Conseguire – VERBI PROFESSIONALI (n. 90)

Conseguire

Descrizione

Vediamo il verbo conseguire, che si avvicina a fare, ottenere, raggiungere e riuscire. Si usa spessissimo in ambito accademico. Vediamo soprattutto la differenza rispetto al verbo ottenere.

Il file audio e la spiegazione completa sono riservati ai membri dell’associazione Italiano Semplicemente. 

Durata: 14 minuti

LOG INADERISCI

I verbi porre e porsi (ep. 997)

Porre e porsi (scarica audio)

Giovanni: il verbo porre non si usa moltissimo, ma ci sono alcune occasioni in cui diventa inevitabile.

Iniziamo con il dire che il significato di base di porre è “mettere” o “collocare” e viene utilizzato per descrivere azioni come:

Mettere un oggetto su un tavolo.

ES:

Porre una matita su un tavolo.

È più formale di mettere. Si usa ad esempio quando si fa un concorso e si danno istruzioni ai partecipanti:

Ponete cortesemente la carta d’identità sul banco

In senso figurato, mettere (e quindi porre) si può usare anche in questo modo:

Porre attenzione su qualcosa

Es

Adesso ponete attenzione su ciò che sto dicendo

Ponete attenzione quando state alla guida

Si pregano i gentili passeggeri di porre attenzione ai borseggiatori

Anche questo è un uso meno informale rispetto a “mettere”. Chiaramente anche “fare attenzione” è una possibilità, e tra l’altro è molto più utilizzata rispetto a mettere e porre parlando di “attenzione“.

Si usa come alternativa al verbo “fare” , ancora una volta meno informale, anche quando si “fa” una domanda.

Posso dire infatti:

Porre una domanda

Es: Se volete porre una domanda al professore, potete farlo al termine della lezione.

Porre si può usare anche per fare delle ipotesi: “poniamo che…” Equivalente ma più formale rispetto a “mettiamo che…” e equivalente anche a “ipotizziamo che…”. Per saperne di più date un’occhiata all’episodio di italiano professionale in cui si parla di situazioni ipotetiche. 

Es:

Poniamo che io vi insulti pesantemente. Come reagireste?

Altri modi di usare il verbo porre sono:

Porre in evidenza

Porre a confronto

Porre in relazione

Porre a rapporto

In tutti questi casi, il verbo “porre” viene utilizzato in senso figurato per esprimere l’idea di mettere o collocare qualcosa o qualcuno in una situazione specifica o per scopi particolari, diversi dall’uso letterale del verbo.

Quando si “pone in evidenza” qualcosa, si sta sottolineando, mettendo in risalto o enfatizzando un particolare aspetto o caratteristica. Ad esempio:

Il capo ha posto in evidenza i dettagli del suo programma

Quando invece si “pongono a confronto” due o più cose, si stanno valutando le loro differenze o somiglianze. Ad esempio:

È interessante porre a confronto le culture di questi due paesi.

“Porre a rapporto” ha lo stesso uso. Si usa però anche in matematica quando si fa una divisione; infatti ogni divisione si esprime attraverso il rapporto tra due valori o numeri o grandezze.

Porre in relazione” è leggermente diverso, perché qui, “porre” significa “mettere in una connessione” o “collegare”. Quando si “pongono in relazione” due o più elementi, si sta esaminando come essi sono legati tra loro o come interagiscono. Ad esempio:

Questo libro pone in relazione la storia e la cultura della Regione Lazio.

Adesso passiamo a porsi.

Quando si pone sé stessi, il verbo porre diventa “porsi“.

Porsi” è quindi una forma riflessiva di “porre“.

Si usa per esprimere l’atteggiamento o l’approccio nei confronti di una situazione.

Es:

Mi pongo obiettivi realistici

Mi pongo delle domande sulla mia vita

Quindi posso pormi degli obiettivi, nel senso di stabilire degli obiettivi che intendo raggiungere.

Nel caso delle domande posso ugualmente anche usare “fare” (o farmi) ma non se parlo di obiettivi.

Stavolta posso sostituire il verbo porsi con “stabilire“, o “fissare” ma con porsi c’è più l’idea dell’impegno personale, essendo riflessivo, e si usa più facilmente in tante occasioni poco formali. Stabilire e fissare suonano più professionali stavolta.

Posso anche usare “prefissarmi/prefiggermi di raggiungere un obiettivo” mantenendo la forma riflessiva e quindi il senso dell’impegno personale.

Un’altra cosa che normalmente si pone (quindi non in senso riflessivo) sono delle condizioni. Anche in questo caso “stabilire” è un adatto sostituto di porre.

I terroristi hanno posto delle condizioni alla base del rilascio dei prigionieri

Quindi porre delle condizioni equivale a stabilire, fissare delle condizioni.

Tornando a “Porsi“, anche col verbo riflessivo possiamo parlare di condizioni:

Porsi nelle condizioni

Quando qualcuno si pone nelle condizioni di fare qualcosa, sta creando le circostanze o le condizioni necessarie per svolgere un’azione o per affrontare una situazione specifica.

Es:

Per ottenere un prestito, devi porti nelle condizioni richieste dalla banca, adempiendo a determinati requisiti di credito e finanziari.

Anche in questo caso si può usare il verbo “mettere“.

Per aiutarti, mi devi mettere/porre nelle condizioni di poterlo fare!

Parliamo sempre di creare le condizioni necessarie per raggiungere un obiettivo o affrontare una situazione specifica.

Il verbo “porsi“, riguarda molto spesso  un atteggiamento personale di tipo interiore.

C’è infatti un altro modo per usare questo verbo.

Es:

Come ti poni con i tuoi clienti? Ti poni in modo aggressivo o come una persona riflessiva?

Giovanni non riesce a porsi nel modo giusto ogni volta che conosce una ragazza.

Il “modo di porsi” riguarda il modo con cui siamo percepiti dal prossimo, o meglio, l’impressione che facciamo verso gli altri.

Il “modo di porsi” si riferisce quindi all’atteggiamento, al comportamento o alla disposizione di una persona in una determinata situazione o verso qualcun altro. In altre parole, si tratta di come una persona si comporta o si presenta in relazione agli altri, alle circostanze o a un particolare contesto. Il modo in cui una persona si pone può essere riflessivo, amichevole, aggressivo, timido o in qualsiasi altro modo che descriva il suo atteggiamento o il suo comportamento.

Nel primo esempio, “Come ti poni con i tuoi clienti? Ti poni in modo aggressivo o come una persona riflessiva?”, si sta chiedendo come la persona interagisce con i suoi clienti e se mostra un atteggiamento aggressivo o riflessivo nel suo comportamento.

