Commissariare – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 34)

Il verbo commissariare

Indice degli episodi della rubrica dedicata alla politica

 Trascrizione

Giovanni:
Come si usa il verbo commissariare? Si tratta di un verbo che si utilizza solamente quando parliamo di politica. Chiaramente deriva dal termine commissario. Cos’è un commissario allora? È una persona a cui vengono affidati temporaneamente dei compiti importanti.

Il verbo “commissariare” si usa allora per indicare l’azione di affidare qualcosa a un commissario, ovvero a una persona incaricata di assumere temporaneamente il controllo di una situazione o di un’attività, con il compito di risolvere eventuali problemi o difficoltà.

Ecco alcuni esempi di come si può utilizzare il verbo “commissariare” in una frase:

Il sindaco ha deciso di commissariare la gestione del servizio idrico per risolvere i problemi di inefficienza. Evidentemente ci sono dei problemi con la fornitura dell’acqua.

La società ha deciso di commissariare l’azienda per ristrutturarla e renderla più efficiente.

Il governo ha commissariato l’ente previdenziale per risanarne le finanze.

Il commissario allora avrà proprio questo compito: ristrutturare e rendere più efficiente l’azienda. Per questo motivo è stato nominato.

L’assemblea dei condomini ha deciso di commissariare il condominio per risolvere i problemi di manutenzione e gestione comune.

Questo commissario dovrà risolvere questi problemi e dopo che li avrà risolti sarà nominato un nuovo amministratore del condominio.

Spesso è un comune italiano ad essere commissariato.

Il commissariamento di un comune avviene quando, a causa di gravi problemi amministrativi, finanziari o di altro tipo, il governo centrale decide di nominare un “commissario straordinario” per gestire la situazione al posto degli organi amministrativi del comune stesso.

Spesso si parla di commissari straordinari non solo perché non si tratta di una gestione ordinaria (quindi è straordinaria), normale, perché ad esempio è una soluzione temporanea. Poi infatti si dovrà tornare alla normalità.

Si chiama straordinario soprattutto per un altro motivo: il commissario straordinario ha poteri straordinari.

Il commissario straordinario ha il compito di risolvere i problemi che hanno portato al commissariamento, riportando la situazione sotto controllo e garantendo la corretta gestione degli affari comunali. In genere, il commissario ha poteri speciali che gli permettono di adottare decisioni in modo rapido ed efficace, al fine di risolvere i problemi nel più breve tempo possibile.

Il commissariamento è quindi un provvedimento eccezionale (nel senso che deve essere una eccezione) che viene adottato solo in casi di estrema necessità, quando l’amministrazione comunale (ad esempio) non è in grado di garantire i servizi essenziali e la corretta gestione degli affari pubblici. In alcuni casi, il commissariamento può durare per un periodo limitato, fino a quando la situazione non si è risolta, mentre in altri casi può durare per un periodo più lungo, fino a quando non vengono risolti tutti i problemi e non viene garantita una gestione regolare e trasparente del comune.

Alcuni dei più noti commissari straordinari sono il commissario straordinario per la ricostruzione (dopo un terremoto ad esempio) , per il rischio idrogeologico, per i rifiuti di una città o per le bonifiche di un territorio.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano dedicato al linguaggio della politica.

La mela Cyborg

La mela Cyborg

– leggi e ascolta le altre storie per principianti

Trascrizione

Sofie1: La storia della mela cyborg.

Giovanni 1: C’era una volta una bellissima mela un po’ rossa e un po’ verde, dalla pelle liscia e brillante, che cresceva su un albero in un piccolo frutteto.

Sofie2: La mela era felice, poiché sapeva di essere la più bella e la più deliziosa di tutte le mele dell’orto. Ma un giorno, un brutto bruco mangiò un pezzo della sua polpa, lasciando una ferita sul suo corpo.

Giovanni 2: La mela era furiosa e frustrata. Come osava il bruco rovinare la sua bellezza!?

Sofie3: La mela non poteva sopportare l’idea che altri parassiti potessero rovinare il suo aspetto perfetto. E così, mentre il bruco si allontanava dalla mela, il piccolo frutto iniziò a pianificare la sua vendetta.

Giovanni3: La mela cominciò a pensare a come poter proteggere sé stessa e le altre mele dell’orto dai parassiti.

Sofie4: E così, con grande sorpresa di tutti, la mela si trasformò in un cyborg, con un’armatura impenetrabile che copriva la sua intera superficie.

Giovanni4: I parassiti, che erano soliti nutrirsi delle mele, si avvicinavano al frutteto ma, vedendo la mela cyborg, fuggivano spaventati.

Sofie5: Ma la mela non era soddisfatta, poiché voleva vendicarsi del bruco che l’aveva mutilata.

Giovanni5: Così, quando il bruco tornò per mangiare di nuovo la mela, questa lo affrontò con l’armatura cyborg.

Sofie6: Il bruco cercò di mordere la mela, ma la sua bocca rimase bloccata sulla dura superficie dell’armatura.

Giovanni6: La mela cyborg rispose con una scarica elettrica che vaporizzò il bruco, lasciando solo un’ombra carbonizzata sulla sua superficie.

Sofie7: Dopo quell’episodio, la mela cyborg divenne famosa in tutto il frutteto, e tutti i parassiti avevano paura di avvicinarsi. Ma anche i frutti dell’orto iniziarono a temere la mela cyborg, poiché la sua vendetta aveva dimostrato che la bellezza poteva nascondere qualcosa di molto pericoloso.

