Per secoli, i detenuti nelle carceri italiane venivano spesso costretti a indossare catene ai polsi o alle caviglie, non solo per impedirne la fuga, ma anche come strumento di umiliazione e punizione. Una pratica arcaica, disumana, incompatibile con qualunque idea moderna di giustizia e rispetto della dignità della persona.
Il 2 agosto 1902, finalmente, lo Stato italiano decide di fare un passo avanti sul piano civile e giuridico, abolendo per legge l’obbligo delle catene. Non significa libertà, ma una detenzione più umana, più in linea con i tempi e con la Costituzione (che di lì a qualche decennio parlerà di “rieducazione del condannato”).
Un passo alla volta, diciamo!
Ecco allora che l’osservatore attento, davanti a questa riforma, potrebbe benissimo esclamare:
Così si ragiona!
oppure
Adesso si ragiona!
o
Finalmente si ragiona
Perché?
Queste solo le espressioni del giorno che voglio spiegarvi.
Perché finalmente si va nella direzione giusta: una giustizia che punisce, sì, ma con misura, che rispetta l’essere umano anche quando ha sbagliato.
L’eliminazione delle catene è il simbolo di un passaggio da una giustizia vendicativa a una giustizia civile.
“Così si ragiona!” si usa sempre in tono colloquiale per dire: “Questa sì che è una decisione sensata”, “È questa la direzione giusta”, “Finalmente una cosa fatta come si deve!”
Spesso si usa dopo tante proposte sbagliate o insufficienti, quando finalmente se ne fa una ben pensata, equilibrata, logica.
Esempio quotidiano:
Dopo la brutta vacanza dello scorso mese, adesso mi hai portato in vacanza in un agriturismo con piscina, aria fresca, cucina casalinga e zero connessione? Bravo! Adesso si ragiona!
Qui “ragionare” viene usato per esprimere approvazione nei confronti di un’azione, una decisione, una proposta o un comportamento.
In pratica significa:
Adesso si fa qualcosa che ha senso, che è giusto, che è ben fatto.
Finalmente si parla in modo sensato, si agisce come si deve.
È un modo per dire che qualcuno si è comportato in modo intelligente, proporzionato, razionale o efficace.
In alternativa si potrebbe dire ad esempio:
Questa sì che è una vacanza!
Stavolta sì che siamo sulla strada giusta
Oh, adesso sì che ci siamo!
Oppure anche:
Adesso sì che si ragiona!
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L’episodio di oggi è dedicato alla locuzione “tanto di guadagnato”. In questa locuzione il termine “tanto” non viene utilizzato nel modo classico, nel senso di molto, riferito a un’alta quantità o a un alto livello, ma d’altronde abbiamo già incontrato nei passati episodi altri esempi di utilizzi particolari.
È sempre interessante vedere cosa sta vicino a “tanto”. Soprattutto da quello dipende il significato.
Stavolta l’espressione è interessante soprattutto per le prime due parole: tanto di.
È talmente interessante che il prossimo episodio lo dedicheremo proprio a “tanto di“.
Oggi però mi interessa spiegare “tanto di guadagnato” che è una locuzione a sé stante,con un significato specifico.
Guadagnato è naturalmente il participio passato del verbo guadagnare, verbo che solitamente si riferisce al denaro, ai soldi, al ricavato di una vendita o di un’attività, di un lavoro. In questo caso però non necessariamente parliamo di soldi ma semplicemente di qualcosa di positivo.
“Tanto di guadagnato” infatti si utilizza quando ci potrebbe essere la possibilità che si verifichi un evento che può portare qualcosa di positivo (ad esempio per me). Sembra complicato vero? Non è così, vedrete.
Questo possibile risultato positivo poi è spesso indipendente dalla mia scelta o dalla mia volontà. Si tratta a volte di un vantaggio inaspettato, ma ad ogni modo questo vantaggio è ottenuto come sovrappiù. Niente di così importante ma comunque sempre positivo.
Potremmo dire quindi che rappresenta un di più di cui si potrebbe anche fare a meno, ma se viene, è benaccetto, ègradito.
Questo vantaggio in pratica potrebbe accadere o non potrebbe accadere, ma se dovesse accadere ne sarò lieto, sarò felice di questo. Sarà una bella notizia. Se accadrà, sarà tanto di guadagnato. Non dipende quasi mai da me però, quindi in questi casi non posso saperlo.
Si usa sempre il verbo essere, anche se spesso non si usa alcun verbo.