Nel secondo esempio, “Giovanni non riesce a porsi nel modo giusto ogni volta che conosce una ragazza,” si sta dicendo che Giovanni ha difficoltà a mostrare l’atteggiamento o il comportamento appropriato quando incontra una ragazza. In altre parole, potrebbe comportarsi in modo goffo, timido o inappropriato.

Non parliamo generalmente di vestiti e di aspetto esteriore, anche se a volte si usa anche in questo senso. Es:

Un dipendente di una banca che indossa una maglietta al posto di giacca e cravatta non si pone con i clienti in un modo professionale. Possiamo dire che si pone in modo sbagliato.

Sicuramente mi sto dimenticando altri modi di usare porre e porsi, perché sono veramente tanti.

Mi viene in mente ad esempio solo ora “porre in essere“. che significa mettere in atto o realizzare qualcosa. È spesso utilizzata per riferirsi all’atto di mettere in pratica un’azione, un progetto o un’idea. Ad esempio, se qualcuno dice di “porre in essere un piano” significa che sta mettendo in atto o attuando un piano specifico. In altre parole, si tratta di tradurre in azione ciò che è stato pianificato o progettato.

Es:

L’azienda porrà in essere una strategia di espansione globale, aprendo nuove filiali in diversi paesi

Il docente ha posto in essere un nuovo metodo didattico per coinvolgere gli studenti in attività più interattive e coinvolgenti

Il governo ha annunciato l’intenzione di porre in essere un piano di vaccinazione su larga scala per combattere la diffusione di una malattia contagiosa.

Poi c’è anche “porre rimedio” che significa agire per correggere o risolvere una situazione problematica o un errore. Quando qualcuno “pone rimedio a qualcosa” sta cercando di trovare una soluzione o prendere misure per affrontare un problema o mitigare un danno che è stato causato.

Es:

Come porre rimedio all’inquinamento?

Mi sono accorto degli errori fatti e ho cercato di porre rimedio

A volte si usa anche “porre riparo” con lo stesso senso, che ha un senso diverso di “porsi al riparo“, che si usa in senso simile a ripararsi o proteggersi o mettersi al sicuro prima che accada qualcosa:

Poiché il meteo prevedeva una forte tempesta, la famiglia ha deciso di porsi al riparo in casa anziché andare al picnic.

L’azienda ha cercato di porsi al riparo dagli effetti negativi dell’instabilità economica diversificando i propri investimenti

Quindi rispetto a “porre rimedio a qualcosa” che si usa dopo che è accaduto qualcosa di negativo, “porsi al riparo da qualcosa” è un’azione precedente all’evento negativo. Sta per “prendere misure per proteggersi da situazioni potenzialmente negative” o per evitare conseguenze dannose.

Ora posso porvi una domanda?

Poniamo che io vi chieda un ripasso (che volete, bisogna usare il congiuntivo) che parla del vostro modo di porvi. Cosa mi direste voi?

Andrè: Se sono al lavoro nel momento in cui si svolgono le videochat dell’associazione Italiano Semplicemente come potrei partecipare? Questa è la domanda che mi pongo! Essendo una domanda retorica, tra l’altro, nessuno risponde!

Albèric: Quanto a me, mi pongo spesso l’obiettivo di ripassare almeno due episodi al giorno, dicendomi: questa “sarà la volta buona” che mi metto in pari con le lezioni mancanti. Poi invece, come c’era da aspettarsi, scopro che ci sono 10 nuovi episodi e dico: vaffancina!!!!

Marcelo: Ogni giorno quando mi alzo, mi chiedo come sarà il nuovo giorno: sarà bello, sarà bel tempo oppure no? E non appena alzo la persiana avvolgibile, a prescindere dal tempo, vedo il solito paesaggio mozzafiato, allora ringrazio Dio e mi dico: avanti Marcelo, anche oggi il problema non si pone!

Rifare e rifarsi

Rifare e rifarsi (scarica audio)

Video

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Trascrizione

Rifare e rifarsi. Vediamo i diversi significati:

1) fare per la seconda volta
2) far tornare il sollievo
3) vincere dopo aver perso
4) operazione estetica
5) ricreare una situazione positiva
6) rimborsare
7) proporsi nuovamente
8) sistemare

Ascoltare i seguenti esempi di utilizzo dei verbi rifare e rifarsi.

1. Ho bruciato la cena, quindi devo rifarla. (I burned dinner, so I have to redo it)
2. Dopo aver mangiato quella schifezza devo rifarmi la bocca. Dammi una Caramella! (After eating that garbage, I need to cleanse by palate)
3. Bravo, hai vinto tu. Cercherò di rifarmi nella rivincita (Well done, you won. I’ll try to make up for it in the rematch)
4. Dopo il suo fallimento iniziale, ha lavorato sodo per rifarsi e avere successo (After his initial failure, he worked hard to bounce back and succeed)
5. È difficile rifarsi dopo una delusione, ma è importante perseverare (It’s tough to find satisfaction after a disappointment, but it’s important to persevere)
6. Dopo aver sbagliato la prima volta, ho rifatto l’esercizio fino a farlo correttamente (After getting it wrong the first time, I redid the exercise until I got it right)
7. Guarda quella donna. È completamente rifatta. Si è rifatta le labbra, gli zigomi e persino le sopracciglia (look at that woman, She’s had a lot of work done. She got her lips, cheeks, and even her eyebrows redone)
8. Rifarsi la bocca con un caffè dopo un pasto pesante è sempre piacevole (Refreshing the palate with a coffee after a heavy meal is always enjoyable)
9. Nonostante le critiche iniziali, ha continuato a lavorare duramente per rifarsi una reputazione (Despite the initial criticism, she continued to work hard to rebuild her reputation)
10. Dopo il suo ritiro, l’atleta ha cercato di rifarsi in una nuova carriera come allenatore (After retiring, the athlete tried to make a comeback in a new career as a coach)
11. Hai sbagliato a sposarti così presto. Adesso che ti sei separato cerca di rifarti una vita (You made a mistake getting married so early. Now that you’ve separated, try to rebuild your life)
12. È stato onesto e mi ha rifatto dei danni (He was honest and made up for the damages)
13. Vai sulla spiaggia a rifarti gli occhi con le belle ragazze (Go to the beach to feast your eyes on beautiful girls)
14. Sono stato rifiutato tre volte ma ho continuato a rifarmi avanti. Io non mi arrendo (I’ve been rejected three times, but I kept pushing forward. I don’t give up)
15. Vai subito a rifarti il letto! (Go make your bed right away!)

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Fare attenzione, fare caso e prestare attenzione (ep. 931)

Fare attenzione, fare caso e prestare attenzione (scarica audio)

Giovanni: Mi è stato richiesto di spiegare la differenza tra “fare attenzione” e “fare caso”.

