Nevvero (ep. 935)

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Trascrizione

Nevvero“, tutto attaccato, sta per “non è vero“. “Nevvero” è la forma contratta di “non è vero“.

Abbiamo visto, nell’episodio dedicato a “N’è“, che a volte “N’è” si utilizza anche nella forma “N’è vero” col significato di “non è vero” ma vi ho detto che questa è solo una forma dialettale.

Invece “nevvero“, tutto attaccato, quindi senza apostrofo, è un termine che come ho detto si può utilizzare nella lingua italiana al posto di “non è vero“. L’origine è sempre questa forma dialettale; però in questa forma è consentito usarla. Ma quando si usa?

E’ propria del linguaggio parlato e familiare, ed è usata in fine di frase o di periodo, quasi a chiedere conferma a quanto si dice.
Es:
Tu vieni alla mia festa di compleanno nevvero?
Normalmente, in queste occasioni si utilizzano più spesso altre forme: giusto? no? Sbaglio?
Anche con nevvero si sta chiedendo una conferma di quanto detto (non a caso c’è il punto interrogativo alla fine) ma molto spesso nevvero si sua in frasi ironiche, in domande retoriche, dove già sappiamo che ciò che ho detto corrisponde alla verità. Può essere anche una forma di provocazione.
Ad esempio, il professore in una classe vuole dire ad uno studente (di nome Giovanni) che se non studia seriamente dovrà ripetere l’anno e vuole essere convincente mostrando un esempio concreto. Nella stessa classe c’è infatti un altro studente che ha ripetuto l’anno perché lo scorso anno non aveva studiato abbastanza. Questo studente si chiama Marco.
Il professore potrebbe dire:
Attento Giovanni, ché chi non studia ripete l’anno. Nevvero Marco?
Sul web trovate vari esempi di questo tipo.
Nevvero, notate bene, non si può usare per dare risposte, ma solo in questa forma interrogativa.
Quando voglio dire che una cosa non è vera, pertanto, la forma contratta “nevvero” non si usa. In questi casi basta dire: non è vero, non è affatto vero, non è per niente vero, assolutamente no! Eccetera.
Nevvero somiglia anche a “davvero“, ma “davvero” è sempre una vera domanda, e solitamente esprime meraviglia (a meno che non sia ironica).
Non è questo il caso di “nevvero”, che come detto si usa solamente alla fine delle frasi in forma retorica. Non sempre è così, a dire il vero, ma vediamo meglio dopo.
Possiamo usare nevvero non solo per chiedere conferma di ciò che si dice (spesso come detto, in forma di domanda retorica), ma anche per sottolineare un’affermazione, o sotto forma di ammonimento, rimprovero.
Es:
Non stai dicendo sul serio, nevvero? (si chiede conferma)
Non lo farai più, nevvero? (ammonimento, rimprovero)
Mi prometti che da oggi in poi studierai, nevvero? (si chiede conferma, ma è anche una raccomandazione, un ammonimento, un rimprovero)
Oppure si usa sotto forma di inciso:
Questo, nevvero, è l’argomento più importante del corso….
Direi che venire in Italia, nevvero, è utile ma non indispensabile per imparare l’italiano
In questo caso non c’è alcun punto interrogativo, nevvero?
E adesso vediamo un bel ripasso, che quasi sempre, nevvero, si trova alla fine di ogni episodio di questa rubrica.
Marcelo: Ragazzi, ho un problema con l’uso dell’apostrofo, soprattutto quando si tratta delle preposizioni articolate. Lo uso sempre in modo indebito. È una cosa suscettibile di creare confusione, non trovate?

Ulrike: Fare attenzione all’uso corretto dell’apostrofo è fondamentale. Hai fatto gli esercizi che ci ha dato il prof? E’ la solerzia nell’impiegarlo che fa la differenza.

Rauno: No, ma di tanto in tanto faccio una scappata su internet per cercare la regola grammaticale.

André: No!!! Io quasi mai: pare brutto confessarlo, ma non mi prende mai lo schiribizzo di andarmi a leggere le regole su niente.

Peggy: ancora ancora come ausilio, va anche bene, ma io preferisco seguire le sette regole d’oro. Che volete, sono membro di Italiano Semplicemente!

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Debito e indebito (ep. 934)

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Trascrizione

Oggi voglio parlarvi degli aggettivi debito e indebito. Ne abbiamo già parlato, lo so, in due diversi episodi, ma non fa male fare un episodio aggiuntivo su due termini complicati. Un episodio, questo, che mi ero ripromesso di fare.

Approfitto dell’occasione anche per inserire qualche altro ripasso, tanto non costa nulla. cosicché possiamo anche evitare il consueto ripasso finale.

Sapete che il termine debito, inteso come sostantivo, si utilizza prevalentemente per indicare una responsabilità finanziaria o un obbligo nei confronti di qualcuno. Il debito è l’opposto del credito in questi casi.

Il sostantivo ci aiuta anche a capire l’aggettivo.

Infatti quando abbiamo un debito, dobbiamo restituire ciò che dobbiamo, prima o poi. È giusto che sia così. Potremmo anche dire che è opportuno.

Il concetto di “giustizia” c’è anche nell’aggettivo.

L’aggettivo si utilizza soprattutto associato a alcuni termini, come il tempo, le circostanze, le precauzioni, il rispetto, le distanze (sia in senso proprio che figurato), le scuse ed altro. Nel prosieguo dell’episodio vediamo esempi su questo.

Si indica in generale qualcosa che è imposto da leggi o consuetudini o che è richiesto dalle circostanze o da motivi di opportunità.

Cosa significa?

Es:

Lo farò a tempo debito.

Ricordate l’episodio in cui ne abbiamo parlato?

Oggi però aggiungiamo qualcosa in più.

Soprattutto vedremo anche l’aggettivo indebito. Anche questo è stato trattato, ma non credo sia indebito fare un altro episodio, chiaramente con le debite attenzioni per non confondere le idee.

Sapete già che il momento debito è quello giusto, il momento corretto per fare (o non fare) qualcosa.

Mamma: Quando deciderai quale università fare?

Figlio: Mamma, ci penserò a tempo debito. Adesso ho solo 6 anni!

Fare una cosa a tempo debito, pertanto, significa farla quando sarà il caso, al momento opportuno, al momento giusto. In qualche modo stiamo anche escludendo gli altri momenti, perché non sono quelli debiti, quelli giusti, quelli opportuni.

Il concetto di giustizia è evidente anche quando l’aggettivo viene associato alla circostanze, alle precauzioni, al rispetto, alle distanze, alle scuse, ai controlli ed altro.

Es:

Mario, dopo aver accusato ingiustamente Giovanni, gli fece le sue debite scuse.

Queste scuse erano debite, quindi giuste, dovute, necessarie, appropriate, opportune. Sicuramente non sono scuse che lasciano il tempo che trovano.

Ogni volta che ti lanci col paracadute, devi sempre fare i debiti controlli che tutto funzioni, e va ovviamente presa ogni debita precauzione per assicurarsi che tutto vada bene.

I debiti controlli sono i controlli che vanno fatti, quindi anche qui sono quelli necessari, giusti, opportuni.

Con i serpenti devi sempre mantenere le debite distanze, altrimenti può essere pericoloso.

Con me, mantieni le debite distanze da oggi in poi. Mi stai troppo antipatico!

Parliamo delle giuste distanze, delle distanze opportune, necessarie. Non sto indicando esattamente la giusta distanza, ma sto dicendo che una “certa” distanza ci vuole.

