Descrizione:
Spieghiamo l’uso del “plurale maiestatis”, cioè l’uso del noi al posto dell’io, adottato da re, papi e alte cariche. ma oggi?
Audio e trascrizione solo per gli iscritti.
Spieghiamo l’uso del “plurale maiestatis”, cioè l’uso del noi al posto dell’io, adottato da re, papi e alte cariche. ma oggi?
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Buongiorno a tutti. Nella sezione dei verbi professionali ci siamo già occupati del verbo dirimere e anche dell’aggettivo dirimente.
Abbiamo visto che l’uso che si fa del verbo dirimere è vicino a “separare”, “dividere”, “sciogliere”, “risolvere“. Anche risolvere è stato oggetto di un interessante episodio.
Nel caso di dirimere parliamo spessissimo di controversie. Non vi avevo parlato delle controversie ma forse può essere interessante.
Cosa sono le controversie? Le controversie sono disaccordi, contrasti o dispute tra due o più parti su questioni di fatto o di diritto.
Insomma, una controversia avviene quando due persone, ad esempio, non la pensano allo stesso modo. E’ dunque un disaccordo, una specie di litigio, ma ha un utilizzo nel linguaggio del diritto.
Più precisamente, potrei aggiungere che non tutte le controversie sono liti e non tutte sono legate a questioni legali. Il termine “controversia” è spesso utilizzato in un contesto formale, soprattutto in ambito giuridico, per indicare un disaccordo che ha conseguenze legali.
Dicevo che non tutte le controversie sfociano in un litigio. Possono esserci disaccordi che si risolvono in modo pacifico e costruttivo, attraverso la comunicazione, la negoziazione o il compromesso.
Dunque ” dirimere una controversia” è un modo più complesso e formale per dire “portare a soluzione una controversia“.
Che significa? Potrei usare altri verbi, come appianare, concludere, dissipare, risolvere, sanare o sciogliere.
Il verbo “dirimere” indica dunque l’atto di risolvere una controversia, prendere una decisione che pone fine a un disaccordo.
Risolvere è probabilmente il modo migliore per sostituire il verbo dirimere.
E’ interessante anche “appianare“. Deriva chiaramente da “piano” che indica una superficie liscia, senza asperità.
Questo è il significato letterale: “appianare” significa rendere piano, lisciare una superficie togliendo le asperità e le irregolarità. Se vogliamo usare appianare in modo figurato, le asperità sono le divergenze, i problemi, i punti di discussione, i punti che mettono in conflitto due o più parti.
Allora in senso figurato con appianare si vuole indicare l’atto di risolvere un problema, una difficoltà o un ostacolo, eliminando le tensioni e i contrasti. Se c’è un conflitto tra più parti dobbiamo dirimere queste conflittualità, dobbiamo appianare queste divergenze.
Esempio:
Il diplomatico ha cercato di appianare le divergenze tra i due paesi.Come usare “dirimere” in questo esempio? In realtà non è così semplice.
Appianare infatti enfatizza l’aspetto del superamento graduale e pacato delle divergenze, attraverso la mediazione, il compromesso e la ricerca di soluzioni condivise. Si concentra sul processo di riavvicinamento e di ricomposizione delle posizioni contrastanti.
D’altro canto, dirimere sottolinea l’aspetto della risoluzione definitiva e netta della controversia, spesso attraverso un atto di autorità o una decisione vincolante. Implica l’esistenza di un contrasto più marcato e di una necessità di “tagliare il nodo” in modo chiaro e inequivocabile.
Nel caso della frase: “Il diplomatico ha cercato di appianare le divergenze tra i due paesi.”
L’utilizzo di “appianare” risulta più appropriato perché l’obiettivo del diplomatico è quello di promuovere il dialogo, la comprensione reciproca e la ricerca di un terreno comune tra le due nazioni.
L’uso di “dirimere” implicherebbe un approccio più autoritario e unilaterale, che potrebbe non essere efficace o addirittura controproducente in un contesto di relazioni diplomatiche.
Es:
La Corte di giustizia internazionale è stata chiamata a dirimere la controversia territoriale tra i due stati.