Sono due locuzioni che hanno delle somiglianze ma anche delle differenze alle quali vi prego di prestare attenzione.

In estrema sintesi, possiamo dire che entrambe si riferiscono alla consapevolezza di un evento o di una situazione, ma “fare attenzione” si concentra sull’essere concentrati e vigili, mentre “fare caso” si riferisce a notare qualcosa.

Si possono usare in sostituzione in alcuni casi, ma ci sono alcune sfumature che le distinguono.

Ad esempio, se qualcuno ti dice di “fare attenzione” (o di stare attento/a) a una strada trafficata, si sta concentrando sulla necessità di essere vigili, di stare attenti, che occorre consapevolezza per evitare un incidente, mentre se ti dice di “fare caso” a qualcosa, si sta chiedendo di notare un particolare dettaglio.

Il verbo “notare” si può usare in luogo di “fare caso” perché si tratta di qualcosa che potrebbe sfuggire. Si tratta spesso di un dettaglio e di solito niente di pericoloso.

In entrambi i casi si può usare la preposizione “a”.

Hai fatto caso al colore del cielo che c’è in Italia? È molto più blu rispetto al mio paese!

Bisogna fare attenzione alle buche sulla strada.

Hai fatto caso che Giovanni è un po’ triste?

Hai notato che Giovanni oggi è u po’ triste?

Fate attenzione ragazzi, perché questo è un argomento importate e sicuramente lo chiederò all’esame.

Le locuzionu “fare caso” e “fare attenzione” si possono entrambe sostituire con “prestare attenzione”, che è, tra l’altro, meno informale.

Prestare attenzione si può usare sia per notare un dettaglio che potrebbe sfuggire, ma si usa in particolar modo nel senso di restare concentrati durante una spiegazione:

Presta attenzione ai suoi occhi e noterai che sono lucidi. Segno che ha appena pianto.

Qui è più vicino a “fare caso” .

Oppure si può usare per segnalare un pericolo o per far notare una cosa importante, proprio come “fare attenzione”:

Presta attenzione alla guida sennò vai fuori strada

Devi prestare più attenzione quando spiego, perché altrimenti poi impieghi il triplo del tempo per imparare la lezione.

È tutto per oggi. Prestate attenzione al ripasso però. Sono sicuro che sarà utile per voi.

Oggi ripassiamo alcuni episodi passati tra cui alcuni verbi che si utilizzano in contesti lavorativi. Avete fatto caso al fatto che non ripassiamo molto spesso questi verbi?

Lejla: Ciao a tutti, oggi vorrei discutere di ciò che è più importante nella vita. Per me tutto dipende dalla felicità e dal raggiungimento di un equilibrio stabile tra i vari aspetti della vita. Questo mi permette di essere soddisfatta e serena. Ne convenite?

Karin: si fa presto a dire ne convenite.
Diciamo che sono d’accordo con te, la felicità è sicuramente importante. Ma c’è anche la realizzazione personale, il raggiungimento dei propri obiettivi. Parlo dell’auto-realizzazione. C’è qualcuno che non presta attenzione però, o sbaglio?

Marcelo: sto ascoltando, non fare la spiritosa. Io penso che la cosa che più conta, dopo aver vagliato tutta la vita tra le varie possibili risposte, sia la ricerca della verità. Come affermava Socrate, “la vita senza verità non vale la pena di essere vissuta”.

Estelle: che fai, ti inventi le frasi di Socrate? Ma io non lo so! Concordo con te comunque: la verità e la conoscenza sono fondamentali nella vita. Ma vorrei suggerire l’importanza delle relazioni interpersonali, come sosteneva Martin Buber.

Danielle: Ma come possiamo valutare quale di questi aspetti abbia più importanza per pervenire a una soluzione?

Marcelo: Possiamo disaminare le motivazioni che ci spingono e capire quale di esse ci rende più appagati e soddisfatti? Sennò non ne usciamo! Non mi equivocate però. L’argomento è interessantissimo.

Karin: caldeggio la tua idea, ma non dobbiamo limitarci solo alla nostra personale prospettiva. Possiamo guardare anche alle esigenze della società in cui viviamo.

Estelle: a sto punto disdico al ristorante! Ci vuole una vita qui a esaurire questo discorso. Comunque per far prima potremmo attenerci alle teorie di pensatori importanti come Aristotele, che sosteneva l’importanza dell’equilibrio tra i vari aspetti della vita.

Khaled: Quindi potremmo dire che l’importanza dipende dalle circostanze e dalle necessità di ognuno di noi. Ma come possiamo ristabilire l’equilibrio tra i vari aspetti quando l’equilibrio viene perso?

Karin: Possiamo cercare una via di mezzo, come sosteneva Aristotele, riconoscendo l’importanza di tutti i fattori della vita. Non ho una risposta personalmente, e poi lungi da me la volontà di impartire lezioni agli altri.

Marcelo: E come sottolineava Kant, dovremmo fare ricorso alla ragione e al buonsenso per risolvere i conflitti e trovare un equilibrio.

Estelle: Ma dobbiamo anche valutare l’ammontare delle risorse che abbiamo a disposizione e fare attenzione a non cedere troppo su un aspetto a discapito degli altri.

Edita: la Risorsa più importante per ora è il tempo e io ho fame. Scusate se sembro venale, ma bisogna constatare che si è fatta una certa ora. Aristotele può aspettare e io pertanto mi esento dal proseguire la discussione.

Hartmut: vabbè taglio corto allora. Liquidiamo la questione dicendo che alla fine siamo d’accordo sul fatto che l’importanza nella vita dipende dalle esigenze e dalle necessità di ognuno di noi e che dobbiamo cercare un equilibrio tra i vari aspetti per essere appagati e realizzati. E sia! Per me melanzane alla parmigiana!

Karin: ben detto! Adesso mangiare bene è la cosa più importante e appagante.

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885 Alle prese (episodio n. 2)

Alle prese (episodio n. 2)

(scarica audio)

Trascrizione

Alle prese” è il titolo dell’episodio di oggi, molto simile all’ultimo, che si intitolatava “alle perse“.

Lo so, abbiamo già trattato questa locuzione (era l’episodio n. 653), ma un ripasso non fa male. Stavolta però voglio sottolineare aspetti diversi di questa locuzione e volevo farvi notare anche che basta invertire due lettere per far cambiare però completamente il significato: alle perse, alle prese.

La similitudine però è solamente nella scrittura.

Sul web spessissimo, probabilmente come refuso, cioè errore nella battitura, si confondono le due locuzioni e si usa spesso una in luogo dell’altra (cioè una al posto dell’altra).

