovanni, cioè il creatore di Italiano Semplicemente. Oggi cercherò di spiegarvi una frase italiana famosissima.

Non si tratta, a dire il vero, di una frase idiomatica italiana, non è una espressione tipica italiana, ma si tratta di una citazione. Una citazione è quello che si fa quando si ricorda, si cita, appunto, ciò che ha detto oppure scritto qualcun altro. Una citazione quindi è il dire o lo scrivere una cosa che ha già scritto o detto qualcun altro. Questo qualcun altro, in questo caso, è Dante Alighieri.

Parleremo di Dante Alighieri in modo un po’ più approfondito in un prossimo podcast, per la rubrica “grandi personaggi italiani” (abbiamo già visto Umberto Eco e Roberto Benigni) per ora mi accontenterò di citare Dante. Oggi quindi citerò Dante Alighieri. La citazione che farò di Dante Alighieri è relativa ad una terzina del canto numero ventisei dell’Inferno. Stiamo quindi parlando della Divina Commedia.

terzina_immagine

La Divina Commedia è, come tutti saprete, l’opera più importante composta da Dante Alighieri, e probabilmente è anche l’opera più importante della letteratura italiana e mondiale. La Divina Commedia è suddivisa in Inferno, Paradiso e Purgatorio e ognuna di queste tre parti è a sua volta divisa in “canti“. Ogni canto è diviso in parti più piccole che si chiamano “terzine“.

La terzina è detta anche “terza rima” o anche “dantesca” (dantesca perché relativa a Dante Alighieri), e si chiama anche “terzina incatenata”, è la strofa usata da Dante nella composizione della Divina Commedia.
Si chiama terzina perché è composta da tre parti, da tre versi: se fosse stata composta da due sole parti, da due soli versi, si sarebbe chiamata “distico“, un nome che conoscono solamente coloro che si occupano di queste cose, ed invece questa si chiama terzina, poiché le parti sono tre, i versi sono tre.
Ho parlato di strofa, ed infatti la terzina è una strofa, che nella letteratura è un gruppo di versi, dove ogni verso è composto da parole. Il numero dei versi di una strofa può variare, ed in questo caso abbiamo appunto una strofa composta da tre versi: una terzina.

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Dopo questa breve introduzione sulla struttura della Divina Commedia, che magari può interessare a qualcuno e comunque è interessante per coloro che studiano Dante nelle scuole di Italiano, passiamo alla celebre terzina di cui voglio parlarvi oggi.

Questa terzina, del canto numero ventisei dell’Inferno, contiene due versi famosissimi:

Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e canoscenza

è una terzina molto famosa, soprattutto il secondo ed il terzo verso. Questa terzina ci dà un quadro abbastanza chiaro, a quanto pare, della personalità di Dante Alighieri, che considerava la conoscenza il presupposto per la valutazione di una persona.

Se una persona è una persona colta, cioè conosce molte cose, allora è una persona di valore, altrimenti questa persona non vale nulla, o meglio, la sua vita equivale alla vita di un bruto, quello che lui chiama bruto.

Vediamo bene questa terzina.

Il primo verso è: “Considerate la vostra semenza“. Considerate, cioè pensate, prendete in valutazione la vostra semenza, cioè da dove venite, considerate la vostra natura, considerate il fatto che siete esseri umani, esseri intelligenti, e non bestie, non animali. Semenza viene da “seme”, da cui nascono le piante. La semenza quindi rappresenta l’origine, la razza umana in questo caso.

Ebbene, se considerate la vostra semenza, arriverete facilmente a capire, dice Dante, che non siete fatti per vivere come bruti – “fatti non foste“, cioè “non siete fatti”.

“Fatti non foste” significa che voi, voi esseri umani, non foste fatti per vivere come bruti. Foste è il passato remoto del verbo essere.

io fui
tu fosti
egli fu
noi fummo
voi foste
essi furono

Se faccio la negazione posso dire:

Voi non foste.

Quindi “voi non foste fatti” lo posso anche dire “fatti non foste”. Il voi è sottinteso.

Quindi voi, esseri umani, non foste fatti per vivere come dei bruti – “a viver come bruti“, cioè per vivere come delle bestie, come animali. La parola bruto, al singolare (bruti al plurale) rappresenta una persona che non usa la ragione, che non usa l’intelligenza, una persona che è incapace di dominare i propri istinti, e che quindi è anche violenta, feroce. La parola bruto nel linguaggio parlato è usata fondamentalmente per indicare una persona di questo tipo, soprattutto nella sfera familiare: un bruto è colui che picchia la moglie, che fa del male ai propri familiari, bruto è colui che usa violenza contro gli altri, ma soprattutto nei confronti delle donne e dei bambini.

