710 Benedetto, ben detto e ben fatto

Benedetto, ben detto e ben fatto (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: abbiamo già parlato di ben. Giusto?

In quell’episodio, tra le altre cose, ho utilizzato anche un’esclamazione:

Ben detto!

Che si usa quando si approva una affermazione con entusiasmo e soddisfazione, specie quando ce n’è veramente bisogno. Spesso poi si accompagna questa esclamazione con un’espressione del viso di compiacimento. Vale a dire che si esprime gradimento, si mostra e si sente un’intima soddisfazione.

Tutto questo però non l’avevo detto!

Meglio tardi che mai allora!

Se ad esempio sono stato licenziato, se cioè ho perso il lavoro, posso dire:

Non mi devo abbattere, devo mettermi subito a cercare un altro lavoro!

Qualcuno, che mi vuole bene ed apprezza le mie parole può dire:

Ben detto! Bravo, così mi piaci!

Che è un po’ come dire: è lo spirito giusto da avere in questi casi! Approvo pienamente ciò che hai detto.

Similmente si utilizza anche “ben fatto“:

Mio marito mi ha tradito e io sai cos’ho fatto? L’ho cacciato di casa!

Io, che sono tuo amico rispondo:

Ben fatto! Così impara ‘sto stronzo!

Oh, scusate, mi sono lasciato andare!

Notate che non c’è alcun verbo davanti. Se ci fosse, sarebbe il verbo avere:

Hai ben fatto!

Ma, generalmente, quando si mette il verbo avere, si inverte:

Hai fatto bene!

Hai fatto bene a lasciarlo!

Avete fatto bene a fare questo

Secondo te ho fatto bene a farlo?

Ma un conto è comunicare un concetto, un altro conto è comunicare un’emozione:

Ben fatto!

C’è approvazione, ma anche sostegno, entusiasmo. C’è emozione.

Che ne dite se adesso cambiamo il verbo ausiliare?

Questo lavoro è veramente ben fatto!

Adesso essere è il verbo usato.

Beh, questa frase è da leggere un po’ diversamente, cioè:

Questo lavoro è fatto veramente bene, è ben fatto. Anche qui se usiamo prima ben e poi fatto, c’è più emozione e coinvolgimento rispetto a “fatto bene”.

Torniamo a:

Ben detto!

Cioè: hai detto proprio bene, approvo pienamente ciò che hai detto. C’è entusiasmo e soddisfazione anche in questo caso.

Invece “hai detto bene” può indicare ugualmente una approvazione (con poco entusiasmo in genere) ma più spesso si usa quando qualcosa è corretto, è giusto, quando non ci sono errori:

Dico bene?

Sto dicendo bene?

Hai detto bene, nessun errore!

Per “hai fatto bene” vale lo stesso discorso.

Bene.

Adesso, dopo “ben detto” , passiamo a benedetto.

Notate per prima cosa che la prima “e” è chiusa e non più aperta. Sono tutte chiuse in realtà, anche se nel nord Italia spesso si sentono e aperte, specie la seconda e.

Ciao, mi chiamo Benedètta!

Benedetto comunque non c’entra proprio nulla con “ben detto“, questo lo avete capito già.

Tra l’altro è un’unica parola.

Infatti Benedetto, oltre ad essere un nome maschile (come anche Benedetta, che è un nome femminile) – e si scrive con l’iniziale maiuscola in questo caso – è anche un aggettivo.

Ha a che fare con le benedizioni, certamente. Anche questo lo sapete già.

In chiesa c’è l’acqua benedetta, ad esempio (o almeno prima del COVID c’era). Anche l’ostia è benedetta, perché rappresenta il corpo di Cristo.

Tutte cose che già sapete naturalmente.

Ma in senso figurato, l’aggettivo benedetto e benedetta si usano tantissimo nel linguaggio comune.

Infatti si utilizza generalmente per esprimere un affettuoso rimprovero, oppure quando si vuole evitare di dire parolacce, ma facendo capire chiaramente che c’eravamo quasi…

In questo caso l’affetto non c’entra granché!

Vediamo se sapete distinguere.

Vi faccio qualche esempio.

Un professore chiede a uno studente:

Oggi sei preparato? Vorrei interrogarti.

Lo studente dice che non ha potuto studiare e chiede di spostare ad un’altra occasione.

Il professore:

Ma, benedetto ragazzo, sono già tre volte che rimandiamo. Quando deciderai di metterti a studiare?

Allora? Rimprovero affettuoso o incazzatura mitigata?

Si tratta di un rimprovero affettuoso. Il professore rimprovera, sgrida il ragazzo ma lo fa con affetto, senza essere duro, senza punirlo o maltrattarlo. Se ci fosse solo affetto direi “caro ragazzo“.