Vediamo qualche esempio.
Vado a riscuotere lo stipendio. Mi è stato detto che solo per questo mese ci sarà un piccolissimo aumento. Non mi faccio illusioni, ma se fosse così, (sarà) tanto di guadagnato.
Si dice anche, con lo stesso significato, “tanto meglio”. Solo a volte si possono usare“meglioancora“ o “benvenga“. In quest’ultimo caso il verbo essere non va mai usato.
In ogni caso si mostra in questo modo il proprio gradimento per un eventuale avvenimento.
Es:
I miei dipendenti hanno assicurato che faranno almeno la metà del lavoro entro stasera. Tutto ciò che verrà fatto in più sarà tanto di guadagnato.
In questo caso il verbo essere è obbligatorio.
Qualora la frase iniziasse con “se”, “nel caso in cui” e simili, potete normalmente decidere voi se mettere il verbo, che, ormai lo avete intuito, è sempre al futuro:
Se dovesse accadere, (sarà) tanto di guadagnato
Qualora arrivasse l’aumento, (sarà) tanto di guadagnato
Devo dire alla cliente che non è obbligatorio pagare per questo servizio, ma se vuole pagare (sarà) tanto di guadagnato.
Ogni volta c’è sempre un tono di soddisfazione verso questa positiva eventualità, ma come ho detto, si tratta di qualcosa in più, qualcosa di non molto importante, ma comunque qualcosa di gradito che se arriva, bene, altrimenti, pazienza.
Marcelo: Recentemente mi sono imbattuto in una storiella all’insegna della percezione positiva. Ve la racconto. C’era un tizio che, per arrotondare, faceva un lavoretto come muratore per il suo dirimpettaio.
Irina: Sai, ora che me ne sono fatta una ragione,me ne fregodi questi due mattoni. Mica è un brutto muro in fondo! Grazie, avercene di percezioni positive come la sua. Sarei rimasta delusa senza il suo incoraggiamento.
In quell’episodio, tra le altre cose, ho utilizzato anche un’esclamazione:
Ben detto!
Che si usa quando si approva una affermazione con entusiasmo e soddisfazione, specie quando ce n’è veramente bisogno. Spesso poi si accompagna questa esclamazione con un’espressione del viso di compiacimento. Vale a dire che si esprime gradimento, si mostra e si sente un’intima soddisfazione.
Tutto questo però non l’avevo detto!
Meglio tardi che mai allora!
Se ad esempio sono stato licenziato, se cioè ho perso il lavoro, posso dire:
Non mi devo abbattere, devo mettermi subito a cercare un altro lavoro!
Qualcuno, che mi vuole bene ed apprezza le mie parole può dire:
Ben detto! Bravo, così mi piaci!
Che è un po’ come dire: è lo spirito giusto da avere in questi casi! Approvo pienamente ciò che hai detto.
Similmente si utilizza anche “benfatto“:
Mio marito mi ha tradito e io sai cos’ho fatto? L’ho cacciato di casa!
Notate che non c’è alcun verbo davanti. Se ci fosse, sarebbe il verbo avere:
Hai ben fatto!
Ma, generalmente, quando si mette il verbo avere, si inverte:
Hai fatto bene!
Hai fatto bene a lasciarlo!
Avete fatto bene a fare questo
Secondo te ho fatto bene a farlo?
Ma un conto è comunicare un concetto, un altro conto è comunicare un’emozione:
Ben fatto!
C’è approvazione, ma anche sostegno, entusiasmo. C’è emozione.
Che ne dite se adesso cambiamo il verbo ausiliare?
Questo lavoro è veramente benfatto!
Adesso essere è il verbo usato.
Beh, questa frase è da leggere un po’ diversamente, cioè:
Questo lavoro è fatto veramente bene, è ben fatto. Anche qui se usiamo prima ben e poi fatto, c’è più emozione e coinvolgimento rispetto a “fatto bene”.
Torniamo a:
Ben detto!
Cioè: hai detto proprio bene, approvo pienamente ciò che hai detto. C’è entusiasmo e soddisfazione anche in questo caso.
Invece “hai detto bene” può indicare ugualmente una approvazione (con poco entusiasmo in genere) ma più spesso si usa quando qualcosa è corretto, è giusto, quando non ci sono errori:
Dico bene?
Sto dicendo bene?
Hai detto bene, nessun errore!
Per “hai fatto bene” vale lo stesso discorso.
Bene.
Adesso, dopo “ben detto” , passiamo a benedetto.
