La retorica – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 53)

La retorica (scarica audio)


Indice degli episodi della rubrica dedicata alla politica

Trascrizione

Giovanni: Cari membri e cari ascoltatori di Italiano Semplicemente, ben trovati a questo nuovo episodio dedicato al linguaggio della politica, un linguaggio spesso affascinante, altre volte complicato, qualche volta persino fastidioso.

Oggi parliamo di una parola che sicuramente avete già sentito, specialmente nei dibattiti politici, nei talk show, ma anche a scuola, durante lezioni di storia o filosofia. La parola di oggi è: retorica. Per realizzare questo episodio mi sono avvalso (verbo avvalersi) anche dell’intelligenza artificiale che mi ha aiutato a spiegare bene qualche esempio che segue nella spiegazione.

La retorica è dunque la parola del giorno. È detta anche l’arte del parlare bene, e affonda le sue radici nell’antica Grecia, dove era considerata una disciplina fondamentale per chi voleva partecipare alla vita pubblica. Platone, Aristotele, Cicerone… tutti filosofi che hanno riflettuto a lungo sul potere della parola, sulla capacità di convincere, di emozionare, di commuovere o, perché no, di ingannare.

Già, perché la retorica ha un doppio volto: da una parte è l’arte del discorso efficace, dall’altra rischia di diventare l’arte del dire tutto e niente, del girare intorno ai problemi senza affrontarli davvero. Una volta vi ho spiegato la parola fuffa. Non siamo molto lontani.

In politica la parola “retorica” si usa spesso, infatti, in senso negativo. Sentiamo frasi come:

Basta con la solita retorica!

Quella del ministro è solo retorica!

Dietro la retorica dei buoni propositi non c’è nulla di concreto.

In questi casi la retorica è vista come parole vuote, discorsi fatti solo per apparire, per colpire l’ascoltatore, ma senza contenuto reale, senza proposte, senza fatti.

Una sorta di fumo negli occhi.

Ecco, potremmo dire che in politica, la retorica è come il trucco sul volto: può rendere tutto più bello, più credibile, più elegante, ma può anche nascondere difetti, bugie, manipolazioni.

Attenzione però: non tutta la retorica è negativa. Quando un politico riesce a parlare in modo chiaro, coinvolgente, appassionato, e magari riesce anche a spiegare bene un problema complesso, sta usando bene la retorica.

Il problema nasce quando si parla tanto per parlare, quando si usano frasi fatte, parole ad effetto, promesse esagerate, senza dire davvero nulla.

Un altro esempio?

Dobbiamo costruire un futuro migliore, un’Italia più giusta, più verde, più libera!

Risposta:

Bellissimo, certo. Ma come lo facciamo? Quando? Con quali soldi?
Se mancano queste risposte, siamo nel campo della retorica fine a sé stessa.

Vi faccio notare che quando assume una connotazione negativa, accade spesso di usare la preposizione articolata del o della, dello, degli, dei e delle.

Questa costruzione serve a specificare e sottolineare il tipo di discorso vuoto o pomposo a cui ci si riferisce. È un modo per incasellare e criticare un certo stile comunicativo, associandolo subito a un tema.

Es:

La retorica del cambiamento

Il reddito di cittadinanza ha fallito. Con noi, parte una nuova stagione di politiche attive per il lavoro: meno assistenzialismo, più opportunità concrete!

Questo è tipico di governi che annunciano riforme strutturali, anche se i cambiamenti poi si rivelano minimi o confusi.

La retorica dei valori non negoziabili

Difenderemo l’identità culturale dell’Italia e i nostri confini. L’immigrazione si affronta con regole chiare: sicurezza, famiglia, sovranità nazionale. Su questo non si tratta.

Una frase di questo tipo viene spesso usata in chiave identità ria.

La retorica della legalità

Lo Stato deve tornare nei quartieri abbandonati alle mafie. Più forze dell’ordine, più videosorveglianza, più giustizia. Non ci piegheremo mai alla criminalità organizzata.