Quella di oggi (alle prese) è in realtà, come abbiamo già visto, un po’ più lunga: “essere alle prese con” qualcosa.

Si utilizza quando siamo impegnati in una attività in genere non troppo piacevole, che ci impedisce di fare altre cose. A volte persino ci impedisce di pensare ad altre cose. Questo è un aspetto che nel primo episodio non avevo sottolineato.

La prima volta l’attenzione era stata posta soprattutto sulla preposizione “con”.

Es:

Ciao Giovanni, ti disturbo? Hai da fare?

Risposta:

Veramente si, sono alle prese con un mobile che sto cercando di montare.

Quindi questo significa che sono molto impegnato col montaggio di questo mobile e questo (quasi sempre è così) mi impedisce di pensare ad altro o di fare altre cose.

Quasi sempre questa attività è un vero e proprio problema che ci procura noie e fastidi (una noia, per chi non lo sapesse, è un problema, non troppo grave, quindi più vicino a disturbo o fastidio).

Es.

Sono alle prese con un problema che non riesco a risolvere.

Cioè: sto cercando di risolvere un problema che mi dà noia.

Stiamo affrontando un problema difficile, ci stiamo cimentando in un’attività complicata.

Si usa anche dire: trovarsi alle prese con un’attività, un problema.

Quindi potete usare sia il verbo essere che il verbo trovarsi.

Anche questo non l’avevo detto la volta scorsa.

Es:

In questo momento mi trovo alle prese con la polizia che sta controllando i documenti dell’automobile. Ti chiamo più tardi.

Ricordate che quando fate un’attività piacevole, meglio non usare questa espressione. Io ad esempio, se dicessi che in questo momento sono alle prese con la scrittura di un episodio di italiano semplicemente, potrei farlo solo se trovassi complicata questa scrittura, oppure se questo mi impedisce di fare altre cose, in genere più piacevoli.

Non è il mio caso.

Si tratta generalmente di problemi reali, di attività concrete e specifiche che in genere, spesso inaspettatamente, risultano più complicate o lunghe del previsto.

Pertanto, se devo semplicemente e genericamente lavorare e questo mi impedisce di andare in vacanza in Italia, non si usa dire di essere o di trovarsi alle prese con il lavoro.

In questi casi basta usare frasi più semplici, tipo:

Purtroppo dovrò lavorare.

Se non fossi impegnato col lavoro verrei sicuramente.

Invece si può dire:

Non so, potrei essere ancora alle prese con un cliente e non so se riesco a liberarmi.

Recentemente mi trovo alle prese con difficoltà economiche impreviste. Purtroppo non posso venire in vacanza con voi in Italia.

Se non fossi ancora alle prese con la mia malattia, sarei venuto sicuramente.

Adesso vi lascerò alle prese con un bel ripasso degli episodi precedenti, letto da alcuni membri dell’associazione Italiano Semplicemente. Poi, qualora siate membri dell’associazione Italiano Semplicemente potete anche mettervi alla prova con gli esercizi di questo episodio.

Ciao, alla prossima.

Peggy: Gianni, allora se ci lasci alle prese con un bel ripasso degli episodi precedenti… vuol dire che non sarà piacevole?
O volevi solo scherzare? 🙂

Ulrike: Mera ironia mi pare…

Danielle: da molti giorni ormai sono alle prese con un brutto raffreddore. Non è che qualcuno di voi potrebbe darmi dei consigli su cosa fare? Attendo lumi. Grazie.

Marcelo: io direi di andare dal dottore. Magari non è nulla di trascendentale, ma non si sa mai.

Rauno: eccomi qua, sono il dottore. Vieni nel mio studio. Non prendere alla leggeraneanche un banale raffreddore, perché da qualche giorno a questa parte ho visto molti avere la broncopolmonite. Fintantoché siamo in tempo, possiamo evitare di trascurarci, no?

Peggy: che fortuna che hai ad avere un medico così premuroso. Il mio è di una freddezza che non ti dico. Se tanto mi dà tanto, deve avere una vita veramente squallida!!

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860 Disfare e disfarsi, il disfacimento la disfatta

Disfare e disfarsi, il disfacimento la disfatta (scarica audio)

Trascrizione

Siete mai stati nei mercatini dell’usato?

Ebbene, li trovate capi d’abbigliamento di cui le persone si sono liberate. Sono capi di seconda mano che si possono acquistare.

Ho appena usato il verbo liberare nella forma riflessiva: liberarsi di qualcosa significa dare via, vendere o gettare qualcosa (o qualcuno) che non vogliamo più.

Es:

Mi devo liberare di tutti questi impegni di lavoro se voglio divertirmi un po’.

Posso usare anche il verbo disfarsi, forma riflessiva di disfare.

Voglio disfarmi di tutte queste cose inutili che ho in casa

L’assassino, dopo aver commesso l’omicidio, di è disfatto del telefono

Ci si può disfare anche di una persona, proprio come liberarsi. Il senso è lo stesso. Significa anche cedere a un’altra persona.

“Disfarsi di” qualcosa o di qualcuno ha questo significato, ma se usiamo il verbo non nella forma riflessiva, il significato cambia. Ma anche disfarsi, se non aggiungiamo “di”, cambia di significato.

Es:

Con l’aumento della temperatura, il pupazzo di neve ha iniziato a disfarsi.

Potremmo dire sciogliersi, distruggersi, squagliarsi. In generale si può disfare qualunque cosa che abbia comportato un sforzo nella costruzione, come il pupazzo di neve, appunto. La neve si scioglie, il pupazzo di neve si disfa.

Avete notate che disfare contiene “fare” con “dis” come prefisso.

Questo prefisso spesso, infatti, rovescia il senso buono o positivo della parola che il prefisso precede. È molto usato in molti termini del linguaggio medico per indicare una alterazione, una malformazione, un’anomalia, un cattivo funzionamento. Pensate alla distrofia ad esempio.

C’è quasi sempre qualcosa che non va quando c’è il prefisso dis.

Allora, davanti a “fare“, che indica una costruzione, questo prefisso indica una distruzione, quindi disfare è il contrario di fare. Lo stesso accade con onore e disonore, simile e dissimile, piacere e dispiacere, la continuità e la discontinuità. Altre volte non è così semplice ma in generale (non sempre) il prefisso dis conferisce un senso negativo.

Esiste l’espressione “fare e disfare” che indica il comportamento di una persona che fa ciò che vuole, costruisce e distrugge, fa e disfa come vuole lei. Es:

Il dittatore è stato abituato a fare e disfare nel suo paese

Un’espressione simile è fare il bello e il cattivo tempo.

Disfare dunque è simile a distruggere, scomporre, sciogliere, liquefare, decadere, disgregarsi.

Non sempre però c’è qualcosa di negativo o qualcosa che non va.

Disfare le valigie è una cosa che si fa alla fine di ogni viaggio.

Significa togliere i vestiti dalle valigie perché siamo tornati a casa o siamo arrivati in albergo. Le valigie si fanno alla partenza e si disfano all’arrivo.

Anche il letto, quando è disfatto, non è una tragedia. Semplicemente bisogna sistemarlo, bisogna rifare il letto, prendere le lenzuola e sistemarle per bene, sistemare i cuscini, rimettere eventualmente la coperta o un copriletto e sistemarlo per bene, proprio come vorremmo trovarlo quando entriamo nella nostra stanza d’albergo.

In genere però, come detto, disfare qualcosa è un’operazione che esprime l’azione contraria del fare, ma in senso negativo.

Parlando di politica, c’è chi vorrebbe disfare l’unione europea.

Il nuovo governo sta disfacendo tutto ciò che ha fatto il governo precedente.

Nello sport si usa spesso:

Non è disfacendo il gioco avversario che si vince.

Parlando di morale e di questioni sociali, si usa spesso il termine disfacimento:

Per disfacimento si intende la rovina di una comunità che non ha più obblighi morali e sociali.

Stiamo assistendo a un lento disfacimento della famiglia nella società contemporanea

Il disfacimento morale della società

In senso materiale possiamo parlare di un corpo, un tempo bellissimo ma in rapido disfacimento con l’età o per colpa di un’alimentazione sbagliata.

Vogliamo parlare adesso della disfatta?

Una disfatta è una sconfitta militare disastrosa o, in senso figurato, un clamoroso fallimento o una sconfitta sportiva schiacciante.

C’è in qualche modo anche una distruzione anche in questi casi, ma è più un grave insuccesso o una pesantissima sconfitta, quindi comunque dopo una disfatta bisogna ricominciare daccapo. Anche disfatta deriva dal verbo disfare.

Si parla spesso anche della disfatta di un partito alle elezioni. Evidentemente i risultati sono stati disastrosi per quel partito.

Sconfitta e disfatta sono dunque molto vicini come significato. È la gravità della sconfitta, la sua pesantezza che fa la differenza.

Va bene, adesso ripassiamo qualche episodio precedente altrimenti tutto il lavoro fatto finora rischia di essere disfatto nel giro di qualche settimana.

Ulrike: Parlando di politici, molti di loro credono che fanno il meglio per il loro paese, ma sembra che non vedano le eccessive corsie preferenziali, né le bustarelle, e fanno pie promesse per arrivare al governo! E tu come la vedi?

Irina: il problema è che quando devi votare e scegliere, questo voto spesso è un voto di scambio! E quand’è così non c’è possibilità di svoltare per il paese.

Peggy: molte volte penso che queste siano soltanto elucubrazioni mentali, ma il mio contributo oggi deve fungere da campanello d’allarme!

Estelle: I tuoi commenti potrebbero sollevare un polverone di critiche, ma è pur vero che la situazione economica mondiale fa acqua da tutte le parti!

Albèric: sono del tuo stesso avviso, ma meglio stare alla larga della politica. È sempre un di più andare a toccare questi temi scottanti in un ripasso!

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755 Non fare che…

Non fare che… (scarica audio)

Trascrizione

Una volta una ragazza mi ha detto:

Non fare che anche quest’anno ti dimentichi del mio compleanno, ok?

Questo è stato solo un pretesto per introdurre l’episodio di oggi. Parliamo della locuzione “non fare che”.

Avete ascoltato un primo modo di usare la locuzione “non fare che”, colloquiale e informale, che suona quasi come una minaccia, almeno dal tono.

È in realtà una specie di raccomandazione e allo stesso tempo un rimprovero, direi anche abbastanza affettuoso. Non esattamente una minaccia quindi.

Si usa solo rivolgendosi direttamente ad una o più persone con cui si ha una certa confidenza, quindi dando del tu se la persona è una sola.

Vediamo altri esempi:

Allora ci vediamo a mezzogiorno ok? Non fate che ritardate come al solito!

Mi raccomando, adesso andiamo dai nonni a trovarli. Non fare che non li saluti, mi raccomando.

Potrei usare, in sostituzione, anche “non è che”, una locuzione che abbiamo già spiegato:

Non è che ritardate come al solito?

Non è che poi ti dimentichi?

Ecc.

Ma stavolta non c’è mai una curiosità o una domanda, ma si tratta sempre e solamente di un rimprovero, quindi non parliamo neanche di una raccomandazione o di un consiglio.

Inoltre in genere si tratta sempre di un rimprovero per una cosa che è già accaduta più volte in passato e che non è piaciuta a chi pronuncia la frase.

Adesso però sarete contenti di sapere che quando utilizzo “non fare che”, come negli esempi precedenti, sto facendo un ammonimento, termine che abbiamo spiegato solamente un episodio addietro.

Vediamo adesso il secondo modo di usare “non fare che” . Vediamo qualche esempio:

Da due anni a questa parte non faccio che lavorare.

Il significato è molto semplice: sono due anni che lavoro, senza fare altro.

“Non faccio che lavorare” è in questo caso un modo per esprimere un malcontento, una situazione negativa, un disagio, una lamentela. Insomma c’è qualcosa che non va e che va o andrebbe cambiato. Quasi sempre è così.

Mio figlio ha scelto la facoltà di ingegneria e non fa (altro) che studiare.

Quindi mio figlio tutto il suo tempo lo dedica allo studio. Studia costantemente. Ora, è chiaro che questo povero ragazzo studia molte ore al giorno e ovviamente non è vero che non fa altro.

La frase non è da prendere alla lettera, ma comunque anche in questo caso siamo in una situazione che non si ritiene normale o equilibrata. Magari la mamma però ne è contenta in questo caso.

Basta! Non fai (altro) che criticarmi per qualunque cosa!

Questa invece è una lamentela evidente e in effetti si usa spessissimo questa modalità per esprimere una critica o una lamentela, un disappunto, un reclamo o una recriminazione.

Questi tuoi amici non fanno che pensare al sesso!

Non fare che adesso anche tu inizi a perdere la testa! Pensa a studiare!

Questo è un cazziatone più che altro!

In quest’ultimo esempio ho usato “non fare che” in entrambi i modi che abbiamo visto oggi.

Prima ho accennato alla recriminazione. Allora tra due episodi parleremo proprio di questo.

Non fate che non lo ascoltate però ok?

Adesso un breve ripasso:

Peggy: hei, abbassa il volume! Per poco non cadevo dal letto! Mi hai spaventato! Che diamine!

