730 C’è maretta

C’è maretta (scarica audio)

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Giovanni: vi piace il mare? Non è una domanda scontata perché non a tutti piace il mare. Infatti c’è chi preferisce la montagna.

Se vi piace il mare allora amate sicuramente anche farvi il bagno. Però quando c’è maretta non è il caso di fare il bagno in mare perché significa che il mare è agitato, più agitato del normale, tanto che si immagina possa persino peggiorare la situazione.

È una strana espressione, “c’è maretta“, che fa riferimento all’aspetto della superficie del mare, caratterizzato da onde irregolari, che sono da considerarsi come uno stadio più movimentato rispetto alle consuete increspature.

Ma non è strana per questo motivo, ma perché si usa anche quando si parla di relazioni umane, quando c’è uno stato di nervosismo, di tensione, per via di un disaccordo, di differenza di vedute su qualche aspetto.

C’è uno stato di tensione, ma non si vuole indicare un ambiente in cui persone urlano, litigano e si insultano, ma un’atmosfera tesa, conseguenza di qualche questione irrisolta che ha determinato una tensione tra diverse volontà e punti di vista. Non c’è ancora stato uno scontro, oppure questo scontro è già avvenuto ma ancora c’è un’atmosfera piuttosto tesa.

In questi casi si parla di maretta.

Vuol dire che le acque sono agitate. Anche questa è un’espressione molto usata nelle stesse occasioni.

Vediamo qualche esempio:

Tra i membri del partito c’è un po’ di maretta dopo le elezioni presidenziali per come è andata a finire.

Questo significa che non c’è un’atmosfera serena nel partito i questione. Qualcosa ha lasciato il segno nelle ultime elezioni presidenziali e ancora non si sono tutti riappacificati.

Chissà, magari la situazione potrebbe peggiorare e il partito potrebbe dividersi in due schieramenti diversi, oppure tra un po’ quando le acque si saranno calmate (un’altra espressione presa in prestito dal mare) tutti andranno nuovamente d’amore d’accordo.

Un altro esempio:

Tra marito e moglie c’è maretta perché i genitori di lui stanno nella stessa casa insieme a loro da tre giorni e sembra vogliano restare ancora qualche giorno.

Questo è un termine che si può usare anche quando non si vuole entrare troppo nei dettagli spiegando una situazione tesa, un po’ di agitazione, di conflittualità, di malcontento e nervosismo tra due o più persone.

Si può usare anche quando si fa una domanda per avere la conferma di una propria sensazione e non si vuole essere troppo indiscreti:

C’è forse un po’ di maretta? Cosa c’è che non va?

Si, c’è un po’ di maretta recentemente tra noi.

In questo modo si può evitare di usare verbi come litigare o discutere:

Avete litigato?

Avete forse discusso per qualcosa?

Anche perché, come detto, si sta parlando di un’atmosfera tesa e non di litigi rumorosi e cose simili. Usare una innocua immagine figurata frappone dunque, in questi casi, una barriera di discrezione.

Si usa spesso come si è visto quando si parla di politica e di rapporti familiari per descrivere momenti difficili, ma va benissimo anche per parlare di dinamiche tra colleghi d’ufficio.

Adesso ripassiamo qualche episodio passato. Ascolterete un dialogo un po’ agitato perché ho chiesto ai membri di creare un’atmosfera con un po’ di maretta.

Peggy: lo volete sapere un segreto che riguarda un mia amica? Però mi raccomando, vi chiedo la massima discrezione.

Hartmut: Ci mancherebbe altro! Puoi fidarti di noi. Ancora ancora se ci fosse Antonhy…. ma fortunatamente adesso non c’è. Vai, dai, spara! Non farla troppo lunga!

Peggy: ah è così? Allora te lo dico alla fine del ripasso! Così impari!

Irina: sei proprio un paravento tu! Ci vuoi far stare qui ad aspettare la fine? Allora decreto ufficialmente la fine di questo ripasso!

Bogusia: aspettate aspettate! Voglio solo dire che se si trattasse di me, io vi dico subito che non è colpa mia! È colpa di Hartmut che ha voluto calcare la mano. Io non volevo fare la spia, non volevo dire che…

Ulrike: aspetta, aspetta… ma perché metti le mani avanti Bogusia? Calma, sei in balia delle emozioni! Magari non è di te che Peggy stava parlando! Spero che Peggy voglia sgombrare il campo da ogni dubbio.

Sofie: ah, anche oggi c’è maretta vedo, eh? Vabbè io allora non mi intrometto. Peggy, però anche tu, te ne esci sempre con queste frasi! direi che hai un modo comunque poco ortodosso per fare dei ripassi. Pensaci!

Danita: vivaddio qualcuno dice le cose come stanno!

Rafaela: tu vedi di farti gli affari tuoi! Da dove sbuchi?

Danita: guarda, non mi tange proprio ciò che dici!

Peggy: mamma mia! Andateci piano! Non volevo scatenare questo pandemonio! Era solo uno scherzo! Comunque, strano che Anthony non dica nulla visto che è stato chiamato in causa.

Anthony: dici a me? Che casino che hai fatto! Io me ne starei alla larga per un bel po’ al posto tuo! Poi in merito a Hartmut, ti ho sentito sai? Buon per te se non mi capiti a tiro! Stavolta il ripasso finisce veramente qui.