Qusto professore probabilmente avrebbe potuto usare parole diverse, ben più pesanti e per niente affettuose:

Ma porca miseria! È già la terza volta!

È solo un esempio.

Secondo esempio:

Esco di casa con la solita fretta e come sempre c’è traffico.

All’ennesimo semaforo rosso che mi scatta sotto gli occhi dico:

Uff… Questi benedetti semafori! Sempre rossi mi capitano!

Lo so, vorremmo dire di peggio, ma stavolta ci tratteniamo.

Questo non è ovviamente un rimprovero affettuoso ma una leggera irritazione. Magari c’è qualcuno vicino a noi e non vogliamo mostrarci isterici di prima mattina!

In quest’ultimo caso al posto di benedetto potrei sbizzarrirmi con altri termini:

Ma guarda tu! Tutti rossi mi capitano!

Questo caspita di semaforo rosso!

E che cacchio!

Che diamine! Proprio adesso che ho fretta!

Questo cavolo di semaforo!

Avtrete notato che ho evitato termini ben peggiori!

Allora, ho fatto bene a fare un episodio di questo tipo?

Karin: veramente ben fatto direi, ma, benedetto presidente, so che sacrifichi il tuo tempo per il meglio di tutti noi, ma i due minuti sono passati da un bel pezzo.

Peggy: ma io mi domando e dico: a che pro criticare? Me lo vuoi fare un favore? Anziché dire castronerie, abbi la bontà di tacere. Per quello non c’è bisogno di imparare una lingua!

Sofie: ben detto Peggy! Gli hai dato un benservito bell’e buono! D’altronde ti ha fornito un assist perfetto criticando Giovanni. Tra l’altro lui non ha raccolto la provocazione. Un vero signore, no?

Ulrike: a me la vostra sembra una reazione un po’ sopra le righe. Cosa avrà detto mai Karin di così offensivo? A cosa si deve tanta acredine?

Irina: Acredine? Proprio a ridosso della fine dell’episodio te ne esci con le parole nuove? Sei proprio senz’appello! E dire che avevo quasi capito tutto…

Ricorrere e fare ricorso – VERBI PROFESSIONALI (n.74)

Ricorrere e fare ricorso

Indice verbi professionali

Ricorrere e fare ricorso

Ricorrere è il verbo numero 74 della sezione verbi professionali. 

La trascrizione completa e il file audio dell’episodio sono disponibili per i membri dell’Associazione Italiano Semplicemente.

ISCRIVITIENTRA

 

709 La vogliamo dire la verità? Come dare enfasi

La vogliamo dire la verità? Come dare enfasi (scarica audio)

Enfasi

Trascrizione

Giovanni: oggi parliamo di un argomento molto interessante: come dare enfasi, ciò come enfatizzare, sottolineare, dare rilievo, mettere in risalto un particolare elemento di una frase. Questa è una cosa difficile da fare per un non madrelingua, che normalmente sta più attento ai singoli termini della frase, a non sbagliare i verbi e alla preposizione giusta da usare.

Oggi non ci occupiamo di tutti i modi che esistono per dare enfasi, considerato che questo è un episodio della rubrica “due minuti con Italiano Semplicemente” ma di uno di questi modi.

Dunque, ciò che vogliamo fare è enfatizzare qualcosa in una frase, quindi vogliamo porre in rilievo, cioè mettere in rilievo un elemento della frase.

Lo possiamo fare attraverso la posizione da dare, nella frase, a ciò che vogliamo enfatizzare.

Ad esempio se devo dire a mio figlio che deve sbrigarsi a fare le valigie potrei dirgli:

Le facciamo queste valigie?

Vogliamo farle queste valigie o no?

In pratica ciò che facciamo è mettere ciò che vogliamo enfatizzare nella frase alla fine, mentre all’inizio mettiamo un pronome o una particella (lo, la, li, gli, le, ne, vi, ci) prima o dopo il verbo.

Possiamo farlo col soggetto, come negli esempi visti sopra, oppure con un complemento o altro.

Facendo questa operazione diamo enfasi, mettiamo in risalto ciò che spostiamo alla fine, e i motivi possono essere diversi.

Magari siamo stanchi di ripetere sempre la stessa cosa:

Es. Se qualcuno mi dice:

Che significa dare enfasi?

Io potrei rispondere:

L’ho già detto cosa significa!

L’ho già spiegato questo!

Non è una risposta molto gentile questa.

Oppure sono arrabbiato, oppure voglio stimolare il mio interlocutore a fare qualcosa, voglio incitare una persona, la voglio spingere a fare qualcosa.

Stiamo attenti a quando usiamo questa tecnica perché potremmo risultare poco cortesi, o sembrare irritati quando non lo siamo in realtà.

Es:

Se mia madre mi dice di andare a fare i compiti ed io li ho già fatti, posso rispondere:

Ho già fatto i compiti

Farò domani i compiti

Oppure:

Li ho già fatti i compiti!