Danielle: Cosa? Ma sono le dieci di mattina. Con questo sfogo adesso ti senti meglio? Non mi dirai che hai fatto le ore piccole anche ieri sera!

Ulrike: ragazzi, vedo che c’è maretta anche oggi tra voi due, della serie “un altro fine settimana tranquillo”.

Segue una spiegazione del ripasso

725 Come ti dona!

Come ti dona! (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: oggi vorrei parlare di complimenti.

Si dice che le donne amino i complimenti:

Come sei bella con questo vestito!

Oggi sei più bella del solito!

Che occhi meravigliosi!

Eccetera eccetera

Ho detto le donne, ma in realtà tutti amano i complimenti.

Tra l’altro non si possono fare complimenti solamente per la bellezza, ma anche per la casa:

Che bella casa, complimenti!

Oppure per i figli:

Lei ha dei figli bravissimi e dolcissimi!

O per un risultato ottenuto:

Complimenti per la laurea!

Ho saputo che ha aperto una nuova sede per la sua azienda. I miei complimenti!

Eccetera.

Ma non voglio divagare troppo oggi.

Oggi vorrei parlarvi del verbo donare, molto adatto quando si fanno i complimenti.

Non esistono infatti solamente le donazioni, cioè quando si offre qualcosa di proprio ad altre persone, come la donazione del sangue, degli organi o le donazioni in denaro. Parlo dell’uso intransitivo del verbo.

Questo vestito ti dona molto.

Oddio come ti dona questo rossetto!

In questo caso donare vuol dire aggiungere grazia all’aspetto di una persona.

Questo vestito ti sta molto bene

Questa è una frase più o meno equivalente.

In pratica il vestito che indossi ti fa bella, ti giova esteticamente, ti rende più bella o magari più giovane, ti fa apparire in modo migliore, fa risaltare i tuoi pregi, esalta le tue caratteristiche più belle del viso, ti valorizza.

Quanti verbi diversi possiamo usare!

Perché allora usare il verbo donare?

È una delle possibilità, però direi che per fare un complimento è molto apprezzato da chi lo riceve. Posso usarlo però anche al contrario.

Quest’abito è bello, ma non ti dona.

Quindi quest’abito non ti sta bene, pur essendo un bell’abito, magari anche di qualità. Però non valorizza il tuo corpo perché risalta i tuoi difetti e non i tuoi pregi.

Un vestito può donare a una persona e allo stesso tempo non donare affatto a un’altra persona.

Un vestito può star bene a una persona e allo stesso tempo non star bene affatto a un’altra.

Donare però è meglio che “star bene”, perché quando un vestito mi sta bene potrebbe anche significare che non ha niente che non va, o che è della giusta taglia o che, al limite, ci sto comodo.

Se invece mi dona allora non c’è dubbio che quel vestito mi fa apparire di aspetto migliore, perché, per via del colore o per altro motivo, mette maggiormente in evidenza i miei pregi, mette in risalto i miei tratti, oppure mi fa sembrare una persona più alta, più magra, esalta il colore dei miei occhi, non mi fa vedere troppo la pancia, eccetera eccetera.

Se invece un abito non mi dona, come anche un trucco particolare o un taglio di capelli – tante cose possono donare o non donare – evidentemente l’effetto è il contrario: un pantalone che mi fa apparire i fianchi troppo larghi, un maglione che mi fa sembrare tropo grasso, una cravatta con un colore che non si abbina con quello dei miei capelli, eccetera; in tutti questi casi questo capo di abbigliamento (ad esempio) si dice che non mi dona, che non mi sta bene addosso.

Notate che il verbo donare si può anche usare in modo transitivo nelle stesse circostanze, però devo specificare. Vediamo alcuni esempi usati sia in un modo che nell’altro:

Questo pantalone ti dona un aspetto più giovanile (transitivo)

Una gonna che dona alle ragazze con i fianchi larghi (intransitivo)

Questo colore le dona tantissimo (intransitivo)

Questa signora ha uno smalto che le dona molta eleganza (transitivo)

Infine una osservazione.

Il verbo donare si può usare in modo transitivo anche al di fuori dei capi d’abbigliamento e della bellezza delle persone.

Questa crema al pistacchio dona qualcosa di molto speciale ai nostri dolci.

Questa cornice dona al quadro un aspetto troppo antico

Perché non appendi un bel quadro? Un quadro può donare ad un appartamento un aspetto più elegante e raffinato.

Vedete che donare allora, nel caso transitivo, è molto simile a dare, fare, far sembrare, oltre che a rendere. Anche conferire si avvicina molto. È più raffinato persino.

Questo taglio di capelli ti conferisce un aspetto molto raffinato.

Questo vestito ti un aspetto più aristocratico

No, questa gonna non va bene. Ti rende/fa troppo magra

Questo è un pantalone che ti fa (sembrare) più grassa di quello che sei.

Nel verbo donare, come anche in conferire, che è il più simile, c’è anche il senso di aggiungere una qualità nuova e pregevole.

Si ottiene un qualcosa in più, come se fosse un dono, un regalo.

Adesso ripassiamo qualche episodio precedente.

Ripassiamo adesso?
Irina: una domanda di riserva?

Marcelo: Irina, ti sei smarcata subito dalla domanda, neanche ti avesse fatto una domanda personale!

Peggy: a proposito di complimenti, io li adoro, ma a volte è solo tutta fuffa mio malgrado.
Poi il mio ragazzo è molto taciturno in merito. La mia pazienza però è agli sgoccioli. Sono pronta a piantar baracca e burattini e lasciarlo per sempre.

A me non la si fa!

Audio

È possibile ascoltare il file audio in formato mp3 tramite l’audiolibro in vendita su Amazon.

 

Trascrizione

Ciao ragazzi buongiorno e benvenuti su italianosemplicemente.com. Oggi voglio spiegare una espressione che è un po’ complicata da comprendere per uno straniero.

Si tratta dell’espressione “a me non la si fa”. Cinque parole.

Vi spiego subito il significato. Questa frase si usa per esprimere un convincimento. Se dico questa frase vuol dire che io credo che a me nessuno può riuscire ad imbrogliarmi, nessuno può riuscire a fregarmi, a farmi credere qualcosa di falso. Quindi è una frase abbastanza semplice come significato: frasi equivalenti sono:

– a me nessuno mi imbroglia;

– a me nessuno mi frega;

– a me nessuno mi inganna;

– io non sono una persona che si fa ingannare;

– non sono facilmente ingannabile;

– non sono fesso (o fessa);

– non sono uno scemo (o scema)

– non sono nato (nata) ieri. Che è un’ espressione idiomatica. A riguardo, se siete curiosi potete dare un’occhiata alla prima lezione di italiano professionale

Un’altra espressione equivalente è:

– non me la dai a bere. Che è un’altra espressione idiomatica che vi spiegherò alla fine di questo episodio.