Notate per prima cosa che la prima “e” è chiusa e non più aperta. Sono tutte chiuse in realtà, anche se nel nord Italia spesso si sentono e aperte, specie la seconda e.
Ciao, mi chiamo Benedètta!
Benedetto comunque non c’entra proprio nulla con “ben detto“, questo lo avete capito già.
Tra l’altro è un’unica parola.
Infatti Benedetto, oltre ad essere un nome maschile (come anche Benedetta, che è un nome femminile) – e si scrive con l’iniziale maiuscola in questo caso – è anche un aggettivo.
Ha a che fare con le benedizioni, certamente. Anche questo lo sapete già.
In chiesa c’è l’acqua benedetta, ad esempio (o almeno prima del COVID c’era). Anche l’ostia è benedetta, perché rappresenta il corpo di Cristo.
Tutte cose che già sapete naturalmente.
Ma in senso figurato, l’aggettivobenedetto e benedetta si usano tantissimo nel linguaggio comune.
Infatti si utilizza generalmente per esprimere un affettuoso rimprovero, oppure quando si vuole evitare di dire parolacce, ma facendo capire chiaramente che c’eravamo quasi…
In questo caso l’affetto non c’entra granché!
Vediamo se sapete distinguere.
Vi faccio qualche esempio.
Un professore chiede a uno studente:
Oggi sei preparato? Vorrei interrogarti.
Lo studente dice che non ha potuto studiare e chiede di spostare ad un’altra occasione.
Il professore:
Ma, benedetto ragazzo, sono già tre volte che rimandiamo. Quando deciderai di metterti a studiare?
Allora? Rimprovero affettuoso o incazzatura mitigata?
Si tratta di un rimprovero affettuoso. Il professore rimprovera, sgrida il ragazzo ma lo fa con affetto, senza essere duro, senza punirlo o maltrattarlo. Se ci fosse solo affetto direi “caro ragazzo“.
Qusto professore probabilmente avrebbe potuto usare parole diverse, ben più pesanti e per niente affettuose:
Ma porca miseria! È già la terza volta!
È solo un esempio.
Secondo esempio:
Esco di casa con la solita fretta e come sempre c’è traffico.
All’ennesimo semaforo rosso che mi scatta sotto gli occhi dico:
Uff… Questi benedetti semafori! Sempre rossi mi capitano!
Lo so, vorremmo dire di peggio, ma stavolta ci tratteniamo.
Questo non è ovviamente un rimprovero affettuoso ma una leggera irritazione. Magari c’è qualcuno vicino a noi e non vogliamo mostrarci isterici di prima mattina!
In quest’ultimo caso al posto di benedetto potrei sbizzarrirmi con altri termini:
Avtrete notato che ho evitato termini ben peggiori!
Allora, ho fatto bene a fare un episodio di questo tipo?
Karin: veramente ben fatto direi, ma, benedetto presidente, so che sacrifichi il tuo tempo per il meglio di tutti noi, ma i due minuti sono passati da un bel pezzo.
Ebbene, una forma particolare di sfizioè quella che consiste nel togliersi un sassolino dalla scarpa.
Lo sfizio, abbiamo detto, è qualcosa che si toglie, qualcosa che vogliamo toglierci. Anche i sassolini dalla scarpa è qualcosa che possiamo toglierci, che possiamo estrarre, tirar via dalla nostra scarpa.
Sono fastidiosi i sassolini quando entrano nelle scarpe, non è vero?
Per questo motivo non vediamo l’ora di toglierceli per ricevere questa soddisfazione.
Questa ovviamente è un’immagine figurata ma rende molto bene l’idea del fastidio.
Questa espressione si può usare quando non ce la fate più a sopportare una situazione. In genere si tratta di dire qualcosa a qualcuno tipo:
È un po’ di tempo che voglio dirti che non ti sopporto più!
Caro direttore, le posso dire una cosa? Lei è veramente un ignorante!
Ahhhhh, finalmente mi sono tolto questo sassolino dalla scarpa!
Adesso ripassiamo un po’ qualche espressione precedentemente spiegata.
Mariana: Ciao Irina, come stai? Senti, mi sto preoccupando, non parliamo da illo tempore.
Irina. Scusa Mariana, ero occupatissima. Sai, mi sono messa in proprio: Un piccolo caffè aperto solo da pochi giorni. Non ti dico guarda! È una merapazzia con questa burocrazia.