Poi la parola al femminile “bruta” è associata spesso alla forza. La forza bruta è una forza molto grande. Se dico che io ho una forza bruta non significa che sono un bruto, un violento, ma che ho una grande forza, talmente grande che sembra quasi non essere una forza umana. Dante quindi usa il termine bruti per dire che l’essere umano è fatto per pensare e per conoscere, per leggere e apprendere, e non per usare la violenza, non per essere vittima dell’istinto, come un animale.

Infatti l’ultimo verso recita: “ma per seguir virtute e canoscenza“.

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza, cioè per seguir, cioè per seguire, cioè conseguire, per inseguire la conoscenza, che Dante chiama canoscenza: il nostro obiettivo, come esseri umani, è cercare di perseguire la conoscenza.

Dante usa “seguir”, che sta per seguire, ma è da intendere come conseguire, cioè cercare di raggiungere, cercare di raggiungere l’obiettivo della conoscenza. Questo è la cosa per cui siamo fatti. Questa è la cosa per cui l’essere umano è fatto. “E’ fatto per” significa che “serve a”, che “è nato per”. Se noi siamo fatti per la conoscenza, quindi, vuol dire che siamo nati, siamo predisposti per aumentare la nostra conoscenza.

Quindi “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza“.

La “virtute” è la virtù. Se provate a cercare sul dizionario la parola virtute molto probabilmente non la troverete, dipende un po’ da quello che utilizzate, ma la virtute è la virtù, e la virtù è ogni buona qualità, ogni caratteristica positiva dell’essere umano.

virtute_immagine

Ognuno di noi ha almeno una virtù: una persona può essere buona, un’altra sensibile, un’altra ancora ha la virtù del fascino, oppure la virtù della pazienza. Questa potrebbe essere la mia virtù, ad esempio: io mi reputo una persona molto paziente, che sa aspettare.

La virtù è più una caratteristica dell’animo umano, ma la parola virtù ha moltissimi significati in realtà.

Quindi l’essere umano, dice Dante, è fatto per inseguire le virtù, è fatto per migliorarsi di giorno in giorno, per assumere un valore sempre maggiore, “e conoscenza”: “seguir virtute e canoscenza“, cioè per conseguire le virtù e per imparare cose. Se l’uomo non impara non ha valore.

Beh credo che il messaggio di Dante sia abbastanza condivisibile da tutti. Non sono entrato nel dettaglio di tutte le spiegazioni perché in questo episodio volevo solamente farvi capire che questa frase è molto famosa, molto utilizzata in Italia, soprattutto negli ambienti intellettuali, o comunque da persone che hanno una alta cultura.

Dante spesso fa omaggio alla conoscenza ed all’importanza per l’uomo: “Tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere“, dice all’interno del Convivio, che è un’altra opera di Dante Alighieri.

Immagino che anche voi, che state ascoltando e leggendo questo episodio, avete voglia di sapere, di conoscere. Vi lascio allora ascoltare, non con la mia voce, ma con la voce di Benigni, famoso attore e comico italiano, la famosa terzina del canto numero ventisei dell’Inferno, così da farvi innamorare della melodia della lingua italiana.

immagine_roberto_benigni

Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e canoscenza

Bene, spero che l’episodio vi sia piaciuto e in futuro, come vi dicevo, è in programma un podcast interamente dedicato a Dante Alighieri, dove non racconterò ovviamente tutta la sua vita né farò l’elenco delle sue opere, ma parlerò come al solito di un aspetto di interesse relativo alla lingua italiana, all’apprendimento della lingua italiana.

Portrait_de_Dante

Quello di oggi è sicuramente un aspetto legato all’apprendimento, perché l’apprendimento di una lingua significa voglia di conoscenza di una lingua e di una cultura in generale, quella italiana nella fattispecie, quindi oggi abbiamo anche scoperto che non siamo fatti per vivere come bruti ma per conseguire le virtù e la conoscenza.

Abbiamo anche visto da vicino una frase molto famosa in Italia, i due versi finali delle terzina descritta sopra, e quindi è come aver imparato una espressione tipica italiana.