Giovanni7: E così, la mela cyborg rimase sola nel suo angolo del frutteto, una sentinella solitaria che proteggeva sé stessa e gli altri frutti, ma che intimoriva anche chiunque la guardasse. Povera mela.

Domande e risposte:

  • Qual è il protagonista della storia?
  • Il protagonista della storia è una mela.

Giovanni 1: C’era una volta una bellissima mela un po’ rossa e un po’ verde, dalla pelle liscia e brillante, che cresceva su un albero in un piccolo frutteto.

  • E com’era questa mela? Rossa?
  • Era un po’ rossa e un po’ verde
  • Era bella o era brutta?
  • Era bellissima. era molto bella la mela.
  • Com’era la sua pelle?
  • Era liscia e brillante
  • La buccia della mela era ruvida?
  • Ma no, al contrario, la pelle era liscia e brillante.
  • Dove si trovava la bellissima mela un po’ rossa e un po’ verde?
  • Si trovava su un albero. La mela cresceva su un albero.
  • E dove stava l’albero?
  • In un frutteto. In un piccolo frutteto c’era un albero sul quale cresceva una bellissima mela un po’ rossa e un po’ verde.
  • L’albero era in un negozio?
  • Ma quale negozio! Era in un frutteto!

Sofie2: La mela era felice, poiché sapeva di essere la più bella e la più deliziosa di tutte le mele dell’orto. Ma un giorno, un brutto bruco mangiò un pezzo della sua polpa, lasciando una ferita sul suo corpo.

  • Cosa lasciò sul suo corpo il brutto bruco?
  • Lasciò una ferita sul suo corpo
  • Perché?
  • Perché il bruco mangiò un pezzo della sua mela!
  • Perché la mela si arrabbiò quando il bruco le mangiò un pezzo di polpa?
  • La mela si arrabbiò perché il bruco rovinò la sua bellezza.

Giovanni3: La mela cominciò a pensare a come poter proteggere sé stessa e le altre mele dell’orto dai parassiti.

Sofie4: E così, con grande sorpresa di tutti, la mela si trasformò in un cyborg, con un’armatura impenetrabile che copriva la sua intera superficie.

  • Come la mela decise di proteggere sé stessa e le altre mele dall’attacco dei parassiti?
  • La mela decise di diventare un cyborg con un’armatura impenetrabile per proteggere sé stessa e le altre mele dall’attacco dei parassiti.
  • Chi voleva proteggere la mela?
  • Sé stessa e le altre mele dell’orto
  • Da chi voleva proteggere le mele dell’orto?
  • Dall’attacco die parassiti, come il bruco.
  • Com’era l’armatura?
  • Era impenetrabile. Niente la poteva penetrare.
  • Era resistente l’armatura?
  • Molto resistente. Era impenetrabile!

Giovanni5: Così, quando il bruco tornò per mangiare di nuovo la mela, questa lo affrontò con l’armatura cyborg.

Sofie6: Il bruco cercò di mordere la mela, ma la sua bocca rimase bloccata sulla dura superficie dell’armatura.

  • Il bruco cercò di mordere la mela?
  • Come no! Cercò di farlo, ma la sua bocca rimase bloccata sulla dura superficie dell’armatura
  • Com’era la superficie dell’armatura?
  • Era dura, durissima!

Giovanni6: La mela cyborg rispose con una scarica elettrica che vaporizzò il bruco, lasciando solo un’ombra carbonizzata sulla sua superficie.

Sofie7: Dopo quell’episodio, la mela cyborg divenne famosa in tutto il frutteto, e tutti i parassiti avevano paura di avvicinarsi. Ma anche i frutti dell’orto iniziarono a temere la mela cyborg, poiché la sua vendetta aveva dimostrato che la bellezza poteva nascondere qualcosa di molto pericoloso.

  • Come rispose la mela cyborg?
  • Rispose con una scarica elettrica che vaporizzò il bruco!
  • Cosa restò sulla superficie della mela dopo aver vaporizzato il bruco?
  • Restò solo un’ombra carbonizzata!
  • Come reagirono i parassiti quando videro la mela cyborg per la prima volta?
  • I parassiti avevano paura di avvicinarsi quando videro la mela cyborg.

Giovanni7: E così, la mela cyborg rimase sola nel suo angolo del frutteto, una sentinella solitaria che proteggeva sé stessa e gli altri frutti, ma che intimoriva anche chiunque la guardasse. Povera mela.
  • Come rimase la mela? Come restò?
  • Rimase sola. Restò sola
  • Chi proteggeva la mela cyborg?
  • Proteggeva sé stessa e gli altri frutti
  • Intimorova solamente i parassiti?
  • No, purtroppo, intimoriva anche gli altri frutti del frutteto.
  • Qual è il messaggio principale della storia?
  • Il messaggio principale della storia è che la bellezza può nascondere qualcosa di molto pericoloso, e che non bisogna mai sottostimare nessuno.

Mobilitare – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 33)

Il verbo mobilitare (scarica audio)

Indice degli episodi della rubrica dedicata alla politica

 Trascrizione

Giovanni: la lingua che si usa in politica e quella che si usa in guerra hanno un verbo in comune: mobilitare.