Li faccio domani i compiti

Oltre al tono che uso, mettere il pronome “li” davanti enfatizza la risposta, e questo si fa sempre per qualche motivo. Non è detto, ma potrei essere scocciato, irritato nel dover rispondere a una domanda che ritengo inopportuna o fastidiosa.

Attenti quindi. Anche il tono è importante naturalmente. Si usa spesso anche nelle domande.

Vediamo altri esempi:

Che ne dici se quest’anno in vacanza andiamo in Calabria?

Una normale risposta può essere:

siamo stati già molte volte in Calabria

ci siamo già stati molte volte in Calabria!

Oppure, se siamo in fila dal salumiere e una persona non rispetta la fila e vuole passare avanti:

La vuoi rispettare questa fila?

Oppure (attenti) con tono ironico:

La vogliamo rispettare questa fila? Ne ho già tanti di problemi!

Stavolta lo abbiamo fatto ben due volte, con “la” e con “ne”.

Questo è un invito, non troppo cortese, a rispettare la fila.

Se c’è un’auto troppo lenta davanti a noi e questo ci dà fastidio, potremmo abbassare il finestrino e urlare (non fatelo!)

Allora, ci vogliamo dare una mossa?

Ancora peggio:

Ce la vogliamo dare una mossa?

Se nostro figlio non studia abbastanza:

Lo vogliamo aprire questo libro ogni tanto?

Lo vogliamo fare qualche esame?

Vedete che spesso, se vogliamo anche fare un filo di ironia, si usa la prima persona plurale (noi) quando invece dovremmo usare la seconda singolare (tu) o plurale (voi). Ma possiamo ugualmente dire, più seriamente:

Vi volete sbrigare?

Ti vuoi dare una mossa? Sono due ore che sto aspettando.

Te la vuoi dare una mossa?

Vuoi fare qualche esame o no?

Glieli vuoi restituire i soldi a tua sorella? Te li ha chiesti già due volte.

I più attenti avranno notato che si tratta anche di domande cosiddette retoriche, perché non sono vere domande. Date un’occhiata all’episodio dedicato alle domande retoriche se non lo ricordate bene. È uno dei primi della rubrica.

Un’altra volta vedremo anche gli altri modi per dare enfasi. Questo secondo me è il più interessante e utile per i non madrelingua.

Allora adesso mi rivolgo ai membri dell’associazione:

Lo vogliamo fare questo ripasso?

Non vi arrabbiate, non volevo essere scortese. Era solo per usare un’ultima volta questo modo per dare enfasi. Non me ne volete.

Peggy: uff, che pizza! Facciamolo, facciamolo, e non preoccuparti ché sarebbe inutile arrabbiarsi con te. Avrai sicuramente la grazia di non criticare i nostri tentativi di ripasso.

Rauno: mmm, non so a voi, ma a me questa sembra una risposta sibillina.

Marguerite: forse M1 voleva solo ripassare un episodio che abbiamo un po’ trascurato perché a volte è difficile trovare il giusto contesto per farlo. Non credo abbia reagito così per ripicca.

Giovanni: beh a volte bisogna fare uno sforzo in più. Ci si aspetta questo dai membri dell’associazione. Qualunque pretesto è benaccetto. Questa è, passatemi il termine, una regola dei ripassi.

Irina: dopo la chiosa del nostro presidente, dobbiamo dimostrargli che siamo pronti a sottostare alla regola di cui sopra.

Hartmut: ben detto! Smarchiamoci da ogni sospetto di mancanza di disciplina.

708 A che pro?

A che pro? (scarica)

Video YouTube con sottotitoli

A che pro

Trascrizione

Giovanni: abbiamo già fatto un episodio che riguarda “perché” , giusto? Anzi ne abbiamo fatto più di uno. Il primo ha riguardato la differenza tra perché e poiché, mentre nel secondo ci siamo occupati di “come mai“. Poi ce ne sono anche altri.

Oggi ne facciamo un altro.

Voi potreste chiedermi:

A che pro farne un altro?

A che pro fare un altro episodio sul termine perché, visto che già ne abbiamo fatto più di uno?

Lo avete già capito, rispondo io, allora a che pro dare una spiegazione?

In realtà, qualcosa da dire c’è ancora. Perché la locuzione “a che pro” è vero che può sostituire “perché” in alcuni casi, ma la questione è più complessa.

Bisogna spiegare bene il termine “pro” che abbiamo già incontrato in un’altra locuzione. Sto parlando di “pro-forma“. Qui è una preposizione, e come tale in genere ha un significato simile a “in favore” o” a favore“. In pratica pro è l’opposto di contro, e si usano spesso insieme:

Tu sei pro o contro la nuova legge?