Se venite in Italia e vi capita di andare in un ristorante molto affollato o di andare in un autobus molto affollato, dove in entrambi i casi ci possono essere persone che alzano la voce, che strillano, che sono nervose, ebbene, potete dire a queste persone: ”

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e canoscenza

Buona giornata e continuate a seguire Italiano Semplicemente, perché il prossimo podacst sarà dedicato ai verbi prenominali, e spiegherò in particolare una frase idiomatica italiana che contiene appunto un verbo prenominale. In realtà lo ho già fatto in passato, perché mi è capitato di spiegare ad esempio la frase “farsene una ragione“, la cui spiegazione la potete trovare sul sito italianosemplicemente.com, che contiene proprio un verbo prenominale, anche se non è stato detto all’interno del podcast perché, come sapete, non è buona cosa concentrarsi sulla grammatica ma sulla comunicazione, ben più importante della grammatica, soprattutto per chi ama ascoltare.

Ma un ragazzo di nome Renato mi ha chiesto di dedicare un podacst ai verbi pronominali ed io lo farò perché mi piace andare incontro alle esigenze dei membri della famiglia di Italiano Semplicemente. Ovviamente lo farò nel modo consueto, senza annoiare possibilmente, e facendo esempi divertenti.

Alla prossima amici.

Grandi personaggi Italiani: Roberto Benigni

immagine_roberto_benigni

Audio

Trascrizione

Buongiorno amici di Italiano Semplicemente e grazie di essere qui all’ascolto di questo nuovo episodio dedicato ai grandi personaggi Italiani. Questo è un nuovo modo di ascoltare la lingua italiana, un nuovo modo che abbiamo cominciato a  sperimentare.

Spero di aver trovato una modalità interessante, che vi renda piacevole l’ascolto, ed in questo modo riuscirete senz’altro a migliorare la vostra comprensione della lingua italiana, a memorizzare le regole grammaticali in modo automatico, e nello stesso tempo riuscirete ad imparare qualcosa sulla cultura italiana, fatta anche di grandi personaggi, cioè di persone importanti, persone che nella loro vita hanno fatto o stanno tuttora facendo qualcosa di importante per l’Italia.

Oggi parliamo quindi di un secondo grande personaggio italiano. Abbiamo visto per primo Umberto Eco, scelto perché la maggioranza di voi me lo aveva richiesto. Abbiamo visto alcune curiosità della sua vita e il suo contributo a favore della lingua italiana, cioè abbiamo visto che cosa ha fatto e cosa ha dato Umberto Eco alla lingua italiana e come ha contribuito alla diffusione della conoscenza della lingua italiana in Italia e nel mondo, ed abbiamo visto anche alcune questioni interessanti che lo riguardano, come il rapporto tra la lingua italiana ed i dialetti italiani, cioè le lingue locali, le lingue diffuse a livello locale, territoriale.

Oggi vorrei invece parlarvi di un altro grande personaggio italiano: Roberto Benigni. Roberto Benigni è un comico italiano. Un comico è una persona che per mestiere, come lavoro, fa divertire le persone, deve far ridere, diciamo che guadagna facendo divertire le persone. Il suo compito è questo, cosa non affatto facile direi. Benigni è un comico, o farei meglio a dire che Benigni nasce come comico.

Ha fatto anche molti film, alcuni di successo, sia film comici, appunto, ma anche film drammatici. Il suo film più famoso, che appartiene proprio alla categoria dei film drammatici, è “la vita è bella“, film che ha avuto un successo clamoroso, tanto da vincere anche il premio oscar nel 1997. “La vita è bella” è il titolo di questo film, film diretto e interpretato da Roberto Benigni. “Diretto” significa che lui è stato il regista di questo film, lui l’ha diretto, e chi dirige un film si chiama il “regista”. “Interpretato” invece significa che Benigni era un attore di questo film, era un interprete di questo film; lui ha quindi interpretato una parte in questo film, e la parte che Benigni ha interpretato è stata la parte dell’attore protagonista, cioè la parte dell’attore principale, il più importante, il protagonista principale del film, il cui nome nel film era Guido.

Benigni ha interpretato la sua parte talmente bene da vincere il Premio Oscar come attore protagonista. Questo è uno dei tre premi oscar che ha vinto il film “la via è bella”. Gli altri due premi oscar che ha vinto il film sono stati il premio come miglior film straniero e il premio come miglior colonna sonora.

La colonna sonora è fondamentalmente la musica del film, la base musicale del film. La colonna sonora è l’insieme della voce, della musica e dei rumori di un film. Per chi non avesse visto questo film vi consiglio di farlo, perché è un film molto originale perché Benigni ha avuto il coraggio di fare un film sull’Olocausto facendo anche dell’ironia. Inoltre il film fa vedere l’Olocausto dagli occhi di un bambino. Questo film è quindi anche un film molto ironico,  è un film che riesce  far divertire nonostante parli di un tema serissimo, quello della strage degli ebrei, dello sterminio nazista.