In questo caso, “dirimere” è adatto perché si tratta di un’istanza ufficiale con il potere di prendere una decisione vincolante che ponga fine alla controversia in modo definitivo.
Dunque appianare è più adatto per contrasti da superare con gradualità, dialogo e compromesso. E’ anche di uso più comune rispetto a dirimere, che si utilizza per controversie da risolvere in modo definitivo e vincolante.
Adesso passiamo a “dirimente” che è un aggettivo, ma è anche il participio passato del verbo dirimere. Ce ne siamo già occupati nell’episodio dedicato al verbo dirimere. Oggi aggiungiamo qualcosa.
Il voto delle elezioni europee è dirimente per il destino dell’Europa
Una riformulazione più accurata potrebbe essere
Il voto delle elezioni europee avrà un ruolo importante nel determinare il destino dell’Europa.Oltre a “importante,” potrei provare a sostituire “dirimente” in altro modo:
Cruciale Decisivo Determinante Essenziale Fondamentale Rilevante Significativo VitaleAd esempio:
Il voto delle elezioni europee avrà un ruolo cruciale nel determinare il destino dell’Europa.E’ tutto per oggi. Adesso ripassiamo. – – – ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente – – – Marcelo : Ciao a tutti! Finalmente ci siamo, tra poco ci sarà la riunione dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente in Sicilia! Non vedo l’ora di incontrarvi tutti di nuovo. Scalpito dell’ansia! Edita: Anche io sono super entusiasta, Marcelo! È sempre un piacere ritrovarsi con tutti e condividere la nostra passione per la cultura italiana e inoltre poter rammentare i bei momenti condivisi nelle riunioni passate! Julien: Io non vedo l’ora di scoprire cosa Gianni ha in serbo per noi quest’anno. Spero che ci sia il momento propizio di condividere una bella pizza fatta da lui e forse qualche calice di buon vino! Jennifer: Hai ragione, Julien! Mi piacerebbe molto partecipare a qualche laboratorio di cucina e rendermi edotto sulla preparazione della pizza. Sarebbe un’occasione per migliorare il mio italiano e giostrarmela meglio nel corso di una conversazione. Edita: Io invece vorrei chiacchierare su temi di attualità e politica legati all’Italia. Un modo interessante per approfondire la mia conoscenza del paese. Julien: E non dimentichiamo le visite a posti archeologici e i pranzi e cene insieme! L’ultima volta è stato molto divertente! Marcelo: Ci sono davvero tante cose da aspettarsi da questa riunione. Non vedo l’ora di essere li. Basti pensare che sono stato a un passo dal non poter partecipare! Edita: suvvia amici, se c’è qualcuno ancora indeciso, coraggio, non ve ne pentirete!
Giovanni: il verbo porre non si usa moltissimo, ma ci sono alcune occasioni in cui diventa inevitabile.
Iniziamo con il dire che il significato di base di porre è “mettere” o “collocare” e viene utilizzato per descrivere azioni come:
Mettere un oggetto su un tavolo.
ES:
Porre una matita su un tavolo.
È più formale di mettere. Si usa ad esempio quando si fa un concorso e si danno istruzioni ai partecipanti:
Ponete cortesemente la carta d’identità sul banco
In senso figurato, mettere (e quindi porre) si può usare anche in questo modo:
Porre attenzione su qualcosa
Es
Adesso ponete attenzione su ciò che sto dicendo
Ponete attenzione quando state alla guida
Si pregano i gentili passeggeri di porre attenzione ai borseggiatori
Anche questo è un uso meno informale rispetto a “mettere”. Chiaramente anche “fare attenzione” è una possibilità, e tra l’altro è molto più utilizzata rispetto a mettere e porre parlando di “attenzione“.
Si usa come alternativa al verbo “fare” , ancora una volta meno informale, anche quando si “fa” una domanda.
Posso dire infatti:
Porre una domanda
Es: Se volete porre una domanda al professore, potete farlo al termine della lezione.
Porre si può usare anche per fare delle ipotesi: “poniamo che…” Equivalente ma più formale rispetto a “mettiamo che…” e equivalente anche a “ipotizziamo che…”. Per saperne di più date un’occhiata all’episodio di italiano professionale in cui si parla di situazioni ipotetiche.
Es:
Poniamo che io vi insulti pesantemente. Come reagireste?
Altri modi di usare il verbo porre sono:
Porre in evidenza
Porre a confronto
Porre in relazione
Porre a rapporto
In tutti questi casi, il verbo “porre” viene utilizzato in senso figurato per esprimere l’idea di mettere o collocare qualcosa o qualcuno in una situazione specifica o per scopi particolari, diversi dall’uso letterale del verbo.
Quando si “pone in evidenza” qualcosa, si sta sottolineando, mettendo in risalto o enfatizzando un particolare aspetto o caratteristica. Ad esempio:
Il capo ha posto in evidenza i dettagli del suo programma
Quando invece si “pongono a confronto” due o più cose, si stanno valutando le loro differenze o somiglianze. Ad esempio:
È interessante porre a confronto le culture di questi due paesi.
“Porre a rapporto” ha lo stesso uso. Si usa però anche in matematica quando si fa una divisione; infatti ogni divisione si esprime attraverso il rapporto tra due valori o numeri o grandezze.
“Porre in relazione” è leggermente diverso, perché qui, “porre” significa “mettere in una connessione” o “collegare”. Quando si “pongono in relazione” due o più elementi, si sta esaminando come essi sono legati tra loro o come interagiscono. Ad esempio:
Questo libro pone in relazione la storia e la cultura della Regione Lazio.
Adesso passiamo a porsi.
Quando si pone sé stessi, il verbo porre diventa “porsi“.
“Porsi” è quindi una forma riflessiva di “porre“.
Si usa per esprimere l’atteggiamento o l’approccio nei confronti di una situazione.
Es:
Mi pongo obiettivi realistici
Mi pongo delle domande sulla mia vita
Quindi posso pormi degli obiettivi, nel senso di stabilire degli obiettivi che intendo raggiungere.
Nel caso delle domande posso ugualmente anche usare “fare” (o farmi) ma non se parlo di obiettivi.
Stavolta posso sostituire il verbo porsi con “stabilire“, o “fissare” ma con porsi c’è più l’idea dell’impegno personale, essendo riflessivo, e si usa più facilmente in tante occasioni poco formali. Stabilire e fissare suonano più professionali stavolta.
Posso anche usare “prefissarmi/prefiggermi di raggiungere un obiettivo” mantenendo la forma riflessiva e quindi il senso dell’impegno personale.
Un’altra cosa che normalmente si pone (quindi non in senso riflessivo) sono delle condizioni. Anche in questo caso “stabilire” è un adatto sostituto di porre.
I terroristi hanno posto delle condizioni alla base del rilascio dei prigionieri
Quindi porre delle condizioni equivale a stabilire, fissare delle condizioni.
Tornando a “Porsi“, anche col verbo riflessivo possiamo parlare di condizioni:
Porsi nelle condizioni
Quando qualcuno si pone nelle condizioni di fare qualcosa, sta creando le circostanze o le condizioni necessarie per svolgere un’azione o per affrontare una situazione specifica.
Es:
Per ottenere un prestito, devi porti nelle condizioni richieste dalla banca, adempiendo a determinati requisiti di credito e finanziari.
Anche in questo caso si può usare il verbo “mettere“.
Per aiutarti, mi devi mettere/porre nelle condizioni di poterlo fare!
Parliamo sempre di creare le condizioni necessarie per raggiungere un obiettivo o affrontare una situazione specifica.
Il verbo “porsi“, riguarda molto spesso un atteggiamento personale di tipo interiore.
C’è infatti un altro modo per usare questo verbo.
Es:
Come ti poni con i tuoi clienti? Ti poni in modo aggressivo o come una persona riflessiva?
Giovanni non riesce a porsi nel modo giusto ogni volta che conosce una ragazza.
Il “modo di porsi” riguarda il modo con cui siamo percepiti dal prossimo, o meglio, l’impressione che facciamo verso gli altri.