Io voterò contro il governo, ma molti votano pro.

Pro e contro stanno spessissimo insieme in una frase, anche quando diventa sostantivo:

Bisogna considerare il pro e il contro di una soluzione.

Abbiamo valutato tutti i pro e tutti i contro della nostra scelta?

Cioè abbiamo considerato tutti i vantaggi e tutti gli svantaggi? Pro sta per vantaggi, benefici.

Oltre a pro-forma, ci sono altre locuzioni molto comuni, come promemoria, pro-capite, pro-tempore e in questi casi ha un significato analogo a “per“.

Anche quando fate una donazione, la fate a favore di qualcuno, quindi ad esempio una donazione pro-bambini abbandonati, cioè la fate per questi bambini, a loro favore.

In questi casi comunque è molto più comune usare “a favore di” e “in favore di”.

Fare una donazione a favore di Italiano Semplicemente

Quando invece usiamo la locuzione “a che pro“, in una domanda, non si parla propriamente di benefici, ma di ragioni, motivi.

A che pro la usiamo soprattutto quando non capiamo per niente il motivo, l’obiettivo di un’azione.

Spessissimo c’è anche una nota polemica quando usiamo “a che pro“. In realtà crediamo che non ci sia un motivo valido e che quella scelta abbia soltanto conseguenze negative.

Senza questa nota polemica si potrebbe anche dire “per avere quali benefici?”

Altrettanto usate sono:

A che scopo

A quale scopo

Ma si usano anche:

Qual è il motivo per cui…

Per quale ragione…

Vediamo qualche utilizzo dell’espressione “a che pro” dalle notizie di oggi.

Continuiamo a produrre infinite quantità di plastica, ma a che pro lo facciamo? Non abbiamo un pianeta di riserva in cui andare.

Alcuni virologi, cioè esperti di virus, hanno in questi giorni realizzato una canzoncina a favore dei vaccini. Ma molti si chiedono: a che pro rovinarsi la reputazione? Studiosi seri, medici affermati, che si sono prestati a fare una canzoncina da bambini. A che pro l’hanno fatto?

Per chi è interessato, la canzone si chiama “Sì sì vax”. La trovate su YouTube.

Ovviamente i virologi sono pro-vaccino, e avranno sicuramente valutato pro e contro quando hanno preso questa decisione.

Adesso ripassiamo.

Mariana: bene. Io sono decisamente pro-ripasso. Ne va della memorizzazione delle espressioni precedenti.

Marcelo: io invece sono contro. È vero che coi ripassi si memorizza di più, ma in compenso senza ripassi ho più tempo libero

Peggy: sarà! Io intanto, vuoi per restare sul pezzo, vuoi perché sono molto curiosa, per non saper né leggere né scrivere, mi vado a ripassare la lezione che verte sulla locuzione “ne va“.

Ulrike: Il che significa che anche tu Peggy dovevi prendere contezza che l’espressione “ne va dicorreva il rischio di passare in cavalleria? Non sarebbe niente di trascendentale, dato che dal momento della pubblicazione dell’episodio a questa parte, Gianni ci ha offerto una caterva di altre espressioni. Non dobbiamo abbatterci, tantomeno però dobbiamo sgarrare con i ripassi, anzi, secondo me diventano sempre più importanti.

707 Tipico, topico e saliente

Tipico, topico e saliente (scarica)

Trascrizione

Giovanni: dunque, questo è un tipico episodio di Italiano Semplicemente, in cui cercherò di farvi conoscere qualcosa della lingua italiana. È un tipico episodio anche della rubrica due minuti con Italiano Semplicemente, in cui non riuscirò a rispettare la durata promessa.

Hartmut: Ma questo è anche normale, essendo tu un tipico italiano, che non rispetta le regole. Si direbbe quasi che a stabilirle sia stato qualcun altro…

Giovanni: abbiate pazienza.

Cosa imparerete in questo episodio? Allora siccome tutti conoscete già il significato di tipico, dovrò concentrarmi su un termine simile ma poco conosciuto da chi non mastica italiano quotidianamente. Parlo del termine “topico“.

L’uso prevalente è quando parliamo di tempo.

In particolare, l’aggettivo topico si usa per qualificare quasi sempre un momento, oppure un minuto, un’ora, una giornata.

Un momento topico

Un minuto topico

Un’ora topica

Una giornata topica

Si tratta di un momento importante, decisivo, cruciale, risolutivo per ciò che accadrà dopo, cioè per gli sviluppi successivi.

Mary: dunque è un momento in cui cambiano le cose, un momento di svolta, se vogliamo.

Giovanni: esattamente. Si usa molto nello sport, nel descrivere i momenti salienti di una partita, i momenti in cui accadono le cose più importanti della gara.