Karin: eh no! Lasciatemi dire che si direbbe che vi siate dimenticati delle buone maniere oggi! Dunque vi risparmio i miei commenti, perché sarebbero altrettanto inopportuni.

41 – L’ammontare – ITALIANO COMMERCIALE

L’ammontare – lezione n. 41 di Italiano Commerciale

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Trascrizione

Giovanni: a quanto ammontano le spese?

L’ammontare delle spese è pari a 5000 euro.

E a quanto ammontano le entrate?

L’ammontare delle entrate supera quello delle spese.

Oggi ci occupiamo del verbo ammontare che però è anche sostantivo.

Si usa spessissimo quando si parla di denaro, in particolare di spese e di entrate.

Ammontare come verbo infatti significa giungere a una certa cifra, arrivare ad una certa cifra che viene indicata nella frase.

L’ammontare allora costituisce il totale di successive aggiunte. Un ammontare è una somma, un totale, un importo complessivo:

l’ammontare delle spese

Solitamente infatti si sta facendo una somma di spese o di entrate, somma che si incrementa, aumenta fino ad arrivare ad una certa cifra, che chiamiamo ammontare.

Il verbo ammontare si usa anche in altri casi al di fuori del denaro, perché può anche significare mettere insieme formando un mucchio, dunque come ammucchiare.

Ammontare la legna.

Non notate un legame con il termine montagna? Formare una montagna di qualcosa, accatastare, ammucchiare.

Solitamente però si usa con le entrate e le spese.

La preposizione da usare è a:

A quanto ammonta la spesa?

A quanto ammontano le spese?

Le spese ammontano a 1000 euro.

La spesa ammonta a 1000 euro.

Potete usare sia il singolare che il plurale.

Il verbo ammontare si può usare anche per indicare il valore economico di qualcosa:

A quanto ammonta il valore del mio appartamento?

Il bonus statale per la ristrutturazione ammonta fino a 1000 euro.

L’assegno unico che lo stato dà alle famiglie con due figli a quanto ammonta?

Il mio patrimonio ammonta a più di un milione di euro.

Lo sapete a quanto ammonta lo stipendio del presidente del consiglio?

Come determinare l’ammontare delle spese per la ristrutturazione?

Cosa determina l’ammontare della parcella di un avvocato?

Le spese mensili per elettricità e gas ammontano a più del doppio rispetto al mese scorso.

L’ammontare degli episodi di italiano commerciale ammonta a 40 finora.

In quest’ultimo caso non parliamo di denaro ma c’è sempre un ammontare, un numero che aumenta e questo è sufficiente a giustificare l’uso del verbo.

Quant’è il conto? A quanto ammonta il conto che dobbiamo pagare?

Anche al ristorante potreste teoricamente fare questa domanda prima di pagare il conto.

Il proprietario probabilmente vi risponderà:

Niente paura, il conto non è molto alto!

Vi vediamo al prossimo episodio di italiano commerciale.

729 Portare acqua al proprio mulino

Portare acqua al proprio mulino (scarica audio)

Trascrizione

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Giovanni: oggi vediamo un’espressione che ha a che fare con l’egoismo. Questa però è una parola molto forte e si usa fondamentalmente per offendere:

Sei un egoista! Pensi solo ai fatti tuoi!

L’egoismo infatti cos’è? Ego significa “io” in latino.

Invece, riguardo al suffisso – ismo, vi posso dire che nelle parole che terminano con – ismo in genere c’è un senso negativo o spregiativo: si tratta di una tendenza, di un modo di fare. In questo caso l’egoismo è la tendenza a pensare troppo a sé stessi, un amore eccessivo ed esclusivo di sé stesso, che porta alla ricerca permanente del proprio vantaggio, dell’interesse personale.

Ci sono anche altre “tendenze” che finiscono con – ismo e che sono cose quasi sempre (non sempre) cose negative. Si pensi al pessimismo, all’estremismo, al qualunquismo, al perbenismo eccetera.

In definitiva essere egoista significa fare i propri interessi senza badare alle conseguenze per gli altri.

È il contrario dell’altruismo.

Ci sono comunque diverse modalità nella lingua italiana per esprimere il concetto di egoismo e spesso si usano immagini figurate.

Ci sono anche termini particolari come ad esempio il termine “tornaconto“.

Gli “interessi personali”, infatti, possono essere indicati anche col termine tornaconto, o “il proprio tornaconto” o “il tornaconto personale”.

Anche il termine tornaconto si usa, sebbene in contesti meno colloquiali, per sottolineare una cura eccessiva verso i propri interessi.

Oggi però vorrei parlarvi dell’espressione “portare acqua al proprio mulino” che ugualmente esprime in un certo modo il concetto di egoismo.

Anche questa espressione significa quindi pensare a sé stessi, pensare solamente ai propri interessi, badare soltanto al proprio tornaconto, ma ha un senso più simile a “cercare di ottenere più vantaggi possibili da una situazione.” che non è affatto detto sia sempre presentato come qualcosa di male.

Vediamo un po’. Il mulino – parlo del mulino ad acqua, o mulino idraulico (infatti esistono anche altri tipi di mulini, come il mulino a vento) è un impianto che serve a sfruttare l’energia meccanica prodotta dalla corrente di un corso d’acqua. L’acqua scorre e le pale del mulino girano.

Questa energia, provocata dal giramento delle pale, viene poi usata per macinare cereali o per altre finalità.

Sta di fatto che però il mulino rappresenti anche un simbolo del vantaggio personale, quindi anche dell’egoismo, dell’opportunismo.

Infatti il mulino ha bisogno dell’acqua, altrimenti niente energia.

Si deve portare acqua al mulino per far girare le pale del mulino. Ho detto pale, con una elle sola. Mi raccomando!

Allora: portare acqua al proprio mulino sta esattamente a indicare un atteggiamento opportunistico, orientato solamente all’ottenimento di un vantaggio personale, senza pensare anche ad altre persone.

Si può usare anche il verbo tirare:

Tirare acqua al proprio mulino.

Il senso non cambia.

Esempio:

Quando si fa una trattativa di affari, ciascuno cerca di portare acqua al proprio mulino.

Se vogliamo, usare questa espressione è un tentativo di ingentilire il concetto di opportunismo o egoismo. Sicuramente è meno offensivo se, rivolgendosi ad una persona, la accusate di pensare solamente a portare acqua al proprio mulino, piuttosto che avvisarla di pensare solo gli affari propri, o espressioni più colorite ancora, o dare dell’egoista o dell’opportunista a questa persona.

Tra l’altro è un’espressione che si può usare in molte occasioni, anche come invito a pensare a sé, quindi in senso positivo.

Anziché dire: “mi raccomando, pensa solo a ottenere più vantaggi possibili da questa situazione“, “punta al tuo massimo risultato personale”, si può dire:

Mi raccomando, pensa a portare più acqua possibile al tuo mulino.

Vediamo qualche esempio attuale direttamente dalle notizie riportate sul web:

Alla Russia non interessa trovare un accordo con l’Ucraina. Sta solo cercando di tirare acqua al suo mulino.

È più italiana la pizza Margherita o gli spaghetti? Difficile scoprirlo perché chi vende la pizza la pensa diversamente da chi fa affari vendendo gli spaghetti. Ognuno tira acqua al suo mulino.

Quindi, in definitiva, spesso non c’è nulla di male nel cercare di tirare l’acqua al proprio mulino. Altre volte si usa questa espressione solo per non offendere o per avere un linguaggio più adatto alle circostanze specifiche.

Ho parlato anche di opportunismo, e questo non è casuale perché anche questo termine è più attenuato dell’egoismo. Infatti l’opportunismo ha il senso di pensare soprattutto al proprio tornaconto, ma ho detto soprattutto e non esclusivamente.

L’opportunista cerca di trarre il massimo vantaggio dalle opportunità del momento, anche rinunciando ai suoi ideali.

Inoltre l’opportunismo ha a che fare con le opportunità, cioè con le occasioni da sfruttare, e sfruttare al meglio un’occasione è ciò che devono fare tutti in fondo, dunque se la vediamo così non è così negativo essere opportunisti, anche se delle volte si procura un danno ad altri.

Nello sport ad esempio non c’è niente di male a essere opportunisti perché sfruttare le opportunità serve a vincere, ovviamente a danno dell’avversario.

Dunque tirate pure l’acqua al vostro mulino pur sapendo che questo potrebbe far girare le pale anche a qualcun altro.

Stavolta però ho sbagliato. Dovevo dire “palle“, con due elle!

Adesso ripassiamo qualche episodio passato con il consueto aiuto dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

Irina: in merito mi piace molto una frase che voglio condividere con voi “vi sono egoisti superficiali e vi sono egoisti incalliti; questi ultimi si chiamano altruisti”. Siete d’accordo?

Sergio: Cioè in pratica sta a significare che i veri egoisti, coloro che pensano veramente a se stessi, tirano acqua al mulino degli altri? Pensandoci bene, non mi sembra affatto uno sproposito!

Karin: L’egoismo ha tante facciate, anche in merito all’ambiente. Quando compriamo prodotti monouso, non sostenibile e magari costruito con lavoro minorile, che cosa è? Non lo vogliamo chiamare egoismo questo?

Andrè: sono d’accordo con te, Karin! penso che degno di nota sia anche l’egoismo nella politica! Per me un vero e proprio binomio inscindibile!

Komi e Bogusia: Prende corpo un ripasso valevole di partecipazione, ed io lo prendo come spunto per rientrare nella discussione del gruppo. Non esserci stata per tanto tempo e poi sbucare così senza preavviso, potrebbe essere considerato come un atto di certo egoismo, non lo so. Ditemelo voi. Sono stata alle prese con tanti problemi familiari, cosicché non riuscivo a concentrarmi su altre cose di sorta. Adesso cerco di rimettermi, però, così, su due piedi, non potrei dire se mi farò viva frequentemente. Forse solamente a sprazzi arriverà qualche fesseria da parte mia. Tanto per non passare del tutto in cavalleria. Non me ne vogliate per questo.

Marcelo: Parlando d’egoismo e delle sue diverse facce, per me un’atteggiamento veramente egoista è disprezzare le cose pubbliche!. Anche il non averne cura, fregandosene del benessere che ne può conseguire per tutti è una forma di egoismo. Difficile trovare dei muri bianchi completamente intonsi e persino delle statue su cui infieriscono i più egoisti. Direi che si deve prendere le distanze da questi comportamenti. Questo è quanto a proposito del mio pensiero

728 È nelle cose

È nelle cose (scarica file audio)

Trascrizione

Giovanni: oggi vorrei parlarvi di una locuzione: “è nelle cose” o “sta nelle cose“.