Il “modo di porsi” si riferisce quindi all’atteggiamento, al comportamento o alla disposizione di una persona in una determinata situazione o verso qualcun altro. In altre parole, si tratta di come una persona si comporta o si presenta in relazione agli altri, alle circostanze o a un particolare contesto. Il modo in cui una persona si pone può essere riflessivo, amichevole, aggressivo, timido o in qualsiasi altro modo che descriva il suo atteggiamento o il suo comportamento.
Nel primo esempio, “Come ti poni con i tuoi clienti? Ti poni in modo aggressivo o come una persona riflessiva?”, si sta chiedendo come la persona interagisce con i suoi clienti e se mostra un atteggiamento aggressivo o riflessivo nel suo comportamento.
Nel secondo esempio, “Giovanni non riesce a porsi nel modo giusto ogni volta che conosce una ragazza,” si sta dicendo che Giovanni ha difficoltà a mostrare l’atteggiamento o il comportamento appropriato quando incontra una ragazza. In altre parole, potrebbe comportarsi in modo goffo, timido o inappropriato.
Non parliamo generalmente di vestiti e di aspetto esteriore, anche se a volte si usa anche in questo senso. Es:
Un dipendente di una banca che indossa una maglietta al posto di giacca e cravatta non si pone con i clienti in un modo professionale. Possiamo dire che si pone in modo sbagliato.
Sicuramente mi sto dimenticando altri modi di usare porre e porsi, perché sono veramente tanti.
Mi viene in mente ad esempio solo ora “porre in essere“. che significa mettere in atto o realizzare qualcosa. È spesso utilizzata per riferirsi all’atto di mettere in pratica un’azione, un progetto o un’idea. Ad esempio, se qualcuno dice di “porre in essere un piano” significa che sta mettendo in atto o attuando un piano specifico. In altre parole, si tratta di tradurre in azione ciò che è stato pianificato o progettato.
Es:
L’azienda porrà in essere una strategia di espansione globale, aprendo nuove filiali in diversi paesi
Il docente ha posto in essere un nuovo metodo didattico per coinvolgere gli studenti in attività più interattive e coinvolgenti
Il governo ha annunciato l’intenzione di porre in essere un piano di vaccinazione su larga scala per combattere la diffusione di una malattia contagiosa.
Poi c’è anche “porre rimedio” che significa agire per correggere o risolvere una situazione problematica o un errore. Quando qualcuno “pone rimedio a qualcosa” sta cercando di trovare una soluzione o prendere misure per affrontare un problema o mitigare un danno che è stato causato.
Es:
Come porre rimedio all’inquinamento?
Mi sono accorto degli errori fatti e ho cercato di porre rimedio
A volte si usa anche “porre riparo” con lo stesso senso, che ha un senso diverso di “porsi al riparo“, che si usa in senso simile a ripararsi o proteggersi o mettersi al sicuro prima che accada qualcosa:
Poiché il meteo prevedeva una forte tempesta, la famiglia ha deciso di porsi al riparo in casa anziché andare al picnic.
L’azienda ha cercato di porsi al riparo dagli effetti negativi dell’instabilità economica diversificando i propri investimenti
Quindi rispetto a “porre rimedio a qualcosa” che si usa dopo che è accaduto qualcosa di negativo, “porsi al riparo da qualcosa” è un’azione precedente all’evento negativo. Sta per “prendere misure per proteggersi da situazioni potenzialmente negative” o per evitare conseguenze dannose.
Ora posso porvi una domanda?
Poniamo che io vi chieda un ripasso (che volete, bisogna usare il congiuntivo) che parla del vostro modo di porvi. Cosa mi direste voi?
Andrè: Se sono al lavoro nel momento in cui si svolgono le videochat dell’associazione Italiano Semplicemente come potrei partecipare? Questa è la domanda che mi pongo! Essendo una domanda retorica, tra l’altro, nessuno risponde!
Albèric: Quanto a me, mi pongo spesso l’obiettivo di ripassare almeno due episodi al giorno, dicendomi: questa “sarà la volta buona” che mi metto in pari con le lezioni mancanti. Poi invece, come c’era da aspettarsi, scopro che ci sono 10 nuovi episodi e dico: vaffancina!!!!