Anche una serata tra amici può avere il suo momentilo topico, quello più importante, magari quello in cui accade qualcosa che cambia l’andamento della serata.

Lo stesso si può dire del momento topico di un film. E se perdiamo il momento topico di un film non capiamo nulla.

Possiamo parlare anche di momenti salienti, con lo stesso significato, che si tratti di un film, una serata, una partita o qualsiasi altro evento.

Solo che i momenti salienti sono generalmente più di uno, ed inoltre tante cose diverse possono essere salienti.

Il significato di saliente è anch’esso legato all’importanza, quindi significa notevole, rilevante, oltre che usarsi prevalentemente al plurale: i fatti più salienti di un periodo storico; i punti salienti di un discorso; i tratti salienti di una persona, le caratteristiche salienti di un’opera eccetera.

Se parlo di tempo, posso dire

le fasi più salienti di una gara

O

I momenti salienti di un film

Ma il momento topico è generalmente uno solo, ed è quello in assoluto più importante, quello cruciale. Poi, se un momento è topico, è perché da quel momento le cose cambiano. È un momento determinante per questo motivo. Per questo non è adatto per descrivere altre cose al di fuori della dimensione temporale.

Ma perché topico? Da dove viene questo termine?

Topico viene dal greco topos, che significa luogo, e per questo motivo l’aggettivo topico si usa ad esempio per indicare dei medicamenti da applicare su determinate aree del corpo, tipo le creme antidolorifiche, che sono appunto di uso topico, vanno quindi applicate localmente, sul “luogo” del corpo che fa male.

Ma per luogo si può intendere anche un argomento, un tema, una argomentazione.

E infatti la topica, nella retorica classica, è la ricerca di argomenti generici a cui si può fare ricorso per una determinata dimostrazione, per esporre le proprie tesi, su un certo argomento, per convincere, per persuadere, per insegnare.

Allora topico indica il mezzo dialettico con cui condurre un’argomentazione. Più in generale si definisce topico tutto ciò che riguarda l’arte topica.

Ci sono allora gli scritti topici di Aristotele.

Ma allora perché topico oggi si usa soprattutto per indicare un momento molto importante?

Marcelo: potresti venirci incontro? Non è che sia molto intuitivo.

Giovanni: Perché nell’arte topica si cerca di trovare il modo e la situazione giusta, il momento giusto e anche il luogo migliore, per arrivare all’obiettivo, che era per i greci, esporre le proprie idee.

Per questo si parla del momento topico, quello risolutivo, decisivo, cruciale. L’arte della topica è riuscire a trovare il luogo e il momento più adatti e importanti per esporre le proprie tesi.

Tipico invece viene da typos, sempre dal greco dunque, ma typos significa impronta, e ognuno di noi ha la propria impronta. È dall’impronta delle zampe che si riconosce l’animale. Quindi tipico è ciò che rappresenta qualcosa, cioè che lo identifica. Quanto tempo abbiamo impiegato oggi?

Peggy: un episodio bello lungo. Faccio appello alla mia pazienza ancora una volta.

Giovanni: grazie per la pazienza. Alla prossima!

706 Sacrificato

Sacrificato (scarica)

Trascrizione

Giovanni: sapete cos’è un sacrificio?

Ulrike: qualcosa che si mangia? In tal caso ne assaggio senz’altro uno.

Giovanni: casomai è qualcosa che non si mangia.

Mi spiego meglio. Per sacrificio si intende in realtà un qualcosa di religioso, di sacro. È un gesto rituale con cui qualcosa, o anche un animale o una persona viene consegnata al sacro, viene offerto a Dio. Un gesto a favore di una o più entità sovrumane, divinità, per dimostrare l’adorazione verso di lei. Si rinuncia a qualcosa a favore di una divinità. È un’offerta fatta a Dio. Questo è l’origine del termine sacrificio e uno dei significati.

Ma questo è un concetto abbastanza primitivo (oltre che sacro) del termine.

Peggy: ma bisogna sempre scomodare il sacro?

Giovanni: no, infatti nell’uso più frequente un sacrificio è, più in generale, una rinuncia sofferta. Qualunque rinuncia che ci fa soffrire è un sacrificio.

Ognuno di noi può fare sacrifici allora si rinuncia a qualcosa di importante. Magari facendo un’offerta, o comunque facendolo per qualuno questo sacrificio.

Es.

Se il professore vuole interrogare una persona in classe, qualcuno potrebbe decidere di sacrificarsi a favore dei compagni e farsi interrogare. Non c’è niente di sacro qui, e non ci sono morti né sangue.

Il professore: qualcuno vuole sacrificarsi per i propri compagni?

Il senso è anche un po’ ironico.

Notate anche l’uso della preposizione. L’uso di “a” generalmente contiene qualcosa di sacro o religioso:

Un agnello sacrificato a Dio

Per” invece è più frequente ma non religioso.

