877 È che…

È che… (scarica audio)

Trascrizione

L’episodio di oggi è dedicato ad una brevissima locuzione con cui si può iniziare una frase. “È che”.

Probabilmente vi ricordate della locuzione “non è che“. Stavolta però non abbiamo la negazione, e togliere la negazione non significa sempre che il significato è l’opposto.

A dire il vero a volte “è che” si utilizza anche insieme a “non è che” e si usa proprio in senso opposto per sottolineare ciò che voglio dire. Prima nego una affermazione e poi aggiungo qualcosa, poi spiego meglio.

Ad esempio:

Non è che mi sono scordato del tuo compleanno, è che ricordavo fosse ieri.

Raramente però le due locuzioni si usano insieme a questo scopo. Vediamo allora di aggiungere qualcosa in più per capire come si usa “è che“.

Nel linguaggio colloquiale è molto frequente. Più difficilmente si trova anche per iscritto.

Questa locuzione si usa per dare una risposta, spesso per dare una giustificazione oppure come semplice commento.

Questo lo avevamo detto anche nell’episodio dedicato a “non è che”, a proposito di uno dei suoi utilizzi.

In questi casi si tratta di spiegare un motivo per cui accade qualcosa, ad esempio quando ci si deve giustificare, quando si deve trovare una scusa per giustificare un comportamento proprio o di altre persone.

Es: come mai non puoi venire più al cinema stasera?

Risposta:

è che avevo dimenticato di avere un impegno.

Non c’è bisogno di negare (usando “non è che”) e poi giustificarsi. È sufficiente la giustificazione. In questo caso non c’è niente da negare, a meno che la domanda non fosse stata:

Non ti va più di venire al cinema stasera?

Allora la risposta poteva essere:

Non è che non mi va più, è che avevo dimenticato di avere un impegno.

La risposta precedente (senza la negazione) è in pratica la forma abbreviata di:

Il motivo è che avevo dimenticato di avere un impegno.

Oppure:

Il fatto è che avevo dimenticato di avere un impegno.

Spesso è quest’ultima la versione che si preferisce utilizzare in queste occasioni.

A volte si è dispiaciuti per un certo motivo, altre volte si vorrebbe prendere una decisione ma non si può per un qualunque motivo.

Es: dobbiamo assolutamente rinunciare al nostro viaggio in Italia.

Risposta:

Lo so, è che volevo andare a trovare Giovanni.

Equivalente a:

Lo so, mi spiace perché volevo andare a trovare Giovanni.

Oppure:

I miei amici Carlo e Francesca, dopo 20 anni di matrimonio, si sono lasciati.

Commento:

È che dopo un po’ il rapporto cambia, l’innamoramento finisce e con gli anni bisogna vivacizzare il rapporto.

Anche in questi caso possiamo dire “il fatto è che“, come prima. Così però è più informale, meno impegnativo, meno giudicante.

Un altro esempio. Paolo parla con Alfredo e gli dice quanto è sfortunato:

Paolo: Non ho mai vinto alla lotteria. Che sfortunato che sono!

Alfredo: sai, è che per vincere bisogna anche provare a giocare…

In questo caso è anche ironico.

Avete notato che in questo caso somiglia anche a “però“. Può somigliare anche a “ma purtroppo”.

Esempio:

Vorrei tanto comprare una Ferrari; è che non ho abbastanza soldi!

Infine si utilizza quando si hanno dei dubbi, preoccupazioni e problemi:

Mi piacerebbe trasferirmi in un’altra nazione completamente diversa dall’Italia.

Ci sarebbe anche l’opportunità, è che i miei figli non sono molto d’accordo.

Oppure:

Io e mia moglie stiamo pensando di fare un altro figlio. È che abbiamo solo due camere da letto per il momento.

Qui all’inizio sembra essere “il problema è che“. Lo stesso nell’esempio precedente.

Oppure:

Mio figlio stasera dovrà rientrare a casa da solo. Va bene, ha 15 anni; è che sarà buio a quell’ora.

In questo caso si potrebbe dire:

Sono preoccupato ugualmente perché a quell’ora sarà buio

O anche:

Nonostante questo sono preoccupato perché sarà buio a quell’ora.

È che” è più veloce e per questo adatto a un linguaggio colloquiale.

Vi lascio adesso ad un bellissimo ripasso realizzato dalla nostra Peggy. Le voci sono di altri membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

Peggy: Un giorno, un bambino giapponese di 4 anni, di punto in bianco ha espresso ai suoi il desiderio di volersi far crescere i capelli fintantoché non sarebbero diventati molto lunghi.

Ulrike: vai a capire cosa gli è frullato in testa!

Marcelo: Il padre, di primo acchito, era prevenuto contro questo pensiero che gli era alquanto peregrino. La richiesta del figlio ha suscitato una forte preoccupazione in entrambi i genitori, facendogli pensare che il loro piccolo possedesse un orientamento sessuale diverso rispetto dagli altri bambini.

Irina: Per ridurre ai minimi termini tale preoccupazione, i genitori hanno interpellato il figlio per conoscere il motivo per cui aveva preso la decisione attinente ai capelli.

Estelle: Dopo le plausibili spiegazioni del figlio, nonostante inizialmente poco propensi ad aderire alla sua idea, sono rimasti d’accordo con lui. al contempo però gli hanno fatto presente che questo atto avrebbe dato adito a tante critiche nei suoi confronti da parte degli amici. Un rovescio della medaglia a cui forse non aveva pensato.

Sofie: Manco a dirlo, nel giro di tre anni, via via che i suoi capelli crescevano, spesso e volentieri veniva preso di mira ed a mali parole da altri bambini. Alcuni non l’hanno neanche degnato di uno sguardo, guardandosi bene da qualunque approccio con lui.