Marcelo: Ogni giorno quando mi alzo, mi chiedo come sarà il nuovo giorno: sarà bello, sarà bel tempo oppure no? E non appena alzo la persiana avvolgibile, a prescindere dal tempo, vedo il solito paesaggio mozzafiato, allora ringrazio Dio e mi dico: avanti Marcelo, anche oggi il problema non si pone!
Le parolacce italiane hanno sempre un certo fascino.
Oggi voglio parlarvi di alcune parolacce, ma voglio farlo sia usando un modo più o meno informale, sia un linguaggio più formale. Così, tanto per divertirci.
Cominciamo con il mio consueto linguaggio.
Una delle parolacce più note, neanche a dirlo, è “Vaffanculo“, che letteralmente è un invito, una esortazione ad avere un rapporto anale (immagino in modo passivo). In teoria si invita ad andare in un luogo (anche detto “quel paese”).
Infatti si usa, che ve lo dico a fare, come un’esortazione ad andarsene genericamente e a non disturbare.
Molto maleducata e sgarbata, chiaramente, come esortazione. È, possiamo dire, una formula finale, perché dopo un “vaffa” può esserci solo un altro “vaffa” o termini equivalenti.
Non tutti però hanno voglia di dire parolacce, e tantomeno di impararle.
Vi propongo un’escamotage, perché ci sono alcune varianti interessanti che possono usarsi se non si desidera scadere nella volgarità.
L’utilità sta nel fatto che, anche se non li usiamo noi, almeno saremo in grado di capire se li usa qualcun altro.
Tra l’altro queste varianti, allegerendo il tono dell’invito, si possono usare anche in situazioni diverse da quella dal termine da cui derivano.
A volte non è neanche un invito ma solo un’espressione che manifesta malumore.
Intendo situazioni meno gravi, dove non si arriva necessariamente ai ferri corti con qualcuno, ma si può esprimere un semplice dissenso “colorato” o al limite una incredulità.
Sempre di linguaggio informale parliamo però. Beninteso.
Una delle varianti è “vaffancina“, un’altra è “vaffanbagno” (che sarebbe vai a fare il bagno).
Queste sono le più usate, poi vale la pena ci citare anche “Vaffanl’ovo” e “Vaffanbrodo” che sarebbe come dire “vai a fare l’uovo” e “vai a fare il brodo”.
Che fantasia eh?
Vi potete sbizzarrire comunque a inventarne altre.
C’entra qualcosa la CINA quando si dice vaffancina?
Voglio tranquillizzare i cinesi. Non c’entra nulla la Cina. A noi italiani ci piace solo fare varianti divertenti e curiose.
Vediamo qualche esempio.
Mi sto lamentando con un collega perché la posta elettronica non mi funziona da due giorni.
Questa posta elettronica non vuole proprio funzionare Vaffancina, chissà che problemi ci sono!
Vedete che la mia è solo un’esclamazione per manifestare in modo colorito il mio malumore. Abbastanza simile, sarebbe qualcosa come “porca miseria” o “porca miseriaccia”, “accidenti“, “accidentaccio”. Eccetera.
Oppure:
Sto a dieta da una settimana, quella che mi hai consigliato tu, e… indovina un po’? Ho perso solo 25 grammi! Vaffancina a te e alla dieta miracolosa!
Stavolta ci sono andato un po’ più pesante, perché l’invito è rivolto direttamente a te, seppure in compagnia dalla dieta 🙂
Ultimo esempio:
Domanda: Allora? Che ha fatto la Roma ieri? Ha vinto?
Risposta: ma vaffancina va! Lo sai bene che ha perso!
Bene, spero solo che adesso non userete queste nuove parole con me.
Vedremo…
Adesso ripassiamo qualche episodio passato ma prima ecco il testo riscritto in un linguaggio formale. Laddove possibile userò parole più consone ad un linguaggio forbito.
Le espressioni linguistiche italiane dal contenuto inappropriato esibiscono invariabilmente una sorta di affascino.
