Accadde il 5 settembre 1827: la pudicizia e il pudore

La pudicizia e il pudore (scarica audio)

Trascrizione

Avete presente l’inno d’Italia? Lo ha scritto Goffredo Mameli, nato il 5 settembre 1827.

Questo mi offre un ottimo spunto per parlarvi di una caratteristica umana: la pudicizia.

Il termine indica un atteggiamento di riservatezza, pudore, ma anche discrezione, soprattutto nei confronti della sfera sessuale.

Si usa per descrivere una persona riservata, modesta, che non ostenta, soprattutto riguardo al corpo o alla sfera sessuale, ma può estendersi anche al comportamento in generale.

Non si tratta solo di imbarazzo: è una virtù interiore, una misura rispettosa e composta, quasi una forma di eleganza morale.

Ora, immaginiamo Mameli, giovane idealista, poeta e patriota, immerso nella lotta per l’identità e l’onore del suo paese.

Il suo impegno, la sua dedizione, e persino la tragicità del suo destino (morì giovanissimo a soli 22 anni) suggeriscono una sensibilità profonda, un’intima dignità... insomma, un animo che rifugge la vanità e desidera restare fedele a se stesso fino all’estremo sacrificio.

Questo è un modo poetico per associare la pudicizia alla figura di Mameli:

Il 5 settembre nasceva dunque Goffredo Mameli, poeta e patriota, anima ardente e discreta. La sua pudicizia, anziché rivolgersi alla sfera privata, si incarnò nella purezza dei suoi versi e nella forza dei suoi ideali.

Più che di un sentimento parliamo di una disposizione d’animo, caratterizzata da riserbo, riservatezza.

La pudicizia è la qualità di chi è pudìco/pudìca.

Es:

La sua pudicìzia le impediva di parlare apertamente di certi argomenti.

Quel gesto è stato interpretato come un segno di pudicìzia.

Lei è molto pudìca: indossa sempre un costume intero invece del bikini.

Non fare lo spiritoso, sii un po’ più pudìco nelle tue battute.

La nuova collezione propone abiti pudìci, con gonne lunghe e maniche coperte.

Luca è troppo pudìco, arrossisce ogni volta che si parla di certe cose.

Mia nonna era una donna pudìca, non avrebbe mai accettato di mostrarsi in pantaloncini.

Attenzione alla differenza tra pudicizia e pudore.

Il pudore è un sentimento, quindi può essere momentaneo.

La pudicizia è una virtù, una /abitudine del carattere, quindi più duratura. Come detto prima, è una disposizione d’animo.

Se volessi spendere più parole direi che il pudore è il sentimento interiore di riservatezza e vergogna che si prova quando si espone il corpo o la sfera più intima. È un atteggiamento spontaneo, quasi istintivo (“arrossì per pudore”).

La pudicizia come detto è una virtù che al rifiuto di impurità sessuale, in quanto motivo di morbosità e di scandalo, associa il culto di una franca riservatezza e di una composta modestia.

Due esempi finali per chiarire:

Si è coperta d’istinto per pudore quando qualcuno è entrato all’improvviso nella stanza.

Era una donna di grande pudicìzia, sempre riservata nei modi e nell’abbigliamento.

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882 Merce rara

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Trascrizione

Il titolo dell’episodio odierno (cioè l’episodio di oggi) è “merce rara”.

Tutti voi sicuramente conoscerete sia il significato del termine merce che dell’aggettivo raro.

La merce è tutto ciò che viene commercializzato, cioè venduto o acquistato, in un negozio o comunque da persone che per mestiere operano nel commercio. La merce riguarda più specificamente i beni materiali che i servizi, sebbene anche i servizi possano essere venduti e acquistati.

Raro invece significa non comune, qualcosa che è difficile trovare, cioè qualunque cosa sia definibile una rarità.

Allora, la merce rara potrebbe essere un prodotto che difficilmente riusciamo ad acquistare perché si trova con molta difficoltà. In effetti può anche essere proprio così.

Questo però è il senso proprio dell’espressione.

Ad ogni modo l’espressione “merce rara” si usa normalmente anche per descrivere qualcosa di diverso da un prodotto in vendita. Allo parliamo di un uso figurato.