Un verbo che trova applicazione anche in altri ambiti ma volevo colpire la vostra attenzione. Lo ammetto!

Scherzi a parte, vediamo meglio cosa significa questo verbo e come si usa.

Mobilitare” significa mettere in movimento, far agire, organizzare e coordinare le persone, le risorse o gli sforzi per raggiungere un obiettivo comune. Questa è la sintesi estrema.

In ambito politico, il verbo mobilitare viene spesso usato per descrivere l’azione di raccogliere e organizzare le persone per partecipare a una manifestazione o a una protesta.

Ad esempio:

Il sindacato ha mobilitato i lavoratori per una manifestazione contro la riforma del lavoro in atto.

In altri ambiti, il verbo mobilitare può essere usato per indicare l’azione di attivare, coordinare o organizzare risorse di qualunque tipo o persone per un’attività specifica.

Ad esempio:

La polizia ha mobilitato tutte le sue risorse per cercare il sospettato della rapina in fuga.

L’azienda ha mobilitato i suoi dipendenti per la raccolta fondi a favore dell’ospedale.

Il verbo mobilitare viene preferito ad altri verbi come “organizzare” o “attivare” quando si vuole sottolineare l’idea di mettere in movimento o far agire un insieme di persone o risorse per raggiungere un obiettivo comune in modo coordinato.

C’è una regia dietro ogni mobilitazione, una mente, una persona che ha organizzato la mobilitazione.

Mobilitare è simile anche a mettere insieme, riunire, raggruppare, unificare.

In guerra si mobilitano le truppe, i soldati, le forze in campo per battere il nemico.

In politica si mobilitano gli elettori o le persone in generale. Al limite si possono mobilitare tutte le risorse a disposizione per raggiungere un obiettivo.

Si possono mobilitare anche le risorse economiche, o mobilitare delle forze, ad esempio quando si vogliono raccogliere dei fondi per una specifica finalità, come nell’esempio visto sopra.

Tante persone mettono 1,2 o 10 euro a testa per un fine preciso: questa è una mobilitazione di forze, di energie e di risorse.

Le mobilitazioni, specie in ambito politico, spesso fanno paura perché tante persone tutte assieme possono creare problemi di ordine pubblico e di sicurezza. Allora anche le forze dell’ordine possono mobilitare i loro uomini per evitare conseguenze negative.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano dedicato al linguaggio della politica.

La vittoria di Pirro – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 32)

La vittoria di Pirro (scarica audio)

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Trascrizione

Giovanni: Qualche volta abbiamo parlato di vittorie, perdite e sconfitte. Ricordate? Oggi parliamo di una particolare tipologia di vittoria: la vittoria di Pirro.

Capita spesso di ascoltare questa espressione alla radio, in TV e soprattutto al telegiornale.

Dovete sapere che Pirro era un lontano parente di Alessandro Magno, ed è stato un re dell’Epiro intorno all’anno 300 avanti Cristo. L’Epiro è una zona che si trova tra la Grecia e l’Albania.

Proprio durante il regno di Pirro, avvennero delle campagne contro Roma, e nell’anno 280 a.c. l’Italia meridionale fu invasa dalle truppe di Pirro.

Il termine “campagna” qui è intesa nel senso di operazione bellica, quindi un tentativo di conquista di territori. Sono famose anche la campagna di Russia, quella d’Egitto; le campagne d’Africa.

Insomma, con queste campagne si cercava di conquistare Roma, e a volte sono state vinte delle battaglie che però successivamente si sono dimostrate inutili. Infatti l’Epiro venne poi conquistato dai romani e qualche secolo dopo confluì nell’Impero romano d’Oriente.

Per questo motivo queste campagne contro Roma sono state all’origine della frase “vittoria di Pirro“, che sta ad indicare una vittoria priva di conseguenze, senza un reale impatto strategico.

Povero Pirro.

La frase è ormai entrata nel linguaggio non solo della politica, ma anche degli affari o di sport si usa spesso per descrivere un successo inutile o effimero, dove il “vincitore” ne esce sostanzialmente male. E’ una vittoria inutile, che non porta vantaggi. La vittoria resta una vittoria ma a cosa serve una vittoria se è inutile? A niente. Questa è la vittoria di Pirro.

Ammettiamo ad esempio che ci siano delle elezioni.

Tutti i partiti fanno una campagna elettorale. Ecco che ritorna il termine “campagna”.

Anche in politica ci sono le “campagne” dunque, ma stavolta si tratta di operazioni organizzate a un determinato fine: vincere le elezioni. Ci sono tanti tipi di campagne, ma ne parleremo un’altra volta.

Se allora un partito riesce a prendere la maggioranza dei voti in una sola città, ma sommando i voti a livello nazionale, vince lo schieramento elettorale opposto, quella vittoria si può dire che è una vittoria di Pirro.

Cosa importa che in quella città si sia raggiunta questa vittoria? A cosa è servito? A nulla.

Un esempio nello sport: una squadra in Champions League vince una partita che però non serve a raggiungere la qualificazione.

Anche questa è una vittoria di Pirro: inutile.

Al lavoro: la mia azienda mi vuole licenziare perché sono accusato di essere poco produttivo. Alla fine il direttore dell’azienda non riesce a dimostrare l’accusa, anzi il direttore viene anche arrestato per corruzione. L’azienda però fallisce e tutti i dipendenti (me compreso) vengono licenziati.

Ho vinto io? Può darsi, ma sempre di una vittoria di Pirro si tratta!

Siamo vicini in qualche modo al senso del termine “contentino“, di cui ci siamo occupati all’interno della rubrica due minuti con italiano semplicemente, ma fino ad un certo punto.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano dedicato al linguaggio della politica.

Il gotha – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 31)

Il gotha (scarica audio)

Indice degli episodi della rubrica dedicata alla politica

gotha

Trascrizione

Giovanni: oggi parliamo di potere, e quando parliamo di potere c’è quasi sempre di mezzo la politica. Ci occupiamo in particolare del termine gotha.

È evidentemente un termine che non ha origini italiane.

Vi spiego meglio. C’è una città tedesca che si chiama proprio Gotha, e nell’anno 1763 nasceva l’almanacco di Gotha, una specie di lista o meglio, di rubrica in cui compaiono però solamente le persone più importanti.

Questo almanacco conteneva inizialmente i nomi dei sovrani e nobili tedeschi, poi col tempo è stato pubblicato in diverse edizioni in diversi paesi europei con i nomi delle famiglie nobili e aristocratiche di diversi paesi, con informazioni genealogiche, quindi su quali famiglie provenivano, sui titoli, proprietà e altre informazioni rilevanti.

Oggi, quando si usa il termine gotha si intende generalmente una lista di nomi di persone importanti, in genere in un certo ambito.

“Il” gotha non è pertanto una singola persona ma un insieme di persone.

Se ad esempio dico che ad una riunione era presente il gotha della finanza italiana si vuole dire che hanno partecipato le persone più importanti, più autorevoli, quelle che contano di più, che hanno più potere nel mondo della finanza italiana.

C’è spesso il senso di “potere” nel termine gotha. Un potere che è nelle mani di poche persone.

Conseguentemente è facile che si parli del “gotha della politica italiana” o del gotha italiano o europeo o mondiale. I

n questo caso non ne fanno necessariamente parte solo personaggi politici, ma più in generale persone che contano, che hanno potere.

Va notato che il Gotha, inteso come almanacco, non è più pubblicato dal 1944, e quindi l’uso di questo termine oggi va sempre considerato come immagine di importanza e di potere.

Es:

Al matrimonio sarà presente il gotha aziendale italiano.

Una trasmissione televisiva in cui si esibisce il gotha della cucina mondiale.

Arrestato un uomo politico che aveva contatti col gotha della mafia.

Notate che difficilmente il termine si utilizza per indicare un gruppo dirigenziale di una singola azienda o di un singolo partito politico seppure può considerarsi lecito. Il gotha è generalmente qualcosa di più ampio, che appartiene ad una società:

Il gotha della finanza

Il gotha italiano

Il gotha americano

Il gotha della politica italiana

Si può comunque usare anche in questo modo:

Il gotha di Google

Il gotha dell’azienda

Il gotha del partito democratico

Si usano, a seconda del contesto (anche diversi e più leggeri della politica), anche altri termini.

Alla mia festa ci sarà la crema del calcio italiano.

Si usa spesso anche “la crème” con lo stesso senso di “la crema”: la parte più qualificata di una collettività.

Il senso è simile al gotha ma c’è meno il senso del potere e più quello della notorietà. Spesso c’è anche i quello di maggiore stile, nobiltà, eleganza.

Ancora più selezionata è la crème de la crème.

Es:

Alla prima del teatro La Scala di Milano ci sarà la crème de la crème della società.

Anche il termine élite è abbastanza usato.

Si tratta della parte più autorevole o raffinata di un gruppo, di un ambiente, di una collettività.

In questo caso emerge il senso della minoranza: poche persone in possesso di autorità, potere e influenza sociale e politica.

Far parte dell’élite è molto difficile

In quella scuola si è formata gran parte dell’élite romana

L’élite è la classe di comando, quella che sta nella stanza dei bottoni e che prende decisioni.

Più informale ma con un senso molto simile è il “fior fiore“, come abbiamo già visto in un episodio.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano dedicato al linguaggio della politica.

I colletti bianchi – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 30)

I colletti bianchi (scarica audio)

Indice degli episodi della rubrica dedicata alla politica

Trascrizione

Giovanni: oggi lascio la parola a Danielle, membro dell’associazione Italiano Semplicemente, che vi leggerà questo episodio dedicato alla politica italiana. Anche per voi può essere piacevole ascoltare una seconda voce di tanto in tanto. Vai Danielle!

Danielle: Oggi, per la rubrica dedicata alla politica italiana, parliamo dei colletti bianchi.

Il colletto è il bordo di una camicia o una giacca, che risulta disposto attorno al collo.

Ovviamente le camicie bianche hanno il colletto bianco, ma “colletti bianchi” è il nome che viene dato a una particolare categoria di lavoratori.

Si tratta di professionisti come medici, magistrati, insegnanti, impiegati, dirigenti e funzionari pubblici o anche manager d’azienda.

Ma che c’entra con la politica?

Lasciatemi spiegare prima perché vengono chiamati così.

Innanzitutto l’origine è la lingua inglese: “white collars”, quindi sarà più facile capire per molti non madrelingua italiana.

Si tratta di professioni che si possono svolgere indossando camicie bianche perché richiedono un lavoro esclusivamente intellettuale e non fisico.

I colletti bianchi svolgono attività che richiedono una formazione specialistica e un alto livello di conoscenza tecnica.

I colletti bianchi però sono sempre citati oggi non come categoria privilegiata di lavoratori, ma come invece un ceto sociale particolarmente incline a commettere certi tipi di reati.

In fondo queste professioni sono esercitate da persone che, in un modo o nell’altro, gestiscono il potere.

Sono rispettabili persone, più colte e istruite rispetto alla media: professionisti che si occupano di bilanci aziendali, di relazioni pubbliche, di azioni in borsa, di rapporti tra soggetti pubblici e privati eccetera.

Persone che possono influenzare il mondo dell’economia e della politica e che spesso e volentieri lo fanno in modo illecito.

Quando si parla di colletti bianchi è praticamente sempre in contesti in cui il candore (la purezza) del bianco viene sporcato da reati come falso in bilancio, corruzione, appropriazione di denaro pubblico, eccetera.

I colletti bianchi non si sporcano le mani di sangue, non commettono omicidi, non fanno attentati mafiosi o altri atti criminali clamorosi di questo tipo. Questo non significa che non ci siano legami tra la criminalità organizzata e questi reati ovviamente.

I loro reati pertanto spesso sono invisibili anche perché nessuno denuncia queste attività illecite, perché sono attività a danno pressoché di tutti gli altri e nessuno tranne i colletti bianchi ne è a conoscenza.

In Italia (e non solo) la politica ha un legame con i “colletti bianchi” in quanto questi lavoratori sono considerati una parte importante della società e dell’economia. Le politiche pubbliche (dunque le decisioni della politica) che riguardano la formazione professionale, l’occupazione e la protezione sociale hanno un impatto diretto sulla vita dei colletti bianchi.

Ad esempio, le politiche fiscali che riguardano le imposte sul reddito e la previdenza sociale possono influire sulla remunerazione e sulle prospettive di carriera dei colletti bianchi.

Inoltre, i colletti bianchi, essendo sono spesso rappresentati in posizioni di comando in molte industrie, tra cui sanità, finanza e tecnologia, possono esercitare una notevole influenza sulla politica attraverso i loro interessi professionali e economici.

In sintesi, la politica italiana e i colletti bianchi sono legati da un rapporto di interdipendenza, in cui le politiche pubbliche hanno un impatto sulle condizioni di vita e di lavoro dei colletti bianchi, e questi ultimi, a loro volta, possono influire sulla formulazione delle politiche pubbliche attraverso la loro posizione e il loro potere economico e professionale.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano dedicato alla politica italiana.

Giovanni: grazie a Danielle per l’aiuto e complimenti per l’ottima pronuncia.

La stanza dei bottoni – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 29)

La stanza dei bottoni (scarica audio)

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Trascrizione

Giovanni: Oggi, per la rubrica dedicata alla politica italiana, parliamo della stanza dei bottoni.

E’ necessario aprire una breve parentesi sul termine “bottone“.

Si usa questo termine generalmente per indicare un piccolo oggetto di forma tondeggiante (ma ce ne sono di varie forme), che si usa con le camicie, le giacche, i cappotti e serve per riunire e chiudere due parti di un indumento. I bottoni si allacciano e si slacciano, mentre si usa il verbo abbottonare (o abbottonarsi) per indicare l’atto di chiudere (o congiungere) le due parti delle camicie o delle giacche usando i bottoni che vanno infilati negli appositi occhielli.

Abbottona/abbottonati la giacca ché fa freddo!

Prima si mette la cravatta e poi si abbottona la camicia.

Per l’operazione inversa invece si usa il verbo sbottonare e sbottonarsi. é interessante che sia abbottonarsi che sbottonarsi, quindi i verbi riflessivi, hanno anche un uso figurato.

Infatti abbottonarsi si usa anche per indicare una “chiusura” di altro tipo, e quindi non indica solamente l’azione di abbottonare i bottoni della propria giacca o camicia, ma anche, in senso figurato, nel senso di chiudersi in un cauto riserbo. Una persona “abbottonata” è una persona che non sembra affatto disponibile a parlare, a condividere informazioni. Quindi significa chiudersi nel silenzio per riserbo o per cautela.

Di contro, sbottonarsi significa anche iniziare a parlare, schiudersi, quindi aprirsi al dialogo, specie dopo una iniziale chiusura. Si usa spesso con la negazione:

Non ti sbottonare

Giovanni non si sbottona mai

Il presidente non si sbottona sulla possibile trasformazione della società

Maria è una persona prudente, una che non si sbottona facilmente neanche con gli amici.

Ci sono espressioni come “attaccare bottone“, un’espressione di cui ci siamo già occupati, che ha a che fare con l’approccio. Quando si cerca di avvicinare qualcuno per per parlargli, per tentare un approccio, si usa spesso l’espressione “attaccare bottone”. Simile anche a abbordare. Poi esiste anche “attaccare un bottone“, che più informalmente diventa “attaccare il pippone“, che abbiamo spiegato nello stesso episodio di attaccare bottone. Il senso è quello di infastidire, molestare qualcuno con dei lunghi e noiosi discorsi.

Non finisce qui perché esiste anche la cosiddetta “stanza dei bottoni“, espressione con cui si indica, in modo figurato il luogo in cui si prendono le decisioni. I bottoni sarebbe un modo alternativo per indicare i pulsanti. A dire il vero però un pulsante non viene praticamente mai chiamato bottone, al di fuori di questa espressione. La forma di un bottone comunque può essere abbastanza simile a quella di un pulsante. Più in generale infatti qualsiasi oggetto di forma tondeggiante che assomigli a un bottone, possiamo chiamarlo così, anche se ha usi diversi. In tal caso parliamo di un pulsante, quindi di un organo di comando che si può premere con un dito.

Dunque la stanza in cui si premono i pulsanti è il luogo in cui si prendono le decisioni. Ci si riferisce in particolare alle decisioni politiche e economiche, quindi si sta parlando del potere decisionale.

Nel linguaggio della politica si usa abbastanza spesso perché esprime in modo sintetico la capacità di poter influenzare le decisioni più importanti. Ovviamente quando si prende una decisione importante non si preme alcun pulsante, ma questa è ovviamente un’immagine figurata.

Vediamo qualche frase di esempio di attualità:

Il mondo ha un urgente bisogno di ridurre l’impatto ambientale dell’uomo, ma purtroppo nella stanza dei bottoni del mondo ci sono altre priorità.

Occorre riuscire a colmare la distanza tra il sud e il nord dell’Italia, a prescindere da chi si trovi nella stanza dei bottoni.

Una parte dello schieramento governativo si sta lamentando del fatto che nella stanza dei bottoni comandino solamente il presidente del Consiglio e il ministro dell’economia.

Parliamo sempre del luogo di “esercizio del potere“. Il luogo in cui si esercita il potere è appunto la stanza dei bottoni.

Voglio, in chiusura di questo episodio, parlarvi di questo interessante uso del verbo esercitare.

L’uso prevalente di esercitare è quello di tenere in attività, cioè tenere in esercizio, in allenamento.

Esercitare la memoria
Esercitarsi facendo esercizi ginnici
ecc.
Esercitare significa però anche adoperare un potere, far valere un proprio potere in virtù di una investitura. Questo significa che, ad esempio, poiché un personaggio politico ricopre una certa carica pubblica, allora ha determinate facoltà, ha determinati poteri che può decidere di utilizzare o meno.
Se lo fa, allora esercita il suo potere, quindi lo utilizza, lo fa valere.
C’è anche chi approfitta di questo potere e va oltre ciò che è consentito. In questo caso si parla di “abuso di potere“. Ma di questo ne parliamo nel prossimo episodio.
– – – – – –

Le domande e le risposte su questo episodio sono disponibili ai soli membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

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L’iter e la trafila – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 28)

L’iter e la trafila (scarica audio)

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Trascrizione

Giovanni:
Oggi, per la rubrica dedicata alla politica italiana, parliamo dell’iter. Ho già accennato a questo termine nell’episodio facente parte del corso di italiano professionale dedicato alla prassi.

L’iter è però semplicemente una procedura.

Un termine che si usa spesso in politica, ma anche parlando di procedure amministrative e burocratiche.

Vi faccio alcuni esempi:

Una legge, per essere approvata, deve seguire il suo iter.Si tratta di una serie di passi che necessariamente devono essere seguiti per poter arrivare alla sua approvazione definitiva.

Nel caso di una legge si chiama iter legislativo o più specificamente procedimento legislativo. È un procedimento formale che quindi avviene attraverso varie fasi, vari passaggi. In questo caso sono la presentazione, l’approvazione, la promulgazione e la pubblicazione.

Non voglio entrare nel dettaglio ma la cosa importante da sapere è che solo una procedura politica o amministrativa può essere chiamata iter.

Se sto preparando un dolce e sto seguendo una determinata procedura, questo non è un iter.

Solitamente, proprio come qualunque tipo di procedura, si usa il verbo seguire.
Seguire un iter.
Notate che iter viene dal latino e significa viaggio, marcia e come ogni viaggio ha una destinazione.

Nel caso di iter burocratico/amministrativo, spessissimo si parla di “trafila“, che talora viene preferito all’utilizzo di iter:

La trafila amministrativa.

La trafila burocratica.

Indica sempre una serie di passaggi obbligatori, ma spesso con una eccezione negativa. Notate che nella parola trafila c’è la “fila”, e fare la fila non è sempre piacevole.

Es:

La pratica avviata per ottenere la cittadinanza italiana ha seguito una trafila molto lunga.

In questo caso avrei potuto usare anche il termine iter, trattandosi di una questione amministrativa.

In realtà il termine trafila indica più in generale una serie di prove, di difficoltà, di disavventure attraverso le quali è necessario passare per poter raggiungere un certo obiettivo. In questo caso non è opportuno usare iter.

Es:
Prima di inventare la lampadina, Edison è passato per una lunga trafila di tentativi e di insuccessi.

Anche al lavoro e nello sport, in modo simile, si usa spesso il termine trafila, per indicare il percorso lavorativo/professionale di una persona prima di arrivare a raggiungere una posizione di importante:

Es:
Vi racconto la lunga trafila che ho dovuto seguire prima di diventare il direttore dell’azienda.

La storia di Giovanni, dalla trafila tra le squadre giovanili fino all’esordio con la squadra nazionale.

Ci diamo appuntamento al prossimo episodio di italiano semplicemente dedicato alla politica.

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Le domande e le risposte su questo episodio sono disponibili ai soli membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

L'iter e la trafila - politica italiana

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La moral suasion – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 27)

La moral suasion (scarica audio)

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Trascrizione

Giovanni:
Oggi, per la rubrica dedicata alla politica italiana, parliamo della moral suasion.

Una locuzione quasi esclusivamente politica. In questo ambito infatti, si usa in alcune occasioni al posto di “persuasione“.
Sapete cos’è la persuasione?
La persuasione è ciò che si fa quando si cerca di convincere qualcuno della propria idea. Si cerca di modificare l’atteggiamento o il comportamento altrui attraverso la parola o lo scritto.

La persuasione è una vera capacità, un’abilità, quasi un’arte direi.

Chi sa persuadere (questo è il verbo che dovremmo usare al posto di “convincere“) ha una forma di potere che coloro che non ne sono capaci non hanno.
La moral suasion è però una persuasione morale. Si cerca di persuadere facendo leva su dei valori morali.
E’ dunque un invito a correggere o rivedere determinate scelte o comportamenti in politica perché ritenuti moralmente sbagliati.
Ma tutti possono fare questa moral suasion?
Non esattamente.

In genere la moral suasion è proveniente da una personalità, una persona importante o da un organismo a cui è riconosciuta da tutti una certa autorevolezza.

Il presidente della Repubblica italiana, dall’alto del Colle, può ad esempio esercitare moral suasion nei confronti di politici o correnti politiche o partiti politici che hanno intenzione di prendere certi provvedimenti che il presidente ritiene immorali.

Questa autorità, qualunque essa sia, generalmente ha un ruolo imparziale, saggio, equanime (dovrei usare un’altra definizione ma la spiegherò nel prossimo episodio dedicato alla politica) e ha obblighi di vigilanza di qualche tipo, lavora in genere a garanzia delle istituzioni, e utilizza, in questo caso, questo suo potere non attraverso atti formali, documenti, approvazioni ufficiali, provvedimenti di qualunque tipo, ma semplicemente cerca di convincere, cerca di indurre ad un comportamento moralmente e socialmente corretto.

Sto cercando altri verbi adatti per descrivere l’obiettivo della moral suasion.

Indurre va bene ma anche orientare: si cerca di orientare dei comportamenti. La moral suasion si propone di orientate, di influenzate scelte e comportamenti.

Quindi questa autorità non ricorre direttamente ai poteri che la sua carica o la legge le mette a disposizione per l’esercizio delle sue funzioni ma usa la sua autorevolezza.

Chi è vittima della moral suasion potrebbe essere insensibile alle questioni morali, ma la moral suasion punta anche e soprattutto sull’impatto sociale della moral suasion, sulle sue conseguenze, non quelle giuridiche ma quelle sull’immagine, sulla notorietà, sulla reputazione di chi subisce la moral suasion.

Il termine suasion (notate la pronuncia) potrebbe sembrare di origine inglese ma è latina. Significa proprio persuasione.

Vediamo qualche esempio:Il presidente della repubblica esercita la sua moral suasion affinché il governo corregga il decreto che potrebbe favorire una maggiore evasione fiscale.La moral suasion si esercita. Proprio come il potere.

Se vogliamo usare parole e verbi diversi potremmo dire che il presidente “fa pressione” sul governo affinché eccetera eccetera.

Oppure, il presidente cerca di persuadere o di dissuadere. Questo è interessante, perché la moral suasion si può utilizzare sia per persuadere che per dissuadere, a seconda dei casi.

Una cosa infatti è dire: “devi fare così”, “è meglio prendere questa decisione”, “questa è la strada corretta da seguire” (questo è persuadere), e un’altra cosa è dire: “non devi fare questo”, “questo provvedimento è immorale” ecc.

In quest’ultimo caso parliamo di dissuasione e di dissuadere.

Se non avete ancora capito la differenza, basti pensare a una persona che vuole suicidarsi. Bisogna dissuaderla! E bisogna persuaderla del fatto che la vita è bella e va vissuta.

Si può tranquillamente fare un collegamento tra la moral suasion e l’espressioneavere un ascendente su una persona, che vi ho già spiegato, ma quest’ultima non è tipicamente politica, ma si può usare ogniqualvolta una persona abbia una certa capacità di influenzare le scelte e le decisioni di altre, senza essere un’autorità nazionale o una importante istituzione.

Comunque, all’inizio ho detto che la locuzione moral suasion è “quasi” esclusivamente politica. Anche in economia esiste la Moral suasion.

La pubblicazione di una notizia sui giornali o sui telegiornali ha il potere di dissuadere aziende che potrebbero infrangere la legge o dei regolamenti.

Potete comunque usare la moral suasion anche in senso ironico, quando si tratta di convincere una persona a intraprendere una decisione oppure a non farlo.
Es.Mia moglie non vuole partecipare a uno scambio di coppia. Perché non ci provi tu, che sei la sua migliore amica, a fare un po’ di moral suasion
Scherzi a parte, anche una istituzione nazionale può esercitare la moral suasion, ma per poterlo fare deve avere un potere di vigilanza, come la Consob, che è l’organo di controllo del mercato finanziario italiano, o l’autorità per anticorruzione o organismi di questo tipo.

Chi vuole adesso può rispondere a alcune domande su questo episodio per mettersi alla prova. Per farlo basta diventare membri di Italiano Semplicemente, la nostra associazione creata per conoscere l’italiano e l’Italia. Ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente dedicato alla politica.