Tra le più riconoscibili, senza necessità di ulteriori precisazioni, si annovera l’invito a andare a farsi benedire nel modo più volgare possibile, che, in senso letterale, rappresenta un invito o una sollecitazione a intraprendere un atto sessuale di natura anale, implicitamente di natura passiva.
In linea teorica, questo invito allude ad una direzione geografica, spesso identificata come “quel paese“.
In pratica, tuttavia, si fa un uso comune di questa espressione per invitare una persona a allontanarsi genericamente o a cessare di disturbare.
Si tratta, inequivocabilmente, di una modalità di espressione profondamente maleducata e sgarbata. È inoltre incontestabilmente una formula di chiusura, in quanto solo un “Vaffa” segue ad un altro “vaffa” o, al limite, altri termini di pari volgarità.
Purtuttavia, non tutti condividono il desiderio di fare uso di termini scurrili, né di impararli. Tantomeno da parte mia c’è quello di insegnarlo a voi.
Propongo tuttavia un artificio, poiché esistono alcune varianti interessanti, che consentono di evitare l’uso di volgarità.
La loro utilità risiede nel fatto che, sebbene non si adoperino personalmente, si è in grado di comprenderle qualora siano impiegate da altri.
Inoltre, queste varianti possono essere utilizzate in situazioni differenti rispetto all’originale.
In alcuni casi, tali termini sostitutivi non costituiscono nemmeno un invito, ma rappresentano semplicemente un’espressione di malcontento.
Possono usarsi anche in situazioni meno gravi, in cui non è necessario intraprendere un conflitto diretto con chicchessia, ma in cui è possibile esprimere un dissenso “colorato” o un senso di incredulità.
Va comunque precisato che si tratta sempre di un linguaggio informale.
Una delle suddette varianti è “vaffancina“, un’altra è “vaffanbagno” (un invito a fare il bagno). Queste due sono le varianti più comuni, ma è possibile inventarne di ulteriori a proprio piacimento.
Per quanto riguarda la domanda se “vaffancina” abbia qualche legame con la Cina, è opportuno rassicurare che non esiste alcuna correlazione tra la parola e il paese asiatico. Gli italiani spesso creano queste varianti in modo creativo e giocoso.
Ecco alcuni esempi:
Mi sto lamentando con un collega riguardo al fatto che la mia posta elettronica sembra fare le bizze da due giorni:
Questo servizio di posta elettronica sembra completamente inattivo, chissà dove risiede la causa. Vaffancina!
In questo contesto, la mia espressione rappresenta semplicemente un modo colorito per esprimere il mio disagio, in modo simile a espressioni come “per l’amor del cielo” o “non ci posso credere”.
Un altro esempio:
Ho seguito una dieta raccomandatami da te per una settimana, e prova a supporre un po’ cosa può essere accaduto? Ho perso solo 25 grammi!
La tua dieta che definivi miracolosa si è rivelata un vero flop. Vaffancina!
In questo caso, l’invito colorito è rivolto a te, anche se coinvolge parimenti la dieta.
Un altro esempio:
Domanda: “Allora, com’è andata ieri la Roma? Hanno vinto?”
Risposta: “Ma figurati! Sai benissimo che hanno perso!” Vaffancina va!
Spero sinceramente che in futuro non si faccia uso di queste nuove parole rivolgendole contro il sottoscritto. Sarebbe quantomeno irriconocscente nei miei confronti!
Per favore, adesso procediamo con il consueto ripasso.
Marcelo: Guarda, io non faccio uso di parolacce. Al massimo potrebbe scapparmene una senza volerlo. Che so, avete presente quando sbattete il mignolo del piede in uno spigolo?
Descrizione: il verbo pregiudicare è un verbo molto usato nel linguaggio scritto, soprattutto in ambito lavorativo, specie quando si fanno delle relazioni sull’andamento dell’attività o quando si devono evidenziare i rischi legati a determinate scelte e decisioni.
La trascrizione completa e il file audio dell’episodio sono disponibili per i membri dell’Associazione Italiano Semplicemente.
