Agire sotto mentite spoglie: tutti i modi per nascondere la verità – 1^ parte

Audio a velocità normale e accelerata

E’ possibile leggere ed ascoltare e/o scaricare il file audio di questo episodio in formato MP3 tramite l’audiolibro (+Kindle) in vendita su Amazon, che contiene in tutto 54 espressioni italiane e 24 ore di ascolto.

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Trascrizione

Buongiorno ragazzi e benvenuti in questo nuovo episodio di Italiano Semplicemente, grazie di essere qui all’ascolto ancora una volta e benvenuti a chi per la prima volta ascolta un episodio audio di italianosemplicemente.com.

In questo vi spiegherò la frase “agire sotto mentite spoglie“. Questa è la frase di oggi, una frase particolare, ed anche direi abbastanza complessa da spiegare.

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Per giungere al nostro obiettivo vi spiegherò prima le singole parole che compongono questa frase e con l’occasione affronteremo anche una serie di espressioni simili, anch’esse legate allo stesso argomento, che ancora non vi ho detto, che è quello della verità e più precisamente della mancanza della verità.

Faremo quindi una serie di esempi, come al solito, così che capirete senza problemi questa frase, ed anche le altre che vi spiegherò, frasi tutte molto usate sia nei film italiani, sia alla tv, sia negli articoli di giornale, oltre che nella vita di tutti i giorni.

Mi sembra un argomento molto interessante questo della verità, anche perché a tutti capita di avere a che fare, prima o poi, con persone che non dicono la verità (prima o poi capita a tutti) o che si comportano in modo tale da far credere che possano nascondere qualcosa.

Inoltre oggi faremo un piccolo esperimento. Questo episodio sarà registrato in due velocità diverse. La prima volta parlerò più lentamente, la seconda volta invece a velocità normale. Vi consiglio pertanto di ascoltare prima la versione più lenta, almeno un paio di volte e dopo quella più veloce. In questo modo nella versione lenta potrete concentrarvi maggiormente sulle parole e su come si pronunciano, e poi nella versione più veloce la vostra attenzione sarà più invece sulla melodia della lingua, sulle pause e sulle frasi intere.

Bene, iniziamo allora. Il modo più semplice per dire questo, per esprimere una non verità, è il verbo mentire, che vuol dire “non dire la verità“. Semplicemente. Un verbo universalmente utilizzato a questo scopo. Un verbo non facile da coniugare. All’indicativo presente ad esempio è: io mento, tu menti, lui/lei mente, noi mentiamo, voi mentite, loro mentono.

Chi mente dice bugie. Le bugie sono il prodotto di chi mente. Se una persona mente dice bugie.

Ma ci sono svariate modalità per dire questa parola, ognuna con le sue caratteristiche, ognuna con le sue sfaccettature. Prima quindi di vedere il significato della frase “agire sotto mentite spoglie” facciamo un approfondimento sulle bugie.

Bugie si dice anche, ad esempio, menzogne. Quindi dire menzogne equivale a mentire, ed equivale a “dire bugie”.

Le menzogne hanno però un senso un po’ più negativo.

Infatti le menzogne sono associate ad un comportamento che, più delle bugie, colpisce qualcuno, nuoce a qualcuno in particolare. Con le menzogne si fa del male a qualcuno. “Nuoce” significa “danneggia”, e “nuocere” significa “danneggiare”, il verbo è il verbo nuocere, cioè provocare un danno, arrecare un danno. Le bugie sono, quindi, rispetto a nuocere, un termine più familiare:

I bambini dicono le bugie, o al limite il marito alla moglie può dire bugie, o viceversa. Magari un uomo dice di andare a giocare a calcio con gli amici ed invece si incontra con l’amante. Questo non si fa! Questa è una bugia, è una cosa non vera, ma non è una menzogna. Ok?

Che bugiardo! Che traditore questo marito. Il traditore: chi tradisce il proprio partner è un traditore (traditrice al femminile) e quindi il traditore è ovviamente un bugiardo, perché non lo dichiara, non lo dice… almeno la maggioranza dei traditori non lo dice quando tradisce.

Quindi le bugie si dicono per nascondere qualcosa, per nascondere la verità, perché la verità potrebbe essere controproducente per chi dice le bugie, ed allora si nasconde la verità con una bugia, piccola o grande che sia.

Invece la menzogna si dice, più che per nascondere la verità, si dice per accusare qualcuno, per danneggiare qualcuno.

Non è un caso che menzogna termini con le lettere ogna, come vergogna, cioè quella emozione che si prova quando accade qualcosa o quando facciamo qualcosa che, agli occhi degli altri, ci fa apparire persone peggiori, brutte persone, magari disoneste, o comunque come non vorremmo apparire agli occhi degli altri. Ok? Questa è la vergogna.

Chi dice menzogne generalmente non si vergogna.

Anche la parola “gogna” termina in questo modo, e la parola vergogna deriva proprio da gogna. La gogna è una sorta di punizione, si usava nel medioevo, una punizione per aver fatto qualcosa di molto sbagliato. Una punizione di cui ci si doveva vergognare.

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Un uomo alla gogna

La gogna infatti era una condanna, una punizione a cui si veniva condannati per aver commesso atti gravi. E tutti potevano insultarti e dirti le cose peggiori possibili mentre il condannato alla gogna indossava un collare di ferro attorno al collo, un collare che veniva applicato a tutti coloro che erano stati condannati alla gogna. Il collare che dovevano indossare queste persone si chiamava appunto gogna. E chi era messo alla gogna (si dice proprio così: mettere alla gogna) si dice anche che era messo alla berlina, veniva svergognato, veniva esposto al pubblico ludibrio, allo scherno. In poche parole tutti potevano deriderlo ed insultarlo.

Quindi la menzogna, lo avete capito, è sicuramente peggiore della bugia. Notate come anche la parola fogna, come gogna, vergogna e menzogna, ha un significato molto negativo. La fogna è il luogo dove confluiscono gli scarichi biologici. Ci sono anche altre parole di questo tipo, come rogna, che è una malattia tipica dei cani randagi.

Quindi se ad esempio c’è un omicidio, cioè viene uccisa una persona, e si deve trovare ed arrestare il colpevole (l’assassino, colui che ha commesso l’omicidio), allora io posso dire: è stato Emanuele, è stato lui, è lui l’assassino, l’ho visto io. Emanuele sicuramente direbbe:

No, non è vero, è una menzogna!

Giustamente Emanuele si è risentito per l’accusa e quindi parla di menzogna, di una falsa accusa.

Chi dice bugie è un bugiardo e chi dice menzogne è un menzognero. Io che ho accusato ingiustamente Emanuele sono un menzognero. Bugiardo e menzognero sono entrambe persone che affermano il falso, che cioè dicono il falso, oppure che semplicemente alterano la verità.

Ho detto “persone che affermano il falso”: affermare equivale a “dire” (“io affermo” equivale a “io dico”, ma è più professionale.

Affermare il falso, cioè dire il falso in fondo è la stessa cosa di alterare la verità. Alterare significa modificare, e chi altera la verità dice quella che si chiama una “mezza verità“, perché per metà è una verità e per l’altra metà è una bugia.

Quando si parla di una mezza verità – capita spesso di ascoltare questa frase –  è un modo per dire che la verità è stata alterata, non molto ma direi in modo fondamentale. Non si tratta quindi di una bugia inventata di sana pianta, ma comunque di una mezza verità.

Quindi quando si nasconde la verità a parole, usando le parole, si parla di bugie e di menzogne, di bugiardi e di menzogneri.

Ma si può nascondere la verità anche con dei comportamenti, non solo con le parole.

In questo caso possiamo ad esempio dire che chi si comporta in modo misterioso con ogni probabilità sta facendo le cose di nascosto. Sta agendo di nascosto.

L’agente segreto ad esempio agisce di nascosto, ma lo fa perché è il suo mestiere. L’agente segreto si muove di nascosto, non si deve far vedere da nessuno, deve spiare, osservare di nascosto, filmare quello che vede con una videocamera (a volte), registrare, deve seguire le persone, deve pedinare le persone, seguirle e scoprire cosa fanno, esattamente come un investigatore segreto, che investiga, cioè svolge delle indagini accurate, quindi segue le tracce di qualcuno e analizza tutti i dettagli.

La differenza tra un investigatore e un agente segreto è che quest’ultimo (l’agente segreto) fa parte di un gruppo, di una organizzazione di servizi segreti, come la CIA e l’FBI. Entrambi però nascondono la verità attraverso dei comportamenti, sia l’investigatore segreto, sia l’agente segreto, detto anche spia, agiscono di nascosto e, se le circostanze lo richiedono, cioè se necessario, possono anche agire sotto mentite spoglie.

Agire sotto mentite spoglie, che è il titolo di questo episodio, è sicuramente l’espressione più complicata di oggi.

“Agire” equivale a comportarsi, mentre le “spoglie” è il plurale di spoglia. E le spoglie rappresentano i vestiti, ed in generale rappresentano ciò di cui ci si ricopre, ciò di cui ci si veste, e quindi ciò di cui anche ci si può spogliare, e spogliarsi è il contrario di vestirsi. Il verbo spogliare significa togliere i vestiti. Tutti noi la sera, prima di andare a letto, ci spogliamo, cioè ci togliamo le spoglie, ci togliamo i vestiti, ciò che ci ricopre.

Queste sono le spoglie, termine molto usato tra l’altro nella poesia. Spogliare quindi significa togliere le spoglie, e spogliarsi significa togliersi le spoglie.

Le mentite spoglie sono quindi le false spoglie, cioè i falsi vestiti, quindi agire sotto mentite spoglie significa comportarsi come se fossimo un’altra persona. Quindi “mentite” quindi vuol dire false. È una parola che viene usata solo per questa frase. Esclusivamente per la frase: agire sotto mentite spoglie.

Mentite è usato come aggettivo: le spoglie sono mentite. È come dire “i vestiti che indossa non sono veramente i suoi”.

La parola “sotto” rappresenta il fatto che la persona che agisce sotto mentite spoglie indossa un vestito, le spoglie appunto, quindi la persona si trova sotto le spoglie, agisce coperto da queste spoglie, sta sotto, sta nascosto.

Infine c’è la parola “spoglie”: le mentite spoglie.

Attenzione perché la parola spoglie è una parola che può significare anche cadavere, cioè il corpo di una persona morta, non più viva. In questo caso si parla di “spoglie mortali“. E’ la stessa cosa che dire salma, cadavere.