È una locuzione colloquiale che a volte può capitare di incontrare anche nello scritto.

Viene usata per descrivere qualcosa di normale, di naturale.

Si tratta in particolare di un avvenimento.

“Normale” nel senso che è qualcosa di cui non ci si deve stupire, qualcosa che, se dovesse accadere, non dovremmo meravigliarci, perché può accadere, perché le cose possono andare così. E se invece è già accaduto, non c’è ugualmente da stupirsi. È normale.

Si può usare anche al passato:

È/era/sta/stava nelle cose che potesse accadere

Es:

Se tu sei davvero convinta di lasciare tuo marito, fallo pure, ma attenta perché lui è un bell’uomo, e se poi dopo un po’ ci ripensi, è nelle cose che potrebbe trovare un’altra.

Non si vuole dare una certezza, o una probabilità che qualcosa accada, ma solo dire che può accadere, perché si sa come vanno le cose.

Come vedete sto cercando di usare la parola “cose” per cercare di spiegare questa locuzione che la utilizza per indicare, in termini generici, delle conseguenze possibili, di cui non c’è da stupirsi. Perché la vita insegna che certe cose possono accadere.

Si vuole spesso anche trasmettere in qualche modo un senso di incertezza legato agli eventi che accadono uno dietro l’altro, senza legami certi.

Si potrebbe pensare che la locuzione possa trasmettere, in certi casi, anche un senso di fatalismo, cioè di una persona che accetta il suo destino, senza tentare di modificarne il corso.

In realtà però non c’è fatalismo. Al limite può trasmettere una leggera presunzione, come a voler dire che si conosce il mondo e le cose che accadono.

In effetti chi ha un atteggiamento un po’ lezioso, che si crede una persona di mondo, con molta esperienza e che può insegnarti un sacco di cose, può cadere nella tentazione di usare la locuzione “è nelle cose”.

Sto forse esagerando un po’ ma vorrei trasmettervi tutte le mie sensazioni legate a questa espressione.

Tra l’altro “è nelle cose” somiglia anche a “sono cose che capitano” che però si usa per tranquillizzare dopo una disavventura, per consolare una persona, dopo qualcosa che può succedere ad ognuno di noi.

Tipo:

Ti hanno bocciato all’esame? Sono cose che capitano, non ti scoraggiare!

Potrei usare anche “è nelle cose” ma io voglio consolare questa persona e non sembrare l’esperto in materia!

Un altro esempio:

Io e Giovanni siamo sempre stati amici per la pelle, poi, come è nelle cose, è capitato che uno dei due si è innamorato. Non ci vediamo da 30 anni ormai.

Come è nelle cose… Si usa spesso questo inciso all’interno di frasi in cui si descrive qualcosa di accaduto che si poteva immaginare potesse accadere.

Al posto di “è nelle cose” potremmo dire “è normale” oppure “può accadere“, “la storia ci insegna che può capitare” oppure anche l’espressione “ci sta” quando questa esprime una possibilità.

Ci sta che può capitare!

Quest’ultima però, oltre ad essere più informale, ha diversi significati e se volete potete approfondirli dando un’occhiata all’episodio che abbiamo dedicato alla locuzione “ci sta“.

Vediamo un altro esempio:

Hai chiamato il presidente e non ti ha dato un appuntamento come volevi? È nelle cose che un presidente abbia poco tempo a disposizione.

Il verbo essere è usato in modo anomalo perché sembra mancare un soggetto. Cosa “è nelle cose?”

Si sta parlando di qualcosa che, come detto, può accadere, qualcosa di normale.

Se fate una ricerca su internet vedrete che non è facile trovare esempi di utilizzo di questa locuzione, perché “è nelle cose“, possiamo usarla anche in altri modi più semplici:

La bellezza è nelle cose semplici

È nelle cose misteriose che si nasconde il pericolo

Ma in questi casi è chiarissimo il senso: il verbo essere va inteso come “si trova”. Il soggetto poi è sempre chiaro: la bellezza si trova nelle cose semplici; il pericolo si trova nelle cose misteriose.

Lasciate che vi ricordi poi che c’è una certa similitudine con l’espressione “non è cosa” che abbiamo trattato in passato. La similitudine consiste nel fatto che il termine “cosa” ha lo stesso legame con le possibilità, perché, se ricordate, può indicare qualcosa di impossibile o difficilmente realizzabile.

Non è cosa” si potrebbe anche tradurre, in alcune circostanze, come “non sta nelle cose“, “non è nelle cose“, anche se così facendo si perde il contenuto umorale, legato ad un eventuale stato d’animo negativo, tipico dell’espressione “non è cosa”.

Episodio terminato.

Ora lascio la parola a Ulrike, membro dell’associazione Italiano Semplicemente che vi tratterrà ancora qualche secondo con qualche frase per rispolverare i passati episodi:

Ulrike: Ciao a tutti! Ho appena finito l’episodio dedicato alla locuzione trovare la quadra. C’è molta attualità per via dell’elezione del Presidente della Repubblica. Anche col terzo scrutinio non si è usciti dalla situazione di stallo. Per ora non è visibile in che modo i negozianti dei partiti possano trovare la quadra, il che vorrebbe dire che anche alla quarta si potrebbe vedere la quarta fumata nera. Mi sa che questo modo di votare – passatemi il terminefa molto italiano, e in quanto straniera non mi sconfinfera proprio. Non me ne vogliano gli italiani.

727 Trovare la quadra

Trovare la quadra (scarica file audio)

Trascrizione

Giovanni: Ricordate l’espressione fare quadrato? Non crederete spero di aver finito con questa figura geometrica! Infatti oggi continuiamo a parlare di quadrati, o meglio, di termini simili.
Prendiamola alla larga partendo dal verbo venire:

Quando si ha un problema matematico da risolvere e avete già la soluzione, si deve svolgere il problema e vedere se alla fine il risultato torna. Ma tornare lo abbiamo già spiegato vero? Il verbo che ho appena usato (tornare) possiamo volendo sostituirlo col verbo “venire“.

Il risultato viene

Mi viene!

A te cosa ti viene? Ti viene il mio stesso risultato?

Oppure con la negazione.

Non mi viene il risultato

Non mi viene mai!

Oggi non mi viene niente!

A volte, nelle stesse occasioni, si usa anche il verbo quadrare, specie con la negazione:

Il risultato non quadra.

Evidentemente abbiamo sbagliato qualcosa, altrimenti quadrerebbe/tornerebbe/verrebbe.

Il verbo “quadrare” conviene approfondirlo perché quando qualcosa non “non quadra“, vuol dire molto spesso che abbiamo notato che c’è qualcosa che non va. Potremmo tranquillamente usare il verbo tornare anche in questi casi:

C’è qualcosa che non torna/quadra

Questa cosa non mi torna/quadra

C’è una questione di logica legata alla questione che non torna o che non quadra e questo lo abbiamo visto anche nell’episodio dedicato all’espressione “non mi torna”.

Il verbo quadrare è però anche legato alla fiducia, al convincimento, al dubbio.

Non siamo convinti di qualcosa, abbiamo un dubbio, forse ci potrebbe essere un problema. Stiamo cercando di capire per arrivare a una soluzione convincente oltre che logica.

Allora, anche al di fuori della matematica spesso si dice:

Qualcosa non mi quadra!

Si fanno spesso discorsi sospettosi quando si usa questo verbo:

Ma se i ladri hanno rotto il vetro, ci dovevano essere in pezzi di vetro in camera. Invece era tutto pulito. Qualcosa non quadra!

Quando qualcosa non quadra bisogna ragionare per capire bene le cose.

Ma questo uso di quadrare è molto simile a quello di tornare dell’episodio di cui sopra.

Se torniamo alla matematica, col verbo quadrare si usa anche l’espressione “quadrare i conti“.

In realtà quando si usa il termine conti, la questione è più un problema contabile: numeri che riguardano soldi.

Si parla di contabilità, quindi di conteggi matematici che riguardano delle spese e delle entrate.

Se a fine mese non possiamo spendere più di quanto guadagniamo, c’è evidentemente la necessità di far quadrare i conti. Lo stesso problema si presenta quando le entrate e le uscite di un bilancio devono essere le stesse.

Ugualmente, in senso più generale possiamo usare questa espressione quando ci aspettiamo un certo risultato contabile e questo invece non si verifica.

I conti non quadrano.

Quando i conti non quadrano dunque il problema è generalmente contabile e quando i conti non vengono c’è invece un errore nei conti matematici, anche non contabili.

In contabilità si parla anche di quadratura dei conti. Non è altro che il pareggio fra entrate e uscite in un bilancio. Le entrate sono uguali alle uscite: abbiamo quadrato i conti.

Quando invece, più genericamente, cerchiamo una soluzione ad un problema – quindi usciamo nuovamente dalla matematica – si usa anche un’altra espressione:

Trovare la quadra

Non si tratta di un problema qualunque, ma di qualcosa di complesso, cioè quando ci sono molte questioni coinvolte, anche in contrasto tra di loro.

Si può usare anche in contabilità, ma spessissimo si tratta di trovare un compromesso tra posizioni discordanti. La soluzione che stiamo cercando è qualcosa che sia accettabile per tutti.

In quel caso abbiamo trovato la quadra.

Si usa spesso in politica, quando bisogna mettere d’accordo diverse persone o partiti politici cercando una soluzione che vada bene a tutti.

Vediamo qualche esempio:

Sono in corso le elezioni per eleggere il presidente della Repubblica Italiana. I partiti stanno cercando di trovare la quadra attraverso incontri di gruppo, telefonate e messaggi WhatsApp.

Si può usare il verbo trovare, come avviene più spesso, oppure, più raramente il verbo cercare.

Trovare la quadra

Cercare la quadra

Es:

Un certo calciatore non vuole lasciare la sua squadra della Roma, nonostante il suo rendimento nell’ultimo anno non sia stato elevato. La dirigenza dovrà cercare un’altra squadra che sia accettata dal calciatore (che non vuole una squadra di livello più basso) ma che accontenti anche la moglie del calciatore, a cui piace troppo la città di Roma e non vuole lasciarla. Per trovare la quadra, la dirigenza sta cercando un’altra collocazione in un’altra grande città del centro sud.

Finalmente abbiamo trovato la quadra: il Napoli ha presentato un’offerta per il calciatore e la moglie sembra molto soddisfatta. Finalmente!

Certo, a volte il problema è talmente complesso che è impossibile o quasi trovare la quadra. In questi casi si parla della cosiddetta “quadratura del cerchio“, una espressione che deriva da un  problema geometrico irrisolvibile.

Anche questa si usa spesso, per dire che si sta cercando una soluzione, un compromesso tra persone ad esempio, o quando in realtà gli interessi coinvolti sono troppo distanti tra loro. È impossibile trovare la quadra. Allora si sta cercando la quadratura del cerchio. Meglio lasciar perdere in questi casi.

Es: si può fare un programma di governo con l’estrema destra e l’estrema sinistra? Oppure è come cercare la quadratura del cerchio?

Ricapitoliamo

Ricapitolando: se confrontiamo due soluzioni, per verificare la correttezza di un risultato, possiamo usare informalmente il verbo venire (l’esercizio non mi viene). Possiamo usare anche il verbo tornare, ma in questo caso spesso si parla di problemi logici e di coerenza.

Il verbo quadrare possiamo anch’esso usarlo in questi casi, ma è più adatto parlando di contabilità. Ad ogni modo quando qualcosa non quadra c’è ugualmente un problema di logica e coerenza, come col verbo tornare.

Cercare e trovare la quadra si usano invece con problemi complessi, specie (ma non solo) se si tratta di trovare una soluzione con interessi contrapposti, similmente al termine compromesso.

Quando il problema da risolvere ha una complessità tale da ritenersi impossibile o quasi, si parla di quadratura del cerchio.

Se qualcosa non vi quadra tornate indietro e ripetere la lettura, altrimenti ascoltiamo il ripasso degli episodi precedenti.

Peggy: c’è un proverbio napoletano che fa così:

Dio è lungariéllo, ma nun è scurdariéllo.

Vale a dire che Dio può essere lento ad intervenire, ma non è smemorato.

Leonardo: il napoletano mi va a genio ma non mi riesce bene, allora vi faccio sentire un proverbio che origina nella zona centrale del Brasile:

Passarinho que anda com morcego acorda de cabeça para baixo.

In italiano: Uccellino che vuol fare il pipistrello si sveglia capovolto. In pratica si potrebbe dire che è un proverbio che invita a essere sempre se stessi, della serie non provare a essere diverso dalla tua natura, perché se ci provi andrà male.

Sergio: sono d’accordo, perché

La mona aunque se vista de seda, mona se queda

cioè: la scimmia, anche se si veste di seta, pur sempre scimmia rimane

Marcelo: Parlando di scimmie, mi viene in mente un proverbio:

a papà scimmia con dare banane verdi

Che vuol dire? Vuol dire che al papà scimmia non lo freghi! Questo proverbio lo ricordo sempre a mio figlio, che ogni due per tre torna alla carica chiedendomi soldi in prestito, giurando di restituirmeli presto! Io però, che sarei la scimmia vecchia di cui sopra, io gli rispondo: a papà scimmia non dare banane verdipassi che una volta ti dimentichi, passi anche la seconda volta, ma se faccio mente locale, saranno tre volte e passa che mi ripeti la stessa pappardella. Benedetto figlio mio, hai voluto la bicicletta?…e sai come segue!…allora datti una regolata!

Giulio Cesare e la lingua italiana

Descrizione:

Alcune curiosità su Giulio Cesare e sui legami con la lingua italiana.

PER STUDENTI NON MADRELINGUA.

Audio e trascrizione: durata: 12:53

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Episodio disponibile per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente (ENTRA)

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726 Un colore che sbatte

Un colore che sbatte (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: dopo aver visto che il verbo donare si può usare anche quando si parla di abiti e di come valorizzano una persona, oggi vediamo un uso particolare del verbo “sbattere“.

Voi non ci crederete ma questo ha ugualmente a che fare con la valorizzazione.

Parliamo in particolare della valorizzazione del viso di una persona.

La domanda è sempre la stessa: come mi sta?

È la risposta a cambiare…

Se andate in un negozio di abbigliamento in Italia e ascoltate i commenti, soprattutto delle donne, quando provano un nuovo abito, magari insieme a delle loro amiche o parenti, sicuramente potreste ascoltare un commento di questo tipo:

Il vestito non è male, ma questo colore ti sbatte un po’!

Il verde mi sbatte secondo te?

Il rosso le sbatte un po’ troppo signora. Provi questo colore che è un po’ più chiaro.

Eccetera.

Si sta parlando di un colore particolare che non valorizza il viso della persona che sta indossando un abito, o un maglione, una camicia, una giacca eccetera.

Non lo valorizza per un motivo ben preciso:

Quando una colore sbatte sul viso di una persona, o anche semplicemente sbatte su una persona, significa che il viso di quella persona, quando indossa quel vestito, appare pallido, smunto, emaciato, smorto. Aggettivi questi abbastanza simili.

Smorto è un aggettivo che non c’è forse neanche bisogno di spiegare, considerato che somiglia a “morto”. Diciamo che in generale significa indica mancanza di luminosità e di vivezza, pallido, sbiadito. Associato ad un viso indica anche malessere a volte.

Emaciato significa molto magro. Si potrebbe dire anche deperito o scavato. Emaciato è un aggettivo spesso associato al viso o all’aspetto di una persona, come anche smunto.

Smunto dà l’idea della fatica, della sofferenza che hanno reso un viso molto magro e pallido.

È chiaro che questi sono aggettivi che descrivono bene una persona che non è molto in salute, perché se lo fosse il viso apparirebbe invece colorito, fresco, in carne e non magro e pallido.