Buongiorno ragazzi, eccoci di nuovo insieme per una nuova espressione italiana.
L’espressione di oggi è “dare adito”. Prima voglio raccontarvi qualcosa sulle ultime novità di Italiano Semplicemente.
Abbiamo aperto l’iscrizione all’associazione anche per le scuole e gli istituti di italiano nel mondo. Una novità molto importante perché permette ad intere scuole di aderire all’associazione Italiano Semplicemente e così permettere a tutti gli studenti della scuola di avere a disposizione tutte le lezioni di italiano dedicate ai membri.
Vi invito a leggere i vantaggi di questa iscrizione per tutte le scuole di italiano nel mondo. Un’iniziativa unica, di cui sono orgoglioso. Ve ne parlerò nel futuro anche se ci saranno sviluppi e novità. L’espressione di oggi è “dare adito”. Sicuramente questa è una delle espressioni che uno straniero non usa mai, ed il motivo è che non si trova nei libri di italiano, e non capita molto spesso di ascoltarla in strada o come semplice turista. Infatti è una espressione che si usa molto in ambienti professionali e istituzionali, soprattutto per iscritto. Molto usata anche dai giornalisti e nella stampa in generale.
Bene, il verbo dare lo conoscete tutti: dare è semplice da capire e è un verbo molto usato nella lingua italiana e anche in molte espressioni perché si può usare in moltissimi contesti e situazioni diverse. Molte cose si possono dare. Per dare qualcosa è sufficiente essere in due. Una dà e l’altra riceve: posso dare una mela, posso dare un bacio, una carezza, un abbraccio o anche un documento. Questo nel senso proprio del termine, nel senso che si prevede a volte il passaggio di un oggetto da una mano all’altra, a volte si tratta non di un oggetto ma di un qualcosa di immateriale (il bacio o l’abbraccio). Tante cose si possono dare: dare soddisfazione, dare credito, dare speranza, eccetera.
In questo caso si “dà adito”. Questa parolina, adito, se state guardando il vocabolario, è legata al concetto di entrata, oppure a quello di possibilità, di facoltà, di accesso, di passaggio, di ingresso. È come se si aprisse una porta, ma in senso figurato. A dire il vero non solo in senso figurato ma anche in senso proprio.
Infatti posso dire ad esempio:
Quella porta permette l’adito a un giardino
Difficilmente ascolterete questa frase da un italiano. È più facile trovare un documento, magari un documento tecnico con una frase di questo tipo. Significa che attraverso quella porta, passando per quella porta, si accede, si entra, in un giardino. Adito quindi è uguale ad accesso, uscita, passaggio, in questo caso.
In senso più figurato, all’università, potreste ascoltare una frase come ad esempio:
Ci sono alcuni titoli di studio che danno adito all’università.
Questo significa che il possedere quei titoli si studio, uno di quei titoli di studio permette di iscriversi all’università. Vedete che anche in questo caso si ha un accesso, un qualcosa che permette un passaggio, come una porta. Se non abbiamo uno di quei titoli di studio, la porta dell’università è chiusa. Non possiamo accedere all’università, nel senso che non possiamo iscriverci all’università se non abbiamo uno dei titoli di studio che danno adito all’università, cioè che permettono, che consentono l’iscrizione all’università.
C’è sempre un’entrata, una porta che si apre, ed in ognuno dei casi si vuole evidenziare la possibilità, la facoltà che abbiamo, non il fatto che la utilizziamo effettivamente questa facoltà.
.
La porta dà adito al giardino: allora da quella porta possiamo andare in giardino.
Il titolo di studio dà adito all’università: allora senza quel titolo di studio non possiamo andare avanti in quella università.
In senso più ampio, se usciamo ancora di più dall’ambito fisico, materiale, possiamo usare la frase “dare adito” o “avere adito” accompagnata dalla preposizione a, al, alla, agli, allo, alle, per indicare una facoltà.
Ho detto che posso usare anche “avere”, quindi posso “avere adito” ad una casa o ad un giardino nel senso che ho la facoltà di accesso, ma se mi riferisco ad una porta, ad una finestra, ad un cancello, allora uso il verbo “dare”: la porta dà adito al giardino.