Questa potrebbe essere una frase pronunciata magari da esponenti che, in parallelo, attaccano magistrati o promuovono condoni fiscali e edilizi.

La retorica del merito

Dobbiamo valorizzare i giovani migliori, non chi ha solo conoscenze o appartenenze. L’università deve premiare chi ha talento, non chi ha rendite di posizione.

È Spesso proclamata in contesti in cui i concorsi pubblici o le nomine seguono logiche politiche.

La retorica della solidarietà

È nostro dovere sostenere le famiglie in difficoltà, i lavoratori poveri, i pensionati

E voi, cosa ne pensate? Vi capita spesso di sentire discorsi pieni di retorica? E vi siete mai accorti di usare voi stessi qualche formula un po’… troppo retorica?

Adesso parlando di retorica, facciamo un breve ripasso dei passati episodi della rubrica:

E mentre i pasdaran del cambiamento promettono l’investitura di una nuova classe dirigente, tra i malpancisti e i cerchiobottisti che affollano l’Emiciclo, continua la bagarre delle parole: si invoca la moral suasion, si parla di meritocrazia come se fosse la panacea di tutti i mali, ma intanto nella stanza dei bottoni si continua a intrallazzare come sempre. Insomma, tra condoni mascherati da riforme e armi di distrazione di massa, resta solo da chiedersi: è l’ennesima vittoria di Pirro… o stiamo davvero andando verso la fumata bianca?

Alla prossima puntata del linguaggio della politica. E come sempre, niente retorica, solo italiano semplice, anzi Semplicemente!

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Per le vie brevi – ITALIANO PROFESSIONALE

Per le vie brevi

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Trascrizione

Ammettiamo che dovere spedire una comunicazione per lavoro. Si può trattare di una richiesta oppure di una risposta ad una richiesta, ma comunque una comunicazione di carattere ufficiale.

Ammettiamo anche che questa domanda o questa risposta sia già stata anticipata a voce o via sms o via WhatsApp o in qualunque altra modalità non ufficiale e ora si tratta semplicemente di confermarla per iscritto.

La comunicazione scritta è ovviamente quella ufficiale e nel testo della comunicazione dobbiamo però far riferimento a questa comunicazione avuta in precedenza. Come fare?

Ad esempio possiamo dire così?

Come già anticipato a voce, le confermiamo che la sua richiesta non può essere accolta.

In questo caso si tratta ad esempio di una risposta di una pubblica amministrazione a un cittadino che ha fatto una richiesta.

A voce ci è stato detto che la richiesta è stata rifiutata ma la comunicazione ufficiale arriva successivamente per iscritto.

Oppure:

Come già detto faccia a faccia ….

Come ci siamo già detti in precedenza…

Come le è stato già comunicato al telefono stamattina…

Come già anticipato via whatsapp…

Queste sono tutte forme che possiamo usare all’orale, ma per le comunicazioni ufficiali esiste una formula ben precisa che si usa esclusivamente allo scritto, all’interno di una mail, una raccomandata o una lettera: per le vie brevi.

Es:

Come da accordi per le vie brevi, le trasmettiamo la nostra offerta economica.

Facendo seguito agli accordi per le vie brevi, si trasmette in allegato l’elenco delle strutture di nostro interesse

Come anticipato per le vie brevi, si comunica che la riunione prevista per il giorno 2 marzo è posticipata al 3 maggio, alla stessa ora e nello stesso luogo.

Dagli esempi si capisce anche che a volte si tratta anche solamente di fare una premessa alla nostra comunicazione, citando una precedente comunicazione non ufficiale, alla quale si fa seguito.

Ma perché si dice “per le vie brevi”?

Le vie brevi indicano una comunicazione diretta, immediata. E’ proprio ciò che avviene quando si parla al telefono o faccia a faccia o tramite un sms.

La comunicazione è breve, rapida, ma non può essere una comunicazione ufficiale perché non è stata messa per iscritto.

Le comunicazioni scritte sono spesso ricche di termini complicati per i non madrelingua. L’espressione di oggi ne è un esempio.

“Per” all’inizio significa “attraverso”, quindi “per le vie brevi” sta per “attraverso la via di comunicazione più breve”.

Nel prossimo episodio di italiano professionale vediamo un’altra modalità, abbastanza simile, relativa alle comunicazioni.

Travisare, equivocare, fraintendere – VERBI PROFESSIONALI (n. 79)

Travisare, equivocare, fraintendere

Descrizione: È un verbo abbastanza formale, ma ha delle sfumature interessanti che conviene approfondire.

Durata: 13:02

Travisare, equivocare, fraintendere

La trascrizione completa e il file audio dell’episodio sono disponibili per i membri dell’Associazione Italiano Semplicemente.

ISCRIVITIENTRA

710 Benedetto, ben detto e ben fatto

Benedetto, ben detto e ben fatto (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: abbiamo già parlato di ben. Giusto?

In quell’episodio, tra le altre cose, ho utilizzato anche un’esclamazione:

Ben detto!

Che si usa quando si approva una affermazione con entusiasmo e soddisfazione, specie quando ce n’è veramente bisogno. Spesso poi si accompagna questa esclamazione con un’espressione del viso di compiacimento. Vale a dire che si esprime gradimento, si mostra e si sente un’intima soddisfazione.

Tutto questo però non l’avevo detto!

Meglio tardi che mai allora!

Se ad esempio sono stato licenziato, se cioè ho perso il lavoro, posso dire:

Non mi devo abbattere, devo mettermi subito a cercare un altro lavoro!

Qualcuno, che mi vuole bene ed apprezza le mie parole può dire:

Ben detto! Bravo, così mi piaci!

Che è un po’ come dire: è lo spirito giusto da avere in questi casi! Approvo pienamente ciò che hai detto.

Similmente si utilizza anche “ben fatto“:

Mio marito mi ha tradito e io sai cos’ho fatto? L’ho cacciato di casa!

Io, che sono tuo amico rispondo:

Ben fatto! Così impara ‘sto stronzo!

Oh, scusate, mi sono lasciato andare!

Notate che non c’è alcun verbo davanti. Se ci fosse, sarebbe il verbo avere:

Hai ben fatto!

Ma, generalmente, quando si mette il verbo avere, si inverte:

Hai fatto bene!

Hai fatto bene a lasciarlo!

Avete fatto bene a fare questo

Secondo te ho fatto bene a farlo?

Ma un conto è comunicare un concetto, un altro conto è comunicare un’emozione:

Ben fatto!

C’è approvazione, ma anche sostegno, entusiasmo. C’è emozione.

Che ne dite se adesso cambiamo il verbo ausiliare?

Questo lavoro è veramente ben fatto!

Adesso essere è il verbo usato.

Beh, questa frase è da leggere un po’ diversamente, cioè:

Questo lavoro è fatto veramente bene, è ben fatto. Anche qui se usiamo prima ben e poi fatto, c’è più emozione e coinvolgimento rispetto a “fatto bene”.

Torniamo a:

Ben detto!

Cioè: hai detto proprio bene, approvo pienamente ciò che hai detto. C’è entusiasmo e soddisfazione anche in questo caso.

Invece “hai detto bene” può indicare ugualmente una approvazione (con poco entusiasmo in genere) ma più spesso si usa quando qualcosa è corretto, è giusto, quando non ci sono errori:

Dico bene?

Sto dicendo bene?

Hai detto bene, nessun errore!

Per “hai fatto bene” vale lo stesso discorso.

Bene.

Adesso, dopo “ben detto” , passiamo a benedetto.