Ma perché un cadavere si chiama anche spoglia? Semplicemente perché la religione cattolica vuole che il corpo sia la veste mortale dell’anima. Il nostro corpo è il vestito della nostra anima. Per questo il nostro corpo, quando non è più vivo, diventa una spoglia mortale.

C’è in particolare una poesia di Alessandro Manzoni, il grande poeta italiano, una poesia dal titolo “il 5 maggio“, dedicata a Napoleone Bonaparte, che inizia così:

Ei fu, siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro

Manzoni in questa poesia parla di Napoleone Bonaparte e della sua morte, avvenuta proprio il giorno 5 maggio (dell’anno 1821), e parla del corpo di Napoleone, della sua salma, della sua spoglia, appunto.

La spoglia, quindi il corpo senza vita di Napoleone, dopo il mortal sospiro, cioè dopo l’ultimo respiro, quello mortale, stava immemore, cioè stava senza più ricordi, senza memoria (immemore). Stette la spoglia immemore… molto bello come verso.

Tornando a noi, chi agisce sotto mentite spoglie agisce quindi “sotto falso nome“, finge di essere qualcun altro, e questo qualcun altro potrebbe anche essere non una persona precisa, ma solo un tipo di persona, come un medico, un avvocato eccetera, non quindi una persona precisa.

Quindi quando si parla di “mentite spoglie” si parla di “false spoglie”, di “falsi vestiti”, di “falsa identità”. La falsità – è così che si chiama la caratteristica delle cose false, o delle persone false – in generale, è una caratteristica molto negativa, soprattutto se viene associata ad una persona. Una persona falsa è una persona che non dice mai la verità, una persona che dice cose false, non vere. Il falso quindi mente con le parole e col comportamento.

Anche la finzione è un altro modo di nascondere la verità (come la falsità) ed è relativo solo al comportamento. Ovviamente chi finge col comportamento, spesso lo fa anche con le parole: dice bugie, e se serve dice anche menzogne. Ma il termine finzione si riferisce al comportamento: io posso fingere di essere un medico, oppure fingo di essere un ingegnere, o magari fingo di comportarmi bene, eccetera. La finzione ovviamente è falsa, ma la falsità ha sicuramente un significato molto più negativo della finzione. La finzione può anche essere un gioco: l’attore finge ad esempio, ma gli attori non sono falsi. La falsità è una caratteristica delle persone, la finzione invece, pur essendo un atteggiamento falso o simulato, può anche essere un gioco, oppure il frutto dall’immaginazione e dalla fantasia.

Con la falsità e con la finzione si può fare, se occorre, anche una “falsa testimonianza”. Questo è un altro termine legato all’argomento di oggi.

Che significa fare falsa testimonianza? Una testimonianza è una dichiarazione con la quale si dice, si dichiara, cioè si afferma, e quindi si testimonia di aver visto o ascoltato delle cose. Ad esempio si dice di essere stati presenti quando è avvenuto un fatto. In questo caso si dice di essere stati testimoni di un fatto, di aver assistito ad un evento o di aver ascoltato qualcosa.

Una falsa testimonianza quindi è una affermazione falsa, una dichiarazione falsa, non vera. Posso anche dire una dichiarazione mendace. Mendace è un termine particolare e più usato nella giustizia. Nei processi e nelle aule di tribunale.

Una dichiarazione può essere mendace? Sì, può esserlo. Ovviamente questa è una dichiarazione falsa.

Una persona può essere mendace? Sì, anche una persona può esserlo. E questa persona è una persona bugiarda, o un menzognero.

Quindi anche chi fa una falsa testimonianza, cioè una dichiarazione mendace, è un testimone mendace. Chi fa una falsa testimonianza è un bugiardo, un mentitore (si può chiamare anche così chi mente, la persona che mente). La falsa testimonianza e la dichiarazione mendace si usano quasi esclusivamente nei processi, nelle aule di tribunale, d’altronde è lì che i testimoni possono fare le loro dichiarazioni, le loro testimonianze. Se queste sono false allora si è in presenza di una falsa testimonianza e di dichiarazioni mendaci.

Poi è interessante anche il fatto che un modo particolare di dire bugie è farlo in modo fantasioso, ed in questo caso si può organizzare una vera e propria storia, fatta di avvenimenti, di cose, di persone, insomma chi fa questo si dice che racconta delle storie.

Voi mi direte: ma io spesso ho raccontato delle storie ai miei figli, prima di andare a letto. Queste non sono bugie giusto?

Giusto, dico io, infatti raccontare delle storie ha un doppio significato. Quello figurato si usa spesso in famiglia e significa appunto dire bugie sotto forma di racconti.

Non mi raccontare storie!

Dice il padre al figlio, ad esempio, quando il figlio si inventa delle scuse per giustificare il proprio comportamento.

Non hai fatto i compiti oggi? Come mai? Dice il maestro al bambino.

Beh, veramente… Sono stato malato.

Se questa è la risposta del bambino, la maestra risponde:

Non mi raccontare storie! Di’ la verità!

Chi racconta storie quindi può farlo in senso proprio, nel senso vero della frase, quando si raccontano delle storie ai bambini la sera prima di andare a letto per farli addormentare, oppure, in senso figurato, chi racconta storie è colui che inventa degli avvenimenti, delle storie, per giustificarsi. In questo caso si tratta di bugie.

Vediamo adesso un verbo simile a mentire. Sto parlando del verbo “dissimulare”. Molto ricercato ed elegante come verbo, senza dubbio.

Dissimulare significa nascondere, “fare finta” (o far finta). Quindi si tratta di una bugia del comportamento.

Quando una persona dissimula, allora sta fingendo, ed in particolare l’accento è sul nascondere qualcosa. Chi dissimula vuole evitare che le proprie intenzioni, le vere intenzioni, escano fuori, emergano, oppure che emergano le proprie emozioni, o la propria sorpresa. Insomma vuole nascondere qualcosa, qualcosa di sé: un’emozione, una sensazione.

Quindi dissimulare è quasi come fingere, ma mentre fingere pone l’attenzione sulla falsità del comportamento, dissimulare pone più attenzione sulla volontà di nascondere ed inoltre è più professionale di fingere. Indubbiamente è più ricercato e professionale.

Se io voglio evitare che gli altri si accorgano della verità, allora posso fingere, ad esempio, di non odiare una persona, quando invece io provo dell’odio verso quella persona, ma non voglio che l’odio traspaia, che si veda; allora cerco di dissimulare l’odio. Cosa sto facendo? Sto nascondendo l’odio, sto dissimulando l’odio. E’ la stessa cosa.

Secondo esempio: Posso nascondere di essere una persona ansiosa, allora dissimulo l’ansia.

Terzo esempio: Se mi fanno un regalo per il mio compleanno e il regalo non mi piace, allora voglio fingere che il regalo invece mi piaccia. Allora dissimulo il dispiacere, cioè nascondo il dispiacere.

Notate che dissimulare è, contrariamente a mentire, un verbo transitivo, e questo significa che occorre specificare cosa viene dissimulato. Bisogna specificare la cosa che si nasconde.

Spesso però si usa anche senza specificare, al posto di nascondere. Ad esempio posso dire che un attore deve essere bravo a dissimulare. ok?

Se uso questo verbo mostro sicuramente una conoscenza dell’italiano più profonda. Diciamo che se voglio parlare in modo più ricercato, più forbito, in modo più elegante, posso usare il verbo dissimulare, che deriva dalla parola dissimile, cioè il contrario di simile. Dissimulare è rendere dissimile, quindi rendere diverso, mostrare, far apprezzare qualcosa in modo diverso dalla realtà. In una sola parola dissimulare.

Quindi nascondere la realtà può essere espresso in modi diversi, a seconda della cosa che si vuole nascondere o del motivo. Infatti abbiamo detto che mentire equivale a dire bugie ed il focus, l’attenzione, è sulla bugia. La menzogna è invece una bugia il cui obiettivo è danneggiare qualcuno, mentre dissimulare equivale a fingere; entrambi i verbi sono relativi al comportamento, ma fingere pone l’attenzione sulla finzione, sulla falsità del comportamento, mentre dissimulare sul fatto che si nasconde un sentimento, una sensazione. Abbiamo anche visto la “falsa testimonianza” e la “dichiarazione mendace”, espressioni simili, il cui focus è sulle parole e non sui comportamenti, e che sono perlopiù usate nelle aule di tribunale. Una bella varietà di espressioni quindi.

L’espressione di oggi era più relativa al comportamento che alle parole: “agire sotto mentite spoglie”.

Ci sono poi anche altri termini. Infatti c’è un verbo particolare che può essere associato alle menzogne, che come vi ho detto sono le bugie che hanno come obiettivo accusare qualcuno.

Il verbo in questione è “occultare“. Questo è un verbo che si usa molto quando c’è un reato, nelle indagini quindi, quando c’è quindi un reato, in cui una persona nasconde, cioè occulta qualcosa. Occultare e nascondere hanno lo stesso significato, ma occultare è nascondere per fini illeciti, nascondere per fare una cosa che non si può fare. Occultare è rendere qualcosa occulto, cioè nascosto o non visibile ma spesso si fa un reato, si infrange la legge.

Si può occultare un documento importante quindi, ma si può semplicemente anche occultare la verità, che quindi significa mantenere segreta la verità, non rivelare la verità.

Occultare ha a che fare anche con la vista, con gli occhi. Quindi posso dire che un muro costruito di fronte alla finestra occulta il giardino: non riesco più a vedere il giardino dalla finestra di casa perché c’è questo muro che occulta il giardino. Però è un verbo che a me, personalmente non piace perché c’è un senso fortemente negativo: è troppo usato nei reati contro la legge.

Se parliamo di vista, di nascondere qualcosa alla vista è invece molto più adatto un altro verbo, il verbo “celare“, molto simile ad occultare ma molto usato sia nei libri e nelle poesie anche. Non molto usato nella vita quotidiana a dire il vero.

Celare è esattamente “sottrarre alla vista”, “nascondere alla vista”.

Si può quindi celare il giardino alla vista mediante un muro, oppure posso dire che, in una giornata nuvolosa:

Le nuvole celano il sole.

Posso anche celare il mio volto dietro una maschera: se indosso una maschera sul viso tale da non essere riconosciuto, sto celando il mio vero volto, sto celando la mia vera identità.

Sentite come è bello questo verbo e come è gradevole all’udito.

Anche se usato in contesti negativi può riuscire ad attenuare i dissapori. Se siete accusati di qualcosa (immaginate di essere accusati di aver nascosto la verità) potete rispondere: non voglio celare la verità! Lungi da me l’intenzione di celarvi la verità! E’ molto gradevole all’udito e direi anche più convincente.

Dicevo che questo è un verbo che è molto usato nella poesia:

non celare i segreti del tuo cuore“, si potrebbe dire ad un amico, oppure: “non celare i tuoi sentimenti“, il che è come dire “non nascondere i tuoi sentimenti, rivela i tuoi sentimenti, non li nascondere, non li celare”.

Altri due verbi interessanti, ma molto meno poetici sono “mascherare” e “camuffare”.

Mascherare si usa spesso in contesti in cui c’è da nascondere qualcosa, come occultare, ma è molto meno legato alla giustizia. Mascherare infatti deriva da maschera, e si usa pertanto anche a Carnevale, che è la festa in cui ognuno, se vuole, si maschera, si traveste. A Carnevale ci si maschera, cioè si indossa un vestito per non essere riconosciuti, e solitamente ci si maschera indossando anche una maschera, che serve a coprire il volto, una maschera di un personaggio noto ad esempio.

Ma in questo caso, se ci mascheriamo, non stiamo “agendo sotto mentite spoglie”, perché è Carnevale, ed è concesso quindi travestirsi, mascherarsi per nascondere la propria identità. Non sto mentendo a nessuno in realtà. Non si tratta di bugie.

Si possono poi anche mascherare i propri sentimenti, come celare, ma è sicuramente meno poetico.

Camuffare invece è come mascherare, ma è meno divertente. Posso anche usare camuffare al posto di mascherare ma è improprio. C’è infatti una volontà di nascondere che non ha un fine divertente. Camuffare significa quindi truccare, travestire, trasformare, quindi anche mascherare, in modo che qualcosa o qualcuno non si riconosca. Quindi la persona che si camuffa per sembrare qualcun altro sta sicuramente agendo sotto mentite spoglie. Il fine è imbrogliare il prossimo, la finalità non è amichevole, non è divertente ma intenzionalmente finalizzata a imbrogliare, a “fregare” il prossimo.

Posso anche camuffare un’automobile, cambiando il motore in uno più potente.

Posso camuffare però anche delle intenzioni. Quindi camuffare è un po’ come dissimulare: però dissimulare è più elegante e si applica sempre a qualcosa di intangibile, come l’odio e la speranza, (non sono oggetti)come abbiamo visto, invece camuffare è meno elegante e si usa più in senso negativo.

Un altro verbo mai usato dagli stranieri ma anch’esso molto elegante è “edulcorare”.

Anche edulcorare ha a che fare con la verità e con il nascondimento della verità.

Tra i termini e verbi visti oggi, edulcorare è vicino ad “alterare la verità”, e anche a “dire una mezza verità”. Quindi anche edulcorare ha a che fare con la modifica. Quando uso edulcorare voglio in particolare far sembrare qualcosa migliore. Questa è la caratteristica di edulcorare.

L’intenzione è quella di presentare qualcosa come meno grave o meno sgradevole di quanto sia effettivamente nella realtà.

E’ una bugia? Non necessariamente si tratta di una vera bugia. Spesso è solamente un modo di attenuare qualcosa.

Facciamo alcuni esempi.

Sono un bambino di 6 anni ed ho fatto qualcosa di sbagliato. Ora devo dirlo a mia madre, magari ho paura che lei mi sgridi, che mi rimproveri, allora mia madre, che mi conosce bene, mi dice:

Dimmi tutta la verità, cosa hai fatto? E cerca di non edulcorare la realtà!

“Cosa?” risponde il figlio.

I bambini non conoscono questo verbo e quindi chiede spiegazioni. Giustamente.

Allora la madre si spiega bene:

Cerca di dire esattamente le cose come sono avvenute, senza modifiche. Non edulcorare la realtà a tuo favore!

Facciamo altri esempi:

Se voglio vivere gli ultimi anni della mia vita in modo felice, per edulcorare le sofferenze della vecchiaia, posso trasferirmi in Italia.

In questo caso le sofferenze vengono edulcorate, quindi è come dire attenuate, ridotte, ma edulcorare è rendere più dolce.

Infatti il verbo deriva da dolcezza, (dulcis) e si utilizza anche in senso proprio al posto di dolcificare, rendere dolce, addolcire. Infatti c’è, esiste l’edulcorante, che è una sostanza che serve per addolcire una bevanda. Si può mettere nel caffè ad esempio.

La maggioranza delle volte però edulcorare si usa in senso figurato, per mitigare, attenuare qualcosa nella sua gravità. Una cosa edulcorata è più dolce, meno grave, perché è stata modificata, è stata resa più dolce, come la vecchiaia se la passiamo in Italia 🙂

Si usa spesso in modo figurato anche quando si parla di “stile edulcorato“. Le persone che hanno uno stile edulcorato sono generalmente molto calme, e tutto sembra meno grave, più dolce, se detto da queste persone, che usano espressioni edulcorate, tranquillizzanti. Anche questo è un verbo che vi consiglio caldamente di utilizzare.

Posso usare edulcorare anche in un contesto negativo, come “occultare”, come “dichiarazione mendace” e come “falsa testimonianza”. Infatti anche edulcorare si usa spesso nelle aule di tribunale, quando un testimone può cercare di far sembrare qualcosa meno grave.  Il testimone può infatti “presentare una versione edulcorata dei fatti. I fatti, certi fatti, certi avvenimenti, certi accadimenti, vengono presentati in modo meno grave, in modo edulcorato: si presenta una versione edulcorata di alcuni fatti.

 

Per concludere c’è il verbo “sottacere“. L’ultimo verbo della lezione. Sottacere non ha nulla a che fare con i “sottaceti”, che sono delle verdure che si mettono in un contenitore con dell’aceto. I sottaceti si mangiano quindi. Sottacere invece è un verbo!

Qual è la caratteristica del verbo sottacere?

Anche sottacere, come edulcorare, è simile a “dire una mezza verità”, ed infatti contiene “tacere“, che vuol dire stare zitti, non parlare. Sottacere significa “non dire”, cioè omettere di dire, omettere di dire qualcosa in modo intenzionale. Quindi quando si omette di dire qualcosa, quando non si dice qualcosa di importante, si sta sottacendo, cioè si stanno omettendo fatti o circostanze particolari e rilevanti. Non si tratta di far sembrare migliore, come edulcorare, ma semplicemente di non dire qualcosa.

Quando si sottace, è come dire che si “passa sotto silenzio“. Infatti sottacere contiene tacere ma contiene anche “sotto”: sottacere = tacere sotto, nel senso di nascondere.

Cosa può essere sottaciuto?

Beh, posso fare alcuni esempi. Posso dire ad esempio che se parliamo di apprendimento della lingua italiana, non posso sottacere l’importanza della ripetizione dell’ascolto: prima regola d’oro: la ripetizione, cioè ascoltare più volte non può essere sottaciuto. Se lo sottacessi vi farei un torto e non sarei un buon professore di italiano.

Non posso neanche sottacervi che occorre anche praticare la lingua per imparare a comunicare in italiano. Se vi avessi sottaciuto questo non avrei creato dei gruppi su Whatsapp per parlare italiano. Non vi sottaccio neanche che questo episodio sta diventando un po’ troppo lungo (non ve lo sottaccio) e la vostra attenzione potrebbe calare.

Seppure ve lo avessi sottaciuto sarebbe stata comunque una bugia a fin di bene. A proposito, questa particolare categoria di bugie sono, appunto, a fin di bene, sono cioè finalizzate a far del bene (fin è l’abbreviazione di fine, cioè finalità, scopo, obiettivo). Non sempre quindi sottacere qualcosa può essere negativo, anche se c’è chi afferma che è sempre meglio essere sinceri. Io sono della teoria delle bugie a fin di bene.

Quindi facciamo un breve esercizio di ripetizione prima di lasciarvi.

agire sotto mentite spoglie

agire sotto mentite spoglie

nascondere la verità

mentire

dire bugie

menzogne

non dire menzogne!

menzognero

falsa testimonianza

dichiarazione mendace

sottacere

sottacere la verità

omettere

 

alterare la verità

dire una mezza verità

mascherare la verità

camuffare

raccontare storie

celare la verità

edulcorare

presentare una versione edulcorata dei fatti

..

dissimulare

 

maja verita
I verbi delle bugie. Immagine fornita da Maja (Polonia)

 

Questo episodio è terminato. Grazie a tutti e grazie ai donatori, ancora una volta, che aiutano Italiano Semplicemente. E’ grazie a loro che si sostiene Italiano Semplicemente e che tutti gli stranieri possano usufruire dei nostri podcast. La Germania ed il Brasile sono i paesi più generosi ma molte persone in molti paesi non hanno le possibilità tecniche (ed economiche) per donare. Fortunatamente però anche in questi paesi è possibile ascoltare gli episodi di Italiano Semplicemente.

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Ciao a tutti.

> Come nascondere le verità: 2^ parte

I verbi professionali: EROGARE

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Trascrizione

Benvenuti nel Corso di italiano professionale, per coloro che vogliono portare ai massimi livelli la loro conoscenza della lingua italiana. Un percorso lungo ma con italiano semplicemente ci arriveremo insieme, seguendo un percorso graduale.

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Questo episodio in particolare fa parte della sezione “verbi professionali” ed è dedicato al verbo professionale: EROGARE.

Questo è sicuramente un modo trasversale di affrontare argomenti diversi in ambito professionale. Un verbo infatti di solito ha diversi utilizzi, validi in diversi contesti.

Questo è in particolare un verbo che appartiene alla stessa categoria di liquidare e riscuotere, che abbiamo già visto e spiegato all’interno della speciale sezione “verbi professionali”. Infatti anche il verbo erogare ha a che fare con i soldi e i pagamenti. Ma non solo. Vedremo in realtà come il verbo ha un altro importante utilizzo.

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Il file MP3 da scaricare e la trascrizione integrale in PDF di questo episodio  è disponibile per chi ha acquistato il corso di Italiano Professionale o chi ha acquistato solamente la sezione “verbi professionali”. 

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Uso della particella “CE”

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Trascrizione

Buongiorno, io sono Giovanni, il creatore di italianosemplicemente.com e oggi, come promesso, vediamo l’utilizzo della particella CE. Due lettere: C-E

Ci siamo già occupati della particella CI, ed a questo punto è d’obbligo descrivere anche la particella CE, che è stretta parente di CI, e quando dico che CE è stretta parente di CI, voglio dire che è molto simile, che si usa quasi nello stesso modo, e non è un caso che CE si scriva quasi come CI.

Una bella notizia quindi? Aspettate a dirlo perché è proprio la somiglianza a creare problemi.

Alcune delle cose che dirò in questo episodio, che ha una lunghezza di circa 40 minuti, sono cose che non troverete da nessuna parte, in nessun libro di grammatica ed in nessun sito, anche perché spesso non è importante solamente la costruzione della frase e le singole parole, ma anche il tono da usare. È bene comunque ribadire, cioè dire ancora una volta, chiarire, che l’ascolto è la chiave della comunicazione.

Ascoltate, Ascoltate ed ancora Ascoltate e ripetete anche voi ciò che ascoltate. Questa spiegazione vi sarà sicuramente molto utile ma non è affatto un argomento facile da affrontare questo di CE e CI. Infatti ho notato che queste due particelle creano parecchi problemi a voi stranieri quindi ho deciso di affrontare l’argomento una volta per tutte sperando di esservi veramente di aiuto. Tutto ciò che ho trovato sul web in proposito non mi ha per niente soddisfatto. Vediamo se riuscirò a fare meglio. Me lo auguro.

Non è una cosa, a dire il vero, che faccio solitamente quella di parlare di grammatica, ma questa volta devo dire che è molto importante anche il modo di pronunciare certe frasi e solamente con una spiegazione audio è possibile spiegare bene certi argomenti.

Vi invito quindi ad ascoltare questo episodio se avete dubbi su come usare la particella CE.

Vediamo le differenze e le similitudini con CI.

Una prima fondamentale differenza è che il CI è sempre seguito da un verbo. Dopo la particella CI c’è sempre un verbo. Invece CE non è mai seguito da un verbo.

Vediamo infatti che qualunque sia l’utilizzo di CI, pronome personale, complemento indiretto, pronome dimostrativo o avverbio di luogo, che abbiamo spiegato nell’episodio dedicato alla particella CI, a seguire c’è sempre un verbo.

Vediamo comunque adesso come possiamo usare CE.

Pronome personale: ricordate che CI è pronome personale quando si utilizza per indicare noi, quindi ad esempio:

Io e Mohamed ci mangiamo una mela al giorno.

Come fate a capire che CI è pronome personale? È sufficiente vedere che CI Diventa VI se anziché io e Mohamed scrivo tu e Mohamed.

Tu e Mohamed vi mangiate una mela al giorno.

Bene. Quindi Ci in questo caso significa noi.

Anche CE può essere pronome personale, e quindi può indicare noi proprio come CI.

Ad esempio: io e Mohamed ci mangiamo una mela al giorno.

Perché io e Mohamed ci mangiamo una mela al giorno?

Risposta: ce lo ha detto il dottore.

Quindi vedete che la risposta “ce lo ha detto il dottore” o anche “ce l’ha detto il dottore” equivale a “a noi lo ha detto il dottore”. Le due frasi sono equivalenti.

Un altro esempio:

Io e la mia fidanzata ci baciamo tutti i giorni.

Quanti baci vi date?

Ce ne diamo almeno 100 ogni giorno.

Come vedete anche in questo caso è facile capire che si tratta di un pronome personale, perché se cambiate il soggetto cambia anche il pronome. Proprio come CI.

Noi ci baciamo, voi vi baciate loro si baciano.

Ce ne diamo 100 al giorno, ve ne date 100 al giorno, se ne danno 100 al giorno.

Come avrete notato e come vi avevo detto all’inizio, CE non è mai seguito da un verbo come CI, ed invece è sempre seguito dai pronomi la, le, li, lo oppure dalla particella ne e poi il verbo.

Vediamo altri esempi con CI e CE ed ogni volta vi dico anche la frase equivalente:

Ricordi chi ci ha insegnato a parlare italiano? Ce lo ha insegnato Giovanni (a noi lo ha insegnato Giovanni);

Chi ci racconta la storia? Ce la racconta nonna (a noi la storia la racconta nonna);

Chi ci ha comprato il libro?

Ce lo hanno comprato i nostri genitori (a noi il libro lo hanno comprato i nostri genitori).

Attenzione adesso.

Ci mangiamo la pizza stasera?

Ok, mangiamocela.

Quanta ce ne mangiamo?

Ce ne mangiamo una a testa. Mangiamocene una a testa.

Avete visto quindi che ce, seguito dal pronome o da ne può stare anche alla fine, attaccato al verbo: mangiamocela, mangiamocene.

Questo vale per qualsiasi verbo.

Ci avete preso il libro? Restituitecelo! Cioè restituitelo a noi, restituite a noi il libro, ridatecelo indietro, ridatelo indietro a noi. “Lo” indica il libro, mentre “ce” indica “a noi”: restituitecelo, reatituitelo a noi.

Un altro esempio:

Ciao Elisabeth, ci saluti Ulrike se la vedi?

Ce la potresti salutare per favore? Salutacela per favore, e dille che presto la chiameremo.

Ce la saluti – Salutacela. Anche in questo caso ce+la possono stare prima o dopo rispetto al verbo. Se stanno dopo si attaccano al verbo. Se stanno prima invece sono staccate dal verbo: ce la saluti – salutacela. “La” si usa con le persone e le cose, come lo, li, le, mentre “ne” si usa con le quantità. Quanta pizza ci mangiamo? Ce ne mangiamo una a testa.

Quante persone devo salutarti? Salutamene solo una, salutami solamente Ulrike.

Vediamo ora cosa succede nel caso di avverbio di luogo. Ricordate l’utilizzo di CI in questo caso?

Vai in vacanza? Vai a Roma? Vai in Italia? Risposta: “Sì, ci vado spesso”: CI indica la vacanza, Roma, l’Italia. Ci vado spesso equivale a ” vado spesso in vacanza”, “vado spesso a Roma”, vado spesso in Italia”.

Non cambia col soggetto: ci vado, ci vai, ci andiamo eccetera. Già conosciamo il luogo di cui parliamo.

Anche il CE può essere un avverbio di luogo ed anche con CE conosciamo già il luogo. Ad esempio se sto cercando il sale, non lo trovo, poi mi accorgo che si trova sul tavolo. Allora dico:

Chi lo ha messo sul tavolo? Ce l’hai messo tu mamma? Quindi quando dico “chi lo ha messo” il “lo” indica il sale. Invece quando dico “chi ce lo ha messo?” senza dire il luogo, cioè sul tavolo, allora CE serve proprio a questo, per indicare un luogo (il tavolo) mentre “lo” indica sempre il sale:

Chi ha messo il sale sul tavolo?

Chi lo ha messo sul tavolo?

Chi ce l’ha messo?

Queste sono tre frasi equivalenti. Il “CE” indica il tavolo.

Un altro esempio.

Mi dai una mela mamma per favore? Si trovano in frigo. E la mamma risponde “no, mi spiace ma non ce ne sono piu”. Quindi non ci sono più mele, non ce ne sono più di mele nel frigo. Mi sto riferendo in generale alle mele, non ad una mela in particolare, quindi uso “ne”: Non ce ne sono più nel frigo. Il “CE” indica il frigo.

Le mele sono, in particolare, qualcosa che si può contare: 1 mela, 2 mele eccetera. Se a mia madre avessi chiesto dello zucchero invece, avrei detto:

Mi passi un po’ di zucchero mamma per favore?

Se lo zucchero è finito mia madre risponde: purtroppo non ce n’è più.

Non ce n’è più, cioè ce ne è più. Uso il singolare, perché lo zucchero è un qualcosa che non è numerabile, è come il sale, la pasta, il riso eccetera.

Non ce ne è più equivale quindi a: è terminato, è finito.

Ad ogni modo anche questo esempio fa parte della categoria del CE Che si usa come avverbio di luogo, sebbene a volte non si indichi in luogo preciso. Quindi “non ce n’è più”, “non ci sono piu” significano semplicemente è finito, sono terminati.

Ancora un esempio di questo tipo:

Se vai a cercare il parmigiano in frigo, perché è lì che dovrebbe trovarsi il parmigiano, se voi non lo trovi puoi dire:

Non ce l’ho trovato.

Avete cercato il parmigiano, ma in frigo non c’è, non lo avete trovato, non avete trovato il parmigiano in frigo: non ce l’avete trovato. Il CE indica il frigo, “lo” indica il parmigiano.

Quindi finora abbiamo visto CE come pronome personale, per indicare “noi” e anche CE come avverbio di luogo.

In entrambi i casi si è detto che CE Non è mai seguito da un verbo, come CI, ma è sempre seguito da la, lì, lo, le oppure da ne, a seconda della cosa a cui si riferisce.

A volte accade che gli italiani non usino correttamente CI e CE, proprio perché sono molto simili tra loro. É normale che ci si confonda a volte, ma gli italiani spesso ne fanno una cattiva abitudine, che a volte diventa anche una forma dialettale.

Abbiamo visto come CI si usa più nelle domande e CE maggiormente nelle risposte:

Ci passi il sale per favore? Risposta: non ce n’è più.

Ma spesso si sente dire:

Ce lo passi il sale?

In questo caso viene usato CE al posto di CI, rafforzato con LO, che indica il sale, che però viene detto nella frase: “ce lo passi il sale?”.

Questo si usa spesso nel linguaggio parlato, ma è una forma scorretta ed anche un po’ maleducata. È come dire: sono più volte che ti chiedo la stessa cosa, ce lo vuoi passare il sale oppure no?

Quindi attenzione perché usare CE nelle domande vi costringe a aggiungere lo, la, li, le oppure ne, ma poi dovete anche aggiungere la cosa di cui parlate, perché questa è una domanda e non una risposta, e non è scontato di cosa state parlando.

È la stessa cosa quando si dice:

Ce l’hai una sigaretta? Ce l’avete un po’ di tempo libero? Ce l’ha tua sorella la patente?

In questi casi non è maleducato, anche se siete sempre costretti a dire la cosa di cui parlate. Diciamo che comunque le frasi non sono corrette anche se molto usate.

Si dice che in questi casi l’uso di CE è pleonastico, cioè inutile, proprio perché si fa una ripetizione. È più corretto dire:

Hai una sigaretta?

Avete un po’ di tempo libero?

Ha la patente tua sorella?

In questi casi non è maleducazione usare CE. Come fare a capire quando invece rischiate di essere maleducati?

Semplice: soltanto quando CE è usato come pronome personale e nello stesso tempo quando si parla con qualcuno che non fa parte del “noi”.

Ce la dai una sigaretta?

Ce la porti la pasta?

Ce lo passi il sale?

Fate attenzione quindi perché questo utilizzo di CE non è consigliato, ed anche se molti italiani lo utilizzano, quando lo fanno è per un motivo preciso: insistere in una richiesta, sottolineare uno stato di nervosismo, di irritazione, perché magari hanno più volte fatto questa domanda ed ora quindi usano un tono più forte.

Anche col “ne” esistono frasi in cui CE sostituisce CI.

In questo caso si tratta di esclamazioni:

Ce ne vuole di pazienza con te!

Che è come dire “con te ci vuole molta pazienza”, ma dicendo in questo modo “ce ne vuole di pazienza” si ha un tono ironico e polemico, ed anche qui si ha una ripetizione: “ne” e poi pazienza.

Ce ne hai messo di zucchero nel caffè!

Anche qui è ironico: hai messo molto zucchero, tantissimo zucchero nel caffè! Ci hai messo molto zucchero nel caffè. Se vogliamo CI e CE possiamo anche eliminarli. Ma se elimino CE non sono più ironico:

Ce ne metti di zucchero nel caffè! Oppure

Ce ne hai messo di zucchero nel caffè!

Il tono con cui si pronuncia è molto importante: ce ne hai messo di zucchero. La parola “messo” viene sottolineata con la voce.

E questo modo di usare CE, nelle esclamazioni ironiche, non è maleducato, ma semplicemente ironico. Lo potete fate in molte occasioni diverse, e spesso anche senza ricorrere alla particella CE. “Ne” è spesso sufficiente.

Ne hai di figli eh?

Ce ne hai di figli eh?

È come dire: hai molti figli vero? Mi sbaglio? Che però non è una frase ironica.

Hai 10 figli? Ne hai di pazienza eh?

Ce ne vuole di coraggio per fare 10 figli!

L’ironia emerge chiarendo sottolineando con il tono il verbo: ce ne vuole… ce ne hai messo.. Eccetera. Spesso si usa anche dire:

Certo che ce ne vuole di pazienza con te!

Certo che ce ne metti di sale nell’acqua!

Certo che ne sai tu di cose vero?

Fate sempre attenzione quando pronunciate queste frasi, perché il confine tra il serio e l’ironico è molto sottile ed il tono da usare diventa molto importante. Siete stanchi? Tranquilli perché abbiamo finito!

Ricapitoliamo quindi: CE si usa in più casi diversi ed è molto simile a CI. Si usa come pronome personale (ce lo porti il sale?) e significa “a noi”; come avverbio di luogo (non ce ne sono più) ed indica quindi un luogo; in tutti i casi a differenza di CI, non è mai seguito dal verbo, ma dalla particella ne oppure da la, le, li, lo.

Poi si è detto che volte CE è usato in modo pleonastico, cioè se ne potrebbe fare a meno (ce l’hai una Sigaretta?).

Si è anche visto come CE è più usato nelle risposte mentre CI si usa maggiormente nelle domande.

Infine vi ho dato un avvertimento nell’uso di CE, perché à volte si usa per sottolineare qualcosa in tono un po’ maleducato (ce la dai una sigaretta? Ce lo passi il sale?) oppure in modo ironico (ce ne vuole di pazienza con te!).

Allora tutto adesso dovrebbe essere più chiaro, ovviamente dovete ripetere l’ascolto più volte.

Grazie a tutti, grazie, ancora una volta, a chi sostiene italiano semplicemente con una donazione personale, è solo grazie a loro che è possibile aiutare tanti stranieri a parlare correttamente l’italiano, una lingua difficile.

Se anche tu vuoi far parte di questo progetto e vuoi contribuire ad aiutarmi in questa missione, insieme sicuramente CE la possiamo fare più facilmente. Inoltre se volete quando lasciate una donazione potete anche lasciate un breve messaggio, in cui potete scrivere cosa vi è piaciuto in particolare, ed in questo modo potrò utilizzare i vostri consigli per i prossimi episodi di italiano semplicemente.

Grazie a tutti per l’ascolto, grazie anche a Emanuele, mio figlio di 9 anni, che ha suonato al pianoforte la musica che ascoltate.

Un caro saluto.

Uso della particella “ci” e spiegazione della frase “ci sta” 

Audio

Trascrizione

Buongiorno amici di Italiano Semplicemente. Grazie di essere qui, ancora una volta con noi in questo nuovo podcast da ascoltare e da leggere, ma soprattutto da ascoltare.

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Prima però voglio fare una breve panoramica delle sette  regole più importanti, i sette “segreti” che ormai conoscono tutti per imparare a comunicare in italiano.

Io le ho chiamate le sette regole d’oro e le potete trovare online sul sito ItalianoSemplicemente.com

Le ho chiamate regole d’oro perché il tempo è prezioso come l’oro, ed applicare queste semplicissime regole permette di imparare l’italiano anche se non avete molto tempo a dispozione e di utilizzare al meglio quel poco che avete. Ve le ricordo molto brevemente:

Prima regola: ascoltare più volte lo stesso episodio, perché REPETITA IUVANT, cioè “ripetere giova”, cioè ripetere fa bene, ripetere è utile, perché ripetendo si fissano bene le cose in testa, si memorizza solo così: ripetendo.

Seconda regola: per usare al meglio il tempo,  usare i tempi morti per ascoltare, cioè ascoltare in viaggio, mentre si fa la spesa, lavando i piatti, facendo sport ecc.

Terza regola:  senza stress, quindi ascoltare  quando siete tranquilli e ben rilassati. Quindi la cosa migliore è farlo mentre fate una passeggiata nel parco senza nessun rumore al di fuori di quelli della natura ad esempio.

Quarta regola: Non cercate di memorizzare le parole. Non focalizzatevi sulle singole parole quindi, ma cercate di imparare attraverso delle storie e soprattutto usando le vostre emozioni; non solo attraverso parole o frasi da ripetere. Le emozioni sono la vera colla, il cemento della memoria. Ripetete quindi con toni diversi e possibilmente ad alta voce (se non vi sente nessuno).

Quinta regola: utilizzate Italiano vero e che vi PIACE.  Ognuno di noi è un individuo unico, con i propri gusti, con le proprie emozioni, con le proprie preferenze. Se vi piace la grammatica potete ascoltate anche lezioni in cui si spiega la grammatica, come questa, che in parte è una lezione anche grammaticale, ma ascoltatele, non solo leggetele. Se vi piace la moda, ascoltate audio che riguardano la moda, eccetera. Ad ognuno il suo argomento, non ce n’è uno che vale per tutti in generale. Ognuno di noi è unico ed irripetibile.

Sesta regola: l’importanza  di fare delle domande e dare delle risposte sulle storie ascoltate. Questa è una regola valida soprattutto per i principianti, e infatti tutte le storie per principianti di Italiano Semplicemente hanno, anche uno o più file audio con le Domande & Risposte.

Settima regola: Parlare. Parlare è fondamentale. La comunicazione è fatta, lo dico sempre, di bocca e di orecchie, con in mezzo il vostro bel cervello. Quindi potete usare whatsapp, un grande strumento che oggi abbiamo a disposizione per registrare piccoli audio che potete riascoltare se volete.

Bene allora se non avevate mai sentito le rette regole d’oro questa è stata una buona occasione per farlo. Su Italiano Semplicemente ho dedicato un file audio per ognuna delle regole d’oro.

Oggi invece spieghiamo una frase che Alexandre, su Twitter mi ha suggerito.

La frase è “CI STA”. Ringrazio Alexandre della domanda, lui è sempre attento a queste espressioni particolari. Ciao Alexandre.

Allora “ci sta” è una frase con due piccole paroline: la particella CI e la parola STA.

Ci è appunto una particella. L’uso di questa particella risulta un po’ complesso perché ha diverse funzioni e diversi significati.

Sintetizzando al massimo, CI può indicare “noi” oppure serve ad indicare direttamente qualcuno o anche qualcosa direttamente, una qualsiasi cosa tangibile o non tangibile, e quindi anche un luogo, oppure una situazione. Inoltre CI se unito ad un verbo ne cambia il significato. Quando indico qualcosa o qualcuno, o un luogo, il ruolo di CI è quello di non ripetere la cosa a cui ci si riferisce.

Questo è il riassunto, che però ha bisogno di esempi, altrimenti è inutile.

Facciamo degli esempi:

Dicevo che CI serve ad indicare “noi”: quindi è pronome personale plurale, Quindi come pronome personale il CI serve ad unire più persone.

“Oggi io e mia moglie ci sentiamo bene”. Quindi CI indica noi: noi ci sentiamo bene. Noi stiamo bene, siamo felici. In questo caso CI è un pronome personale ed equivale quindi ad altri pronomi personali come mi (io mi sento bene), ti (tu ti senti bene) si (lui si sente bene), vi (voi vi sentite bene) ed ancora si (loro si sentono bene). Quindi il CI riferito a noi si riconosce perché se mi riferisco a me diventa “mi”, se si riferisce a te diventa “ti”, diventa “si” con lui, lei e loro, maschi o femmine che siano.

Quindi ad esempio posso dire anche:

Io e te ci vediamo spesso,

Io e lui ci alziamo sempre alle 7 di mattina,

Io e mia madre ci vediamo ogni lunedì,

Io e i miei amici ci salutiamo sempre quando ci incontriamo.

In tutti questi casi vale il NOI, quindi in questo caso la particella CI serve sempre ad unire. Ovviamente va sempre specificato con un verbo qual è il motivo dell’unione: ci andiamo, ci vediamo, ci salutiamo eccetera.

Vediamo al secondo gruppo di significati, dove CI serve a non ripetere la cosa a cui ci si riferisce.

Cominciamo a vedere quando si indica qualcuno:

In tal caso CI si chiama complemento indiretto. Ad esempio:

Vai spesso in vacanza con lui? Risposta: “Sì, ci vado spesso”.

Quindi CI significa “con”, con lui, con lei, o con loro.

Mangiate spesso insieme tu e lui? “Sì, ci mangio” cioè “con lui mangio spesso”: ci mangio spesso (ci=con lui).

Viaggi spesso insieme a lei? “Sì, ci viaggio spesso” (con lei viaggio spesso = ci viaggio spesso)

Oppure:

Puoi contare su di lui? “Sì, sicuramente ci posso contare”, oppure “no, purtroppo non ci posso contare”.

Quindi in questo caso (complemento indiretto: indico qualcuno), CI non cambia col soggetto: resta sempre CI. Questa è una bella differenza rispetto al pronome personale.

Io ci posso contare, tu ci puoi contare, lui ci può contare, noi ci possiamo contare, voi ci potete contare e loro ci possono contare: CI non cambia perché si riferisce sempre alla stessa persona: contare su di lui, o su di lei, o su di loro. Non importa chi è che ci conta.

Abbiamo quindi visto CI come pronome personale “NOI” (primo utilizzo) e poi come complemento indiretto per indicare qualcuno (secondo utilizzo). Poi come dicevo prima posso anche riferirmi ad una cosa tangibile o intangibile (terzo utilizzo) oppure anche un luogo (quarto utilizzo). Anche quando mi riferisco a cose o luoghi lo uso per non ripetere la cosa a cui ci si riferisce.

Se parlo di cose (e non di persone) il CI prende il nome di pronome dimostrativo:

Posso mangiare su questo tavolo? Ci posso mangiare? Posso mangiarci? Risposta: Sì, ci puoi mangiare.

Il CI quindi significa “su questo”, ma in altri casi può significare “a questo” oppure “in questo”

Esempio:

Ci credi ai miracoli? Sì, ci credo. Quindi: credo a questo, credo nei miracoli, credo in questo. Anche con le cose, come per le persone, è importante sottolinearlo, il CI resta sempre CI: io ci credo, tu ci credi, lui ci crede eccetera. Non cambia.

Se indico un luogo invece (quarto utilizzo di CI) si chiama avverbio di luogo. Anche qui CI serve a non ripetere.

Vai in vacanza?  Risposta: “Sì, ci vado spesso”: CI indica la vacanza. Che non è però un luogo preciso.

Invece:

Vai in Italia?  Oppure: Vai a Roma? Risposta: “Sì, ci vado spesso”: CI indica l’Italia o Roma. Che sono invece dei luoghi precisi, ben identificati, non generici.

Notiamo poi che, ancora una volta, CI resta sempre CI anche con i luoghi come la vacanza (generica) o l’Italia o un altro luogo qualsiasi.

Io ci vado, tu ci vai, lui ci va, noi ci andiamo, voi ci andate, loro ci vanno. Come vedete non cambia con la persona: CI resta sempre CI.

Altri esempi di questo tipo:

Vieni al cinema con me e Luca? Risposta: Certo, ci vengo molto volentieri. Ci vengo = vengo al cinema. Il cinema è un luogo preciso. Ci indica “il cinema”.

Andiamo al mare insieme oggi? Ovviamente sì, ci vengo sicuramente! Ci vengo = vengo al mare

Posso naturalmente avere delle frasi in cui sono presenti entrambi questi due tipi di CI. Sia quello inteso come noi, si quello che serve a non ripetere la cosa di cui si parla.

Ad esempio:

Andiamo al mare insieme oggi? Risposta: Sì, ci vengo! Ci vediamo sotto casa mia?

In questo caso il primo CI (“sì, ci vengo”) serve ad indicare il mare. Mentre il secondo CI (ci vediamo sotto casa mia) è un pronome personale: io te ci vediamo.

Bene, Infine, per concludere l’uso della particella CI, si è detto all’inizio che CI cambia alcuni verbi, li cambia di significato.

Vediamo qualche verbo in particolare prima di arrivare alla frase di Alexandre.

Vediamo volere. Volere è diverso da volerci.

“Io voglio mangiare una mela” è diverso da “per mangiare una mela ci vogliono i denti”.

Nella prima frase c’è volere: “io voglio mangiare”: volere esprime una volontà, un desiderio.

Nella seconda frase c’è volerci: “ci vogliono i denti”. In questo caso volerci (ci vogliono) significa che è necessario: ci vogliono i denti = è necessario avere dei denti, perché senza i denti non si può mangiare la mela.

Analogamente mettere è diverso da metterci.

“Mettere una mano sul tavolo” ad esempio significa appoggiare la mano sul tavolo, prendere la mano e metterla sul tavolo.

Invece se dico “per andare al lavoro ci metto 40 minuti” sto usando il verbo “metterci”:

“Metterci 40 minuti per andare al lavoro”.

In questo caso metterci significa impiegare, non ha niente a che fare con mettere: metterci indica il tempo necessario per andare al lavoro: ci metto mezz’ora, ci metto venti minuti eccetera.

Non è invece la stessa cosa se dico: “nel mio lavoro ci metto impegno”. In questo caso metterci somiglia più a mettere, che però è un verbo che si usa per le cose tangibili, che si toccano, invece metterci impegno si riferisce all’impegno, che non si tocca. È quindi una frase simile a “nell’acqua ci metto il sale”: in questo caso c’è il gesto fisico, quindi il senso di ci metto è proprio come quello di mettere. Metterci impegno  somiglia a metterci il sale.
poi c’è anche “mettercisi” che è la forma riflessiva: il SI rappresenta se stessi. Mettere se stessi da qualche parte, perché c’è il CI. In questo caso “mettercisi” significa impegnarsi:

“Se mi ci metto passerò l’esame di italiano”, che significa che se mi ci impegno, se mi concentro, se studio molto, allora sicuramente passerò l’esame.

In generale comunque i verbi cambiano con e senza la particella “ci”.

Anche provare e provarci non hanno lo stesso significato, ed anche stare e starci non hanno lo stesso significato.

E qui arriviamo alla frase di Alexandre: “ci sta”. Stiamo parlando del verbo stare e del verbo starci. Stare è un verbo che ha mille utilizzi ma indica in generale la presenza:

“Io sto a casa”: io mi trovo a casa.

Invece “starci” significa semplicemente “essere d’accordo”.

Ad esempio: ci stai a cenare insieme stasera? Il tu è sottinteso in questa frase (tu ci stai), il tu è scontato, quindi se sto parlando con te ti dico: ci stai a cenare insieme stasera? Vale a dire: sei d’accordo? Va bene?  Ti va bene? Sto parlando con te!

Se tu ci stai, allora sei d’accordo. Potresti rispondere: “Si, ok, ci sto! Ceniamo insieme”.

Quindi starci significa concordare, essere d’accordo, dire di sì. Come vedete anche qui dicendo CI si può non ripetere la cosa di cui si sta parlando.

Cosa mi dici allora? Usciamo insieme stasera?

“Ci sto!” anche questa potrebbe essere una risposta, più breve, oppure anche ok, d’accordo, sì, va bene: sulla cosa che hai appena detto, va bene, concordo. In poche parole “ci sto”.

Ci sono quindi in generale due persone, una che fa una proposta ed una che riceve la proposta: se la proposta è accettata si risponde: ok, ci sto! Invece se non va bene si risponde: “no, io non ci sto”.

Fate attenzione però perché qui devo avvertirvi: spesso starci si usa nelle relazioni sentimentali ed amorose, a questo tipo di accordi; a questo tipo di proposte.

Infatti anche qui si hanno due persone. Una delle due fa una proposta all’altra, e questa proposta è amorosa. Se quindi l’altra persona CI STA, vuol dire che ha accettato la sua proposta amorosa.

Che significa?

Ad esempio: a mio fratello piace una ragazza e stasera lui ha intenzione di invitarla ad uscire. Io però avviso mio fratello e gli dico: lascia stare, tanto lei non ci sta, non perdere il tuo tempo con lei.

“Lei non ci sta”, questo è il mio avvertimento a mio fratello: Caro fratello, tu a lei tu non piaci, quindi lei con te non ci starà (al futuro), non accetterà la tua proposta e se tu cercherai di baciarla, lei non ci starà, non si farà baciare.

Se mio fratello invece non ascolta il mio consiglio e va ugualmente a cena fuori con la ragazza, allora alla fine della serata lui torna a casa e io gli dico: allora? Com’è andata? C’è stata?

Lui magari mi risponde: no, non c’è stata purtroppo.

Te l’avevo detto che non ci stava!

Quindi se da una parte mio fratello ci ha provato (verbo provare-provarci), la ragazza non c’è stata (non ci è stata).

Posso anche dire che:

Mio fratello c’ha provato (ci ha provato) e la ragazza non c’è stata. Provarci e starci sono entrambi dei verbi che si usano nelle relazioni amorose, cioè in particolare negli approcci. Una persona ci prova e l’altra ci sta oppure non ci sta.

Però quando una persona ci prova e l’altra ci sta, normalmente non sono cose serie: si tratta di storie di adolescenti, di approcci, di esperienze giovanili. Cosa che non esclude comunque che questa relazione, se lei ci sta ovviamente, non si possa concludere con un matrimonio: non si sa mai nella vita!.

Quante volte da ragazzi c’abbiamo provato con diverse ragazze: alcune ci stavano ed altre no (non ci stanno mica tutte – magari!): ma questa è la vita.

Questo è un primo modo di usare “CI STA” e si usa con riferimento alle persone. Lei ci sta = lei è d’accordo.

Un secondo modo non si usa con le persone, ma ugualmente indica due cose che vanno d’accordo.

Ad esempio se oggi decido di andare al mare con mia madre e le chiedo:

Che ne dici mamma, se dopo essere stati al mare andiamo a pranzo fuori al ristorante? Ti va? Prima il mare e poi il ristorante.

Mi madre risponderebbe: Bravo, bell’idea, così non cuciniamo con questo caldo! Oppure porebbe rispondere: prima al mare e poi al ristorante? Mmmm, Sì! Ci sta! Ci sta tutto!

Quindi posso dire che, da una parte, mia madre “ci sta” (lei ci sta) alla mia proposta nel senso che lei accetta quello che le ho detto, accetta la proposta che le ho fatto, quindi lei, mia madre ci sta, è d’accordo: e questo è il primo significato di “ci sta” (è mia madre che ci sta, che è d’accordo), quello che abbiamo appena visto, ma posso anche dire che mia madre risponde: “ci sta”. Lei risponde: prima al mare e poi al ristorante? Mmmm, Sì! Ci sta! Ci sta tutto!

Quindi non risponde “ci sto” ma “ci sta”.

E quindi è questo il secondo significato: è la tua proposta che “ci sta”, è la tua proposta che è appropriata, che è fattibile, è proprio una bella idea.

In questo caso quindi non è che mia madre si è sbagliata; semplicemente voleva dire che la mia proposta “ci sta”, nel senso che la mia proposta è pertinente, è appropriata; è una cosa intelligente decidere di andare a pranzo al ristorante, perché probabilmente saremo stanchi dopo il mare e farà anche molto caldo per cucinare:

Allo stesso modo posso dire:

Ci sta tutto che la Roma perda col Real Madrid.

Ci sta tutto che la Roma perda col Real Madrid, cioè può accadere: se la Roma perdesse, non sarebbe una cosa di cui stupirsi, ci sta.

Quindi in questo caso le due cose che si deve decidere se vanno d’accordo o meno sono 1) che la Roma perde, 2) che la Roma gioca contro il Real Madrid. Ci stanno queste due cose insieme?

Ci sta, eccome se ci sta. Si può fare, è possibile, come andare al ristorante dopo essere stati al mare. E’ un’ipotesi da prendere in considerazione.

Quest’ultimo modo di usare “ci sta” potrebbe creare qualche problema ed allora vi faccio altri esempi. Ammettiamo che mia moglie mi chiede di andare a prendere sua sorella con la macchina? Ebbene, posso dire che ci sta, che può starci, ma se me lo avesse chiesto un amico sarebbe stata una richiesta un po’ anomala. Siccome è mia moglie, ci sta sicuramente.

Quindi bisogna confrontare due cose qualsiasi, che possono andare d’accordo oppure no. Se vanno d’accordo, allora dico che “ci sta” e quindi Si tratta di due cose che con una certa facilità possono essere accoppiate. Quando ti fermi a pensare se una cosa può essere strana oppure no, se, dopo che ci hai pensato, dici che in fondo le due cose possono anche essere facilmente collegate, allora dici: si sta, ci può stare.
Ci sta che una moglie tradita dal marito lo perdoni? Si ci sta.

Ci sta che una moglie perdoni il marito per 10 tradimenti? Mo, non ci sta!!
Un altro modo simile di dire “ci sta” è al posto di “c’entra”, cioè che una cosa entra all’interno di un’altra. Le due cose sono però questa volta due oggetti.

Se ad esempio devo fare la valigia per andare in vacanza, e ho dimenticato di inserire un libro, allora dico a mio figlio: Emanuele prova a vedere se questo libro ci sta nella valigia. Emanuele: ok papà, ci provo… ci sta! . Ok, quindi Ci sta significa in questo caso “c’entra” ; il libro entra in valigia, ci sta, dove il ci si riferisce alla valigia. Quindi questo utilizzo di ci rientra tra quelli visti prima, quando il riferimento è agli oggetti.

Un ultimo esempio di ci sta appartiene alla categoria del ci come pronome personale, nel senso di noi, infatti se chiedo ad alcuni miei amici: vi sta bene se domani andiamo al cinema?
Vi sta bene? Risposta: si, ci sta bene, ok!

Bene facciamo ora un esercizio di ripetizione, facendo anche una lista degli esempi visti su tutti gli utilizzi di “ci sta”. Ripetete dopo di me.

Ci sto!

Io ci sto!

Ci stai? Sì, ci sto!

Tu ci stai

Lui ci sta

Noi ci stiamo

Voi ci state

Loro ci stanno

Ci sta perdere contro il Barcellona?

Ci sta, ci sta, certo che ci sta!

Che dici se ci provo con quella ragazza, secondo te ci sta?

Mmmmm secondo me no, non ci sta!

….

Ciao a tutti, grazie di averci seguito e grazie anche a chi aiuta a sviluppare Italiano Semplicemente attraverso una donazione periodica. Grazie per la vostra generosità.

Falla finita! Fallo per me!

Trascrizione

Buongiorno ragazzi e benvenuti su italiano semplicemente, il sito per imparare a parlare la lingua italiana come si deve, ed in particolare il sito per imparare l’italiano in modo divertente, in modo informale e anche professionale. Chi vi parla è Giovanni, una persona appassionata di apprendimento delle lingue, che ha iniziato nel 2015 ad organizzare le idee su italianosemplicemente.com nella speranza di essere utile a tutti gli stranieri al fine di innamorarsi della lingua di Dante Alighieri, che poi è anche la mia lingua!

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Oggi sono qui insieme a Luca, mio nipote. Benvenuto.

Luca: ciao a tutti.

Bene, oggi io e Luca vogliamo farvi conoscere l’utilizzo, anzi gli utilizzi di due parole in particolare, che sono FALLO e FALLA.

Questa idea mi è venuta in mente dopo avere letto un messaggio sul gruppo WhatsApp di italiano semplicemente, in cui un ragazzo voleva sapere come usare la parola FALLO.

La domanda del ragazzo,  egiziano, è stata la seguente:

Qual è  la differenza tra “puoi farlo”  e “puoi fallo”  e quando usare le due frasi.

Ci sono stati altri membri del gruppo che hanno replicato al messaggio dicendo che FALLO è solamente un modo per chiamare l’organo sessuale maschile.

A questo punto mi è venuto in mente che fosse necessario un chiarimento ed una spiegazione più dettagliata sulla parola FALLO, e già che c’ero anche sulla parola FALLA, al femminile.

Occorre specificare che in questo episodio  non spieghiamo la parola “fallo” inteso come organo sessuale, né la parola “falla” intesa come lacuna, mancanza. Si sente spesso infatti parlare di falla nel sistema informatico, oppure di avere una falla nel senso di avere una mancanza. Si parla solamente, in questo episodio, di fallo e falla come imperativo del verbo fare.

Una delle due frasi del ragazzo egiziano “puoi fallo” in effetti non è corretta, perché è una espressione dialettale. La frase corretta è solamente “puoi farlo”.

Ad esempio se chiedo a mia madre:

Mamma posso andare a giocare a pallone oggi pomeriggio? La mamma può rispondere:

Certo, puoi farlo, ma solo dopo aver fatto i compiti.

Quindi puoi farlo è una frase che serve a concedere un permesso: puoi fare ciò che mi hai chiesto, puoi farlo, e farlo finisce con “lo” perché si riferisce al permesso che è stato chiesto. Non è un ordine, perché c’è “puoi” ma è una possibilità. Se vuoi puoi farlo, altrimenti no.

“Puoi farlo” quindi si usa per rispondere ad una domanda qualsiasi in cui si chiede un permesso:

Posso fare la pipì? Posso fare colazione? Posso andare a casa? Posso ascoltare un episodio di Italiano Semplicemente?

Notate bene quindi che non c’entra nulla se la cosa di cui si parla sia maschile (posso fare questo esercizio?) o femminile: Posso fare la pipì? Chiede Il figlio alla madre. La madre può rispondere: si puoi farlo.

Qualcuno potrebbe dire: ma la pipí è femminile quindi la madre dovrebbe rispondere: sì, puoi farla!

E infatti “puoi farlo” suona un po’ male considerata la domanda: “posso fare la pipì?” In genere la mamma dirà “puoi farla” riferendosi alla pipì

Dicendo “farla” ci si riferisce direttamente alla pipí, e non al permesso di fare la pipí. Puoi farlo significa puoi fare ciò che mi hai chiesto, invece puoi farla significa puoi fare la pipí, cioè puoi espellere la pipí dal tuo corpo. Vanno bene entrambe le cose, ma generalmente si tende a usare lo stesso genere.

Sicuramente non si può dire “puoi fallo” o “puoi falla” perché fallo e falla sono forme dialettali, e fallo e falla sono l’imperativo del verbo fare.

Quindi l’imperativo vuol dire che si sta dando un ordine, e non si sta concedendo un permesso. Fallo! Falla! Seguiti da un punto esclamativo equivalgono ad un ordine.

Quindi analogamente a “mangialo, scrivilo, vendilo, bevilo” eccetera, fallo è l’imperativo del verbo fare.

La stessa cosa vale per “falla” e “falli” ed anche “falle“.

Che dici mamma li faccio i compiti?

Falli subito! Risponde la mamma.

Mamma non  mi scappa la pipí!

Falla ho detto! Risponde la mamma.

Dove la faccio? Replica la figlia.

Falla dietro il cespuglio!

Quindi falla è un ordine. Fallo ugualmente è un ordine, e si usa di più di falla, perché come detto prima ci si può riferire in generale ad una cosa che va fatta, senza badare al genere maschile e femminile, perché potrebbe anche non esserci nessun genere.

Che dici vi raggiungo al mare?

Fallo!

Fallo! Cioè raggiungici al mare, è un ordine. Non c’è un genere da rispettare.

Bene allora adesso vediamo alcuni esempi in cui possiamo usare FALLO e FALLA.

Ci sono alcune espressioni che si usano molto spesso, a volte di facile comprensione, a volte meno.

Ad esempio  se dico “falla corta” sto dicendo, sto chiedendo ad una persona di “farla corta“, cioè di sbrigarsi, e questo si usa informalmente per chiedere una spiegazione veloce. È un po’ sgarbata come richiesta, un po’ maleducata diciamo, quindi vi consiglio di non usarla, e si usa quando si vuole dire ad una persona di non parlare molto, perché non è interessante, o perché non ho tempo per ascoltare, o perché è inutile. “Falla corta per favore” , cioè  “sii breve e conciso, non perdiamo tempo prezioso“.

falla finita! È un’altra espressione molto usata, anche questa molto sgarbata, molto autoritaria, quindi attenzione!  Se si dice: basta, smettila, non ti sopporto più, non parlare più è la stessa cosa.

Ma non si usa solamente per chiedere di smettere di parlare, piuttosto si usa molto spesso nelle discussioni, nei litigi, dove si sta dicendo all’interlocutore di smetterla di fare qualcosa.

Posso quindi dire: ma falla finita! Che significa smettila, cioè smetti di comportarti così, basta! Non ci si riferisce solamente a smettere di parlare, ma anche a smettere di fare qualcosa che non c’è bisogno di specificare, perché è scontato.

Posso parlare anche al plurale: Ad esempio se voglio lasciare la mia fidanzata posso dirle: forse è meglio che la facciamo finita. 