Il film è ironico perché  quando la famiglia di cui il protagonista fa parte nel film viene deportata all’interno del campo di concentramento nazista, cioè del Lager nazista, Benigni, nei panni di Guido, fa credere al figlio che tutto sia un gioco. Guido fa credere al figlio che ci sia un gioco in cui i giocatori devono affrontare delle prove difficili per vincere un premio finale. Tutto questo, naturalmente, Guido lo fa per proteggere il figlio, per proteggere il proprio figlio dall’orrore del nazismo, per non fargli vivere quella terribile esperienza. Un’idea geniale questa che è stata premiata con ben tre premi oscar appunto. Il campo di concentramento è una struttura carceraria, un carcere quindi, una prigione, ma all’aperto; è quel campo, quel terreno, quell’area territoriale aperta in cui venivano concentrati, cioè venivano messi tutti assieme,  i detenuti. Questo campo quindi è una struttura in cui venivano concentrate molte persone, una grande quantità di persone.

Benigni però non ha fatto solamente film e spettacoli comici però. Infatti nella sua vita Benigni si è anche occupato della lingua e della cultura italiana. Cosa ha fatto per la lingua italiana Benigni? Forse gli stranieri non ne sono a conoscenza, ma ci sono moltissime cose che accomunano Roberto Benigni alla lingua ed anche alla cultura italiana. Benigni e l’Italia hanno molte cose in comune, e quindi possiamo dire che ci sono molte cose che “accomunano” Benigni alla lingua ed alla cultura italiana.

Benigni ha aiutato gli stessi italiani a comprendere il significato e la bellezza della Costituzione Italiana, che è la legge italiana più importante in Italia, e questa è una cosa che per un comico è molto originale. Solitamente i comici sanno far divertire le persone e basta infatti.

Benigni ha, non dimentichiamo, anche cantato ed spiegato l’Inno di Mameli, che è l’Inno d’Italia, la canzone dedicata all’Italia.  L’Inno di Mameli è la canzone che si canta in occasioni dei mondiali di calcio ad esempio, prima dell’inizio di ogni partita. Benigni ha quindi spiegato l’inno d’Italia in TV, davanti a tutti gli italiani: ha appunto spiegato le singole parole dell’Inno, una ad una, facendo scoprire a tutti gli italiani il loro vero significato, evidentemente non proprio così scontato.

Benigni infine parla più volte pubblicamente della cultura italiana, lo fa nel suo modo simpatico e appassionato, come al solito. Allora vi voglio far ascoltare un pezzo di cui riporto anche la trascrizione su Italiano Semplicemente. Dopo, considerando che Roberto parla abbastanza velocemente, vi ripeterò brevemente quello che dice.

È il sud dell’Italia che ci deve dare un’identità. L’Italia è l’unico luogo al mondo in cui è nata prima la cultura e poi la nazione, dobbiamo andare fieri di questo, è una cosa meravigliosa… Il sud dell’Italia quante cose c’ha dato: tutti i più grandi pensatori; è il sud che deve dare un’identità, ci darà un’identità perché tutti i più grandi pensatori sono nati al sud. Non è un caso: Campanella, Telesio, Benedetto Croce, Galiani, Vigo, Giordano Bruno, Tommaso D’Aquino. Tutti i pensatori che ci sono stati in Italia vengono da sud; è da lì che aspettiamo l’identità, dal sud dell’Italia..

Benigni, avete sentito, parla molto velocemente in questo pezzo che vi ho fatto ascoltare. Nel caso aveste avuto dei problemi di comprensione,  Benigni dice che i più grandi personaggi italiani, quelli che hanno dato una identità all’Italia, sono del sud Italia, appartengono alle zone del sud-Italia.

L’Italia infatti è divisa in regioni, in venti regioni, ed in tre grandi macro-aggregati di regioni: le regioni del nord, quelle del centro e quelle del sud. Ci sono molte differenze tra queste tre parti dell’Italia: differenze culturali, linguistiche, stili di vita, oltre che differenze di abitudini quotidiane, di dialetti e tradizioni. E Benigni esalta, cioè parla bene delle regioni del sud, della parte sud dell’Italia, che, c’è da dire, è anche la parte economicamente più svantaggiata dell’Italia, la parte che è meno vicina all’Europa, al nord Europa, quella più produttiva, e quindi per questo il sud-Italia è la parte più carente di infrastrutture, più carente di lavoro e più carente di opportunità in generale. Nel sud dell’Italia, dice Benigni, sono nati però i più grandi personaggi della letteratura, i più grandi pensatori, che sono coloro che pensano, che usano la testa per pensare.