Si è sacrificato per la patria

Un sacrificio per dimagrire

Se facciamo una dieta infatti, dobbiamo rinunciare a qualcosa di buono. Niente dolci, niente cannoli con la la ricotta, niente bucatini alla matriciana!

Hartmut: Facciamo il sacrificio di prendere le distanze da tante cose buonissime.

Giovanni: Qualsiasi privazione o rinuncia per nostra scelta è dunque un sacrificio.

Quanti sacrifici si fanno per i figli? A quante cose rinunciamo per loro?

Tanti vero? Madri e padri che si sacrificano per farli studiare e farli stare in salute.

Non ci pensiamo ché è meglio!

Fare dei sacrifici, significa però anche cercare di risparmiare.

Quest’anno se vogliamo andare in vacanza dovremo fare dei grossi sacrifici.

Dunque anche rinunciare a spendere è un sacrificio.

Esiste anche il verbo sacrificare, che naturalmente ha sempre a che fare con le privazioni e le rinunce. Anche sacrificarsi, come abbiamo già visto in un esempio.

Essendo un verbo generalmente transitivo, bisogna specificare cosa si deve sacrificare, e spesso si indica anche il motivo o la destinazione del sacrificio.

Es.

Il dott. Rossi ha sempre lavorato nella sua vita, ma così facendo ha sacrificato la famiglia per la carriera.

Cioè ha rinunciato alla famiglia perché la carriera era più importante.

Mi sono sacrificato per la famiglia

Stavolta l’ho usato ancora in modo riflessivo.

Ho accettato dei sacrifici per il bene altrui (in questo caso per la mia famiglia) o per un dato scopo.

È invece interessante l’uso dell’aggettivo e sostantivo “sacrificato/a“, in particolare essere sacrificato/a o stare sacrificato/a, riferito a una persona.

Se ad esempio parlo di una persona che fa una vita sacrificata, sta a significare che la sua vita è piena di rinunce e disagi, che fa a meno di tante cose. Queste cose di cui fa a meno sarebbero utili ma deve necessariamente farne a meno, deve necessariamente privarsene, dunque fa un sacrificio, sebbene non proprio volontario, come spesso sono i sacrifici.

Marcelo: Insomma questo poveraccio non si gode certamente la vita. Non bisogna fare voli pindarici per dirlo!

Giovanni: infatti!

Se invece una persona si sente sacrificata, può anche significare che mancano gratificazioni, che si sente sottovalutata, specialmente al lavoro:

Nel mio nuovo lavoro mi sento molto sacrificato.

Le mie qualità non sono utilizzate e io non sto bene in questo lavoro. Mi sto adattando ma soffro.

Anche un oggetto però può essere sacrificato, in più modi diversi:

Quel bel quadro, sul muro della cucina, mi sembra un po’ sacrificato.

Questo significa che è poco valorizzato, proprio come il lavoratore di prima. Sarebbe meglio magari appenderlo altrove, dove si nota un po’ di più e sembra anche più bello.

Oppure (secondo significato):

Per appendere il quadro ho sacrificato le foto dei miei figli.

Il significato qui è diverso perché torniamo al senso “primitivo” del sacrificio, (passatemi il termine) quello di eliminare qualcosa di importante, sebbene non ci sia sacralità in questo caso.

Spesso il senso di disagio diventa scomodità.

In fondo anche la scomodità è una forma di disagio che deriva dalla mancanza di spazio o appunto di confortevolezza, di comodità.

Perché non cambi sedia? Mi sembra che sia un po’ piccola per te, ti vedo che stai un po’ sacrificato.

Su un divano da due posti, in tre persone si sta un po’ sacrificati.

in questo appartamento così piccolo siamo (ci stiamo) un po’ sacrificati.

Stare stretti, in questi casi, è sicuramente più utilizzato.

In qualche modo c’è sempre un senso di sofferenza, che questa derivi da una rinuncia, da una scomodità, da un disagio, una sottovalutazione o una mancata valorizzazione. Il sacro non c’entra quasi mai. Ciò che conta è il senso di rinuncia a qualcosa e una conseguente sofferenza di qualche tipo.

Adesso che l’episodio è terminato, fortunatamente non c’è bisogno che nessuno si sacrifichi per fare un ripasso visto che lo abbiamo già fatto all’interno dell’episodio stesso.

Per questo ringrazio Ulrike, Peggy, Hartmut e Marcelo. Ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente.

Il Sasso di Dante Alighieri

Il sasso di Dante Alighieri

Sofie: Oggi come programma del venerdì, che mi piace dedicare a qualcosa di diverso rispetto ad una semplice espressione italiana, voglio parlarvi del cosiddetto “sasso di Dante”. Sono stata deputata da Gianni a raccontarvi questa bella storia.