Natalia: Certamente, tutto ciò è quanto mai difficile da sorbire per un ragazzo, e a maggior ragione per un bambino di una simile età.

Danita: In effetti, per via della frustrazione, diverse volte ha ceduto, pensando di tornare sui propri passi. Tuttavia, ogni volta, come rifletteva sulla finalità del suo gesto, pensava all’imminente momento del traguardo, così stringeva i denti e andava avanti.

Hartmut: All’età di sette anni, i suoi capelli sono arrivati alla lunghezza che voleva, ossia all’altezza della vita. Al che, si è fatto tagliare i capelli per poi donarli ai malati di cancro.

Danielle: Ecco perché tre anni fa ha deciso di intraprendere questo percorso tortuoso! La causa misteriosa alla fine è venuta a galla.

Anthony: Dunque, forte della sua tenacia, non ha reso il proprio desiderio pio o effimero che dir si voglia. Il suo gesto non lascia affatto il tempo che trova.

Fatima: A suo modo ha dato un valido apporto al progetto di aiutare le persone sofferenti di cancro.

Cat: Pensiamoci! Noi grandi, ci reputiamo all’altezza di questo bambino? Sappiamo fare qualcosa del genere tendendo la mano ai bisognosi?

Peggy: Senz’altro si tratta di un bambino sui generis, nonché con tanta nobiltà d’animo! Tra l’altro, il suo lavoro non è risultato fine a sé stesso, anzi è stato molto edificante. Fare del bene fa del bene anche a sé stessi.

Rauno: Dopo tale vicenda, numerosi bambini provenienti da svariati angoli del mondo, hanno seguito il suo esempio sulla falsariga del protagonista, andando incontro a chi necessitava di aiuto nei modi più svariati. Questi bambini hanno tutto il nostro plauso, eccome!

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Il verbo rimanere

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Trascrizione

Vediamo insieme come usare il verbo “rimanere“. Sono sicuro che rimarrete stupiti almeno di uno di questi utilizzi.

Infatti, tutti voi che state imparando la lingua italiana e che vi trovate ad un livello intermedio sicuramente conoscerete il modo più comune di utilizzare il verbo rimanere.

E’ molto simile a “restare“.

Quanto mi rimane da studiare l’italiano prima di imparare tutto?

Quando mio figlio mangia, non rimane niente per gli altri!

In questi casi c’è qualcosa che manca, che rimane, che resta ancora da fare, da mangiare eccetera.

C’è anche però il senso opposto, quello della persistenza, di qualcosa che non cambia. C’è una sorta di immobilità:

Io rimango concentrato tutta la lezione

Si usa spessissimo anche con i luoghi: restare/rimanere in un luogo, trattenersi in un luogo, senza andar via, senza lasciarlo.

Si può rimanere a Roma, si può rimanere in vita, si può rimanere da soli, oppure rimanere con Giovanni, come state facendo ora.
Ho cercato di usare rimanere con le preposizioni normalmente più utilizzate.
Ci sono anche un sacco di espressioni e locuzioni che sono nel linguaggio comune:
  • rimanere a bocca aperta (per lo stupore, per la bellezza)
  • rimanere di stucco (per lo stupore)
  • rimanere di sasso (per lo stupore, per qualcosa di spiacevole accaduto)
  • rimanere a bocca asciutta (per essere rimasti senza niente, per non aver ottenuto nulla rispetto ad altri)
  • rimanere al verde o rimanere all’asciutto (rimanere senza soldi)
  • rimanere a piedi (non riuscire a rimediare un passaggio)
  • rimanere a secco (es, senza benzina)
  • rimanere con un palmo di naso (restare deluso, rimanere male nonostante le aspettative fossero alte)
Un altro utilizzo abbastanza comune è rimanere indietro, proprio come restare indietro.
Qui c’è il senso di non riuscire a recuperare, non riuscire ad avanzare, magari in una gara, rispetto ad altri. C’è il senso di mancato movimento anche qui, mancato recupero.
Con lo stesso senso si può anche rimanere avanti (quindi non perdere posizioni).

In senso figurato può significare essere arrivati in un punto in una determinata attività, in un discorso, ecc.,

es:
Riprendiamo il lavoro da dove eravamo rimasti ieri.
In senso simile abbiamo già visto il significato di “come rimaniamo?” che si usa ugualmente quando una attività si interrompe per essere ripresa successivamente.

Il senso di immobilità, di mancato movimento si usa dunque anche in senso figurato.

Infatti se è vero che si può rimanere indietro, o sdraiato o in piedi, si può anche rimanere in carica (es. come direttore) nel senso che non si perde una carica un ruolo e si rimane con quella carica.