Allora forse è il caso di spiegare anche la locuzione essere “in carne“, che si utilizza per indicare una persona in ottime condizioni di salute, quindi è il contrario di emaciato, sebbene la locuzione “in carne” si possa usare anche per descrivere una persona, non dico grassa, ma leggermente sovrappeso. Un modo più che altro usato per non offendere, ma quasi sempre in realtà si usa per indicare un ottimo stato di salute.

Comunque, qualora un vestito avesse un colore che sbatte, allora in questi casi meglio cambiare colore perché quello che sbatte non valorizza come si deve la persona.

Ma non è detto si tratti di un vestito.

Vuoi farti i capelli biondo platino? Forse bisognerebbe prima vedere l’effetto che fa con una parrucca, perché quello è un colore che “sbatte” molto e non dona a tutte.

Ci sono ad esempio persone dalla pelle molto chiara e che magari non si truccano molto, dunque in quei casi scegliere un colore che “sbatte” o un altro che invece fa l’effetto contrario può cambiare l’aspetto del viso e valorizzarlo notevolmente.

Il verbo sbattere ha molti utilizzi diversi, ma in senso simile si può usare anche in altre occasioni, anche senza che sia un colore a sbattere.

Ti vedo un po’ sbattuto/a, come mai, non hai dormito o lavori troppo?

Stavolta l’aggettivo sbattuto si riferisce all’aspetto in sé, a prescindere dal vestito. Una persona che ha un aspetto sbattuto o che sembra sbattuto, ha dei segni di stanchezza sul viso, magari mostra delle occhiaie che solitamente non ha, oppure è un po’ più pallido del solito o anche più magro rispetto al solito. Stavolta però non c’è un colore che sbatte.

A proposito di colori, si potrebbe dire che in senso assoluto il marrone è un colore che sbatte, quindi ad esempio una parete della mia stanza meglio farla di un altro colore. Anche in questo caso si intende dire che fa un certo effetto negativo, che ha un impatto fastidioso, troppo forte vedere qualcosa di quel colore in alcune circostanze. Il senso di “sbattere” può conservare dunque un senso legato all’irruenza e al forte impatto, come sbattere una porta, facendo rumore. Ma nel caso del colore si tratta di un impatto alla vista un forte effetto dal punto di vista visivo.

Attenzione perché quando si parla dell’aspetto di una persona, un viso o un aspetto sbattuto o una persona sbattuta è completamente diverso da un viso o un aspetto abbattuto, o una persona abbattuta.

Quando una persona è abbattuta, parliamo del verbo abbattersi, che ha a che fare con l’umore e la forza d’animo, specie la forza di reagire alle avversità, ai problemi.

Abbattersi significa, quando accade un evento negativo, diventare pessimisti, perdere le motivazioni, non reagire ai problemi perché si è troppo scoraggiati: si è abbattuti.

Dai, non ti abbattere. Vedrai che la prossima volta andrà meglio.

In questi casi si usa anche anche “buttarsi giù“, che è più informale.

Non ti buttar giù per un esame, non sono questi i problemi della vita!

Anche abbattersi comunque è un verbo che ha usi molteplici, ma un viso sbattuto è un viso pallido di una persona stanca o malata, mentre un viso abbattuto è un viso triste, rassegnato, amareggiato per qualcosa che è accaduto e che lo ha colpito nell’umore e nella voglia di reagire e continuare a lottare.

Anche in questo caso i colori non c’entrano.
Ad ogni modo un colore può solo sbattere e non abbattere.

Adesso piccolo ripasso delle puntate precedenti.

Irina: gentilmente, qualcuno potrebbe farmi un esempio di capitolazione? Potete prendere spunto da qualsiasi avvenimento passato se volete.

Rafaela: non vorrei essere scortese ma si dà il caso che io non mi intenda di storia. Perciò vedi di cavartela da solo con questo benedetto ripasso.

Sofie: Ciao Irina, se lo chiedi a me caschi male lo stesso. Non mi ritengo all’altezza di questo compito, dunque non me la sento di raccogliere la provocazione. Dovremmo chiedere lumi a Gianni per capire quale sia la differenza tra capitolare, arrendersi e mollare.

Peggy: Secondo una fonte su internet, uno dei significati del termine capitolazione, è un trattato, contratto, accordo, convenzione o che dir si voglia unilaterale con il quale uno Stato sovrano cede competenze, entro i suoi confini, ai cittadini di uno stato straniero.

Ulrike: in quanto tedesco/a mi viene d’emblée il cosiddetto diktat di Versailles. Per giunta ho presente anche la resa della Germania nazista Quest’ultima capitolazione avviene nel maggio dell’anno 1945, e decreta la fine della seconda guerra mondiale. Sembra che le grandi capitolazioni del ventesimo secolo facciano molto tedesco.

Marcelo: Io ricordo il 14 Giugno 1982, guerra delle Malvine e dittatura militare. Diciamo la verità. La vogliamo dire? Come tutte le guerre è stata fatta per il meglio della popolazione argentina, però l’unico sacrificato, come sempre, è stato il popolo. Al netto delle ragioni storiche legate all’appartenenza delle isole all’Argentina, più che altro interessò a Margaret Tacher, perché così ha preso due piccioni con una fava: salire nella popolarità del popolo inglese e vincere una guerra. È stata senza dubbio una lotta impari: la NATO contro un esercito amateur. A che pro i militari argentini hanno fatto questa guerra? Per anni abbiamo pagato lo scotto e di risvolti positivi neanche l’ombra!