In senso figurato le debite distanze possono anche indicare non avere e non cercare confidenza con una persona.

Alle persone anziane va portato il debito rispetto.

Bisogna rispettare gli anziani perché è dovuto, perché è giusto, è necessario, è opportuno.

La Commissione si riserva di non assegnare il contributo ove non ricorrano le debite circostanze.

Esempio difficile? Allora facciamone uno più facile:

Per conquistare una donna, bisogna scegliere il momento giusto e anche farlo nelle debite circostanze.

Cosa sono, dunque, le debite circostanze?

Si parla dell’occasione giusta, cioè quando si presentano (quando ricorrono) alcune caratteristiche favorevoli.

Parliamo dell’occasione giusta, del momento opportuno. Parliamo delle giuste circostanze, di precise circostanze.

Le circostanze sono le condizioni o situazioni che accompagnano un fatto. In questo caso parliamo della giusta atmosfera, del giusto ambiente, del momento migliore eccetera.

Le debite circostanze” è il modo migliore per riassumere l’insieme ideale di queste circostanze appropriate.

Esiste però anche l’aggettivo indebito. Ricordo che questo aggettivo si utilizza prevalentemente per indicare qualcosa di illegittimo oppure di arbitrario, o anche di immeritato. Vediamo meglio.

Illegittimo perché esiste ad esempio “l’appropriazione indebita” che avviene quando una persona si appropria (cioè si impossessa) di qualcosa senza averne diritto.

Nel linguaggio giuridico si usa molto spesso e indica una prestazione eseguita e non dovuta.

Anche una richiesta può essere indebita, specie se parliamo di una richiesta di pagamento. Significa che questa richiesta di pagamento non è adeguatamente giustificata o non ha una base legale valida.

Potremmo, in senso più ampio, dire che non è giusta o che non è opportuna, o che non era il caso di farla, quindi è qualcosa di sconveniente o inopportuno.

Come dicevo può indicare qualcosa di immeritato:

Ha ricevuto onori o meriti indebiti.

Questi onori o meriti ricevuti non erano dovuti perché non sono giusti, sono immeritati.

Un altro esempio:

Quando in tv parlano delle persone celebri e dei loro rapporti sentimentali, questo fatto spesso viene considerato una indebita intromissione nella loro vita privata.

I giornalisti quindi si intromettono indebitamente nella loro vita privata, senza averne diritto, quindi anche ingiustamente, in modo inopportuno.

Ultimo esempio: un’ora indebita:

Dovevamo andare a cena insieme ma ti sei presentato alle 11 di sera. Decisamente un’ora indebita, non credi? A quell’ora i ristoranti sono tutti chiusi. Magari per essere aperti, sono anche aperti, ma stanno tutti facendo le pulizie.

Un’ultima precisazione. Gli aggettivi “debito” e “dovuto”, sono quasi sempre utilizzabili l’uno al posto dell’altro. Tenete presente però che in “dovuto” c’è il senso del dovere molto più che in “debito”. Di conseguenza non sempre “dovute” si adatta a sostituire “debite”.

Le “debite scuse” e le “dovute scuse” si usano indifferentemente perché il senso del dovere è evidente, ma sostituire le “debite circostanze” con le “dovute circostanze” è un po’ forzato. In questo caso si tratta di precise, ben determinate circostanze.

Inoltre “debito” si usa quasi solamente prima del sostantivo: le “debite” scuse, i “debiti” controlli ecc. mentre “dovuto” si mette normalmente anche dopo il sostantivo:

Frasi come: i controlli sono dovuti, gli interessi sono dovuti ecc. sono del tutto normali, ma, a parte alcune eccezioni difficile  trovare frasi come “con le le eccezioni debite” o “le circostanze debite” ecc. Può capitare, ma molto meno frequentemente.

E’ tutto per oggi. Ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente.

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N’è (ep. 933)

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Trascrizione

Oggi mi spetta un compito veramente difficile: devo affrontare un argomento legato alla grammatica italiana, ma non devo risultare noioso.

Tutt’altro: l’obiettivo è di essere persino divertente. So già che non ci riuscirò. Vabbè ci provo lo stesso. Alla fine spero di poter dire che ne è valsa la pena

L’obiettivo è spiegarvi l’uso di “ne è” e anche di “n’è”, che ne è l’abbreviazione.

Come vedete infatti c’è un apostrofo. Poi c’è il verbo essere.

Ma quando possiamo apostrofare? Sempre? La risposta è no.

A volte si può scrivere “n’è” (ho detto può, non deve) mentre altre volte si preferisce conservare la forma staccata: ne è.

Per distinguere i due casi vi può sicuramente aiutare notare cosa c’è prima di “ne è“.

Ad esempio quando diciamo “Ce n’è“, possiamo usare la forma abbreviata. Notate anche la pronuncia.

Ce n’è ancora di caffè?

No, non ce n’è. Bisogna comprarlo. Ma dove?

Al supermercato. Ve n’è uno proprio dietro l’angolo. Una volta c’erano tanti supermercati da queste parti, ma n’è rimasto uno solo adesso.

Chi va a comprarlo? Lo dico a Giovanni?

No, Giovanni se n’è andato. Allora vado io.

Aspetta però che chiediamo prima al vicino di casa.

Ciao, per caso hai un po’ di caffè?

Sì. Me n’è rimasto un pacchetto o due. Prendili pure.

Si, ti ringrazio. Controlla però. Se te n’è rimasto un solo di pacchetto, meglio che lo tieni per te.

Accidenti, è vero. Ce n’è solo uno! Ma che n’è stato dell’altro pacchetto?

Non saprei. Ma non importa quanto n’è rimasto. Prendilo comunque, tanto io lo tengo solo per gli ospiti.

In tutti i casi che avete appena letto o ascoltato, si può anche non usare la forma abbreviata, ma di solito si fa così, soprattutto all’orale e nel linguaggio informale.

Abbiamo già visto come “ci” è simile a “vi. Allo stesso modo “ce” è simile a “ve”. Quindi “c’è” è simile a “v’è” e quindi “ce ne è” è simile a “ve ne è” (con o senza accento) che al plurale diventano “ce ne sono” e “ve ne sono” ma al plurale chiaramente non si possono abbreviare.

Quindi, tornando all’argomento di oggi:

Ce n’è, ve n’è, se n’è, me n’è, te n’è, che n’è, quanto n’è.

Questi sono i casi in cui si può abbreviare. In genere si fa così. Si può però anche scrivere per esteso.

C’è anche “ma n’è” che si apostrofa meno spesso.

Ma n’è valsa la pena?

Se mettiamo “ma” davanti, viene molto più facile abbreviare. Soprattutto nella forma orale. È una questione di fluidità nella pronuncia.

Ne è valsa la pena?

Soprattutto nella forma scritta, in questo caso normalmente si scrive invece per esteso. All’orale si può chiaramente pronunciare più velocemente ricorrendo all’apostrofo.

A parte i casi di cui vi ho parlato, difficile se non impossibile trovarne altri. Almeno nell’uso comune della lingua.

A volte poi si trovano frasi di questo tipo:

Vacci piano con il vino, n’è mica acqua!

N’è mica facile

N’è vero!

N’è difficile

Queste però sono forme dialettali e in questi casi “n’è” sta per “non è”. Quindi le frasi corrette sono:

Vacci piano con il vino, non è mica acqua!

Non è mica facile

Non è vero

Non è difficile

Quindi “n’è” nella lingua italiana è solamente l’abbreviazione di “ne è”, che in molti casi non si usa invece abbreviare.

Quando?

Questo utilizzo ne è un esempio.

Non si abbrevia in questi casi.

Ce n’è un altro? Sì, più di uno:

Bullismo a scuola: cosa fare se mio figlio ne è vittima?

Quanti errori si possono fare? Qualcuno ne è consapevole?

Cosa ne è stato del sogno americano?

Il tuo compito è pieno di errori. Il mio invece ne è privo.

La forma “cosa ne è ” è chiaramente analoga a “che ne è“, ma l’uso di “cosa” è meno informale e pertanto è più facile trovare la forma non accentata. Nella forma scritta, in realtà, anche “che ne è ” si trova sempre o quasi sempre per esteso.

Vi ricordo ad esempio l’episodio dedicato: Cosa ne è, cosa ne fu, cosa ne è stato, che ne sarà. In questo episodio non ho mai usato la forma abbreviata. A volte però avrei potuto farlo.

Allora, adesso che avete ascoltato o letto questo episodio, ditemi: n’è valsa la pena?

Non state a pensare più di tanto. Occorre solo leggere e ascoltare parecchio.

Attenzione però a non confondere “ne è” con .

Infatti né, scritto senza apostrofo ma con l’accento acuto sulla e, è una congiunzione e significa “e non”, simile a “neanche”.

Non voglio né questo né quello.

Non mangio né carne né pesce.

Adesso facciamo qualche esempio di “ne è” dove si preferisce non usare l’apostrofo e poi vediamo un ripasso degli episodi precedenti.

1. Sono andato a vedere un film. A me è piaciuto ma mia moglie ne è rimasta delusa.
2. Ho preso troppa pizza per stasera. Ne è avanzata parecchia.
3. Ho cercato di scrivere velocemente la relazione che mi è stata chiesta, ma ne è uscito un disastro.
4. Abbiamo piantato molti alberi nel giardino e ne è già fiorito uno.
5. Ho cercato di prenotare due tavoli al ristorante, ma ne è rimasto solo uno disponibile.
6. Ho provato a seguire la ricetta, ma ne è uscito un piatto completamente diverso.

Estelle (Francia 🇫🇷): avete fatto caso che Gianni ci chiede spesso un ripasso di notte? Non voglio passare per una lingua dì vipera, questo però mi sembra un po’ scostumato. Non credete che sia un comportamento che viola le regole delle buone maniere?

Albéric: ma perché criticare? Ce n’è veramente bisogno?

André (Brasile 🇧🇷): Hai ragione, Estelle, Gianni ci chiede dei ripassi quando gli europei sono già sulla soglia dell’incontro con Morfeo!

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La solerzia (ep. 932)

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Trascrizione

Devi essere solerte!

Te l’hanno mai detto?

Parliamo della solerzia.

L’idea della rapidità è la prima cosa che viene in mente, e per questo essere solerte può anche sostituirsi con essere rapido, agire rapidamente, fare in fretta.

La rapidità è un aspetto importante della solerzia, ma non è l’unico. Non basta dire:

Sbrigati!

Devi fare in fretta!

Non stiamo aspettando la fidanzata che scende per andare cena!

E non stiamo neanche facendo una gara di velocità.

La solerzia è un termine che indica anche la prontezza e l’efficienza nel compiere un’azione o un lavoro.

Si usa per descrivere una persona che agisce con rapidità ma anche diligenza, senza perdere tempo inutilmente.

Per essere solerti, è importante essere organizzati e pianificare bene il proprio lavoro in modo da poterlo svolgere con efficienza. Inoltre, bisogna essere motivati e avere una forte volontà di portare a termine le cose.

La solerzia può essere sostituita da altri termini come “diligenza”, “impegno”, “metodo”, prontezza o “efficienza” però quando lo facciamo ci perdiamo sempre qualcosa.

Tipo:

Bisogna agire con solerzia

Questo vuol dire, tra le altre cose:

Bisogna agire con prontezza

Bisogna agire con metodo

Bisogna agire con diligenza

Però bisogna anche fare in fretta e con precisione.

Inoltre la solerzia ha un’accezione positiva molto forte, che implica un senso di responsabilità e un forte impegno personale.

La solerzia possiamo usarla in molti contesti, sia nella vita privata che nel mondo del lavoro. Non è un caso che la parte finale della parola solerte deriva da “arte”, nel senso di attività e lavoro.

Ad esempio, si può parlare di solerzia nell’affrontare un progetto, nel rispondere alle richieste dei clienti, nella cura della propria salute o nella gestione del proprio tempo.

In generale, la solerzia è apprezzata in ogni ambito in cui viene richiesta efficienza e rapidità d’azione.

Certo, non è un termine che fa parte più di tanto del linguaggio quotidiano.

Questo è vero, ma resta comunque un termine corretto e di uso comune in molti contesti, soprattutto, ripeto, nel mondo del lavoro.

Possibili sinonimi di solerte possono essere anche meticoloso e zelante. Oppure alacre, attivo, laborioso o anche scattante.

Invece come opposto possiamo usare sicuramente negligente, pigro o svogliato.

Adesso ripassiamo parlando di attualità.

Anthony: Ragazzi riuscite a capacitarvi dei due avvenimenti storici che si sono verificati la settimana scorsa? Era daillo tempore che non vedevamo una incoronazione e nientepocodimeno che uno scudetto in mano al Napoli.

André: sebbene io faccia il tifo per un’altra squadra, i festeggiamenti dei tifosi del Napoli mi hanno fatto venire la pelle d’oca! Della incoronazione del Re Carlo me ne frego bellamente!

Danielle: Ma questo è un atteggiamento assai ingeneroso nei confronti delle tradizioni di una grande nazione. Datti una regolata!Scherzo, scherzo. Del re non è che me ne importi granché neanche a me.

Marcelo: sullo scudetto del Napoli, dico che è meritatissimo. Nulla quaestio.
Quanto al Re Carlo, porta sul groppone una grande responsabilità, soprattutto perché viene dopo sua madre; ma pare bruttonon dargli fiducia. Direi che è doveroso.

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Esempi di utilizzo del termine solerzia

1. Essere solerti nel rispondere alle email dei clienti è fondamentale per mantenere una buona reputazione aziendale.
2. Il team di soccorso è stato solerte nel rispondere alla chiamata di emergenza.
3. I dipendenti sono solerti nel rispettare le norme igieniche e di sicurezza sul lavoro.
4. La segretaria è sempre molto solerte nell’organizzare gli appuntamenti del suo capo.
5. Il volontariato richiede persone solerti e disponibili a dedicare il proprio tempo agli altri.
6. La polizia ha agito in modo solerte per fermare i fuggitivi.
7. La squadra di manutenzione è stata solerte nel riparare il guasto dell’ascensore.
8. La guida turistica è stata molto solerte nel rispondere alle domande dei turisti.
9. Gli studenti solerti hanno ottenuto i migliori voti agli esami.
10. La squadra di produzione è stata solerte nel consegnare il progetto in tempo utile.

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Le Analisi del sangue – Il linguaggio della salute (ep. 3)

Le Analisi del sangue (scarica audio

Giovanni: ecco il terzo episodio di italiano semplicemente dedicato al linguaggio della salute.

Dopo aver parlato dell’ansia e prima ancora delle iniezioni, oggi ci occupiamo delle analisi del sangue.

Perché? Semplicemente perché dopo aver fatto le analisi del sangue, si aspettano i risultati, spesso con ansia!

Andrè Arena
Andrè Arena, corrispondente in Brasile (Araraquara, San Paolo) di Italiano Semplicemente

Scherzi a parte, oggi ci farà compagnia André Arena, che gestisce un centro analisi in Brasile, nei pressi della città di San Paolo.

Per prima cosa, le analisi del Sangue vengono anche dette “esami del sangue”, sebbene analisi sia un termine più usato, sia dai medici, sia dalla popolazione in generale, perché il sangue va in effetti analizzato per vedere..

André: per vedere se tutto è a posto.

Giovanni: grazie André, ma stavo dicendo che spesso si chiamano anche esami perché in fondo si fa una valutazione di alcune caratteristiche del sangue, caratteristiche che emergono appunto dalle analisi.

Ho appena usato il verbo “emergere“, che si usa sempre per tutte le analisi mediche.

Dalle analisi emerge sempre qualcosa, di buono o di cattivo.

André: scusatemi! Ho dimenticato di dire buongiorno a tutti!

Giovanni: vabbè, meglio tardi che mai! Dicevo che emergere si usa spesso parlando di esami e analisi mediche:

Dalle analisi non emergono elementi di preoccupazione.

André: dalle analisi emerge un livello eccessivamente alto del colesterolo.

Giovanni: André, per quale motivo nel tuo centro le persone vengono a fare le analisi?

André: generalmente è il dottore che prescrive le analisi.

Giovanni: cosa fa il dottore?

André: il medico prescrive le analisi al paziente.

Giovanni: interessante il verbo prescrivere, soprattutto perché non si usa solo in medicina.

In ambito medico significa ordinare come terapia. Es:

il medico gli ha prescritto un antibiotico.

Il medico mi ha prescritto delle analisi del sangue.

Si usa però anche parlando di leggi e regolamenti:

la legge prescrive obblighi precisi

il regolamento prescrive che le decisioni siano prese all’unanimità.

Notate che quando uso “prescrive che” va usato poi il verbo al congiuntivo.

Se il congiuntivo mi sta antipatico posso usare la preposizione “di”:

La legge prescrive di mantenere il segreto nell’interesse dello Stato.

André: Il medico ha prescritto di prendere questo medicinale due volte al giorno.

Giovanni: Anche i reati si possono prescrivere però, ma in questi casi non bisogna compiere un reato perché ce l’ha prescritto il medico. Siamo sempre in ambito di giustizia.

Nella giustizia si usa l’espressionecadere in prescrizione“, a proposito, oltre che di diritti o di reati, di impegni o rapporti soprattutto sociali e affettivi che decadono o si annullano.

Ma torniamo alle analisi del sangue. André, mi descrivi come avvengono queste analisi?

André: tecnicamente si deve fare un prelievo del sangue attraverso una iniezione.

Giovanni: Una iniezione di fiducia?

André: no, magari! Purtroppo va fatta un’iniezione al braccio.

Giovanni: delle iniezioni sicuramente i nostri ascoltatori si ricorderanno del primo episodio della rubrica.

André: non avete parlato del prelievo però!

Giovanni: facciamolo adesso. Si tratta di una operazione di prelevamento. Si preleva una piccola quantità di sangue in questo caso.

Il sangue non è l’unica cosa che si può prelevare però.

Si può prelevare anche un campione di un tessuto, a scopo diagnostico. Ma esiste anche il prelievo al bancomat. In questo caso si prelevano i soldi.

Prelevare sta per “far uscire” qualcosa.

Ma per fare un prelievo di sangue cosa occorre?

André: prima si disinfetta il punto in cui si fa l’iniezione.

Giovanni: si disinfetta, cioè si tratta quella parte del braccio con un disinfettante, si sottoporre il punto a disinfezione. Perché si deve evitare l’infezione. “Trattare”, nel linguaggio medico, significa curare una malattia, un malanno con un certo rimedio. Si può trattare una ferita con del disinfettante, oppure si può trattare chirurgicamente un tumore. In questo caso si deve trattare il braccio con un disinfettante. Si tratta (scusate il gioco di parole!) del “trattamento”. Trattare in questo caso è simile ad “applicare”. Anche il laccio emostatico, che serve a arrestare la circolazione del sangue sul braccio, si può applicare. Infatti che si fa dopo aver trattato il braccio con il disinfettante?

André: poi si prende un laccio emostatico e si applica all’inizio del braccio.

Giovanni: e poi si infila l’ago.

André: esattamente. Poi il sangue dove va a finire?

Giovanni: lo chiedi a me?

André: no, lo chiedevo agli ascoltatori!

Giovanni: ah, e come si chiama quel piccolo contenitore in cui si mette il sangue dopo che è stato prelevato?

Provette
Le provette

André: si chiama provetta.

Giovanni: sai André come possiamo chiamare una persona che ha acquistato una certa esperienza e abilità in una professione o in uno sport? 

André: come?

Giovanni: proprio provetta!

Questo è anche un aggettivo infatti.

Un cuoco provetto

Una insegnante provetta

Un avvocato provetto

Un calciatore provetto

È un modo simpatico e non troppo formale per indicare che una persona sa fare bene qualcosa anche se non è ancora espertissimo. Non si dice normalmente di persone anziane.

André: allora ormai sono un tecnico provetto! Potete fidarvi di me!

Giovanni: senti André, allora essendo ormai provetto nel tuo mestiere, saprai spiegare cosa sono i “parametri” quando parliamo delle analisi del sangue.

André: i parametri? Un parametro è un termine o valore di riferimento, un criterio di giudizio.

Giovanni: ad esempio?

André: ad esempio riguardo il colesterolo, quello cosiddetto “buono”, cioè il colesterolo HDL, deve essere maggiore di 40 mg/dl. Questo è il parametro di riferimento.

Giovanni: il termine parametro infatti contiene la parola “metro” e questa parola si usa spesso per indicare un giudizio o un confronto. Il metro non è solo una misura della distanza, ma anche un criterio soggettivo di giudizio.

Ognuno quando giudica lo fa col proprio metro

Cioè ognuno, nel giudicare, fa dei confronti, decide quanto è buona o cattiva una cosa ad esempio, a seconda delle proprie esperienze.

André: i parametri di riferimento dei valori del sangue sono però valori oggettivi, che valgono più o meno per tutti. Infatti non c’è mai un singolo valore considerato “normale”, ma un livello minimo, massimo o un intervallo di valori.

Giovanni: i problemi nascono quando usciamo da questo valori. Perché i parametri sono dei valori, sono dei numeri. Ma quale termine si usa per fare una valutazione, per dare un giudizio su ciò che emerge dalle analisi?

 analizzatore di immunodosaggio automatizzato
Uno strumento di diagnostica: analizzatore di immunodosaggio automatizzato

André: parli della diagnosi?

Giovanni: se non lo sai tu!

André: si, la diagnosi dei risultati è la valutazione dei risultati.

Giovanni: la diagnosi viene fatta dai cosiddetti “strumenti diagnostici”?

Anthony: Gli strumenti diagnostici, come l’apparecchio per misurare la pressione, possono essere utilizzati per aiutare nella diagnosi, ma la diagnosi finale è sempre fatta dal medico (come me) o dal professionista sanitario (come Andrè) sulla base di una valutazione completa del paziente e di tutte informazioni disponibili, come l’esame fisico del paziente, la sua storia clinica e altri test di laboratorio e diagnostici.

Giovanni: Ah, grazie Anthony! Così si identifica e si determina la natura e la causa di una malattia o di un disturbo. Questa è la diagnosi. Mi fa piacere che sei intervenuto proprio sulla diagnosi, il tuo pane quotidiano!

Anthony: Da distinguere dalla prognosi.

Giovanni: giusto. Vuoi spiegarci anche cos’è la prognosi?

Anthony: all’esito degli esami, cioè una volta che abbiamo i risultati delle analisi e una volta che il medico ha fatto la diagnosi, si passa alla prognosi.

Giovanni: beh, la parola “esito” però bisogna spiegarla. Esito significa risultato, quindi all’esito delle analisi significa, come hai detto tu poc’anzi, quando abbiamo il risultato delle analisi, e “all’esito della diagnosi” sta per “dopo che abbiamo la diagnosi”, detto in parole povere, “una volta ottenuta la diagnosi”. Il termine “esito” si riferisce al risultato di un’azione o di un evento qualunque. Quindi, se qualcosa ha un “esito positivo“, significa che ha avuto un risultato positivo, mentre se ha un “esito negativo“, significa che ha avuto un risultato negativo. Facile.

André: Quando si fanno le analisi mediche si aspetta sempre l’esito delle analisi o l’esito degli esami, più in generale.

Giovanni: facciamo un esempio allora. Hai detto che all’esito degli esami, cioè una volta che abbiamo i risultati delle analisi e una volta che il medico ha fatto la diagnosi, si passa alla prognosi.

Non ho capito bene la differenza tra diagnosi e prognosi

Anthony: in parole povere con la diagnosi si cerca la causa dei sintomi, mentre la prognosi si concentra sugli esiti possibili.

Giovanni: Ah ok! Quindi se ad esempio all’esito delle analisi del sangue risulta un livello troppo elevato del colesterolo cattivo, allora la diagnosi potrebbe essere che il paziente mangia troppi grassi. Questa potrebbe essere una possibile diagnosi.

Un pizzaiolo provetto
Un pizzaiolo provetto

Anthony: esatto, e una diagnosi potrebbe essere che il paziente, se farà più attività sportiva, non avrà gravi rischi per la salute. Comunque non dobbiamo dimenticare che in questo caso ci sono anche i fattori genetici da considerare. 

Giovanni: quindi si può avere una buona prognosi e una cattiva prognosi.

Terminiamo con l’espressione “assegnare 10 giorni di prognosi“. É interessante anche l’uso del verbo assegnare, simile a prescrivere. Anche i compiti si assegnano.  Il professore assegna i compiti agli studenti. Così anche i giorni di prognosi si possono assegnare. ma che vuol dire?

Anthony: Quando un medico assegna una prognosi di 10 giorni, tanto per fare un esempio, significa che il medico prevede che il paziente abbia bisogno di almeno 10 giorni per guarire o recuperare da una malattia o un infortunio. La prognosi di 10 giorni indica quindi la durata approssimativa della convalescenza necessaria per il paziente.

Giovanni: la convalescenza è l’ultimo termine che spieghiamo oggi. Si tratta di quel periodo di tempo o, se vogliamo, quello stato di transizione che serve per il superamento della malattia al recupero completo delle forze e della normale salute (la guarigione).

André: quindi il medico indica, come prognosi, che il paziente ha bisogno di un periodo di convalescenza e durante questo periodo, il paziente potrebbe richiedere cure mediche, riposo a letto, farmaci o altre terapie per aiutare nella guarigione o nel recupero.

Giovanni: bene, possiamo considerarci soddisfatti per oggi. Allora ricapitolando, abbiamo parlato delle analisi o esami del sangue, abbiamo detto che, all’esito di tali analisi possono emergere eventuali problemi. Abbiamo detto che è il medico che prescrive le analisi ed eventuali farmaci. Abbiamo visto i verbi trattare e applicare e poi anche il laccio emostatico.

André: poi si è parlato del prelievo, del verbo prelevare e della provetta.

Giovanni: e poi abbiamo parlato dei parametri di riferimento, della parla “metro“, della diagnosi e della prognosi, che si può anche “assegnare“.

André: e per finire hai spiegato l’esito e la convalescenza.

Giovanni: grazie a tutti, specie a André e Anthony per l’aiuto. Il prossimo episodio vedremo la tachicardia. Ci aiuterà ancora Anthony e chissà se non troveremo altri membri esperti di cuore. Chi lo sa!

André: un saluto a tutti.

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Fare attenzione, fare caso e prestare attenzione (ep. 931)

Fare attenzione, fare caso e prestare attenzione (scarica audio)

Giovanni: Mi è stato richiesto di spiegare la differenza tra “fare attenzione” e “fare caso”.

Sono due locuzioni che hanno delle somiglianze ma anche delle differenze alle quali vi prego di prestare attenzione.

In estrema sintesi, possiamo dire che entrambe si riferiscono alla consapevolezza di un evento o di una situazione, ma “fare attenzione” si concentra sull’essere concentrati e vigili, mentre “fare caso” si riferisce a notare qualcosa.

Si possono usare in sostituzione in alcuni casi, ma ci sono alcune sfumature che le distinguono.

Ad esempio, se qualcuno ti dice di “fare attenzione” (o di stare attento/a) a una strada trafficata, si sta concentrando sulla necessità di essere vigili, di stare attenti, che occorre consapevolezza per evitare un incidente, mentre se ti dice di “fare caso” a qualcosa, si sta chiedendo di notare un particolare dettaglio.

Il verbo “notare” si può usare in luogo di “fare caso” perché si tratta di qualcosa che potrebbe sfuggire. Si tratta spesso di un dettaglio e di solito niente di pericoloso.

In entrambi i casi si può usare la preposizione “a”.

Hai fatto caso al colore del cielo che c’è in Italia? È molto più blu rispetto al mio paese!

Bisogna fare attenzione alle buche sulla strada.

Hai fatto caso che Giovanni è un po’ triste?

Hai notato che Giovanni oggi è u po’ triste?

Fate attenzione ragazzi, perché questo è un argomento importate e sicuramente lo chiederò all’esame.

Le locuzionu “fare caso” e “fare attenzione” si possono entrambe sostituire con “prestare attenzione”, che è, tra l’altro, meno informale.

Prestare attenzione si può usare sia per notare un dettaglio che potrebbe sfuggire, ma si usa in particolar modo nel senso di restare concentrati durante una spiegazione:

Presta attenzione ai suoi occhi e noterai che sono lucidi. Segno che ha appena pianto.

Qui è più vicino a “fare caso” .

Oppure si può usare per segnalare un pericolo o per far notare una cosa importante, proprio come “fare attenzione”:

Presta attenzione alla guida sennò vai fuori strada

Devi prestare più attenzione quando spiego, perché altrimenti poi impieghi il triplo del tempo per imparare la lezione.

È tutto per oggi. Prestate attenzione al ripasso però. Sono sicuro che sarà utile per voi.

Oggi ripassiamo alcuni episodi passati tra cui alcuni verbi che si utilizzano in contesti lavorativi. Avete fatto caso al fatto che non ripassiamo molto spesso questi verbi?

Lejla: Ciao a tutti, oggi vorrei discutere di ciò che è più importante nella vita. Per me tutto dipende dalla felicità e dal raggiungimento di un equilibrio stabile tra i vari aspetti della vita. Questo mi permette di essere soddisfatta e serena. Ne convenite?

Karin: si fa presto a dire ne convenite.
Diciamo che sono d’accordo con te, la felicità è sicuramente importante. Ma c’è anche la realizzazione personale, il raggiungimento dei propri obiettivi. Parlo dell’auto-realizzazione. C’è qualcuno che non presta attenzione però, o sbaglio?

Marcelo: sto ascoltando, non fare la spiritosa. Io penso che la cosa che più conta, dopo aver vagliato tutta la vita tra le varie possibili risposte, sia la ricerca della verità. Come affermava Socrate, “la vita senza verità non vale la pena di essere vissuta”.

Estelle: che fai, ti inventi le frasi di Socrate? Ma io non lo so! Concordo con te comunque: la verità e la conoscenza sono fondamentali nella vita. Ma vorrei suggerire l’importanza delle relazioni interpersonali, come sosteneva Martin Buber.

Danielle: Ma come possiamo valutare quale di questi aspetti abbia più importanza per pervenire a una soluzione?

Marcelo: Possiamo disaminare le motivazioni che ci spingono e capire quale di esse ci rende più appagati e soddisfatti? Sennò non ne usciamo! Non mi equivocate però. L’argomento è interessantissimo.

Karin: caldeggio la tua idea, ma non dobbiamo limitarci solo alla nostra personale prospettiva. Possiamo guardare anche alle esigenze della società in cui viviamo.

Estelle: a sto punto disdico al ristorante! Ci vuole una vita qui a esaurire questo discorso. Comunque per far prima potremmo attenerci alle teorie di pensatori importanti come Aristotele, che sosteneva l’importanza dell’equilibrio tra i vari aspetti della vita.

Khaled: Quindi potremmo dire che l’importanza dipende dalle circostanze e dalle necessità di ognuno di noi. Ma come possiamo ristabilire l’equilibrio tra i vari aspetti quando l’equilibrio viene perso?

Karin: Possiamo cercare una via di mezzo, come sosteneva Aristotele, riconoscendo l’importanza di tutti i fattori della vita. Non ho una risposta personalmente, e poi lungi da me la volontà di impartire lezioni agli altri.

Marcelo: E come sottolineava Kant, dovremmo fare ricorso alla ragione e al buonsenso per risolvere i conflitti e trovare un equilibrio.

Estelle: Ma dobbiamo anche valutare l’ammontare delle risorse che abbiamo a disposizione e fare attenzione a non cedere troppo su un aspetto a discapito degli altri.

Edita: la Risorsa più importante per ora è il tempo e io ho fame. Scusate se sembro venale, ma bisogna constatare che si è fatta una certa ora. Aristotele può aspettare e io pertanto mi esento dal proseguire la discussione.

Hartmut: vabbè taglio corto allora. Liquidiamo la questione dicendo che alla fine siamo d’accordo sul fatto che l’importanza nella vita dipende dalle esigenze e dalle necessità di ognuno di noi e che dobbiamo cercare un equilibrio tra i vari aspetti per essere appagati e realizzati. E sia! Per me melanzane alla parmigiana!

Karin: ben detto! Adesso mangiare bene è la cosa più importante e appagante.

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L’ansia si trasmette? Il linguaggio della salute (ep. 2)

L’ansia si trasmette? (scarica audio)

Giovanni: L’ansia si trasmette? Un genitore può essere la causa di un figlio ansioso?

Queste sono le domande di oggi per il secondo episodio del linguaggio della salute, la nuova rubrica di Italiano Semplicemente adatta per migliorare il nostro italiano.

Sappiamo che non bisogna studiare il condizioni di stress – è la terza regola d’oro di Italiano Semplicemente se ricordate. L’ansia quindi è concepita come qualcosa che non giova, non è salutare oltre certi limiti. Soprattutto per i ragazzi.

L’ansia si trasmette?

Trasmettere” è il verbo che si usa normalmente per indicare il passaggio di una malattia da una persona all’altra.

Parliamo delle malattie trasmissibili, chiaramente.

Non tutte le malattie infatti si possono trasmettere.

Riguardo all’ansia, l’ho chiesto ad una professoressa universitaria, membro dell’associazione Italiano semplicemente di nome Rafaela, di nazionalità spagnola.

Ma cos’è l’ansia?

Facciamo una piccola premessa.

L’ansia è un’emozione naturale (non una malattia quindi) e anche normale, che tutti possono provare (tutte le emozioni si “provano”) in determinate situazioni, ad esempio in caso di esame, un colloquio di lavoro o situazioni di stress.

Tuttavia, quando l’ansia diventa eccessiva e interferisce con la vita quotidiana, sappiamo tutti che può diventare anche un problema di salute: può generare eccessiva preoccupazione, inquietudine, paura, apprensione, tensione e anche stanchezza.

Ma Rafaela è specializzata in psicologia dei ragazzi e allora le chiedo:

L’ansia dei ragazzi da cosa dipende?

Rafaela: buongiorno a tutti. La causa dell’ansia nei ragazzi può essere attribuita a molteplici fattori, tra cui la pressione scolastica, la competizione sociale, la pressione dei genitori e la mancanza di autostima.

Quindi sì, l’ansia può dipendere anche dai genitori. Tra l’altro, quando vediamo davanti a noi a una persona con un’ansia esagerata, ci può fare innervosire e possiamo provare anche noi ansia.

Giovanni: C’è allora un legame col comportamento dei genitori?

Rafaela: Nel corso degli anni, è stata constatata (cioè verificata, appurata) una connessione, cioè un legame, tra l’ansia dei ragazzi e genitori iperprotettivi.

Giovanni: bel termine questo. I genitori iperprotettivi sono coloro che proteggono eccessivamente i figli. “Iper” è simile a “super”.

Rafaela: infatti, ma così facendo si impedisce loro di maturare e la loro autostima è minacciata. Questa eccessiva protezione impedisce loro di sviluppare la resilienza necessaria a fronteggiare le situazioni di stress e difficoltà.

Giovanni: è una parola molto di moda in questi ultimi anni questa: la resilienza.

In psicologia la resilienza è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.

Si usa però anche in economia recentemente, per indicare la capacità di una economia, cioè di un paese, di una nazione, di superare prove difficili e crisi economiche.

Più è elevata la resilienza, meglio è.

Tornando alla medicina invece, pare che gli esperti, Rafaela compresa immagino, concordino sul fatto che l’ansia possa essere utile in alcune situazioni, poiché può tenere il corpo in allerta, in allarme, per affrontare una minaccia o una situazione pericolosa.

Quindi l’ansia in qualche modo è utile, serve a qualcosa.

Tuttavia, l’ansia eccessiva può ostacolare il normale funzionamento della vita quotidiana, tanto da impedire ai ragazzi di godersi le attività quotidiane e di sviluppare normalmente.

Rafaela: certo, e allora è importante che genitori e educatori aiutino i ragazzi a comprendere l’ansia e a sviluppare strategie salutari per affrontare le situazioni stressanti. Inoltre, è importante che i genitori evitino di mettere troppa pressione sui propri figli e li aiutino a sviluppare la resilienza necessaria per fronteggiare le difficoltà della vita.

Giovanni: allora meglio non proteggerli affatto? Ma qual è il contrario di iperprotettivo?

Si va da un eccesso all’altro. Si dice che un genitore, in questo caso, è lassista, permissivo. Parliamo del lassismo. È positivo il lassismo dei genitori?

Un genitore è lassista quando manca di rigore, quindi una specie di menefreghismo, un eccessivo permissivismo.

Rafaela: purtroppo anche il lassismo eccessivo può rendere i figli più vulnerabili all’ansia. E bisogna sapere che ci sono altri stili genitoriali come lo stile eccessivamente autoritario ed esigente. Questo tipo di genitore è ancora più collegato ai sintomi di ansia nei figli. Se i genitori usano una severa disciplina con i figli e li puniscono per i loro errori, è più probabile che i figli sviluppino una maggiore sensitività e reattività ai propri errori. Questa maggior reattività negativa davanti ai propri errori poi diventa parte della loro struttura neurale ed è questa caratteristica neurale a essere associata ai disturbi dell’ansia.

Giovanni: un mestiere difficile quello del genitore vero?

Rafaela: purtroppo si! Ma non ti far venire l’ansia perché ci sono molti fattori a intervenire, oltre ai genitori.

Giovanni: ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente dedicato alla salute. Grazie a Rafaela.

Rafaela: prego! Grazie te per questa occasione!

Giovanni: nel prossimo episodio parliamo delle analisi del sangue e ci aiuterà André dal Brasile, un esperto del settore. Anche André è membro dell’associazione Italiano semplicemente.

André gestisce infatti un centro analisi ad Araraquara, vicino San Paolo.

Anch’io una volta ho fatto le analisi del sangue nel laboratorio di André.

André: Fortunatamente sono andate bene 🙂

Giovanni: ah, per fortuna! Mi stava già prendendo l’ansia!

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Il groppo (ep. 930)

Il groppo (scarica audio)

Voce di Danielle, membro della nostra associazione italiano semplicemente

Ricordate il groppone? Ne abbiamo parlato in un episodio e abbiamo detto che deriva dalla groppa, al femminile.

Ebbene, esiste anche il groppo, che però è una cosa completamente diversa.

La parola “groppo” può avere diverse accezioni che dipendono dal contesto in cui viene usata.

Si usa soprattutto il “groppo in/alla gola“.
Si parla di groppo in gola quando si avverte una sensazione di blocco o di fastidio alla gola, come se avessimo qualcosa o se abbiamo veramente qualcosa alla gola che ci dà fastidio, ma in genere è una sensazione.

In questo senso, “groppo” può essere sostituito con “nodo”, quindi “nodo alla gola”, o “fastidio alla gola”.

Si usa anche quando, per l’emozione, non si riesce a parlare, come se si avvertisse qualcosa alla gola che impedisce di parlare o di esprimersi bene.

Mi è venuto un groppo alla gola e non sono riuscito a parlare. Ero troppo emozionato.

Il concerto è stato bellissimo. Da groppo alla gola.

La prima sera al festival di Sanremo mi è venuto un groppo alla gola. Non riuscivo a cantare.

Prima di piangere viene sempre un groppo alla gola

Quando si avverte un groppo alla gola, in generale, per commozione, paura o angoscia, non riusciamo a deglutire.

Il termine groppo si usa, sebbene più raramente, anche per indicare del filo arrotolato e intricato. Anche questo impedisce un’azione: quella di srotolare il filo.

In questo caso, “groppo” può essere sostituito con “nodo”, “attorcigliamento“, un “nodo intricato“, un “groviglio“. In pratica un insieme intricato di fili tutti arrotolati, attorcigliati.

In senso figurato, viene naturale e intuitivo immaginare che “groppo” può indicare anche una difficoltà o un impedimento che impedisce di procedere, generando ansia o incertezza.

Rappresenta una sorta di blocco, quindi proprio come i problemi, impediscono di procedere, di andare avanti in qualche attività.

Ad esempio, si può dire che si avverte un groppo nello/allo stomaco quando si è molto preoccupati o si è a disagio per qualcosa.

In questo contesto, “groppo allo stomaco” può essere sostituito con “nodo allo stomaco”, “sensazione di oppressione”, “disagio interno”.

Quando vedo certe scene di violenza mi prende un groppo allo stomaco che non ti dico!

Ma quando torna mio figlio? Già avverto un groppo allo stomaco per l’ansia.

Ma che schifezze ti mangi? Mi fai venire un groppo allo stomaco solo a guardarti!

Si usa spesso in contesti di questo tipo, quando c’è ansia, preoccupazione o anche in senso ironico.

Infine, “groppo” può anche essere usato come sinonimo di “cumulo”, “ammasso”.

Ad esempio, si parla di groppo di terra o di groppo di sassi. Un uso meno diffuso quest’ultimo.

Attenzione anche a non confondere “groppo” con “gruppo“, che ha un significato e un uso diverso, ma in fondo sia il gruppo che il groppo sono un insieme di qualcosa, quindi sono termini affini.

Groppo, letteralmente, significa massa tondeggiante, quindi questo chiaramente ci fa capire anche il legame con la groppa, che, come si è visto, è il dorso degli animali, anch’esso abbastanza tondeggiante.

Adesso facciamo un breve ripasso. Spero non venga a nessuno un groppo alla gola per l’emozione.

Marcelo: ciao amici. Adesso sono a Colonia, in Uruguay, e sto per andare in Argentina dopo quattro ore di macchina. Non appena arrivato, farò una scappata a salutare mia figlia! Dopo un anno di assenza, non vorrei passare per maleducato.

André: So che sei appassionato dell’Uruguay! Non a caso vivi li da un pezzo ormai. Non ti preoccupare, Marcelo! non sarai mai soggetto a critiche per questo motivo! Vedi un po’! Dopo tante ore in viaggio, dulcis in fundo, ritroverai tua figlia!

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Il virgolettato (ep. 929)

Il virgolettato (scarica audio)

Il termine “virgolettato“, che probabilmente molti di voi non avranno mai letto o ascoltato prima d’ora (ovviamente mi rivolgo a un pubblico di non madrelingua italiana) si riferisce all’uso delle virgolette (“”), che sono dei segni di punteggiatura.

I segni di punteggiatura sono i punti, le virgole, i due punti, il punto e virgola eccetera.

Anche le virgolette sono dei segni di punteggiatura, e il loro ruolo è fungere da delimitatori di parole o frasi all’interno di un testo.

I delimitatori servono a delimitare, a circoscrivere.

Partiamo dal nome: si chiamano in modo simile alla virgola, e in effetti la loro forma è simile, ma sono due, e si usano sia prima che dopo una parola o una frase: sono delimitatori, come ho detto, quindi delimitano una parola o una frase. Circoscrivono una parte di un testo.

Delimitare significa appunto segnare un limite, un confine, a destra e a sinistra in questo caso, cioè prima e dopo.

Le virgolette possono essere utilizzate in vari contesti, come per esempio:

– Per citare le parole di qualcuno: “Ho sempre amato questo posto”, ha detto Maria.

Sia prima che dopo la frase d Maria si mettono le virgolette. Questo per far capire che ciò che si trova all’interno delle virgolette è stato detto testualmente da Maria. Sono esattamente queste le sue parole.

– si usano anche per indicare il titolo di un libro, un film, una canzone:

Es:

Il mio libro preferito è “Il Nome della Rosa”. Allora lo scriviamo tra virgolette.

– possiamo usarle anche per contraddistinguere parole o espressioni che si vogliono enfatizzare: Il nuovo film di Tarantino è “imperdibile”. A voce si rappresentano con un tono più marcato in genere.

– Altro esempio può essere l’uso di virgolette per segnalare semplicemente che la parola o l’espressione indica un concetto specifico: La “flessibilità” del lavoro moderno.

– si usano anche per attribuire a una parola o a una frase un significato particolare, anche usando un termine, come un aggettivo, che potrebbe sembrare a qualcuno non molto adatto:

Es:

I ladri sono entrati nella mia cantina per rubare il vino e io li ho aggrediti perché nessuno deve permettersi di “profanare” la mia cantina.

Il verbo profanare infatti generalmente si usa quando si entra in luoghi relativi alla religione e al culto e si compiono atti sacrileghi. Ma la cantina non è un luogo sacro.

Allora uso le virgolette come a dire “permettetemi di usare il verbo profanare”, oppure “Passatemi il termine profanare” , per usare un’espressione che abbiamo già visto.

Ciò che sta tra virgolette, specie se si tratta di una frase, possiamo chiamarlo “virgolettato“.

Molto più spesso, in realtà, quando c’è un virgolettato, si usano modalità equivalenti, come un testo “tra virgolette”, oppure “tra doppi apici” o “tra virgolette doppie”.

Le virgolette infatti, sia quelle di apertura che quelle di chiusura, sono quasi sempre doppie.

In generale però quando si parla di testo scritto si fa riferimento anche (in Italia meno spesso) alle virgolette semplici. L’uso è più o meno lo stesso.

L’uso delle virgolette singole (quindi non doppie) si preferisce a quelle doppie ad esempio per racchiudere una parola tecnica, quindi spesso anche poco comune, poco usata, perché specifica di un settore.

Es: nel mondo del lavoro, il cosiddetto ‘quitfluencer’, è il dipendente che lascia il proprio lavoro e incoraggia gli altri a fare lo stesso.

Invece i cosiddetti ‘deinfluencer‘ (abbastanza tecnico anche questo) sono coloro che, specie su Tiktok, consigliano di non acquistare certi prodotti perché sono presentati con una pubblicità ingannevole, che cioè inganna i consumatori.

Il termine ‘virgolettato’ però si usa prevalentemente per citare dichiarazioni di personaggi pubblici e in questi casi si preferisce usare le virgolette doppie.

Si utilizza per riportare testualmente, come è scritto o come è stato detto da una persona.

Parliamo anche del verbo virgolettare.

Bisogna virgolettare le risposte quando si intervista una persona e poi si fa un articolo su questa intervista.

Cioè bisogna mettere il testo tra virgolette, così si capisce che il testo virgolettato riporta esattamente la parole utilizzate.

Ho letto un’intervista in cui c’erano dei virgolettati inesatti. Infatti io ho ascoltato l’intervista e spesso ciò che è stato virgolettato non corrispondeva esattamente alle parole dette.

Dunque una parola virgolettata è una parola chiusa tra virgolette, singole o doppie.

Una dichiarazione virgolettata invece, oltre ad essere delimitata da virgolette, rappresenta una frase pronunciata e riportata fedelmente (si dice anche così), parola per parola. Si dice anche riportare testualmente, o, come si suol dire, “alla lettera”.

Questa persona ha detto proprio questo, parola per parola.

Interessante l’uso del verbo riportare, perché tra i tanti significati e usi c’è anche quello di comunicare qualcosa che ha detto un’altra persona, quindi una sorta di virgolettato, anche se non è detto che le parole siano esattamente le stesse come nel caso del virgolettato:

Es:

Ti riporto ciò che ha detto Giovanni: lui ha detto che ha da fare stasera perché ha un impegno.

Se però si riportano fedelmente/testualmente le parole di Giovanni, allora:

Ti riporto fedelmente le sue parole: “non posso venire perché devo uscire con una ragazza”.

Allora avrete capito che virgolettato si usa come aggettivo ma anche come sostantivo (il virgolettato) oltre ad essere il participio passato del verbo virgolettare.

Adesso ripassiamo parlando di serie tv:

Ulrike: se parliamo di serie TV verrà a galla un fatto un pochettino imbarazzante su di me, ovvero che ai vecchi tempi non mi perdevo mai una puntato di “Un Medico in Famiglia”. Ce ne fossero ancora in onda serie cone quella!

Rafaela: hai messo tanto di virgolette, quindi quello è proprio il titolo della serie tv.

André: Ah! Ragion per cui, Anthony, sei diventato un dottore? Comunque le serie tv ogni due per tre mi capita di vederle ma in genere non mi piacciono, benché ce ne siano di bellissime. A dir la verità comunque sono troppo pesanti per via dei troppi episodi. Preferisco i film!

Peggy: serie tv? Ce ne fosse una che è una che mi piace. È proprio il concetto di “serie” che non mi sconfinfera. Ancora ancora un film, ma preferisco il cinema.

Marcelo: In quanto a serie di TV la so lunga, ma devo spaziare da quelli di poliziotti a quelli d’amore per accontentare mia moglie, della serie vivere in famiglia.

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Bellamente (ep. 928)

Bellamente (scarica audio)

Quello che vi spiego oggi è un avverbio molto particolare: bellamente.

Normalmente quando un avverbio finisce con – mente, si parla di un modo di svolgere un’azione.

Ad esempio “Normalmente” significa infatti “in modo normale” e “dolcemente”, sta per in modo dolce, così come “velocemente” significa in modo veloce, eccetera.

Anche per “bellamente” capita a volte che sia così: in modo bello, piacevole.

Infatti se ad esempio una tavola è bellamente apparecchiata, allora ci piace come è stata realizzata l’apparecchiatura: una bella apparecchiatura.

“Una torta bellamente decorata”, allo stesso modo, ci piace; è stata decorata proprio bene, in modo bello.

Sono pochi però gli esempi di questo tipo, perché la maggioranza delle volte stiamo parlando di qualcosa che ci provoca un certo nervosismo, qualcosa di fastidioso, e in particolare si tratta di un atteggiamento di una persona poco discreta, sfacciata, impudente.

Abbiamo già parlato della discrezione e del l’indiscrezione, ma in questo caso l’avverbio bellamente serve a descrivere questa azione che ci dà così tanto fastidio per l’impudenza, la sfacciataggine mostrata e, nella migliore delle ipotesi, per mancanza di discrezione.

Si può usare anche più in generale per una mancanza di rispetto.

Es:

Mia madre di 80 anni è salita su un autobus e tutti i posti a sedere erano occupati da tanti giovani che se ne stavano bellamente seduti senza preoccuparsi di lasciarle il posto.

Veramente fastidioso un atteggiamento del genere vero?

Quando sono entrato nella mia nuova classe, alcuni miei compagni si sono messi bellamente a ridere.

Che maleducati! C’è spesso una certa arroganza, una spavalderia fastidiosa.

Si usa anche in modo ironico per indicare un’azione fatta con abilità o accortezza, ma c’è sempre un qualcosa di fastidioso, anche se l’azione è fatta da chi parla. Ci può essere una sottile soddisfazione nel fare qualcosa che colpisce una persona:

Con questo scherzo ci hai preso tutti bellamente in giro

Le ho chiesto di ballare ma mi ha bellamente ignorato.

In pratica mi ha fatto bellamente capire che non era il caso di insistere.

Il capo stava per licenziarmi ma io gli ho bellamente riso in faccia e mi sono licenziato prima ancora che parlasse.

L’episodio finisce qui.

Adesso ripassiamone qualcuno passato.

La parola passa ai membri dell’associazione Italiano Semplicemente. Sono sicuro che qualcuno di loro se ne starà bellamente a riposarsi mentre i più volenterosi sono impegnati nella registrazione del seguente ripasso:

Ulrike: Il grosso del mio tempo lo passo a leggere libri fantasy. Mi piace lasciarmi trasportare in voli pindarici nei meandri dell’immaginazione umana.

Edita: Beata te! Che strana voglia che hai! Troppo faticoso per i miei gusti. A me piace stare spaparanzata sul divano ad ascoltare musica. Mi aiuta a rilassarmi e dimenticare le preoccupazioni. Spero non mi condanniate per questo. lo so, sono una nullafacente. Me ne sono fatta una ragione.

Leyla: Io a tratti mi diverto a fare la birichina e a vezzeggiare il mio gatto.

Peggy: Cosa? col mio gatto non esiste proprio. Mi massacrerebbe la mano in men che non si dica!

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