Le espressioni idiomatiche viste prima sono un esempio di questo utilizzo.
L’utilizzo di cui vi accennavo prima, quello che molti di voi probabilmente non conoscete, è invece relativo ad un uso un po’ insolito del verbo rimanere. Si usa soprattutto in modo colloquiale, informale.
Se ad esempio vi trovate a Roma e chiedete un’informazione ad un italiano che incontrate per strada, perché non riuscite a trovare un luogo, come una chiesa, una via eccetera, potete dire:
Mi scusi, dove rimane il Colosseo?
In questo strano uso del verbo rimanere, significa stare, essere situato, essere posto, essere ubicato, trovarsi.
Quindi la domanda è equivalente a:
Mi scusi, dove si trova il Colosseo?
Oppure, quando si dà una informazione:
Casa mia rimane abbastanza vicina alla stazione
Il Colosseo rimane vicinissimo alla metropolitana linea B di Roma
Sempre parlando di localizzazione fisica, si può anche dire:
Casa tua mi rimane un po’ scomoda perché io abito dall’altra parte di Roma
Il senso della “localizzazione fisica” però non è l’unico, perché si può estendere l’uso di rimanere con un significato simile a risultare, finire per essere, finire per trovarsi in una certa situazione.
Sono rimasto a piedi
I peperoni mi rimangono un po’ indigesti
Vedete che in questo caso si nota ugualmente un senso legato ad un mancato movimento, una mancata progressione, al senso di stabilità, simile in qualche modo a “rimanere indietro” e simili. Come se questi peperoni non riuscissimo a digerirli al passare del tempo.
Questo senso si perde un po’ in frasi come “mi rimane scomodo“, “rimane lontano da casa mia” e somiglia in questi casi maggiormente a “risultare”, verbo che si usa prevalentemente per indicare la conseguenza di una azione o una chiara evidenza. In effetti si può tranquillamente dire:
Casa tua mi risulta scomoda
i peperoni mi risultano molto indigesti
Poi c’è un uso che abbiamo già incontrato nell’episodio n. 399: rimanerci o restarci male. Veramente abbiamo già incontrato anche l’espressione “ci sono rimasto“, senza aggiungere bene o male. In quel caso c’è ugualmente stupore.
Vabbè a questo punto non rimane che terminare l’episodio. Rimane da vedere se avete capito tutto!
Provate allora a rispondere alle domande su questo esercizio e verifichiamo subito. Non tutti però possono fare questi esercizi. Spero che non ci rimarrete male

Rimane il fatto comunque che potete sempre iscrivervi alla nostra associazione. In questo modo potrete fare tutti gli esercizi in tutti gli episodi e vedrete che rimarrete stupiti di quanti episodi a cui potete accedere e di quanto sia bello far parte della nostra associazione.

Cosa? Vi rimane scomodo venire in Italia per partecipare alle attività dell’associazione? Ma noi facciamo tutto online, anche se una volta l’anno almeno ci incontriamo in Italia per conoscerci meglio. Poi qualcuno ci rimane pure in Italia!

Vi aspetto!

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Il calcio d’inizio – il linguaggio del calcio

Il calcio d’inizio

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Indice episodi

Bentornati nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al mondo del calcio.

Come inizia una partita? Inizia con il calcio d’inizio.

Naturalmente sarebbe “il calcio di inizio” ma si mette normalmente sempre l’apostrofo.

Una espressione questa che si utilizza in più di una circostanza.

Alle 15 ci sarà il calcio d’inizio della partita.

Questo è il consueto modo per indicare l’inizio di una partita. La partita inizierà alle ore 15.

Il calcio d’inizio del campionato è previsto per le ore 20.

Si, anche l’inizio di un’intera competizione avviene con un calcio d’inizio. Per la precisione si tratta del momento in cui inizia la prima partita o le prime partite della competizione.

A 15 minuti dal calcio d’inizio le squadre sono ancora sullo zero a zero.

In questo caso ci troviamo a 15 minuti dal calcio d’inizio, il che vuol dire che la partita è iniziata da 15 minuti e le due squadre sono sullo zero a zero, si trovano sul punteggio di 0-0, cioè il punteggio della gara è ancora 0-0.

Si dice anche, in questo caso, che le reti sono inviolate. In pratica nessuna delle due squadre ha ancora fatto gol.

Il calcio d’inizio è dunque semplicemente l’inizio della partita o di una competizione.

Il termine “calcio” infatti è non solamente il nome del gioco in lingua italiana, ma è anche il nome con cui si indica ogni colpo che si dà al pallone con i piedi. Quindi il primo calcio che si dà al pallone in una partita è proprio il calcio d’inizio della partita.

Esiste anche il verbo calciare.

Quando si colpisce la palla infatti si può anche dire che viene “calciata“. E il giocatore di calcio, non a caso, viene chiamato “calciatore“: è colui che calcia la palla cioè colui che gioca a pallone.

La cosa interessante è che benché il termine calcio indichi un colpo dato al pallone con uno dei due piedi, si può calciare anche con altre parti del corpo, ad esempio con la testa.

Es:

L’attaccante riceve il Cross ma tutto solo calcia di testa altissimo sulla traversa.

Calciare di testa è quindi esattamente come colpire la palla con la testa.

Normalmente. Infatti quando si colpisce il pallone con la testa si parla più frequentemente di “colpo di testa”:

Colpo di testa dell’attaccante che fa gol!

Il calcio d’inizio è anche il modo con cui riprende il gioco dopo che è stato segnati un gol, e anche il modo per indicare l’inizio di ciascuno dei tempi regolamentari o supplementari.

Quando inizia il secondo tempo, c’è dunque il calcio d’inizio del secondo tempo, perché riprende il gioco dopo l’intervallo tra la prima e la seconda frazione di gioco, cioè il primo e il secondo tempo.

Lo stesso vale per gli eventuali tempi supplementari, cioè quelli che possono seguire ai 90 minuti regolamentari nel caso di competizioni ad eliminazione, come i mondiali di calcio.

Concludo dicendo che il calcio d’inizio, soprattutto quando si riferisce all’inizio di una gara o di una competizione, viene chiamato anche fischio d’inizio, riferito al fischio dell’arbitro che decreta l’inizio della partita o la ripresa del gioco.

Il verbo decretare, nel linguaggio del calcio, è quasi esclusivamente dedicato alle decisioni dell’arbitro.

Infatti l’arbitro può decretare l’inizio della partita ma può decretare anche la fine della partita.

Ci vediamo al prossimo episodio dedicato al linguaggio del calcio.

876 Andare a braccetto

Andare a braccetto

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Trascrizione

Ricordate l’episodio dedicato all’espressione “avere il braccino corto?”

Oltre al braccino, dovete sapere che esiste anche il braccetto!

Andare a braccetto” è infatti un’espressione idiomatica in cui si usa sempre l’immagine del braccio.