Benigni parla anche di Dante Alighieri in quella stessa occasione. Tutti voi sicuramente conoscete Dante Alighieri, che sarà anche uno dei prossimi grandi personaggi di cui parleremo. Ebbene, Benigni è stato molto importante per avvicinare gli italiani alla bellezza dell’Italia, ed in particolare alla bellezza della Divina Commedia, l’opera più importante di Dante Alighieri. E ascoltate anche cosa dice Benigni della Divina Commedia:

La Divina Commedia è una di quelle opere… il dono più grande proprio! Prima di tutto chiariamo una cosa: che è l’opera di poesia più grande! Tutte le letterature di tutti i tempi e di tutto il mondo. Non c’è una cosa grande nel mondo come la Divina Commedia; e guardate che  non potete sapere la bellezza quando si va all’estero. No potete sapé (=sapere) quanta gente impara l’italiano per leggerla dall’originale: più di quella che pensate. Questa è l’opera più ardita dell’ingegno umano.

Nella seconda parte parla della Divina Commedia come della cosa più grande, l’opera più grande di poesia che ci sia al mondo, l’opera più grande che sia mai stata scritta nella letteratura mondiale e che ci sono molti stranieri, tante persone di altre nazionalità che hanno voluto imparare la lingua italiana per il piacere di poter leggere e capire la Divina Commedia in lingua originale.

Insomma avete sicuramente capito perché ho scelto Benigni come uno dei principali personaggi di cui parlare nella nostra rubrica dei grandi personaggi italiani. La passione con cui parla è veramente incredibile. Benigni ha un accento toscano, quindi quando parla si nota, o almeno gli italiani notano chiaramente il suo accento, la sua inflessione tipica della regione Toscana, che tra l’altro è proprio la Regione di dante Alighieri.

Infatti qualche anno fa ha recitato e commentato la Divina Commedia in TV, davanti a milioni di telespettatori. Ha spiegato il significato anche qui di ogni singola parola, e l’ha fatto in modo appassionato e divertente, a modo suo, facendo anche riferimenti storici, senza i quali è praticamente impossibile capire fino alla fine. Ma questo lo vedremo la prossima volta, quando il personaggio di cui ci occuperemo sarà proprio Dante Alighieri.

Un saluto a tutti, tutti i visitatori ed ascoltatori di Italiano Semplicemente, che vengono un po’ da tutti i paesi del mondo. Spero che questo episodio di sia piaciuto, e grazie anche a coloro che hanno usato lo strumento della donazione, strumento che ho messo recentemente a disposizione per coloro che vogliono aiutare Italiano Semplicemente a svilupparsi ed a crescere.

A proposito di visitatori: I primi visitatori del 2016, quelli più numerosi, lo voglio ricordare, sono i finlandesi. Un saluto speciale dunque a tutti i finlaldesi: “hei hei” è il classico saluto finlandese, un saluto che ho imparato quest’estate durante le mie vacanze nella splendida Finlandia.

Ancora uno hei hei a tutti amici!

Grandi personaggi italiani: Umberto Eco

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Audio

Trascrizione

Buongiorno, amici di Italiano Semplicemente. Spero stiate tutti bene. Dunque oggi inizia una serie di episodi dedicati ai grandi personaggi italiani.
Lo avevo preannunciato nel corso dell’ultimo episodio, quando abbiamo parlato di terremoto e dei termini più usati quando si parla di terremoto, articolo tra l’altro molto apprezzato a giudicare dal numero delle visite.

Ebbene sulla pagina Facebook vi avevo chiesto da quale grande personaggio italiano iniziare e ho notato che c’è stato molto interesse su questo argomento; ne sono molto felice, quindi ho solamente l’imbarazzo della scelta:
Valentino Rossi per il MotoGP, Umberto Eco per la letteratura, Garibaldi per ciò che ha fatto per l’Italia, Dante Alighieri, chi non conosce la Divina Commedia? I grandi artisti come Leonardo da Vinci, Michelangelo,  Pinturicchio, Giotto, il Ghirlandaio,  Cimabue, Brunelleschi, Bernini,  Caravaggio. Chi più ne ha, più ne metta! C’è anche chi mi ha proposto Nerone; bene. Abbiamo quindi il materiale per un paio di anni di lavoro.

Inizialmente, pensando a questa idea, avevo proposto ai visitatori di Italiano semplicemente l’attore Roberto Benigni, ed anche Rita Levi Montalcini per la letteratura, o anche Pavarotti, famoso cantante lirico, ma voglio considerare ovviamente le vostre indicazioni quindi vorrei iniziare con Umberto Eco.

Prima di iniziare a parlare di Umberto Eco, vorrei darvi una piccola informazione che probabilmente non avete ancora notato, perché pubblicando molti episodi recentemente siete giustamente concentrati su questi, ma vorrei accertarmi del fatto che avete notato che ho creato una pagina che si chiama DONAZIONE. DONAZIONE è una pagina che serve ad aiutare i creatori di contenuti come me, ad aiutare tutte le persone che mettono dei contenuti a disposizione gratuitamente a raccogliere dei fondi che possono donare i donatori. I donatori sono le persone che consumano i contenuti gratuiti, come voi in questo caso, e questa pagina dà la possibilità ai donatori di aiutare il creatore di contenuti attraverso una donazione mensile. Ogni mese voi donate una piccola somma, e quello che è veramente stupefacente è che si può donare anche 1 solo euro. Questo vuol dire che voi potete donare anche 1 euro al mese e così potete aiutare il creatore di contenuti e la pagina internet che seguite. Potete ovviamente pagare usando qualsiasi altra moneta e potete, ovviamente, fermarvi quando volete voi, potete decidere di pagare quanto e quando volete voi. Uno strumento molto flessibile dunque. Quello che mi piace di questo sistema è che è basato sulla fiducia ed è basato sulla volontà: voi non siete obbligati a farlo, potete continuare semplicemente a consumare i contenuti senza aiutare Italiano Semplicemente e ad ogni modo, credo che sia un sistema niente male; non a caso viene utilizzato in molti siti web.

Sapete che Italiano Semplicemente sta crescendo grazie a voi tutti ed io vi ringrazio di questo. Non è facile per me che ho anche un lavoro e una famiglia da seguire quindi devo trovare il tempo per occuparmi anche di ciò di cui sono appassionato. Non ho mai messo alcuna forma di pubblicità sul mio sito perché so che può dar fastidio e può distrarre i visitatori. Quindi continuerò ad occuparmi di voi e a fare in modo che possiate migliorare il vostro italiano con divertimento e se possibile senza annoiarvi.

Se volete aiutare la missione di Italiano Semplicemente, in alto sul sito c’è il pulsante “donazione” e vedrete che è semplicissimo e velocissimo, soprattutto se avete Paypal. Ad ogni modo vi ringrazio di dedicare il vostro tempo per considerare questa possibilità. Non so neanche se funziona ancora, fatemi sapere se avete problemi.

Allora parliamo di Umberto Eco ora: Il motivo di questa scelta è che il primo che me l’ha proposto mi ha ricordato una cosa su Umberto Eco, vale a dire una sua frase celebre che è la seguente:

“Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro”

Umberto Eco è morto abbastanza recentemente, a Milano, il giorno 19 febbraio di quest’anno, del 2016, dopo aver vissuto per 84 anni. Infatti Umberto Eco nasce ad Alessandria, il giorno 5 gennaio 1932. Attenzione perché (apro una piccola parentesi) ho appena detto “nasce” ad Alessandria e non ho detto invece “è nato” e neanche “nacque” ad Alessandria. Ho usato dunque il presente del verbo nascere. Come mai? Non si tratta di un errore: è corretto, quando si parla di nascite, e quando si parla di qualcuno che è nato in un certo luogo in una certa data posso talvolta dire: “nasce”: Umberto Eco nasce ad Alessandria, oppure Umberto Eco nasce nel 1932. Anche nei testi scolastici è comune l’uso del presente; per esempio: “Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785″. Attenzione però perché se la persona è ancora viva, in tal caso si usa dire “è nato”. Vi potrebbe venir voglia di dire che Umberto Eco “era nato” ad Alessandria poiché ora è morto, ma in realtà non si usa fare questo, anche se dal punto di vista grammaticale non sarebbe scorretto. Diciamo che “nasce nel” o “nasce a ” quindi al presente è una forma che si usa quando la persona è morta. Chiudiamo la parentesi; è solamente per dirvi che la grammatica non sempre ci è di aiuto per parlare ed esprimerci correttamente

Tornando ad Eco, non parlerò oggi ovviamente di tutta la sua vita e di tutto quello che ha fatto, anche per non annoiare i visitatori. Quello che farò, ogni volta, in questa rubrica, è ricordare alcune cose, alcuni fatti importanti, alcune cose “degne di nota” di un personaggio. Quando una cosa è degna di nota vuol dire che è importante. Degna di nota vuol dire degna di essere citata, degna di essere ricordata. Degna significa che ha dignità, quindi degna vuol dire che vale la pena di ricordare.

La frase precedentemente citata è una frase infatti veramente degna di essere citata. La lettura è una delle cose che veramente ci distingue dall’animale. C’è anche una famosa frase di Mark Twain secondo la quale “chi non legge non ha nessun vantaggio su chi non sa leggere“. Anche questa è una frase di grande effetto.

Ma innanzitutto perché è famoso Umberto Eco e perché vale la pena di essere ricordato? Non è solo per questa frase evidentemente. Eco è stato un uomo nato in una famiglia normale; era figlio di un semplice impiegato delle Ferrovie dello Stato, quindi  non di personaggi famosi. Apparteneva insomma ad una famiglia normale. Ha studiato filosofia, laureandosi nel 1954. Nella sua vita Umberto Eco si interessò in realtà di molte cose: prima di filosofia e cultura medievale, successivamente si è interessato molto alla comunicazione dei mass media e all’influenza dei mass media nella cultura di massa, ma anche di politica e di molti altri aspetti. Oggi mi soffermerò in particolare su alcune curiosità che riguardano Umberto Eco, che credo siano interessanti per chi segue Italiano Semplicemente.

Mi ha colpito che Eco ad esempio sia stato un grande appassionato di fumetti, ed in particolare di un fumetto di nome “Dylan Dog“, un fumetto del quale anche io stesso sono stato molto appassionato in passato. Mi ha molto colpito questa cosa. Umberto Eco diceva che lui poteva leggere la Bibbia, Omero e Dylan Dog tranquillamente per giorni e giorni senza mai annoiarsi.

Per chi non lo conosce, Dylanj Dog è il famoso “indagatore dell’incubo“, nome sicuramente complicato per voi stranieri. L’Indagatore  dell’incubo è colui che indaga sull’incubo, cioè Dylan Dog è un indagatore, cioè un investigatore, come Sherlock Holmes ad esempio, ed è un investigatore dell’incubo, lui indaga, investiga, sull’incubo. L’incubo è la parola indicata per descrivere un brutto sogno, un sogno pauroso. Pensate che questo fumetto ha anche dedicato uno dei suoi numeri ad Umberto Eco, ed in questo fumetto, in questo numero, il personaggio protagonista, che si chiama appunto Dylan Dog, è stato affiancato proprio da Umberto Eco, per fare, pensate un po’, un’indagine sull’origine delle lingue del mondo. Un’indagine per capire, per scoprire l’origine, cioè come sono nate, le lingue nel mondo.

Umberto si occupa anche di narrativa, ed è all’età di 48 anni fa il suo ingresso nel mondo della narrativa. Il suo più grande successo è il libro dal titolo “Il nome della rosa“, un successo strepitoso che è stato tradotto in moltissime lingue diverse, ben 47 se non sbaglio. Probabilmente moltissimi di voi avranno letto Il nome della rosa.

Una delle caratteristiche più note di Umberto Eco era sicuramente l’umorismo. Questa è un’altra cosa degna di nota, secondo me. Si è parlato dell’umorismo come di una vera arma letteraria di Umberto Eco. Il fatto stesso di citare Dylan Dog vicino alla Bibbia e ad Omero ne è una chiara dimostrazione, secondo me.

Umberto Eco si è occupato anche della lingua italiana. Lo ha fatto in moltissimi modi diversi a dire il vero, e vorrei soffermarmi un po’ su questo aspetto perché chi ascolta questo podcast sono sicuro troverà interessante le idee di Umberto Eco in proposito. In una intervista del 2011, in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, avvenuta nel 1861, Eco parla ad esempio dei dialetti italiani. I dialetti sono diffusissimi in Italia. Un dialetto è una lingua che si parla in una specifica parte dell’Italia; il dialetto ha quindi un ambito geografico limitato, si parla in un ambito geografico limitato ed in Italia ci sono moltissimi dialetti, moltissime lingue che sono simili alla lingua italiana, chi più chi meno: alcuni dialetti sono veramente difficili da comprendere però.

Molti dialetti sono più famosi degli altri, perché più caratteristici, perché spesso legati a personaggi italiani famosi: parlo del dialetto napoletano, che si parla quindi a Napoli e dintorni, o del dialetto siciliano. Questi due dialetti sono sicuramente più famosi degli altri. Non ci dimentichiamo del dialetto romano inoltre. Ci sono però dialetti altrettanto caratteristici ma meno famosi all’estero, come il dialetto sardo, che si parla in Sardegna, il dialetto milanese eccetera. Potrei continuare all’infinito, perché in Italia in realtà ogni piccolo paese, anche il più piccolo di 100 abitanti ha un suo dialetto caratteristico: qualche volta si parla di una leggera inflessione, di una leggera differenza nella lingua parlata rispetto ad altri dialetti, ed altre volte si tratta di una vera e propria lingua, che può essere anche molto diversa dalla lingua italiana come dicevo prima.