Posso ugualmente dire, senza la negazione, ma con lo stesso significato:

– io sono furbo;

– io sono una persona scaltra;

– io mi ritengo una persona molto intelligente.

Eccetera.

“A me non la si fa” è una espressione del tutto equivalente e molto usata nel linguaggio di tutti i giorni. In altre circostanze invece sono più frequentemente utilizzate altre modalità equivalenti di significato, tra quelle viste poco fa.

Passiamo alla spiegazione.

Cominciamo dalle prime due parole: “a me”. A me significa “alla mia persona”, o anche “al sottoscritto”. Semplice quindi.

“Non”, che è la terza parola, è una negazione di ciò che segue, cioè di “la si fa”.

“Non la si fa” è la negazione di “la si fa”.

In effetti è questa la parte più difficile: “la si fa”. Cosa significa?

Ebbene cominciamo dal verbo fare, cioè dall’ultima parola: “fa”. Io faccio, tu fai, lui fa, noi facciamo, voi fate, loro fanno. Come sapete il verbo fare ha molti significati. In generale significa agire, costruire, mettere insieme, eccetera.

Posso dire ad esempio:

– oggi Giovanni fa la pasta per tutti!

Quindi qui ho usato il verbo fare per dire “fare la pasta”, nel senso di mettere l’acqua sul fuoco, il sale nell’acqua e dopo un po’ buttare la pasta nell’acqua. Quindi in questo significa preparare la pasta.

Oppure posso dire a mio figlio:

– Vai a fare i compiti, che è tardi!

In questo caso fare i compiti significa svolgere i compiti. I compiti sono quello che i maestri o i professori, a scuola, dicono ai bambini, agli studenti, da fare a casa per i giorni successivi. Devono fare i compiti, devono svolgere i loro compiti.

Quindi il verbo fare è molto generico, può essere sostituito da altri verbi più specifici, ma la sua genericità fa sì che il verbo fare si presta bene ad essere usato anche in espressioni idiomatiche o espressioni tipiche, ad esempio:

– farsene una ragione;

– farla franca;

– farla finita;

– fare le moine

Eccetera.

Poi il verbo fare si usa molto spesso in senso riflessivo:

farsi un livido (cioè farsi male, procurarsi un livido, su un braccio ad esempio, cadendo)

farsi una casa (cioè comprare una casa, procurarsi una casa);

farsi la ragazza (cioè stabilire una relazione, un rapporto con una ragazza);

farsi da mangiare (cioè prepararsi da mangiare, cucinare per sé stessi);

farsi i fatti propri (cioè pensare a, occuparsi delle questioni personali).

Questi sono tutti utilizzi diversi di “farsi”.

Attenzione perché “farsi” va usato con una certa cautela, con una certa attenzione: usarlo nella forma riflessiva infatti è più difficile, perché “farsi”, nel linguaggio informale, può anche significare “drogarsi”, cioè assumere delle sostanze stupefacenti. Ma può significare anche “comprarsi”, come abbiamo visto nella frase “farsi una casa”.

Ma nella frase che dobbiamo spiegare oggi abbiamo “si fa”.

“Si fa” può avere più significati in diverse frasi. Ad esempio se dico:

– mio figlio si fa i compiti. Sto usando il verbo fare nella forma riflessiva: farsi i compiti. Quindi questo significa: mio figlio sta svolgendo i suoi compiti.

Analogamente posso dire:

– mio figlio si fa da mangiare. Cioè prepara per sé stesso da mangiare.

Una frase equivalente è quindi: mio figlio si prepara da mangiare. Lo fa quindi per sé stesso, non per altre persone.

Mio figlio “si fa” invece, senza aggiungere altre parole dopo, significa semplicemente che mio figlio “si droga”. Attenzione quindi: “mio figlio si fa” e basta vuol dire che mio figlio assume, prende, delle sostanze stupefacenti, proibite, illegali, che fanno male alla salute.  Attenzione al verbo fare quindi, che può essere pericoloso quando lo usiamo in senso riflessivo.

Quindi se diciamo “mio figlio si fa tutti i giorni” vuol dire che mio figlio si droga tutti i giorni. Se invece diciamo “mio figlio si fa tutti i giorni i compiti”, quindi se specifichiamo cosa si fa mio figlio, allora il significato cambia completamente. Nel primo caso “mio figlio si fa”, cioè “fa sé stesso”, che è una espressione idiomatica: farsi=drogarsi. Nel secondo caso “mio figlio si fa i compiti” è il verbo fare in senso riflessivo”: fa per sé stesso i compiti, come farsi da mangiare, farsi la pasta, farsi la fidanzata, eccetera. Questo era importante specificarlo.

Una cosa importantissima da dire è che finora ho sempre detto, ho sempre specificato la persona che compie l’azione, la persona che “fa”. In tutti questi casi, quando è presente il soggetto della frase, “si” serve a usare il verbo fare in senso riflessivo, nel senso di farsi, fare per sé stesso, preparare per sé stesso.

Nella frase di oggi però “a me non la si fa” non si dice chi è che fa, non si specifica chi è che compie l’azione; non si specifica la persona che compie l’azione.

Come mai? Perché non si specifica? Perché non c’è scritto la persona che compie l’azione, la persona che fa? E cosa succede se non c’è il soggetto della frase?

Succede che il significato della particella “si” cambia completamente. In questo caso non c’è nessuno che sta facendo qualcosa per sé stesso; invece si sta parlando in senso generale.

La parola “si”, che è un pronome, qui, nella frase di oggi non indica la terza persona singolare, che abbiamo visto finora: Mario si mangia una mela, Giovanna si beve un bicchiere di vino, eccetera, e non stiamo neanche usando il passato remoto, tipo: lui si mangiò una mela, lei si guardò allo specchio, mio padre si lesse un libro.

Invece la particella si, nel nostro caso, serve a parlare in generale, tipo: “qui si mangia bene”, “in questo ristorante si mangia benissimo”, “in questo albergo si sta molto comodi”. Eccetera.

Questo è il senso della particella “si” nella frase “a me non la si fa”. E potete riconoscere questo significato semplicemente perché manca il soggetto alla frase e c’è il verbo al presente: “si mangia”, “si sta”, “si beve”, “si dorme”, “si riposa” eccetera. In questo caso è “si fa”: “a me non la si fa”. Manca il soggetto e verbo al presente.

Bene, andiamo avanti.