Il senso proprio di andare a braccetto è prendere sottobraccio una persona e camminare insieme.

Queste sue persone, affiancate cioè una di fianco all’altra, camminano insieme, e sono in qualche modo “legate” tra loro attraverso le loro braccia, poiché vanno a braccetto.

Camminare tenendosi sottobraccio quindi si dice anche andare a braccetto.

Notate che sottobraccio si scrive in una unica parola. In fondo anche prendere sottobraccio una persona è una espressione che vale la pena imparare. Questa però si usa solamente in senso proprio e non in senso figurato.

Di solito marito e moglie o due fidanzati si tengono per mano più che andare a braccetto.

Direi che più frequentemente, nonno e nipote, madre e figlia, nonno e nonna vanno a braccetto.

Quando si va a braccetto infatti quasi si sostiene l’altra persona, quasi la si aiuta preoccupandosi che non cada.

Si dice anche tenere sottobraccio perché una delle due persone mette il proprio braccio sotto a quello ripiegato dell’altro formando una sorta di nodo.

Passiamo adesso all’uso figurato dell’espressione, perché andare a braccetto ha un significato simile a andare d’accordo con qualcuno. Questo se parliamo di due persone che vanno a braccetto.

Se nel senso proprio però andare a braccetto è segno di particolare affetto, nell’uso figurato indica una certa familiarità o un certo tipo di accordo tra due persone o, meglio ancora, tra due questioni, due fatti, due argomenti che, in determinate circostanze vanno nella stessa direzione o si favoriscono a vicenda.

Infatti in senso figurato ad andare a braccetto non sono solitamente delle persone.

Vediamo qualche utilizzo:

Gianni e Antonio vanno sempre a braccetto quando si tratta di festeggiare.

In questo caso c’è una sorta di accordo, di affinità, di complicità tra Antonio e Gianni che la pensano nello stesso modo a proposito di festeggiare. Ma Gianni e Antonio non si prendono sottobraccio.

L’ambiente e la crescita economica non vanno a braccetto.

Quindi ambiente e crescita economica sono in contrasto tra loro, perché ad esempio, si dice che che la crescita economica non porti benefici all’ambiente. Tutt’altro.

Quando ci sono delle partite di calcio per beneficenza, possiamo dire che calcio e solidarietà vanno a braccetto.

Se dico che il Comune di Roma e l’Università vanno “a braccetto” per la sistemazione della facoltà di giurisprudenza, allora significa che sono d’accordo, sono favorevoli entrambi, hanno come comune obiettivo della sistemazione della facoltà di giurisprudenza.

E’ una formula molto utilizzata dai giornalisti.

Con la pandemia, l’emergenza sanitaria viaggia a braccetto con quella economica.

Si possono fare tanti esempi di questo tipo.

A volte si usano anche verbi diversi da “andare“, come abbiamo visto nell’ultimo esempio.

Un ultimo esempio:

La criminalità organizzata è disposta a andare a braccetto con tutti i governi, purché facciano i suoi interessi.

Adesso ripassiamo.

Khaled: Ciao amici, avete un attimo? Capita anche a voi ogni tanto di avere il magone, apparentemente senza motivo? Capace che si tratti di una depressione bell’e buona? Poi c’è chi dice siano i soliti postumi dell’invecchiamento, cioè in pratica niente di trascendentale. Vabbè, lasciamo perdere, sicuramente si tratta solo dell’imminente arrivo dell’inverno.

Danielle: Secondo me possiamo anche prendercela un po’ con la sparizione delle mezze stagioni, visto che non ci lasciano il tempo per abituarci al cambiamento del tempo e in men che non si dica ci si sente indisposti e non solo a livello fisico ma soprattutto giù di giri a livello psichico, come se di punto in bianco venissero a galla tutti gli acciacchi della vecchiaia.

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875 Più in là

Più in là (scarica audio)

Più in là

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C’è una vecchia canzone italiana, abbastanza nota, dal titolo “fatti più in là” e che probabilmente chi non vive in Italia non ha mai ascoltato. Ebbene, “fatti più in là” significa semplicemente “spostati”, “fai spazio”, “fammi spazio”.

È un’espressione che si usa soprattutto a tavola, o comunque quando ci si deve sedere da qualche parte e non c’è abbastanza spazio. Occorre stringersi.

Con questa domanda quindi si chiede a una persona di “farsi più in là“, cioè di spostarsi di lato, di spostarsi lateralmente, un po’ più a destra o più a sinistra. Il motivo solitamente è per far spazio anche a un’altra persona, per far sedere anche un’altra persona. Può però avere anche un senso figurato.

La parte finale “In là” indica quindi una direzione (destra o sinistra) e “farsi“, in questo caso equivale a spostarsi, muoversi.

C’è però un altro significato di “più in là”: una locuzione che ha a che fare anche con il tempo e non solo con lo spazio.

Es:

Ho appena acquistato un appartamento. Per ora ho ristrutturato un solo bagno. L’altro bagno verrà ristrutturato più in là, quando avrò qualche soldo da spendere.

Ovviamente va scritto con l’accento perché non è l’articolo femminile “la” (es. la finestra).

Più in là pertanto significa in questo caso “più avanti”, “dopo” , “più tardi”, senza dire quanto più tardi o quando esattamente

Oppure sta per “in un momento successivo”, “successivamente”, senza necessità di specificare il momento esatto.

Generalmente, se parlo di un evento futuro, non è molto vicino ad oggi, perché in questi casi si userebbero modalità diverse, tipo “nei prossimi giorni”, “tra qualche giorno”.

Più in là somiglia invece in questi casi a “tra qualche tempo”, “tra qualche anno”, “non adesso, ma quando potrò”, “quando sarà possibile”.

Oppure significa “qualche anno in più”, “qualche giorno in più”, o anche “qualche tempo dopo” se parlo di un evento già passato o se parlo dell’età.

Si usa spesso insieme alla preposizione “con” e anche “nel“:

Quando vi sposate ragazzi?

Risposta:

non abbiamo in programma un matrimonio nell’immediato. Forse più in là con gli anni, chissà…

Luca ha 30 anni, ma suo fratello è più in là con l’età.

Mi sono sempre trovato a mio agio con persone più in là con gli anni.

Domani le previsioni dicono che pioverà. Se ci spingiamo più in là con i giorni, non ci sono però certezze.

Mi impegno per portarmi più in là col lavoro.

Prima degli esseri umani c’erano i dinosauri, poi, più in là nei secoli e nei millenni, arrivammo noi.

Per capire se una sostanza tossica ci fa male non basta un solo giorno, ma dobbiamo guardare più in là nei giorni e spesso negli anni.

Le origini del mio cognome non risalgono al secolo scorso, ma a più in là nel passato.

Non so cosa farò da grande. Magari più in là nel futuro saprò dirti qualcosa in più.

Anche “farsi più in là” che come detto all’inizio, solitamente significa “spostarsi”, “fare spazio”, può in realtà anche essere riferito al tempo:

La squadra della Roma ha bisogno di un nuovo stadio. Quello della Lazio potrà anche farsi più in là.

In questo caso si parla di “fare/realizzare/costruire lo stadio più avanti negli anni, nel senso che non è una cosa urgente”.

A proposito di stadio. Che ne pensate del calcio e di questi mondiali in Qatar?

Irina: Il calcio non è da annoverare tra gli sport rinomati per la loro moralità.

Peggy: sfondi una porta aperta Irina. Questo mondiale è proprio un obbrobrio a riguardo. Su questo non ci piove.

Mary: secondo me sarebbe bastato che i giocatori avessero deciso di non partecipare in quanto ne andava del loro onore.
Non c’è uno che è uno ad aver avuto il fegato di farlo.

Hartmut: Esatto! È nell’assumere una sua posizione così netta che si riconosce l’uomo di valore.

Rafaela: Come sono messi adesso con la loro coscienza?

Karin: La Bibbia ci insegna che basta un uomo per salvare una città, ma quest’uno chiaramente lì non c’è.

Ulrike: Ma dimmi tu!

Paulo: Che vuoi che ti dica. Il calcio è quello che è e gli uomini pure. Poi, considerando le sconfitte dell’Argentina e della Germania abbiamo la conferma che, da che mondo è mondo, il pallone è sempre rotondo.

Albèric: sai, Paulo, “il problema” si chiama denaro! Tutti sapevano come funzionano le cose in Qatar! Non so se sarebbe plausibile che i principali calciatori delle principali nazionale assumessero una posizione contraria allo svolgimento del mondiale lì! Ormai la frittata è fatta!

Natalia: già, avete ragione. Io per non sapere né leggere né scrivere vi dico che questa vicenda andrà a finire come col COVID, ve lo ricordate? Tutti che dicevano che ne saremmo usciti migliori e invece, eccoci qua come prima. Altro che storie, I fatti oscuri di questo mondiale andranno a finire presto nel dimenticatoio di tutti quanti. Purtroppo.

Danielle: Amici, questo è solo calcio, una gara sportiva. Il resto è un di più!

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874 Di già?

Di già? (scarica audio)

Trascrizione

Il titolo di questo episodio è “di già?”. Si tratta di una domanda con cui si manifesta stupore per qualcosa che termina prima del previsto, o prima di quanto vi aspettavate. Lo avevamo già accennato in un episodio passato ma oggi vorrei dire qualcosa in più.

Finita la spiegazione.

Proprio adesso voi potete rispondere così:

Di già?

Cioè: hai già finito?

Oppure: cosa? È già terminata la spiegazione? Così presto? Davvero?

Si potrebbe anche dire: di già terminata?

Hai di già finito?

O, meglio ancora:

Hai finito di già?

Semplice vero?

Altre volte poi non c’è il punto interrogativo. Es:

Dopo due minuti avevo finito di già.

In questo modo c’è qualcosa di inaspettato, c’è stupore per una fine prima del previsto.

Se volete, posso aggiungere che a volte si usa anche ironicamente, perché ciò che pensate è esattamemte il contrario.

Es:

Dopo due ore che aspetti sotto casa la tua fidanzata, lei ti dice:

Sono pronta, adesso scendo!

Risposta: di già?

State attenti perché potreste risultare ironici anche non volendo.

Notate che volendo potete eliminare la preposizione “di” e il senso non cambia. C’è solamente meno enfasi sulla meraviglia.

La preposizione “di” si usa davanti a “già” non solo in questo caso, però sicuramente col punto interrogativo va interpretata in questo modo.

Es. Se dico che:

Il Covid ha aggravato una situazione di già difficile per la popolazione, colpita precedentemente dalla crisi economica.

In questo caso non c’è nessuna meraviglia e la preposizione ha solamente il ruolo di sottolineare che la situazione era (di) già difficile da prima che arrivasse il Covid.

Anche stavolta però possiamo eliminare “di” e la frase ha ugualmente senso.

Anche esempi come quest’ultimo che ho fatto sono molto frequenti. Accade ogni volta che volete enfatizzare un evento che peggiora una situazione (di) già complicata prima che accadesse:

Il terremoto ha peggiorato le condizioni della casa, di già compromesse dall’uragano della scorsa settimana.

Vediamo un terzo utilizzo con alcuni esempi:

Quando avevo tre anni ho scoperto che il mondo era qualcosa di già esistente.

L’ultima sfilata di moda a cui ho assistito era un mix tra nuovo e di già visto.

Tra i membri del nuovo governo ce ne sono di nuovi e di già noti.

I soldati, benché di già stanchi, continuarono a lottare

Non c’è meraviglia però neanche in questi casi. Verrebbe anche qui voglia di eliminare la preposizione vero? Spesso in effetti all’orale si preferisce non utilizzarla, ma a volte è necessaria perché serve a specificare, a fare delle distinzioni (di nuovi e di già noti, un mix tra nuovo e di già visto) o a far rientrare qualcosa in una categoria (qualcosa di già esistente).

Oggi comunque volevo solamente spiegarvi l’uso di “di già?” ma come al mio solito mi sono dilungato. È qualcosa di già visto comunque, giusto?

Ripassiamo adesso:

Irina: ragazzi, siamo lontani da casa questo fine settimana dopo aver abbozzato quattro ore di noiosissima macchina ieri sera. Mentre ci avvicinavamo alla destinazione ci siamo accorti di essere in riserva. Quindi ci siamo fermati per fare benzina. E chi ti trovo alla pompa di benzina accanto? Un mio collega di lavoro! Una sorpresa che non ti dico!

Albéric: lui ci vede subito e ci fa “cosa ci fate qua?” Gli abbiamo risposto subito dicendo che siamo venuti per far visita a mio fratello e poi gli abbiamo posto la stessa domanda. Ma lui invece era molto restio a rispondere. Infatti avevamo subito sentore che qualcosa di strano stesse succedendo.

Karin: e allora? Non teneteci sulle spine! Ha tagliato corto ed è partito subito o cosa?

Natalia: sì, ma prima che fosse riuscito a darsela, ho buttato un occhio nella sua macchina e ho intravisto una signora che mi sembrava un’infermiera dal nostro reparto: era tutta in ghingheri, Non era di certo sua moglie, che ho incontrato più volte. Per non farlo innervosire ulteriormente ho fatto la finta tonta e non ho detto piu’ niente.

Estelle: mi sa che alla fine è una vicenda di cui non si parlerà mai piu’. Tra l’altro non voglio rovinarmi l’idea positiva che ho di lui come professionista indefesso sempre pronto a tendere la mano ai colleghi. Comunque, se ne parlassimo, finirebbe in difficoltà e gli toccherebbe giurare e spergiurare di non aver fatto nulla di inappropriato.

Giovanni: e rieccomi qua! Per finire, se volete, abbiamo due episodi sull’uso della preposizione di. Se non credete sia un di più, andate subito a leggerli. Che volete di più?

le preposizioni semplici

di e da

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Armi di distrazione di massa – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 26)

Armi di distrazione di massa (scarica audio)

Indice degli episodi della rubrica dedicata alla politica

armi di distrazione di massa

Trascrizione

Giovanni:
Oggi, per la rubrica dedicata alla politica italiana, parliamo delle armi di distrazione di massa.

Un’espressione che è derivata dalle “armi di distruzione di massa” (con la lettera u al posto della a). La frase di oggi si usa abbastanza spesso in ambito di comunicazione su questioni politiche.

Il termine “armi“, lo sapete, è il plurale di “arma“: un’arma, due armi.

Un’arma è un qualsiasi oggetto di cui ci si può servire come mezzo materiale di offesa o di difesa, cioè per colpire o per difendersi.

In genere si tratta comunque di uno strumento fabbricato appositamente per la guerra, per la difesa personale, o anche per la caccia o per lo sport (il “tiro a segno”). Parliamo quindi di armi come la pistola, il fucile, il coltello ecc.

Le armi di distruzione di massa sono quelle che distruggono, quindi quelle più potenti, che permettono di colpire e uccidere tante persone, di distruggere persino l’intera umanità. Per “massa” si intende proprio questo. Parliamo di armi come la bomba atomica, le armi biologiche, le armi chimiche e quelle radiologiche.

Il concetto di massa lo troviamo anche nei mezzi di comunicazione di massa, come la tv e la radio, che sono dei mezzi, cioè degli strumenti, dei modi per comunicare con una grande quantità di persone.

Ma perché armi di distrazione? In questo caso non si vuole distruggere nessuno. Piuttosto, si vuole distrarre qualcuno da qualcosa.

Mi spiego meglio.

Le distrazioni sono cose che distraggono. Il verbo è “distrarre“, un verbo che si può usare in modi diversi. Può significare svagarsi, divertirsi, quindi possiamo dire che quest’estate intendo distrarmi un po’ più del solito. Il senso è quello di non pensare al lavoro, quindi di spostare la mia attenzione su cose meno impegnative e divertenti se possibile.

Il secondo senso è perdere l’attenzione. Perdere la propria attenzione, deconcentrarsi, che se vogliamo è lo stesso significato di prima, ma qui intendiamo non una distrazione al fine di divertirsi, ma nel senso di non riuscire più a restare concentrato su qualcosa. Posso dire ad esempio che mi sono distratto durante la lezione di italiano e ho perso una parte della spiegazione.

Qui, e anche prima, ho usato il verbo distrarre in senso riflessivo (distrarsi), ma si può comunque dire che ho distratto un amico, che quindi non è riuscito a stato attento durante tutta la lezione. Si è deconcentrato. Nel caso del divertimento invece non si può usare che in senso riflessivo. Al massimo posso dire che ho aiutato un amico a distrarsi dopo una settimana di intenso lavoro.

Si può indicare la cosa dalla quale ci si distrae. Si usa la preposizione “da” a questo scopo:

Distrarsi dal lavoro, distrarsi dalla lezione:

Come non distrarsi dal lavoro se il proprio ufficio si affaccia su piazza di Spagna?

Gli studenti, se c’è rumore, potrebbero distrarsi dalla lezione

In teoria poi, anche lo sguardo si può distrarre.