725 Come ti dona!

Come ti dona! (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: oggi vorrei parlare di complimenti.

Si dice che le donne amino i complimenti:

Come sei bella con questo vestito!

Oggi sei più bella del solito!

Che occhi meravigliosi!

Eccetera eccetera

Ho detto le donne, ma in realtà tutti amano i complimenti.

Tra l’altro non si possono fare complimenti solamente per la bellezza, ma anche per la casa:

Che bella casa, complimenti!

Oppure per i figli:

Lei ha dei figli bravissimi e dolcissimi!

O per un risultato ottenuto:

Complimenti per la laurea!

Ho saputo che ha aperto una nuova sede per la sua azienda. I miei complimenti!

Eccetera.

Ma non voglio divagare troppo oggi.

Oggi vorrei parlarvi del verbo donare, molto adatto quando si fanno i complimenti.

Non esistono infatti solamente le donazioni, cioè quando si offre qualcosa di proprio ad altre persone, come la donazione del sangue, degli organi o le donazioni in denaro. Parlo dell’uso intransitivo del verbo.

Questo vestito ti dona molto.

Oddio come ti dona questo rossetto!

In questo caso donare vuol dire aggiungere grazia all’aspetto di una persona.

Questo vestito ti sta molto bene

Questa è una frase più o meno equivalente.

In pratica il vestito che indossi ti fa bella, ti giova esteticamente, ti rende più bella o magari più giovane, ti fa apparire in modo migliore, fa risaltare i tuoi pregi, esalta le tue caratteristiche più belle del viso, ti valorizza.

Quanti verbi diversi possiamo usare!

Perché allora usare il verbo donare?

È una delle possibilità, però direi che per fare un complimento è molto apprezzato da chi lo riceve. Posso usarlo però anche al contrario.

Quest’abito è bello, ma non ti dona.

Quindi quest’abito non ti sta bene, pur essendo un bell’abito, magari anche di qualità. Però non valorizza il tuo corpo perché risalta i tuoi difetti e non i tuoi pregi.

Un vestito può donare a una persona e allo stesso tempo non donare affatto a un’altra persona.

Un vestito può star bene a una persona e allo stesso tempo non star bene affatto a un’altra.

Donare però è meglio che “star bene”, perché quando un vestito mi sta bene potrebbe anche significare che non ha niente che non va, o che è della giusta taglia o che, al limite, ci sto comodo.

Se invece mi dona allora non c’è dubbio che quel vestito mi fa apparire di aspetto migliore, perché, per via del colore o per altro motivo, mette maggiormente in evidenza i miei pregi, mette in risalto i miei tratti, oppure mi fa sembrare una persona più alta, più magra, esalta il colore dei miei occhi, non mi fa vedere troppo la pancia, eccetera eccetera.

Se invece un abito non mi dona, come anche un trucco particolare o un taglio di capelli – tante cose possono donare o non donare – evidentemente l’effetto è il contrario: un pantalone che mi fa apparire i fianchi troppo larghi, un maglione che mi fa sembrare tropo grasso, una cravatta con un colore che non si abbina con quello dei miei capelli, eccetera; in tutti questi casi questo capo di abbigliamento (ad esempio) si dice che non mi dona, che non mi sta bene addosso.

Notate che il verbo donare si può anche usare in modo transitivo nelle stesse circostanze, però devo specificare. Vediamo alcuni esempi usati sia in un modo che nell’altro:

Questo pantalone ti dona un aspetto più giovanile (transitivo)

Una gonna che dona alle ragazze con i fianchi larghi (intransitivo)

Questo colore le dona tantissimo (intransitivo)

Questa signora ha uno smalto che le dona molta eleganza (transitivo)

Infine una osservazione.

Il verbo donare si può usare in modo transitivo anche al di fuori dei capi d’abbigliamento e della bellezza delle persone.

Questa crema al pistacchio dona qualcosa di molto speciale ai nostri dolci.

Questa cornice dona al quadro un aspetto troppo antico

Perché non appendi un bel quadro? Un quadro può donare ad un appartamento un aspetto più elegante e raffinato.

Vedete che donare allora, nel caso transitivo, è molto simile a dare, fare, far sembrare, oltre che a rendere. Anche conferire si avvicina molto. È più raffinato persino.

Questo taglio di capelli ti conferisce un aspetto molto raffinato.

Questo vestito ti un aspetto più aristocratico

No, questa gonna non va bene. Ti rende/fa troppo magra

Questo è un pantalone che ti fa (sembrare) più grassa di quello che sei.

Nel verbo donare, come anche in conferire, che è il più simile, c’è anche il senso di aggiungere una qualità nuova e pregevole.

Si ottiene un qualcosa in più, come se fosse un dono, un regalo.

Adesso ripassiamo qualche episodio precedente.

Ripassiamo adesso?
Irina: una domanda di riserva?

Marcelo: Irina, ti sei smarcata subito dalla domanda, neanche ti avesse fatto una domanda personale!

Peggy: a proposito di complimenti, io li adoro, ma a volte è solo tutta fuffa mio malgrado.
Poi il mio ragazzo è molto taciturno in merito. La mia pazienza però è agli sgoccioli. Sono pronta a piantar baracca e burattini e lasciarlo per sempre.