Si può parlare di merce rara infatti anche parlando di virtù o comunque di qualità poco comuni, quindi difficili a trovarsi tra le persone o anche tra qualcos’altro che non necessariamente sia della merce.

Che ne pensate dell’onestà?

Merce rara, non è vero?

E l’empatia? Merce rara anche questa?

A volte si usa questa espressione con tono di rassegnazione, dopo che abbiamo ricevuto una delusione per il comportamento di una persona che ci ha procurato problemi di qualche tipo. Altre volte vogliamo invece esaltare la qualità di una persona, sottolineando che questa qualità è merce rara, che quindi poche persone hanno.

In entrambi i casi l’espressione spesso è preceduta da “ormai“, ad indicare che una volta non era così, ma anche per dare più importanza a una qualità.

Ormai la fiducia è una merce sempre più rara.

La passione che Marco mette nel suo lavoro ormai è merce rara

La polenta che fa mia madre ormai è merce rara

Paola porta avanti il suo lavoro con trasparenza e sincerità, merce rara al giorno d’oggi. (volendo si potrebbe anche dire “merci rare” in questo caso, perché stiamo parlando di due qualità).

I membri dell’associazione Italiano Semplicemente sono merce rara; ascoltate che ripasso con i fiocchi che hanno realizzato.

Mary: Stamattina mi sono messa a cincischiare col mio telefono ed ero lì lì per organizzare la mia agenda settimanale quando di punto in bianco mi sono accorta che mancano pochissimi giorni alla fine dell’anno. Sembrava ieri l’inizio di novembre e non riesco ancora a capacitarmi che il mese all’improvviso sia già finito.

Peggy: eh già, puoi dirlo forte! Anch’io mi devo raccapezzare del fatto che novembre sia passato così in fretta e che mi abbia colto all’improvviso il mese di dicembre. Con tutte le faccende che devo ancora sbrigare entro la fine dell’anno, non mi illudo che riesca a compiere ciò che mi ero prefissa di fare.

Hartmut: Dai su ragazzi, datevi una regolata e piuttosto smettetela di girovagare come anime in pena, ché non si fa neanche in tempo a dire dicembre che è già la vigilia di natale.

Estelle: Con tutte le cose che vogliamo fare prima che finisca l’anno, mi vedo costretta ad aggiungere ancora un compito (sono una tradizionalista bell’e buona, lo so) , ovvero quello di comprare i regali di Natale! Nel giro di qualche giorno ci saranno code chilometriche in tutti i negozi. Tutti che vorranno accaparrarsi gli oggetti che quest’anno andranno per la maggiore. Cosa vuoi, pazzia totale!

Marguerite: Vacci piano Estelle, che io per esempio, con tre figlie adolescenti, non potrò mica accontentarle con un qualsivoglia regalo di Natale! Mi sa che anche quest’anno, mio malgrado, il tetto di spesa sarà molto alto e verrà sforato.

Gli esercizi su questo episodio sono disponibili per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

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837 Fine a sé stesso

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Trascrizione

Ciao a tutti.

Oggi parliamo di utilità. Veramente non è neanche la prima volta, perché che io ricordi, ne abbiamo parlato almeno una volta, nell’episodio dedicato all’espressione “lascia il tempo che trova“.

La locuzione di oggi è abbastanza simile, ma ha una particolarità: parlo di “essere fine a sé stesso”.

Si parla innanzitutto solamente di azioni, quindi si sta valutando l’utilità di una azione o un’attività o anche una qualità, una virtù.

Quando si dice che un’azione è fine a sé stessa, o un’attività è fine a sé stessa, si vuole dire che non c’è una utilità o una motivazione particolare, o uno scopo preciso in questa azione, se non quello che deriva ad esempio dal semplice piacere nel farla.

Non ci sono quindi altri scopi, dunque non si vede una utilità aggiuntiva, una motivazione aggiuntiva, o una vera utilità.

In altre parole, si sta parlando di questa azione la cui utilità (spesso si parla di utilità, ma non sempre) finisce lì, potremmo dire, dunque non è adatta per altri scopi o non è stata fatta per conseguire un fine determinato.

In questa spiegazione sto cercando di usare parole diverse anche al fine di aumentare il vostro vocabolario. Non è dunque qualcosa fine a sé stesso.

È proprio la finalità la cosa sulla quale ci dobbiamo concentrare.