Il che è come dire: lasciamoci, non è più il caso che andiamo avanti. Facciamola finita. “Noi”  facciamola finita, ed anche qui non dobbiamo pensare che l’uso del femminile (facciamola) abbia un significato particolare. Semplicemente si usa dire così, è come quando diciamo: finiamola qui, smettiamola, che hanno lo stesso significato di “facciamola finita”. 

Al maschile si usa spesso dire:

“fallo per amor mio” 

Il che è una richiesta più che un ordine. Se ad esempio una donna chiede al fidanzato: mi ami veramente?

Il fidanzato allora dice: certo,  cosa devo fare per dimostrartelo? Cosa vuoi che faccia?

La donna allora dice: inginocchiati e chiedimi di sposarmi!

Cosa? Devo mettermi in ginocchio?

Fallo per amor mio, fallo se mi ami!

A questo punto il ragazzo non ha più scuse.

Si usa spesso dire anche:

“fallo bene”

Se ad esempio vado a chiedere alla mia fidanzata di sposarmi.

La mia amica potrebbe consigliarmi:

Benissimo, ma fallo bene però! Cioè fallo bene, fallo nel modo giusto, in modo originale.

Se mi riferisco direttamente ad un qualcosa o a qualcuno che ha un genere quindi, è come detto prima dobbiamo in questo caso specificare se è maschile o femminile.

Se ad esempio sto dicendo a Giuseppe che deve piegare, poi deve stirare delle lenzuola e deve farlo bene, e di farle entrare nell’armadio,  allora posso dire a Giuseppe:

– piegale, stirale (le lenzuola) e falle entrare nell’armadio.

Devo usare il femminile plurale, falle entrare, le lenzuola, nell’armadio. È come dire fai entrare le lenzuola nell’armadio, quindi falle entrare nell’armadio. Mi sto riferendo alle lenzuola, sono loro che devono entrare nell’armadio. Non è come falla finita, o facciamola finita o falla breve, in cui è consuetudine parlare al femminile, ma non c’è un soggetto femminile di riferimento. Questo è molto importante da comprendere.

Allo stesso modo c’è una espressione al maschile:

– fallo nero quello là! 

Fallo nero è una frase che si usa informalmente quando c’è una sfida o un incontro tra persone  in cui bisogna dimostrare di essere migliori di qualcun altro. C’è un confronto da affrontare.

Se c’è un incontro di box ad esempio, tra Marco e Luca ed io vorrei vincesse Marco  spero che sia lui e non Luca a vincere,  quindi dico a Marco: fallo nero! Cioè sconfiggilo, battilo, sii tu il vincitore, fallo nero, fallo diventare nero, alludendo ai lividi, al colore della carnagione, della pelle, quando una persona viene picchiata e subisce dei colpi che possono causare dei lividi di colore nero.

Ma qui ci si riferisce più alla vittoria, e vuol dire semplicemente sconfiggilo nettamente. Fallo nero uguale fai nero a lui, quindi in senso figurato sconfiggilo.

Allo stesso modo, si specifica quando si dice “fallo passare”. Anche questo molto usato nel quotidiano, linguaggio parlato da noi tutti i giorni.

Se sono in macchina ad esempio con la mia famiglia e ad un certo punto una macchina dietro di noi inizia a suonare col clacson perché vuole sorpassaci, vuole cioè vuole superarci, allora mia moglie potrebbe dirmi:

– dai fallo passare che sta suonando.

Con fallo passare ci si riferisce al guidatore dell’automobile che è dietro la nostra auto, ma potrei ugualmente dire “falla passare” se voglio riferirmi alla macchina, all’automobile, oppure alla donna che è al volante, se chi guida è una donna. Potrei ugualmente dire “falli passare“, quindi al plurale riferendomi in questo caso alle persone che si trovano dentro alla macchina. Tutti questi modi sono corretti.

Tornando alla differenza tra fallo e farlo, con fallo si parla quindi sempre di richieste o di ordini. Ed è per questo che non bisogna confondere fallo con farlo, oppure falli con farli. Fallo e falli indicano un ordine, una richiesta esplicita. Invece farlo indica una possibilità: “puoi farlo passare se vuoi” , “puoi farli passare se credi“.

Invece “fallo passare!” È un ordine, una richiesta.

Che dici lo faccio?

“Puoi farlo” indica una possibilità, “fallo” indica un ordine.

Un altro esempio?

Se sono in cucina e devo cucinare delle patate, posso chiedere: come vuoi che cucini le patate? Potrei farle fritte, oppure potrei farle arrosto, oppure al vapore. Come le faccio?

Mia madre direbbe:

Beh puoi farle come preferisci.

Ma mia moglie risponderebbe “falle al vapore!” probabilmente,   perché sono più salutari.

Bene ragazzi non  la voglio tirare troppo per le lunghe, credo sia abbastanza per oggi. Spero di essermi spiegato bene, al limite potete commentare l’articolo e risponderò volentieri.

Grazie a tutti coloro che apprezzano questo lavoro che facciamo sul sito, molti lasciano dei commenti agli articoli, altri preferiscono condividere con i loro amici gli episodi su Facebook, oppure solamente l’audio su WhatsApp, a me fa piacere ogni tipo di apprezzamento. Se poi volete aiutare economicamente italiano semplicemente, come fanno alcuni visitatori, vi ringrazio di cuore per la vostra generosità, potete donare usando PayPal, 1 euro, 5 euro, quanto volete, potete anche fare una donazione ricorrente, ogni mese è potete ovvia. ovviamente iniziare e smettere quando volete.

Grazie a tutti comunque,qualunque sia il vostro modo di apprezzare italiano semplicemente. Il prossimo episodio sarà una lezione di italiano professionale, un saluto a tutti.

I verbi professionali: SBANCARE

Sommario del corso di Italiano Professionale

Audio

 

 

Trascrizione

Eccoci arrivati al verbo professionale numero diciannove: sbancare. Come altri verbi che abbiamo già descritto, sbancare ha più di un solo significato.

E’ un verbo professionale? Questa è una domanda che dobbiamo porci per sapere sia se è usato in ambiente lavorativo, sia se si può classificare come un verbo di utilizzo formale o meno. Lo è perché sicuramente è un verbo che si usa spesso tra colleghi al lavoro, ma avendo molti significati, bisogna fare attenzione perché soltanto leggendo o ascoltando bene la frase si può capire bene. È un verbo usato regolarmente sin dai primi del 1800 e il cui utilizzo è in forte aumento. Notiamo innanzitutto che, lo avrete notato, sbancare contiene la parola “banca”. In realtà sbancare però viene da banco e non da banca.

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Il file MP3 da scaricare e la trascrizione integrale in PDF di questo episodio  è disponibile per chi ha acquistato il corso di Italiano Professionale o chi ha acquistato solamente la sezione “verbi professionali”. 

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I verbi professionali: ARROTONDARE

Sommario del corso di Italiano Professionale

Audio

 

Audio presenti nel podcast

Running Waters Full Band di Audionautix è un brano autorizzato da Creative Commons Attribution (https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/)
Artista: http://audionautix.com/

Laconic Granny di Kevin MacLeod è un brano autorizzato da Creative Commons Attribution (https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/)
Fonte: http://incompetech.com/music/royalty-free/index.html?isrc=USUAN1100522
Artista: http://incompetech.com/

Chance, Luck, Errors in Nature, Fate, Destruction As a Finale di Chris Zabriskie è un brano autorizzato da Creative Commons Attribution (https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/)
Fonte: http://chriszabriskie.com/reappear/
Artista: http://chriszabriskie.com/

Trascrizione

 

Arrotondare è il verbo numero diciotto del corso di Italiano Professionale. Molto curioso come verbo, e come altri verbi che abbiamo visto ha più significati.
Grazie a Ramona dal Libano e a Zahid dal Marocco che mi aiutano oggi a spiegare questo verbo professionale.
Ramona: ciao amici come state? Oggi faccio parte della spiegazione di un verbo nuovo: il verbo arrotondare.
Zahid: ciao a tutti, sono Zahid, e sono insegnante della lingua italiana in Marocco.
Notiamo innanzitutto che è un verbo con ben tre erre: “arrotondare”, e questo potrebbe rendere la pronuncia più complicata per qualcuno, anche perché le prime due erre formano una doppia.

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Il file MP3 da scaricare e la trascrizione integrale in PDF di questo episodio  è disponibile per chi ha acquistato il corso di Italiano Professionale o chi ha acquistato solamente la sezione “verbi professionali”. 

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Il cruciverba parlante di Italiano Semplicemente

Ecco a voi il primo cruciverba parlante dedicato alla lingua italiana.

Prova a risolverlo ed inviaci la soluzione all’indirizzo italianosemplicemente@gmail.com. Il primo che lo compila correttamente vince il corso di Italiano Professionale.

Definizioni orizzontali

1. La lingua italiana è spesso indicata come la sua lingua.

6. Il metodo utilizzato da Italianoseplicemente.com per insegnare la lingua italiana agli stranieri.

9. La prima regola d’oro di Italiano Semplicemente.

13. Sono spesso importanti per capire il significato di una parola.

14. Lo sono i tempi da utilizzare per ascoltare italiano.

15. Baby Sitter italiana (informale).

17. Poli senza poli.

18. Si chiama così la quattordicesima lettera dell’alfabeto italiano e la sedicesima dell’alfabeto latino.

19. Suffisso derivativo presente in aggettivi normalmente di origine latina che rinviano a qualità proprie di quanto designato dal nome che funge da base.

20. Movimenti involontari della persona nervosa.

22. L’inizio del pero.

23. Viaggio di andata e ritorno.

24. Lo si può essere di lavoro (sovraccarico).

26. Dedizione appassionata ed esclusiva, che può essere rivolta anche verso la lingua italiana.

28. Sono importanti quando si impara una lingua (quarta regola d’oro di Italiano Semplicemente).

Definizioni verticali

1. Preposizione semplice.

2. Città patria delle olive ascolane.

3. Ancora senza a.

4. Lenta di riflessi, mentalmente ottusa.

5. Pelati senza PA.

6. Si premono.

7. Partita senza AI.

8. ripete, ripresenta.

10. Spesso gli stranieri lo confondono con tu.

14. Si può usare per spostarsi velocemente.

16. Gli abitanti di Roma salutano così.

18. Carlos Andrés, presidente del Venezuela.

21. In italiano si usa per confrontare, in inglese per venire.

22. Equivale a “ma”, ma senza accento è un albero da frutto.

23. Comportamento.

25. Il rumore di una esplosione.

27. Sigla dell’Esercito Italiano.