Le domande e le risposte sono disponibili ai soli membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

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Armi di distrazione di massa – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 26)

Armi di distrazione di massa (scarica audio)

Indice degli episodi della rubrica dedicata alla politica

armi di distrazione di massa

Trascrizione

Giovanni:
Oggi, per la rubrica dedicata alla politica italiana, parliamo delle armi di distrazione di massa.

Un’espressione che è derivata dalle “armi di distruzione di massa” (con la lettera u al posto della a). La frase di oggi si usa abbastanza spesso in ambito di comunicazione su questioni politiche.

Il termine “armi“, lo sapete, è il plurale di “arma“: un’arma, due armi.

Un’arma è un qualsiasi oggetto di cui ci si può servire come mezzo materiale di offesa o di difesa, cioè per colpire o per difendersi.

In genere si tratta comunque di uno strumento fabbricato appositamente per la guerra, per la difesa personale, o anche per la caccia o per lo sport (il “tiro a segno”). Parliamo quindi di armi come la pistola, il fucile, il coltello ecc.

Le armi di distruzione di massa sono quelle che distruggono, quindi quelle più potenti, che permettono di colpire e uccidere tante persone, di distruggere persino l’intera umanità. Per “massa” si intende proprio questo. Parliamo di armi come la bomba atomica, le armi biologiche, le armi chimiche e quelle radiologiche.

Il concetto di massa lo troviamo anche nei mezzi di comunicazione di massa, come la tv e la radio, che sono dei mezzi, cioè degli strumenti, dei modi per comunicare con una grande quantità di persone.

Ma perché armi di distrazione? In questo caso non si vuole distruggere nessuno. Piuttosto, si vuole distrarre qualcuno da qualcosa.

Mi spiego meglio.

Le distrazioni sono cose che distraggono. Il verbo è “distrarre“, un verbo che si può usare in modi diversi. Può significare svagarsi, divertirsi, quindi possiamo dire che quest’estate intendo distrarmi un po’ più del solito. Il senso è quello di non pensare al lavoro, quindi di spostare la mia attenzione su cose meno impegnative e divertenti se possibile.

Il secondo senso è perdere l’attenzione. Perdere la propria attenzione, deconcentrarsi, che se vogliamo è lo stesso significato di prima, ma qui intendiamo non una distrazione al fine di divertirsi, ma nel senso di non riuscire più a restare concentrato su qualcosa. Posso dire ad esempio che mi sono distratto durante la lezione di italiano e ho perso una parte della spiegazione.

Qui, e anche prima, ho usato il verbo distrarre in senso riflessivo (distrarsi), ma si può comunque dire che ho distratto un amico, che quindi non è riuscito a stato attento durante tutta la lezione. Si è deconcentrato. Nel caso del divertimento invece non si può usare che in senso riflessivo. Al massimo posso dire che ho aiutato un amico a distrarsi dopo una settimana di intenso lavoro.

Si può indicare la cosa dalla quale ci si distrae. Si usa la preposizione “da” a questo scopo:

Distrarsi dal lavoro, distrarsi dalla lezione:

Come non distrarsi dal lavoro se il proprio ufficio si affaccia su piazza di Spagna?

Gli studenti, se c’è rumore, potrebbero distrarsi dalla lezione

In teoria poi, anche lo sguardo si può distrarre.

Distrarre lo sguardo è esattamente come distogliere lo sguardo, che significa allontanarlo da qualcosa o qualcuno perché c’è altro che ha attirato la nostra l’attenzione. Al posto di sguardo posso usare anche l’attenzione.

Si usa soprattutto in senso figurato. Posso quindi dire che:

Quando si guida non si deve distrarre lo sguardo (l’attenzione) dalla strada.

Ma anche:

Non bisogna distrarre lo sguardo (l’attenzione) dalle questioni importanti della vita

Tornando alle “armi di distrazione di massa“, c’è qualcuno che vuole distrarre una massa di persone. Ma in che senso? Non si parla di far divertire una grande quantità di persone, ma si tratta di indurre, provocare una distrazione di massa, nel senso che qualcuno vuole che le persone di una intera nazione, ad esempio, distolgano lo sguardo, distraggano lo sguardo (in senso figurato), quindi spostino la loro attenzione da delle questioni.

In poche parole, usare delle armi di distrazione di massa è un gioco di parole per dire che in politica spesso c’è la volontà di fare in modo che la massa, cioè il popolo, i media, i giornalisti, i giornali eccetera, non parlino di alcune questioni, ma distraggano l’attenzione su altre questioni, spostino l’interesse su questioni meno importanti, diverse, meno scottanti, meno pericolose per il governo ad esempio.

Ad esempio, qualcuno definisce alcune trasmissioni televisive, molte seguite dalla massa, delle armi di distrazione di massa, perché in questo modo la massa non vede il telegiornale e così non si accorge di alcune decisioni politiche o dell’andamento dell’economia.

Se in TV vediamo che è un continuo parlare di questioni private del presidente del consiglio o di altri personaggi politici anziché parlare dell’emergenza energetica, della povertà che aumenta, dell’aumento dei prezzi e della disoccupazione, allora qualcuno potrebbe dire che si stanno utilizzando delle armi di distrazione di massa, per distrarre la massa, per spostare l’attenzione dalle questioni importanti, dirigendola su argomenti e notizie frivole, attraenti ma molto meno importanti in generale.

Le domande e le risposte su questo episodio sono disponibili ai soli membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

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