File audio da scaricare e trascrizione disponibili per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente (ENTRA)

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705 Per il meglio

Per il meglio (scarica audio)

per il meglio

Trascrizione

Giovanni: Per fortuna si è risolto tutto per il meglio.

Quante volte avete letto o ascoltato questa frase?

Ma voi quale frase avreste usato? Mi rivolgo agli studenti non madrelingua italiana naturalmente.

Per fortuna è andato tutto bene!

Questa è la frase più usata in questi casi da chi sta imparando la lingua italiana, ma perché non imparare qualche buona alternativa?

L’uso del verbo risolvere, che in questo caso diventa “risolversi” rientra tra le alternative. Lo possiamo usare ogniqualvolta si trova la soluzione di un qualsiasi problema. Indica spesso anche una conclusione, come proprio in questo caso “risolvere per il meglio“.

Probabilmente siete curiosi riguardo alla preposizione da usare:

si è risolto tutto per il meglio

Perché usare la preposizione “per”?

La preposizione “per” fa pensare in genere a un attraversamento di uno spazio o a un’idea di tramite.

Per andare a casa passo per la Stazione

Cammino per la strada

Però si usa anche in tanti altri modi. In particolare ci interessa soprattutto l’uso in cui si indica un fine, un obiettivo, una conclusione, come nella frase:

Ascolto Italiano Semplicemente per imparare l’italiano

Oppure  per indicare il luogo verso cui ci si muove, il luogo di destinazione o una destinazione di qualcosa. Un concetto abbastanza simile:

Prendo l’aereo per Roma

Ho qualcosa per te 

Ecco, allora questo si associa bene col verbo risolversi, che come detto può indicare anche una conclusione.

Quando una cosa si risolve per il meglio significa quindi che è andato tutto bene, che alla fine tutto si è concluso nel modo migliore. 

Il meglio” rappresenta la conclusione, come è finita la storia. Tutto è finito nel modo più utile e vantaggioso possibile.

In realtà si può anche evitare di usare il verbo risolvere, infatti si usano spessissimo i verbi essere e andare. In questi casi l’enfasi è sul percorso, sull’evoluzione futura e non sulla conclusione:

Speriamo che le cose vadano (si risolvano) per il meglio

 Speravamo che tutto andasse (si risolvesse) per il meglio 

Con questo virus prepariamoci al peggio, ma speriamo che le cose vadano per il meglio

Gli affari ultimamente non stanno andando per il meglio

Se ci aiutiamo a vicenda, tutto andrà per il meglio

Attenzione adesso:

Le scelte del presidente sono per il meglio del Paese

L’allenatore ha scelto per il meglio della squadra

Notate che in questi due ultimi casi “per il meglio” non indica il superamento di un problema nel migliore dei modi, ma si vuole indicare un beneficiario ben preciso di una azione. In tal senso, “il meglio” è molto simile a “il bene“:

Devi accettare i cambiamenti, perché sarà per il tuo meglio

I medici decidono sempre per il meglio dei loro pazienti

I buoni agiscono sempre per il meglio degli altri

Adesso, certo di agire per il vostro meglio, vi faccio ascoltare un bel ripasso degli episodi precedenti.

Peggy: caro amico, voglio darti un consiglio per il nuovo anno: stai alla larga dai problemi e mantieni le distanze da chi vende fuffa

Marcelo: io posso fare del mio meglio per avere la meglio di tutti i problemi, o meglio, farò qualsiasi cosa, affinché le cose vadano per il meglio, a volte non basta però fare la scelta migliore. Meglio che niente comunque… 

Cat: Non fare il paravento con me! Mica mi imbrogli con i giochi di parole sai! Sono tua madre, e in quanto tale, pur di proteggerti devo essere chiara, a costo di ferirti.

Ulrike: infatti. le magagne sono sempre dietro l’angolo.

Hartmut: I buddhisti dicono: a te viene sempre ciò che ti aspetti. Allora, circa il nuovo anno, ci tengo a dirvi: aspettatevi il meglio e tutto andrà per il meglio!

Irina: Bando alle ciance amici, ditemi ora come rimaniamo con i buoni propositi che alla fine di ogni anno fioccano a destra e a manca? Per lo più sono dimenticati prima di prendere corpo, altro che storie! lasciamo perdere allora!

 

Ristabilire – VERBI PROFESSIONALI (n.73)

Ristabilire è il verbo numero 73 della speciale sezione verbi professionali.

Durata: 15 minuti

Lista dei verbi professionali 

 

Episodio disponibile per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente (ENTRA)

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704 Scomodare

Scomodare (scarica)

Trascrizione

Giovanni: Mettetevi comodi, rilassati, tranquilli, perché oggi dobbiamo parlare del verbo scomodare e scomodarsi. Un verbo molto interessante, che difficilmente un non madrelingua utilizza.