Abbiamo spiegato il verbo “fare”, (e vi ho detto di fare attenzione) poi il significato della particella “si”: “si fa” significa che in generale si fa. Non stiamo parlando di nessuna persona in particolare, in quanto manca il soggetto, non c’è un soggetto esplicito.

Tralasciamo per ora il pronome “la” che si trova nella frase. Che è una parte importantissima.

Concentriamoci sulla frase “si fa”, oppure “non si fa”, per capire come usare “si” in senso generale, in frasi senza soggetto.

Vi faccio alcuni esempi. Potete dire a vostro figlio di due anni che non deve fare la pipì fuori dal water. Puoi dirgli ad esempio: questo non va fatto! Non si fa la pipì fuori da water.

Potete anche dirgli: no! Questo non si fa! Hai fatto ancora una volta la pipì fuori dal water? Ti ho detto mille volte che questo non si fa!

Quindi significa che è sbagliato farlo, non si fa, cioè non è una buona cosa fare questa cosa, comportarsi in questo modo, assumere questo atteggiamento, adottare questo comportamento: non si fa.

“Ma nella frase “a me non la si fa” c’è anche il pronome “la”: “a me non la si fa”, che è il contrario di “a me la si fa. Perché c’è “la”?

Questa è la parte più importante della spiegazione.

Il motivo è che con il pronome “la” si sta indicando qualcosa. Stiamo parlando di un fatto, di un comportamento. Ed usiamo il pronome femminile, anche se non ci sarebbe nessun motivo di farlo. Ma in italiano si fa spesso. Se pensiamo alle frasi:

  • Falla finita!
  • smettila!
  • piantala! oppure
  • “la vuoi piantare?”,
  • “la vuoi fare finita?”,
  • “perché non la pianti?”.
  • Mi stai dando fastidio, ti chiedo se per favore la fai finita di infastidirmi”,
  • “la smetti?”,

oppure anche

  • “la stai facendo troppo lunga”.

Potrei fare mille altri esempi di questo tipo. Insomma si usa sempre il femminile per riferirsi indirettamente a un atteggiamento, un comportamento, e usiamo “la” sia prima che dopo il verbo: piantala, la pianti, finiscila, la finisci. Eccetera. Sono sempre inviti, suggerimenti, che rivolgiamo direttamente alla persona con la quale stiamo parlando.

Lo stesso avviene nella frase “a me non la si fa”. A me, cioè al sottoscritto, alla persona che parla, “non la si fa”.

Allora: non c’è il soggetto, quindi parliamo in generale. “A me”, “non la si fa”. La prima parte “A me” è facile: al sottoscritto.

La seconda parte “non la si fa” significa che in generale nessuno la può fare a me: “Nessuno può farmela”.

Questa è una versione più semplice della frase “a me non la si fa”: “nessuno può farmela”.

In alternativa posso dire:

– “a me nessuno la fa”. In questo caso inserisco “nessuno” e quindi devo togliere “si”: se inserisco il soggetto devo togliere “si”, “nessuno” è il soggetto, ed è un soggetto generico, quindi il significato non cambia.

-a me nessuno la fa = a me nessuno mi frega = a me nessuno mi imbroglia = a me nessuno mi inganna.

Però la parola “la”, che è un pronome, si trova solamente nella frase “ a me nessuno la fa” o “a me non la si fa”.

La, in questo caso, serve a identificare, in senso ampio, in senso largo, qualcosa di negativo, un atteggiamento di qualcuno, in generale, che vuole imbrogliarmi, vuole ingannarmi. In poche parole “vuole farmela”.

Se quindi credo che tu mi voglia ingannare, posso dirti:

– vuoi farmela? Attento, perché a me nessuno la fa!

Questo è un avviso, un avviso, un consiglio che io sto dando a te.

– attento amico, a me nessuno mi frega, nessuno mi imbroglia, io sono furbo, sono guardingo, sono attento, quindi a me nessuno può farmela. Capite il senso del pronome “la”

Ugualmente posso dire:

– vuoi farla proprio a me? A me nessuno la fa! A me nessuno è mai riuscito a farla. A me non la si fa!

Ci sono quindi diversi modalità espressive. Per esercitarci ancora ripetete dopo di me le seguenti frasi:

– A me nessuno mi frega!

– a me nessuno la fa!

– nessuno può farmela!

– nessuno me la può fare!

– nessuno può riuscire a farmela!

– a me non la si fa!

– Anche se credi di potermi fregare, attento amico, perché a me non la si fa!

Al contrario possiamo dire:

– mi fregano tutti!

– mi fregano sempre tutti!

– tutti me la fanno!

– tutti riescono sempre a farmela!

– a me tutti me la fanno!

– A me la si fa molto facilmente!

– tutti riescono a farmela facilmente!

Ovviamente posso anche cambiare e parlare di altre persone:

Se parlo di te: a te nessuno la fa!, a te non la si fa!

Se parlo di lui (o lei): a lui nessuno la fa!, a lui non la si fa!

Se parlo di noi: a noi nessuno la fa!, a noi non la si fa!

Se parlo di voi: a voi nessuno la fa!, a voi non la si fa!

Se parlo di loro: a loro nessuno la fa!, a loro non la si fa!

Devo dire che è un bell’allenamento oggi per la ripetizione!

Infine concludiamo con la frase “a me non la dai a bere”, che come avevo anticipato all’inizio dell’episodio è del tutto equivalente a “ a me non la si fa”.

Questa frase ha la stessa costruzione, e “darla a bere” è un’ espressione idiomatica che significa imbrogliare, ingannare: a me non mi inganni = a me non la dai a bere, cioè a me non la fai bere, ed ovviamente “berla”, viene dal verbo bere, qui è usato con il verbo dare: “dare a bere” per dire “far credere vera una cosa falsa”.

Bene ragazzi, finisce qui l’episodio di oggi.

Spero di essere stato chiaro.

Se volete discutere con me e con un gruppo molto motivato di persone di questa ed altre espressioni idiomatiche vi suggerisco di entrare a far parte dell’Associazione Italiano Semplicemente, dove nessuno ve la darà a bere, tutt’altro direi! Abbiamo un gruppo Whatsapp dove tutti i giorni parliamo, ascoltiamo e impariamo tutti l’uno dall’altro, oltre alle decine di lezioni di Italiano Professionale già disponibili.

Ovviamente ci sono io che vi aiuto quando avete bisogno.

Se siete interessati cliccate sul link che inserisco in questo episodio oppure andate sul sito italianosemplicemente.com e inviatemi la richiesta di iscrizione all’associazione.

Vi aspettiamo!

Un saluto da Giovanni ed al prossimo episodio!

Ps: Grazie delle vostre donazioni