Ebbene Umberto Eco in questa intervista del 2011 parla della lingua italiana e parla anche delle differenze tra la lingua italiana e le altre lingue. Trovo personalmente molto interessante ciò che ha detto in proposito.

“…e un lettore inglese che prendesse in mano il Canterbury Tales di Chaucer (nota: XIV secolo) che è scritto in middle english….. non riuscirebbe a capire niente, mentre un italiano prendendo in mano un libro sessant’anni prima di Chaucer, “nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura“, capisce benissimo”

Umberto Eco ci spiega che la lingua italiana non si è evoluta un granché, tra Leopardi e Petrarca ci sono 500 anni di differenza e non si nota molto la differenza nel linguaggio tra i due grandi letterati.

Umberto Eco dice poi, facendo uso dei suoi studi sulla comunicazione dei mass-media, che esiste un diffuso linguaggio basico che si è diffuso grazie soprattutto alla televisione, e questo ha messo in crisi i dialetti. I dialetti ovviamente hanno sofferto quindi la diffusione dell’italiano basico, ma i dialetti sono una buona cosa o sono considerati una cosa negativa per la lingua italiana e per l’Italia in generale?

Dobbiamo considerare i dialetti locali come una caratteristica di arretratezza culturale, come segno di ignoranza oppure i dialetti sono una cosa da proteggere perché preziosa?

Eco sottolinea come gli esperti della lingua italiana fino a qualche anno fa auspicavano che si abbandonasse l’uso dei dialetti per favorire l’uso della lingua italiana nazionale. Oggi invece gli stessi linguisti credono che i dialetti siano un patrimonio da conservare e si chiedono come fare per evitare l’estinzione dei dialetti, considerati quindi come qualcosa di prezioso, da conservare e proteggere. Ma l’italiano sta comunque cambiando; si evolve, si sviluppa lo stesso nonostante il basic-italian diffuso dalla TV: negli anni 50 in una famiglia italiana i genitori parlavano in dialetto ed i figli che andavano a scuola parlavano l’italiano. Oggi le parti pare si siano invertite. Ora i figli sono cresciuti e sono diventati genitori ed i figli di oggi, dice Umberto Eco, non sanno più parlare italiano, perché i giovani usano molto gli sms, ed oggi ancora più del 2011 usano molto Facebook e Whatsapp, in cui si usa un linguaggio semplificato, fatto di sigle e di scorciatoie, di parole tagliate ed acronimi inventati. Le nuove generazioni leggono meno dei loro genitori, leggono meno i giornali e guardano meno la TV. I giovani preferiscono brevi messaggi, anzi, brevi sms.

Spero che i giovani che seguono Italiano Semplicemente invece siano dei buoni lettori ed anche dei buoni ascoltatori. Trovo la frase di Umberto Eco veramente molto profonda, soprattutto nella parte finale quando dice: “la lettura è un’immortalità all’indietro”, vale a dire con la lettura si vive più a lungo, ma la vita si allunga all’indietro, indietro all’infinito, fino a  diventare immortali: la lettura è un’immortalità all’indietro.

Spero che questa nuova rubrica vi piaccia, ogni volta faremo un personaggio italiano diverso e cercheremo alcuni spunti che possano avere a  che fare con la lingua italiana, con l’apprendimento della lingua italiana, come abbiamo fatto oggi. Continuate a lasciare messaggi sulla pagina Facebook e fatemi sapere quale personaggio volete sia il protagonista del prossimo grande personaggio italiano.

Grazie di essere sempre più numerosi e fedeli a seguire Italiano Semplicemente. Io sono sempre molto felice di leggere i vostri commenti e di discutere con voi, di connettermi con voi anche chiarendo dei dubbi che possono venire ascoltando i podcast.

Non esitate ad unirvi con noi su Facebook o su Twitter o Instagram al fine di riuscire a portare a termine  la mia missione che è quella di aiutarvi ad imparare a comunicare in Italiano. Voi comprendete già l’italiano, lo capite, volete parlarlo ed è la mia missione quella di aiutarvi a riuscirci.

Ora vi dico a presto, ed al prossimo episodio di Italiano Semplicemente, in cui vi spiegherò il significato de “il quarto d’ora accademico“, una caratteristica tutta italiana.

Ciao ciao.