Notate per prima cosa che la prima “e” è chiusa e non più aperta. Sono tutte chiuse in realtà, anche se nel nord Italia spesso si sentono e aperte, specie la seconda e.

Ciao, mi chiamo Benedètta!

Benedetto comunque non c’entra proprio nulla con “ben detto“, questo lo avete capito già.

Tra l’altro è un’unica parola.

Infatti Benedetto, oltre ad essere un nome maschile (come anche Benedetta, che è un nome femminile) – e si scrive con l’iniziale maiuscola in questo caso – è anche un aggettivo.

Ha a che fare con le benedizioni, certamente. Anche questo lo sapete già.

In chiesa c’è l’acqua benedetta, ad esempio (o almeno prima del COVID c’era). Anche l’ostia è benedetta, perché rappresenta il corpo di Cristo.

Tutte cose che già sapete naturalmente.

Ma in senso figurato, l’aggettivo benedetto e benedetta si usano tantissimo nel linguaggio comune.

Infatti si utilizza generalmente per esprimere un affettuoso rimprovero, oppure quando si vuole evitare di dire parolacce, ma facendo capire chiaramente che c’eravamo quasi…

In questo caso l’affetto non c’entra granché!

Vediamo se sapete distinguere.

Vi faccio qualche esempio.

Un professore chiede a uno studente:

Oggi sei preparato? Vorrei interrogarti.

Lo studente dice che non ha potuto studiare e chiede di spostare ad un’altra occasione.

Il professore:

Ma, benedetto ragazzo, sono già tre volte che rimandiamo. Quando deciderai di metterti a studiare?

Allora? Rimprovero affettuoso o incazzatura mitigata?

Si tratta di un rimprovero affettuoso. Il professore rimprovera, sgrida il ragazzo ma lo fa con affetto, senza essere duro, senza punirlo o maltrattarlo. Se ci fosse solo affetto direi “caro ragazzo“.

Qusto professore probabilmente avrebbe potuto usare parole diverse, ben più pesanti e per niente affettuose:

Ma porca miseria! È già la terza volta!

È solo un esempio.

Secondo esempio:

Esco di casa con la solita fretta e come sempre c’è traffico.

All’ennesimo semaforo rosso che mi scatta sotto gli occhi dico:

Uff… Questi benedetti semafori! Sempre rossi mi capitano!

Lo so, vorremmo dire di peggio, ma stavolta ci tratteniamo.

Questo non è ovviamente un rimprovero affettuoso ma una leggera irritazione. Magari c’è qualcuno vicino a noi e non vogliamo mostrarci isterici di prima mattina!

In quest’ultimo caso al posto di benedetto potrei sbizzarrirmi con altri termini:

Ma guarda tu! Tutti rossi mi capitano!

Questo caspita di semaforo rosso!

E che cacchio!

Che diamine! Proprio adesso che ho fretta!

Questo cavolo di semaforo!

Avtrete notato che ho evitato termini ben peggiori!

Allora, ho fatto bene a fare un episodio di questo tipo?

Karin: veramente ben fatto direi, ma, benedetto presidente, so che sacrifichi il tuo tempo per il meglio di tutti noi, ma i due minuti sono passati da un bel pezzo.

Peggy: ma io mi domando e dico: a che pro criticare? Me lo vuoi fare un favore? Anziché dire castronerie, abbi la bontà di tacere. Per quello non c’è bisogno di imparare una lingua!

Sofie: ben detto Peggy! Gli hai dato un benservito bell’e buono! D’altronde ti ha fornito un assist perfetto criticando Giovanni. Tra l’altro lui non ha raccolto la provocazione. Un vero signore, no?

Ulrike: a me la vostra sembra una reazione un po’ sopra le righe. Cosa avrà detto mai Karin di così offensivo? A cosa si deve tanta acredine?

Irina: Acredine? Proprio a ridosso della fine dell’episodio te ne esci con le parole nuove? Sei proprio senz’appello! E dire che avevo quasi capito tutto…