Si usa in vari modi, anche in senso figurato, ed anche in senso ironico.

La comodità cosa c’entra?

Quando sono/sto scomodo, significa che sono seduto ma sto un po’ stretto, oppure ho un fastidio, un disturbo. Ma anche una sedia può essere scomoda se non è confortevole. Oppure posso stare in una posizione scomoda.

Può anche significare che una persona non si trova a suo agio.

in questa poltrona si sta scomodi

Ma io posso anche scomodare una persona. Significa causare disagio, fastidio o perdita di tempo a qualcuno; disturbare, importunare, e si usa specialmente in espressioni di cortesia.

Non vorrei scomodarla, ma dovrei passare

Non si scomodi, vado io ad aprire la porta.

In senso meno materiale, meno fisico, spesso si usa nei ringraziamenti o in frasi che si dicono per cortesia, specie se diamo del lei:
Grazie del pensiero, ma non doveva scomodarsi. Non c’era bisogno.
Ci spiace che si sia scomodato per venire a prenderci, avremmo preso un taxi, ma grazie mille!

In questi due casi appena visti (comodità materiale e casi di cortesia) c’è anche una modalità più formale:

Recare incomodo

Mi spiace recarvi incomodo

Scusate, signora, se son venuto a recarvi incomodo

Scomodare una persona però non si utilizza solo in senso materiale e in contesti di cortesia.

Infatti si può usare anche nel senso di “chiamare in causa“, un’espressione che abbiamo già incontrato, ma in questo caso si sta chiamando in causa questa persona senza necessità, senza un vero bisogno.

Chiamare in causa, se ricordate, ha il senso di interpellare o coinvolgere, o anche semplicemente citare in un discorso.

Quindi “scomodare” ha dentro di sé sia “chiamare in causa”, sia la non necessità di farlo. Si usa in particolar modo con personaggi autorevoli, famosi, proprio perché ci sono occasioni in cui non è il caso di chiamare in causa una persona famosa o autorevole o importante per cose di poco conto, cose poco importanti.
Vediamo qualche esempio:

Hai un raffreddore e vuoi chiedere un parere al primario dell’ospedale?
Direi che non è proprio il caso di scomodare il primario per un semplice raffreddore!

Allora adesso, per concludere, vi dico che non si può scomodare solamente una persona.

Infatti posso usare scomodare in frasi in cui si dà un consiglio, ad esempio, o si fa un rimprovero, quando si pensa che una cosa è esagerata. C’è a volte una nota leggermente ironica in questi casi.

Es:

Questa pandemia da Covid è confrontabile con le pandemie passate della peste, il colera, il vaiolo e il tifo? Oppure non è il caso di scomodare la storia?

Ci sono molte applicazioni sul cellulare che appaiono chiaramente invasive della privacy. Non ci dovrebbe essere bisogno di scomodare la legge per capirlo.

Adesso ripassiamo qualche episodio passato, e per questo scomoderò (non me ne vogliano) qualche membro dell’associazione Italiano Semplicemente. I ripassi però sono importanti perché come dicevano i latini, repetita iuvant. Mi spiace aver scomodato i latini per un semplice ripasso.

Anne France: si stanno avvicinando le nozze d’oro dei miei dirimpettai. Dopo 50 anni di matrimonio escono ancora insieme giorno e notte, e li si vede sempre camminare mano nella mano come un binomio inscindibile.

Irina: Meraviglioso davvero. Si dà il caso che, oggigiorno, è abbastanza raro percepire un’armonia duratura in una coppia. Purtroppo, litigano ogni due per tre prendendo presto una brutta piega nel loro rapporto.

Khaled: Mi sono sposato da due anni a questa parte. Per ora, grazie a Dio, vado ancora d’accordo con mia moglie. Se fortuna vorrà, supereremo anche la crisi del settimo anno.

Ulrike: Non c’è nessuna attinenza tra la fortuna e la relazione sana di una coppia. Dobbiamo avere contezza del fatto che empatia, comunicazioni corrette, rispetto reciproco e via dicendo danno supporto al legame interpersonale.

Edita: Grazie! Tutto ciò pronunciato da te mica è una passeggiata. Se mi gira bene, riesco ad agire in conformità a questi principi, al contrario, tali principi passano in cavalleria.

Lia: ragazzi, pur di ottenere un buon rapporto con il mio futuro marito, accetto di buon grado il consiglio di Ulrike, anzi trasmetterò queste idee anche a lui, e così, come si suol dire, avremmo una vita coniugale felice e contenta a tutti gli effetti.

Hartmut: Per favore, Lia! Si fa presto a dire vita coniugale. Pensa a trovare prima un fidanzato, e poi vediamo!

Peggy: Mamma mia! Che frecciata che le hai lanciato.