Questo è quello che avviene da un punto di vista materiale. Se invece esco dal materiale, in senso ampio posso usare dare adito e avere adito in più modi:
Ad esempio un mio atteggiamento o comportamento può dare adito a qualcosa.
In questo caso voglio dire che con il mio comportamento apro alla possibilità che possa accadere qualcosa. Vediamo con qualche esempio:
Il mio comportamento ha dato adito a molte critiche.
Sto dicendo che il mio comportamento ha permesso ad alcune persone di criticarmi, se invece io non mi fossi comportato in questo modo non sarebbe successo.
In modo simile potrei dire (più usato dalle persone comuni):
Il mio comportamento ha generato molte critiche.
Il mio comportamento ha provocato molte critiche.
Il mio comportamento ha destato molte critiche. Questa è più ricercata come frase.
Il mio comportamento ha dato luogo a molte critiche. Dare luogo è simile a generare ma è più formale.
Il mio comportamento ha ingenerato molte critiche. Il verbo ingenerare equivale a generare, dar vita, provocare, ed è meno usato ma più formale di generare, poi ingenerare si usa solo nei rapporti sociali, mentre generare è molto ampio come verbo.
Il mio comportamento ha dato la stura a molte critiche. “Dare la stura” è del tutto analogo a “dare adito”, ma è meno elegante e si usa quando si vuol fare riferimento a un’improvvisa ondata, in questo caso di critiche. Lo spiegheremo meglio in un prossimo episodio.
L’espressione dare adito si usa prevalentemente in senso figurato, e meno in senso materiale, quindi si usa soprattutto nei comportamenti delle persone. Quando un comportamento di una persona può, anche involontariamente, provocare degli effetti indesiderati. Quando un certo comportamento può generare effetti spiacevoli, allora possiamo usare “dare adito”. Non è detto che questi effetti spiacevoli ai quali si dà adito poi effettivamente si verifichino, però intanto la porta è stata aperta. Staremo a vedere se sarà utilizzata!
La paola adito può anche essere usata insieme alla parola “presso”: adito presso. Ad esempio posso dire:
Ho libero adito presso il mio direttore.
Questa espressione significa che io ho la facoltà di accesso, posso andare da lui, posso farlo, ne ho la facoltà, sono nelle condizioni di poterlo fare, posso farlo, posso andare da lui (anche qui vedete c’è una facoltà) perché ho un certo rapporto di conoscenza col direttore, magari anche di amicizia quindi ho adito presso di lui, ho adito presso il direttore.
In questo caso il verbo è “avere” adito e non “dare” adito. Quindi avere adito è un altro modo di dire che avete la facoltà di fare qualcosa.
Adesso un piccolo esercizio di ripetizione. Attenti alla preposizione.
Dare adito
Avere adito
Dare adito alle critiche
Non devi dare adito alle critiche
Dare adito a polemiche
Il presidente ha fatto chiarezza per non dare adito a polemiche
Non vorremmo dare adito a polemiche
Dare adito ad ulteriori equivoci.
Vediamo un paio di frasi professionale del mondo del lavoro:
Per non dare adito ad equivoci, consegneremo la merce entro le 13:00
Per non dare adito a polemiche, il pagamento avverrà contestualmente alla consegna della merce.
Per non dare adito a sospetti, non venderemo le nostre azioni fino a domani.
Bene ragazzi, spero abbiate gradito questa espressione, molto utilizzata in ambito professionale e istituzionale. Ambito nel quale noi di Italiano Semplicemente cerchiamo di chiarirvi più aspetti possibili, visto che Italiano Semplicemente è specializzato anche nell’italiano formale, nell’italiano professionale, ed ovviamente per non dare adito a critiche dobbiamo cercare essere sempre precisi e puntuali, altrimenti c’è sempre qualcuno che dice: Attenzione! Avete sbagliato questo! Attenzione, avete sbagliato quest’altro. Attenzione! Allora per non dare adito a critiche di nessun tipo dobbiamo sempre essere precisi e puntuali. Ciao!
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