Distrarre lo sguardo è esattamente come distogliere lo sguardo, che significa allontanarlo da qualcosa o qualcuno perché c’è altro che ha attirato la nostra l’attenzione. Al posto di sguardo posso usare anche l’attenzione.

Si usa soprattutto in senso figurato. Posso quindi dire che:

Quando si guida non si deve distrarre lo sguardo (l’attenzione) dalla strada.

Ma anche:

Non bisogna distrarre lo sguardo (l’attenzione) dalle questioni importanti della vita

Tornando alle “armi di distrazione di massa“, c’è qualcuno che vuole distrarre una massa di persone. Ma in che senso? Non si parla di far divertire una grande quantità di persone, ma si tratta di indurre, provocare una distrazione di massa, nel senso che qualcuno vuole che le persone di una intera nazione, ad esempio, distolgano lo sguardo, distraggano lo sguardo (in senso figurato), quindi spostino la loro attenzione da delle questioni.

In poche parole, usare delle armi di distrazione di massa è un gioco di parole per dire che in politica spesso c’è la volontà di fare in modo che la massa, cioè il popolo, i media, i giornalisti, i giornali eccetera, non parlino di alcune questioni, ma distraggano l’attenzione su altre questioni, spostino l’interesse su questioni meno importanti, diverse, meno scottanti, meno pericolose per il governo ad esempio.

Ad esempio, qualcuno definisce alcune trasmissioni televisive, molte seguite dalla massa, delle armi di distrazione di massa, perché in questo modo la massa non vede il telegiornale e così non si accorge di alcune decisioni politiche o dell’andamento dell’economia.

Se in TV vediamo che è un continuo parlare di questioni private del presidente del consiglio o di altri personaggi politici anziché parlare dell’emergenza energetica, della povertà che aumenta, dell’aumento dei prezzi e della disoccupazione, allora qualcuno potrebbe dire che si stanno utilizzando delle armi di distrazione di massa, per distrarre la massa, per spostare l’attenzione dalle questioni importanti, dirigendola su argomenti e notizie frivole, attraenti ma molto meno importanti in generale.

Le domande e le risposte su questo episodio sono disponibili ai soli membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

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Il pallone è rotondo – il linguaggio del calcio

Il pallone è rotondo

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Indice episodi

Benvenuti nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al mondo del calcio.

Nel corso dei vari episodi vedremo tanti termini, verbi e espressioni che appartengono al linguaggio del calcio e che pertanto si usano per commentare e discutere quanto accade dentro e fuori del campo.

Una rubrica dedicata a chi ama il calcio e a chi ama anche la lingua italiana.

Con l’aiuto di questi episodi spero di aiutare tutti le persone non madrelingua soprattutto a seguire una telecronaca sportiva e anche a leggere gli articoli sportivi.

Cominciamo dal “pallone“. Il gioco del calcio veniva chiamato, un tempo, il gioco del pallone.

Il pallone è proprio ciò che viene preso a calci!

Che forma ha il pallone? Il pallone è una sfera, ma nonostante questo, si dice spesso che il pallone è “rotondo“.

Si tratta però di un’espressione che va interpretata in senso figurato, infatti si dice che il pallone è rotondo, per indicare l’imprevedibilità di ogni partita di questo sport, dove mai nulla è scontato.

“Il pallone è rotondo” si usa pertanto per indicare che qualsiasi squadra può vincere una partita di calcio, anche quella apparentemente più debole, per effetto del caso, della fortuna, di una decisione dell’arbitro, del cattivo stato di forma di qualche calciatore e via dicendo.

E’ anche questo il bello di questo sport: niente è mai scontato! Nessuna partita ha un risultato già scritto.

Chi vincerà tra la squadra del Barcellona e la squadra della Roma?

Probabilmente vincerà il Barcellona, ma la squadra spagnola deve stare molto attenta perché il pallone è rotondo.

Com’è il pallone?

E’ quadrato? No, non è quadrato, ma rotondo!

Che forma ha il pallone, è triangolare? No! Macché triangolare, è rotondo!

Ci vediamo al prossimo episodio dedicato al linguaggio del calcio.

873 Chi ti incontro?

Chi ti incontro?

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Trascrizione

Ci sono tanti modi per esprimere stupore, meraviglia, nella lingua italiana.

Ne abbiamo già visto qualcuno anche in questa rubrica.

Mi riferisco ad esempio all’espressione “hai capito!” oppure “Caspita!” e anche “non mi dirai che” e “ma dimmi tu”e altre ancora.

Ogni volta cambia il tipo di stupore o la situazione.

Oggi vediamo un modo per esprimere uno stupore che abbiamo provato incontrando una persona.

In particolare, questa modalità espressiva si usa quando raccontiamo questo incontro inaspettato ad un’altra persona, e per manifestare questa meraviglia e incuriosire il nostro interlocutore, si può dire ad esempio:

indovina chi ti incontro?

Veramente strana come costruzione non è vero? Strano anche perché si usa il presente indicativo del verbo e non una forma del passato. Ma l’espressione funziona così.

La stranezza deriva anche dalla presenza di questo “ti” che qualcuno, a ragione, potrebbe definire “pleonastico” cioè inutile, di troppo. Abbiamo visto in un recente episodio il “non” pleonastico. Se lo avete dimenticato ve lo ricorderò tante volte finché non lo memorizzate!

In effetti questo “ti” in questo caso è proprio un pronome pleonastico, quindi sarebbe inutile, se non fosse che in questo modo si aggiunge un tono di ironia e si sottolinea maggiormente lo stupore.

A volte si dice anche:

Indovina chi ti vado ad incontrare?

Stesso significato.

Raramente può capitare di incontrare anche:

Chi non ti vado a incontrare?

Chi non ti incontro?