Mariana: E purtroppo bisogna mettere anche dei palettial divertimento. Manca il tempo per togliersi lo sfiziodi uno svago. Quasivivessi solamente per il lavoro.
Irina: eh già, ma adesso bando alle ciance, perché non ci incontriamo e prendiamo un caffè insieme? Ti aspetto nel mio caffè. Se tanto mi dà tanto avremmo molto da raccontarci.
Mariana: Con tanto piacere. A dopo allora. Sto scalpitandodi vederti.
Giovanni: Siamo arrivati all’episodio n. 512 della rubrica due minuti con Italiano Semplicemente.
Oggi parliamo dell’altezza. Precisamente parliamo di “essere all’altezza“, una locuzione che può essere usata in due modi diversi.
Prima di tutto, essere all’altezza di qualcuno, cioè di una persona, significa essere al suo livello.
Ad esempio posso dire:
Un pugile ha dimostrato di essere all’altezza del suo maestro.
Oppure:
Un pugile si è dimostrato all’altezza del suo maestro.
Queste due frasi, che hanno lo stesso significato, vogliono dire che un pugile ha dimostrato di essere un atleta bravo come il suo maestro.
Se parlo di qualcosa, e non di qualcuno:
Non sono all’altezza di fare questo esercizio
In questo caso sto dicendo che non sono in possesso dei requisiti per fare questo esercizio, ma si usa normalmente quando si parla di sfide e di compiti. Non sono all’altezza di affrontare questo compito, questa sfida:
In entrambi i casi, si ha un livello di riferimento. Questo livello è rappresentato da una persona (come “il suo maestro”) o la difficoltà di una sfida.
Hai le capacità di superare questo livello? Ce la puoi fare? Allora sei all’altezza. Altrimenti non sei all’altezza di questo compito o di questa persona.
Normalmente, quando si vuole indicare un livello da superare, come un livello di preparazione o di bravura, si usa “essere in grado” di fare qualcosa, cioè essere capace di fare questa cosa.
Ma se si parla di altezza si parla di qualità globali, spesso anche morali. L’altezza viene spesso legata all’animo, alla moralità, alla magnanimità o alle facoltà intellettive in generale.
Si usa spesso “essere all’altezza della situazione“, dove la situazione è proprio il compito da affrontare. Si parla quindi della capacità di saperne valutare la gravità, affrontando e risolvendo le difficoltà che presenta.
Ma l’altezza è anche un concetto geometrico: l’altezza di un triangolo, l’altezza di una piramide eccetera.
Non è un caso che “essere all’altezza” si utilizza anche quando si danno indicazioni stradali, quindi se venite in Italia e chiedete indicazioni ad un italiano, tipo:
Scusi, dove si trova il museo delle cere?
Risposta:
Si trova all’altezza di Piazza Venezia.
Si parla di luoghi dunque e essere o trovarsi all’altezza di un luogo significa semplicemente “essere vicino“, “trovarsi vicino” a un luogo. Ma è una vicinanza che si utilizza specialmente per indicare un punto di riferimento per far capire dove si trova qualcosa esattamente o dove è avvenuto un evento esattamente.
Andate verso il centro, e quando vi trovate all’altezza del Colosseo, provate a chiedere informazioni a qualcuno.
Quindi all’altezza sta per “vicino” un luogo, “presso” un luogo, “nelle vicinanze” di un luogo.
Stamattina, in via Giulia, all’altezza di piazza Esedra, c’è stato un incidente.
Per lavori stradali chiude la strada che collega Roma a Fiumicino all’altezza di via della Magliana.
Questa strada che collega Roma a Fiumicino è abbastanza lunga, allora per far capire in quale punto ci saranno i lavori stradali, indico “via della magliana” come punto di riferimento generale.
Attenzione adesso, perché “essere all’altezza di un luogo” può anche indicare qualcosa che non ha sufficienti qualità.
Es:
Il ristorante dove siamo andati a pranzo oggi, al centro di Roma, non è all’altezza del luogo.
Significa che questo ristorante non raggiunge il livello di qualità richiesto. Da un ristorante che si trova in quel luogo ci si aspetta di più.
Quindi sto facendo un confronto tra ciò che mi aspetto e quello che ho notato.
Allo stesso modo posso dire:
Lo studente non è all’altezza del nostro liceo.
Nel senso che dal nostro liceo viene richiesto un livello di preparazione molto alto e lo studente non raggiunge questo livello.
Adesso vediamo se i membri dell’associazione Italiano Semplicemente si dimostrano all’altezza di un ripasso: