Accadde il 2 ottobre 1960: le paturnie

Le paturnie (scarica audio)

Trascrizione

Conoscete Massimo Gramellini?

Massimo Gramellini nasce il 2 ottobre 1960. Dedichiamo a lui la puntata di oggi.

Massimo Gramellini è un giornalista e scrittore, noto per riflessioni personali, commenti che spesso scavano sotto la superficie.

Non vorrei si offendesse per questo, ma ho pensato a lui per spiegare la parola paturnia.

Pensando al suo modo di scrivere, lo si può immaginare con le paturnie: riflette, si interroga, a volte rimugina. Non è detto sia triste, ma è qualcuno la cui testa non smette mai di pensare: la sera prima di un articolo, quando sta cercando l’idea giusta, quando qualcosa non torna. Le sue paturnie sono quelle che possono produrre pensieri profondi, una certa malinconia creata anche da nostalgia o rimpianto, ma anche dalla curiosità, dall’introspezione.
In definitiva, non c’è un motivo per offendersi per questo :-).

Vediamo altri esempi di contesti in cui una persona può avere le paturnie, che è un termine abbastanza informale.

Prima di un cambiamento importante nella vita (trasferirsi, cambiare lavoro, fine di una relazione): sei eccitato, ma hai dentro le paturnie – “Andrà bene?”, “Mi mancherà qualcosa?”, “E se sbaglio?”

Quando sei malinconico senza motivo preciso: guardi vecchie foto, pensi a persone, a momenti passati; le paturnie sono quei momenti in cui ti senti un po’ giù, ma non hai una ragione concreta.

Durante situazioni politiche o sociali instabili: magari c’è un evento nazionale che promette cambiamenti: programmi nuovi, promesse, crisi economica… la gente ha le paturnie – preoccupazioni, speranze, dubbi su come andrà.

In arte o nella creazione: uno scrittore che deve iniziare un libro; un pittore con la tela bianca; il musicista che non trova la melodia: le paturnie creative sono quelle idee che girano, senza trovare subito pace.

Sinonimi? Ce ne sono molti in realtà.

Ecco alcuni sinonimi (più o meno vicini) di paturnie, a seconda del contesto:

Quando indica malumore o tristezza immotivata si avvicina molto a:

malinconia

tristezza

umor nero

cattivo umore

noia esistenziale

Quando indica preoccupazioni o fissazioni mentali invece siamo vicini a:

paranoie

fissazioni

ansie

inquietudini

crucci

pensieri

turbamenti

Fisime

Preoccupazioni

Paturnie si usa quasi esclusivamente nella forma plurale. Probabilmente deriva dalla combinazione di “patire” (soffrire) e “Saturno“, il pianeta associato in astrologia alla malinconia.

890 Sotto Natale

Sotto Natale

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Trascrizione

Continuiamo a parlare di prossimità e di imminenza, dopo aver visto differenti episodi in merito: la soglia, a ridosso, alle porte, e la vigilia.

Oggi parliamo del termine “sotto” che ugualmente, oltre agli altri mille utilizzi, può avere un senso legato al tempo e in particolare può indicare prossimità, vicinanza, imminenza.

Ad esempio, oggi è il 28 dicembre quindi siamo sotto le feste natalizie, siamo, al limite, anche sotto Natale, ma non siamo certamente sotto Pasqua.

Qualcuno poi, se sta studiando intensamente perché ha un esame nei prossimi giorni, può dire di essere sotto esame.

In questo caso si può dire anche durante l’esame stesso, proprio nel momento dell’esame.

Si dice anche, allo stesso modo, essere sotto anestesia, ma in questo caso solamente quando abbiamo effettivamente l’anestesia che sta facendo effetto.

Non possiamo usare “sotto anestesia” per indicare un periodo immediatamente precedente.

Questo utilizzo di “sotto” legato alla vicinanza, all’imminenza di un avvenimento particolare, non si può usare però per qualunque evento.

Si usa spesso nel linguaggio informale nel caso delle festività, e dunque se siamo sotto Natale vuol dire che siamo vicini al Natale, quasi sempre poco prima o al limite all’interno del periodo delle feste natalizie.

Spesso, questo utilizzo di “sotto” trasmette un’emozione come stress o preoccupazione:

Non possiamo andare sotto natale a Roma, i biglietti sono troppo cari.

Anche il fatto di essere sotto esame è abbastanza stressante, e figuriamoci quando siamo sotto anestesia.

La stessa cosa accade con essere sotto botta (informale, per descrivere un momento difficile, successivo a un evento negativo), sotto stress, cioè essere in un particolare periodo stressante per via di qualche attività preoccupante o di qualche avvenimento che desta preoccupazione, come un esame, ma non solo.

Non mi soffermo a analizzare tutti gli usi di “sotto” perché li vedremo in altri episodi di questa stessa rubrica.

Vi dispiace? Ma no, dai, scommetto che sotto sotto siete contenti di questo!!

Adesso ripassiamo un po’:

Flora: non so se è molto attinente all’episodio di oggi, ma vorrei farvi notare che l’anno nuovo è ormai alle porte! È il momento dei buoni propositi! Voi ne avete?

Sofie: quest’anno niente. Comunque spesso non riesco a dare seguito a tali propositi.

Rauno: A volte ho preso buoni proposti per l’anno nuovo, ma ogni tre per due la misura è stata colma dopo qualche mese. A me non risulta utile pormi troppe regole.

Estelle: Appena iniziato l’anno è già finito! Mi impegno ad ascoltare tutte le lezioni dell’anno passato! Ho abbozzato un piano che non ti dico!

Marcelo: Rauno, è vero! Su questo, andiamo proprio a braccetto. Cerco di vivere ogni momento seguendo un comportamento retto e corretto. Se mi succederà poi qualcosa di buono che non mi aspettavo, sarà tanto di guadagnato.

Peggy: raga, dai, diciamoli questi benedetti propositi, senza troppe remore, tanto per parlare e senza troppe responsabilità. Alle perse, li diremo ex novo alla fine del 2023.

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Gli esercizi su questo episodio (con soluzione) sono disponibili per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

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877 È che…

È che… (scarica audio)

Trascrizione

L’episodio di oggi è dedicato ad una brevissima locuzione con cui si può iniziare una frase. “È che”.

Probabilmente vi ricordate della locuzione “non è che“. Stavolta però non abbiamo la negazione, e togliere la negazione non significa sempre che il significato è l’opposto.

A dire il vero a volte “è che” si utilizza anche insieme a “non è che” e si usa proprio in senso opposto per sottolineare ciò che voglio dire. Prima nego una affermazione e poi aggiungo qualcosa, poi spiego meglio.

Ad esempio:

Non è che mi sono scordato del tuo compleanno, è che ricordavo fosse ieri.

Raramente però le due locuzioni si usano insieme a questo scopo. Vediamo allora di aggiungere qualcosa in più per capire come si usa “è che“.

Nel linguaggio colloquiale è molto frequente. Più difficilmente si trova anche per iscritto.

Questa locuzione si usa per dare una risposta, spesso per dare una giustificazione oppure come semplice commento.

Questo lo avevamo detto anche nell’episodio dedicato a “non è che”, a proposito di uno dei suoi utilizzi.

In questi casi si tratta di spiegare un motivo per cui accade qualcosa, ad esempio quando ci si deve giustificare, quando si deve trovare una scusa per giustificare un comportamento proprio o di altre persone.

Es: come mai non puoi venire più al cinema stasera?

Risposta:

è che avevo dimenticato di avere un impegno.

Non c’è bisogno di negare (usando “non è che”) e poi giustificarsi. È sufficiente la giustificazione. In questo caso non c’è niente da negare, a meno che la domanda non fosse stata:

Non ti va più di venire al cinema stasera?

Allora la risposta poteva essere:

Non è che non mi va più, è che avevo dimenticato di avere un impegno.

La risposta precedente (senza la negazione) è in pratica la forma abbreviata di:

Il motivo è che avevo dimenticato di avere un impegno.

Oppure:

Il fatto è che avevo dimenticato di avere un impegno.

Spesso è quest’ultima la versione che si preferisce utilizzare in queste occasioni.

A volte si è dispiaciuti per un certo motivo, altre volte si vorrebbe prendere una decisione ma non si può per un qualunque motivo.

Es: dobbiamo assolutamente rinunciare al nostro viaggio in Italia.

Risposta:

Lo so, è che volevo andare a trovare Giovanni.

Equivalente a:

Lo so, mi spiace perché volevo andare a trovare Giovanni.

Oppure:

I miei amici Carlo e Francesca, dopo 20 anni di matrimonio, si sono lasciati.

Commento:

È che dopo un po’ il rapporto cambia, l’innamoramento finisce e con gli anni bisogna vivacizzare il rapporto.

Anche in questi caso possiamo dire “il fatto è che“, come prima. Così però è più informale, meno impegnativo, meno giudicante.

Un altro esempio. Paolo parla con Alfredo e gli dice quanto è sfortunato:

Paolo: Non ho mai vinto alla lotteria. Che sfortunato che sono!

Alfredo: sai, è che per vincere bisogna anche provare a giocare…

In questo caso è anche ironico.

Avete notato che in questo caso somiglia anche a “però“. Può somigliare anche a “ma purtroppo”.

Esempio:

Vorrei tanto comprare una Ferrari; è che non ho abbastanza soldi!

Infine si utilizza quando si hanno dei dubbi, preoccupazioni e problemi:

Mi piacerebbe trasferirmi in un’altra nazione completamente diversa dall’Italia.

Ci sarebbe anche l’opportunità, è che i miei figli non sono molto d’accordo.

Oppure:

Io e mia moglie stiamo pensando di fare un altro figlio. È che abbiamo solo due camere da letto per il momento.

Qui all’inizio sembra essere “il problema è che“. Lo stesso nell’esempio precedente.

Oppure:

Mio figlio stasera dovrà rientrare a casa da solo. Va bene, ha 15 anni; è che sarà buio a quell’ora.

In questo caso si potrebbe dire:

Sono preoccupato ugualmente perché a quell’ora sarà buio

O anche:

Nonostante questo sono preoccupato perché sarà buio a quell’ora.

È che” è più veloce e per questo adatto a un linguaggio colloquiale.

Vi lascio adesso ad un bellissimo ripasso realizzato dalla nostra Peggy. Le voci sono di altri membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

Peggy: Un giorno, un bambino giapponese di 4 anni, di punto in bianco ha espresso ai suoi il desiderio di volersi far crescere i capelli fintantoché non sarebbero diventati molto lunghi.

Ulrike: vai a capire cosa gli è frullato in testa!

Marcelo: Il padre, di primo acchito, era prevenuto contro questo pensiero che gli era alquanto peregrino. La richiesta del figlio ha suscitato una forte preoccupazione in entrambi i genitori, facendogli pensare che il loro piccolo possedesse un orientamento sessuale diverso rispetto dagli altri bambini.

Irina: Per ridurre ai minimi termini tale preoccupazione, i genitori hanno interpellato il figlio per conoscere il motivo per cui aveva preso la decisione attinente ai capelli.

Estelle: Dopo le plausibili spiegazioni del figlio, nonostante inizialmente poco propensi ad aderire alla sua idea, sono rimasti d’accordo con lui. al contempo però gli hanno fatto presente che questo atto avrebbe dato adito a tante critiche nei suoi confronti da parte degli amici. Un rovescio della medaglia a cui forse non aveva pensato.

Sofie: Manco a dirlo, nel giro di tre anni, via via che i suoi capelli crescevano, spesso e volentieri veniva preso di mira ed a mali parole da altri bambini. Alcuni non l’hanno neanche degnato di uno sguardo, guardandosi bene da qualunque approccio con lui.

Natalia: Certamente, tutto ciò è quanto mai difficile da sorbire per un ragazzo, e a maggior ragione per un bambino di una simile età.

Danita: In effetti, per via della frustrazione, diverse volte ha ceduto, pensando di tornare sui propri passi. Tuttavia, ogni volta, come rifletteva sulla finalità del suo gesto, pensava all’imminente momento del traguardo, così stringeva i denti e andava avanti.

Hartmut: All’età di sette anni, i suoi capelli sono arrivati alla lunghezza che voleva, ossia all’altezza della vita. Al che, si è fatto tagliare i capelli per poi donarli ai malati di cancro.

Danielle: Ecco perché tre anni fa ha deciso di intraprendere questo percorso tortuoso! La causa misteriosa alla fine è venuta a galla.

Anthony: Dunque, forte della sua tenacia, non ha reso il proprio desiderio pio o effimero che dir si voglia. Il suo gesto non lascia affatto il tempo che trova.

Fatima: A suo modo ha dato un valido apporto al progetto di aiutare le persone sofferenti di cancro.

Cat: Pensiamoci! Noi grandi, ci reputiamo all’altezza di questo bambino? Sappiamo fare qualcosa del genere tendendo la mano ai bisognosi?

Peggy: Senz’altro si tratta di un bambino sui generis, nonché con tanta nobiltà d’animo! Tra l’altro, il suo lavoro non è risultato fine a sé stesso, anzi è stato molto edificante. Fare del bene fa del bene anche a sé stessi.

Rauno: Dopo tale vicenda, numerosi bambini provenienti da svariati angoli del mondo, hanno seguito il suo esempio sulla falsariga del protagonista, andando incontro a chi necessitava di aiuto nei modi più svariati. Questi bambini hanno tutto il nostro plauso, eccome!

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870 Incombente e imminente

Incombente e imminente (scarica audio)

incombente e imminenteTrascrizione

Episodio 870 della rubrica due minuti con Italiano Semplicemente. Parliamo di incombente e imminente, due aggettivi simili, ma non troppo.

Per usare questi aggettivi bisogna pensare a qualcosa che si avvicina: qualcosa diventa sempre più vicino a noi.

La cosa che si avvicina è ciò che comporta, con tutti i suoi annessi e connessi, fa la differenza tra l’uso di incombente e imminente. Questa almeno è una delle differenze.

Se si avvicina una persona però, (o un animale, o un oggetto), non si dice che questa persona è incombente e neanche che è imminente.

Ma quali altre cose si possono avvicinare?

Dobbiamo pensare all’uso figurato di avvicinarsi.

Ad esempio un pericolo, che può essere sia imminente, sia incombente.

In generale, se qualcosa è imminente, generalmente è solo una questione di tempo (ne manca veramente poco) ma arriverà sicuramente, mentre se è incombente non è detto che arriverà. Dipende. Questa è un’altra differenza.

Di sicuro la cosa incombente mette molta ansia.

Oppure quando si avvicina una data, un giorno particolare, quando dovrà accadere qualcosa di particolare.

Quella data è imminente, cioè sta per arrivare.

Quando manca qualche giorno all’esame, allora l’esame è imminente. C’è meno emozione però nell’imminenza, mentre se l’esame e la data dell’esame incombono, allora non solo il giorno dell’esame si avvicina sempre di più ma la cosa genera molta ansia e preoccupazione.

Vi dico questo perché questa cosa che si avvicina deve essere minacciosa o pericolosa ma soprattutto ineluttabile se vogliamo definirla incombente.

Ineluttabile vuol dire che non possiamo farci nulla. È qualcosa contro cui, tra l’altro, non si può lottare, perché ad esempio è imposto da una necessità. Se poi questa necessità è percepita come tragica o fatale, ha ancora più senso usare “ineluttabile”.

Si potrebbe dire che questa cosa che sta per arrivare è inesorabile, che è inevitabile, certo, ma incombente è più minaccioso e pauroso.

Solitamente si dice che una minaccia è incombente.

Ugualmente, anche un pericolo può essere definito incombente.

Un destino incombente è ugualmente qualcosa di molto preoccupante perché il tempo passa e non si può fare a meno di andare incontro a qualcosa di inesorabile e negativo.

C’è l’idea di sentirsi inermi di fronte a qualcosa più forte di noi, qualcosa di inesorabile, inevitabile, che prima o poi arriverà o potrebbe arrivare.

Prima ho usato anche il verbo incombere. Ho parlato di un esame che incombe perché la data dell’esame si avvicina.

È vero che tutto è relativo, e per uno studente gli esami sono fonte di ansia, però, come detto, in genere si parla si pericoli, minacce o fatti gravi.

Posso dire ad esempio:

L’ombra della guerra nucleare incombe sul mondo intero.

È la guerra nucleare ad essere incombente, perché si è paventata la possibilità di una guerra nucleare. Non si sa se ci sarà, di certo preoccupa tutti e incombe su tutti noi.

Non possiamo pero dire, fortunatamente, che una guerra nucleare è imminente, perché non ci sono certezze su questo. Per ora è certamente incombente ma non imminente.

Si può anche certamente dire che il tempo incombe su tutti gli esseri viventi. È soltanto questione di anni ma poi tutto sarà finito!

Usare la preposizione “su” fa pensare anche ad un “peso” psicologico che si sopporta. È sia il rischio, sia l’approssimarsi di questa possibilità a pesare su di noi e farci preoccupare.

A proposito, dicevo prima che l’aggettivo imminente ha anche un carico emotivo meno pesante rispetto a incombente.

Es:

è imminente una perturbazione su tutta l’Italia.

Imminente avvio dei lavori per il nuovo stadio.

Trump annuncia la sua imminente candidatura

In pratica “manca pochissimo” e questo è sufficiente per usare imminente.

Per poter incombere invece è sufficiente che la cosa sia fonte di forte preoccupazione, ma come detto, molto spesso si tratta di una minaccia, un pericolo solamente potenziale.

Infine vi devo parlare dell’incombenza, che è un compito affidato o ricevuto nell’ambito di rapporti fondati sul senso del dovere.

Certo, è un termine che fa pensare più che al dovere, al peso che si ha nel dover realizzare questo compito. Una incombenza in poche parole è un compito che va fatto assolutamente perché è il senso del dovere che ce lo impone. Non c’è in questo caso il senso di qualcosa di inevitabile perché prima o poi arriverà ma perché prima o poi occorre farlo!

Adesso ripassiamo, un compito che affido volentieri ai membri dell’associazione Italiano Semplicemente. Spero non sia considerata un’incombenza. Vabbè, il tempo incombe, quindi ripassiamo.

Irina: Ciao D2, qual buon vento! Tutto bene?

Sofie: Ehilà D1, beh, non mi lamento, si tira a campare.

Irina: Ma che c’è? Ti vedo un po’ giù. Senti, avevo comprato due biglietti per il concerto di Vasco, ma Luigi non può venire . Tu, come sei messa domani?

Sofie: A dire il vero ultimamente sono distrutta fisicamente e psicologicamente e ogni sera mi stravacco sul divano.

Irina: Come mai? C’è maretta tra te e Gianni?

Sofie: Recentemente ho sentore che lui mi stia tradendo. Ogni sera mi dice che deve uscire per fare gli straordinari al lavoro, ma si mette tutto in ghingheri. Non è strano?

Irina: Ma dai, si fa presto a dire tradimento. Non preoccuparti per così poco. Lui è sempre stato un tipo vanitoso. Di qui a dire che ti tradisca ce ne vuole… Per me è e resta un signore con la S maiuscola.

Sofie: se è per questo, anche le mie amiche dicono di non farmi troppe seghe mentali. Probabilmente hanno ragione. Queste fissazioni in fondo le ho sempre avute. Però non riesco proprio a scrollarmi di dosso questa enorme preoccupazione che…. mi distrugge!!

Irina: Certo, è pur vero che a volte a pensar male non si sbaglia mai, ma in questo caso farei un’eccezione. Speriamo non siano le ultime parole famose

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