Potremmo anche dire che ciò che facciamo, se è fine a sé stesso, non è un mezzo per ottenere uno scopo aggiuntivo.

Si può comunque usare più in generale per indicare qualcosa che ha una scarsa utilità, non una vera e concreta utilità o motivazione.

Vediamo qualche esempio.

Un professore di italiano trova, uscendo dalla scuola, una ruota della sua auto bucata. Il professore non crede si tratti di un semplice atto vandalico fine a sé stesso, ma crede ci siano dietro altre motivazioni. Forse uno studente arrabbiato, che non aveva digerito una bocciatura…

Un altro esempio:

Ho iniziato a studiare il latino, così, per diletto, e ho scoperto che mi sta aiutando molto anche a capire il tedesco e l’inglese. Credevo fosse un piacere fine a sé stesso ma con mia sorpresa si è rivelata tutt’altro che fine a sé stessa.

“Il fine” è la finalità, l’obiettivo. Attenzione perché il fine e la fine hanno due significati diversi.

Un altro esempio in ambito sportivo:

Una squadra vince una partita 10-0, quindi fa una grandissima partita, dominando l’avversario. Quella grande vittoria però risulterà fine a sé stessa perché non porterà a vincere nessuna competizione.

In quest’ultimo caso avrei potuto anche parlare di una vittoria “inutile“, una vittoria che non è servita purtroppo a vincere nulla di importante.

Molto spesso sono anche i piaceri di qualsiasi tipo (vale anche per le virtù e le qualità), ad essere valutati fine a sé stessi se non se ne vede una utilità tangibile.

Anche cose come l’ansia o la sofferenza, si dice che non siano, o almeno che non debbano essere fine a sé stesse.

L’ansia e le preoccupazioni sono strumenti che ci preparano per i pericoli futuri, quindi ci consentono di prevedere eventuali problemi o di reagire con prontezza in caso di necessità.

L’ansia non è affatto fine a sé stessa, anzi!

Lo stesso si può dire della sofferenza, che ci aiuta a conoscerci e a diventare più forti. Quindi entro certi limiti anche la sofferenza non è affatto fine a sé stessa.

Avrete notato che “fine“, come l’ho usato io, non cambia, né cambiando il genere, né al plurale. Ad ogni modo al plurale abbastanza spesso si legge “fini“. Un italiano non ci fa molto caso in realtà, quindi possiamo considerare le due forme entrambe corrette.

Fine a sé stesso

Fine a sé stessi

Fine a sé stessa

Fine a sé stesse.

Dimenticavo quasi di dire che (l’accento su in questo caso non sarebbe obbligatorio, ma è preferibile mettercelo.

E adesso vediamo un bel ripasso. Parliamo di viaggi, che proprio come i ripassi, sono ben lontani dall’essere fine a sé stessi:

Irina: ogni volta che vengo in Italia per un paio di giorni, non riesco mai a portarmi solo lo stretto indispensabile.

Marcelo: anche per me è sempre difficile ridurre la valigia ai minimi termini, perché poi non si sa mai!

Albèric: Io però sono incline a consigliare di portare il minimo indispensabile! Assumo una posizione chiara riguardo a questo, e dico se ti manca qualcosa, la compri!

Esercizi

Risposte disponibili ai soli membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

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725 Come ti dona!

Come ti dona! (scarica audio)

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Giovanni: oggi vorrei parlare di complimenti.

Si dice che le donne amino i complimenti:

Come sei bella con questo vestito!

Oggi sei più bella del solito!

Che occhi meravigliosi!

Eccetera eccetera

Ho detto le donne, ma in realtà tutti amano i complimenti.

Tra l’altro non si possono fare complimenti solamente per la bellezza, ma anche per la casa:

Che bella casa, complimenti!

Oppure per i figli:

Lei ha dei figli bravissimi e dolcissimi!

O per un risultato ottenuto:

Complimenti per la laurea!

Ho saputo che ha aperto una nuova sede per la sua azienda. I miei complimenti!

Eccetera.

Ma non voglio divagare troppo oggi.

Oggi vorrei parlarvi del verbo donare, molto adatto quando si fanno i complimenti.

Non esistono infatti solamente le donazioni, cioè quando si offre qualcosa di proprio ad altre persone, come la donazione del sangue, degli organi o le donazioni in denaro. Parlo dell’uso intransitivo del verbo.

Questo vestito ti dona molto.

Oddio come ti dona questo rossetto!

In questo caso donare vuol dire aggiungere grazia all’aspetto di una persona.

Questo vestito ti sta molto bene

Questa è una frase più o meno equivalente.

In pratica il vestito che indossi ti fa bella, ti giova esteticamente, ti rende più bella o magari più giovane, ti fa apparire in modo migliore, fa risaltare i tuoi pregi, esalta le tue caratteristiche più belle del viso, ti valorizza.

Quanti verbi diversi possiamo usare!

Perché allora usare il verbo donare?

È una delle possibilità, però direi che per fare un complimento è molto apprezzato da chi lo riceve. Posso usarlo però anche al contrario.

Quest’abito è bello, ma non ti dona.

Quindi quest’abito non ti sta bene, pur essendo un bell’abito, magari anche di qualità. Però non valorizza il tuo corpo perché risalta i tuoi difetti e non i tuoi pregi.

Un vestito può donare a una persona e allo stesso tempo non donare affatto a un’altra persona.

Un vestito può star bene a una persona e allo stesso tempo non star bene affatto a un’altra.

Donare però è meglio che “star bene”, perché quando un vestito mi sta bene potrebbe anche significare che non ha niente che non va, o che è della giusta taglia o che, al limite, ci sto comodo.

Se invece mi dona allora non c’è dubbio che quel vestito mi fa apparire di aspetto migliore, perché, per via del colore o per altro motivo, mette maggiormente in evidenza i miei pregi, mette in risalto i miei tratti, oppure mi fa sembrare una persona più alta, più magra, esalta il colore dei miei occhi, non mi fa vedere troppo la pancia, eccetera eccetera.

Se invece un abito non mi dona, come anche un trucco particolare o un taglio di capelli – tante cose possono donare o non donare – evidentemente l’effetto è il contrario: un pantalone che mi fa apparire i fianchi troppo larghi, un maglione che mi fa sembrare tropo grasso, una cravatta con un colore che non si abbina con quello dei miei capelli, eccetera; in tutti questi casi questo capo di abbigliamento (ad esempio) si dice che non mi dona, che non mi sta bene addosso.

Notate che il verbo donare si può anche usare in modo transitivo nelle stesse circostanze, però devo specificare. Vediamo alcuni esempi usati sia in un modo che nell’altro:

Questo pantalone ti dona un aspetto più giovanile (transitivo)

Una gonna che dona alle ragazze con i fianchi larghi (intransitivo)

Questo colore le dona tantissimo (intransitivo)

Questa signora ha uno smalto che le dona molta eleganza (transitivo)

Infine una osservazione.

Il verbo donare si può usare in modo transitivo anche al di fuori dei capi d’abbigliamento e della bellezza delle persone.

Questa crema al pistacchio dona qualcosa di molto speciale ai nostri dolci.

Questa cornice dona al quadro un aspetto troppo antico

Perché non appendi un bel quadro? Un quadro può donare ad un appartamento un aspetto più elegante e raffinato.

Vedete che donare allora, nel caso transitivo, è molto simile a dare, fare, far sembrare, oltre che a rendere. Anche conferire si avvicina molto. È più raffinato persino.

Questo taglio di capelli ti conferisce un aspetto molto raffinato.

Questo vestito ti un aspetto più aristocratico

No, questa gonna non va bene. Ti rende/fa troppo magra

Questo è un pantalone che ti fa (sembrare) più grassa di quello che sei.

Nel verbo donare, come anche in conferire, che è il più simile, c’è anche il senso di aggiungere una qualità nuova e pregevole.

Si ottiene un qualcosa in più, come se fosse un dono, un regalo.

Adesso ripassiamo qualche episodio precedente.

Ripassiamo adesso?
Irina: una domanda di riserva?

Marcelo: Irina, ti sei smarcata subito dalla domanda, neanche ti avesse fatto una domanda personale!

Peggy: a proposito di complimenti, io li adoro, ma a volte è solo tutta fuffa mio malgrado.
Poi il mio ragazzo è molto taciturno in merito. La mia pazienza però è agli sgoccioli. Sono pronta a piantar baracca e burattini e lasciarlo per sempre.