In questo casi c’è anche un “non” pleonastico, l’ennesimo caso, dopo quelli che abbiamo visto proprio in un episodio dedicato al “non” pleonastico.

Comunque, normalmente (per fortuna) la frase non presenta questa negazione. Accontentiamoci del “ti” pleonastico che è meglio!

Vediamo qualche esempio per prendere maggiore confidenza con l’episodio di oggi.

Sai, ieri al lavoro sono entrato all’improvviso nella stanza della direttrice per prendere un documento. Avevo una urgenza e così non ho neanche bussato. Ma, ta-da! Chi ti incontro appena entro? C’era Mario che stava baciando la Direttrice appassionatamente. Non ti dico che imbarazzo!

Evidentemente questo incontro era assolutamente inaspettato e in questo modo voglio trasmettere questo mio stupore al mio interlocutore.

È una modalità colloquiale ma molto usata tra amici, colleghi e familiari.

Questo “ti” pleonastico non può diventare un “vi“. Il “ti” è invariabile, anche quando non parlo di me:

I miei figli aprono la porta e ti trovano una ragazza completamente ubriaca a terra!

Si, avete capito bene: si possono usare anche altri verbi oltre a incontrare, come trovare o scoprire.

Vediamo ancora altri esempi. Prestate attenzione al tono in particolare.

Ho voluto rilassarmi una settimana lontanissimo da tutti, così sono andato in Brasile, ad Araraquara, vicino San Paolo. Ma chi ti vado ad incontrare? La mia collega Giuseppina in vacanza con l’amante! Incredibile quanto è piccolo il mondo!

Si può usare poi non solo con le persone:

Appena arrivo a casa di Maria, ti trovo un caldo asfissiante!

Notate che se uso questa espressione non significa necessariamente che questa sorpresa è non gradita. Si tratta solo di una sorpresa.

Ho controllato i compiti dei ragazzi e chi ti vado a scoprire che ha copiato tutto? Proprio Giovanni che si vantava di essere il primo della classe.

Ho rovistato nello zaino di mia figlia. Non puoi capire cosa non ti scopro! Dei profilattici!!!!

Avrete notato che, se pronunciate la frase con tono interrogativo, si tratta anche di una domanda retorica. Si può comunque anche pronunciare con tono esclamativo. C’è meno ironia ma l’effetto meraviglia non cambia.

Adesso ripassiamo.

Anthony: Ragazzi, posso raccontarvi una barzelletta sconcia?

Irina: Vi rendete conto che ogni tanto Anthony sembra avere una voglia impellente di raccontare una barzelletta un po’ troppo osé?

Hartmut: tra l’altro ogni due per tre se ne esce con una sciocchezza o ciofeca che dir si voglia.

Estelle: devo dire che in queste discussioni sono solita difenderlo, ma questa volta no! Stavolta sono più che mai di diverso avviso rispetto alla sua idea di ciò che è divertente. Risulta spesso sopra le righe e la cosa mi dà pure un po’ sui nervi.

Anthony: ma è mai possibile che la mia battuta vi sia andata così di traverso?Allora prendo atto del fatto che un po’ di sana sconcezza a voi non sconfinfera.

Peggy: ma dai Anto’, che palle! Fai conto che non abbiamo detto niente! Sono battute da prendere con filosofia! Mi fa specieche proprio tu non le capisca!

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872 L’orlo

L’orlo (scarica audio)

Trascrizione

Sapete cos’è un orlo?

Se ci occupiamo di questa parola all’interno della rubrica “due minuti con Italiano Semplicemente” il motivo è che si può usare in molte occasioni diverse, quindi può capitare di ascoltarla nei film come nelle conversazioni di tutti i giorni e pertanto sicuramente troveremo occasioni anche per usarla nei ripassi dei prossimi episodi per poterla memorizzare.

Iniziamo col dire che questa parola ha un legame con l’espressione “lì lì per”, che abbiamo trattato nell’episodio 463. È mia abitudine citare gli episodi passati laddove esistono dei legami che possono aiutare a capire il significato del nuovo termine, della nuova locuzione o espressione.

Quando siamo li li per fare qualcosa, come abbiamo visto, stiamo proprio sul punto di fare una azione, ad esempio se stiamo li li per uscire, stiamo quasi uscendo. In alcune occasioni possiamo anche usare l’espressione “essere/stare sull’orlo di” qualcosa. La parola orlo ha infatti un forte legame con “quasi“.

In questo senso esistono in particolare alcune espressioni:

Essere sull’orlo del baratro

Essere sull’orlo del precipizio

Essere sull’orlo della disperazione

Essere sull’orlo di una crisi di nervi.

Per comprendere queste espressioni è buona cosa spiegare il senso proprio del sostantivo orlo. L’orlo è la parte terminale, si trova al confine di qualcosa.

Quando riempiamo completamente un bicchiere, si può dire che lo riempiamo fino all’orlo, cioè completamente, fino alla fine, fino alla parte terminale. Se andiamo oltre l’orlo, l’acqua cade sul tavolo.

Quando acquistiamo un paio di pantaloni, anche se sono della nostra taglia, è difficile che la lunghezza sia perfetta per noi. Probabilmente bisogna accorciarli. Bisogna rifare l’orlo. È un lavoro che fanno le sarte o chi ha dimestichezza con ago e filo.

Quindi, tornando agli esempi fatti sopra, se sono sull’orlo di un precipizio, sto proprio sul confine, quindi potrei cadere nel precipizio.

Un precipizio o dirupo o burrone è un luogo molto pericoloso, in cui si può cadere perché improvvisamente non abbiamo più la terra sotto i piedi. Non è piacevole camminare sull’orlo di un precipizio, specie se soffriamo di vertigini. Potremmo precipitare!

Quindi l’orlo delimita qualcosa, segna il confine di qualcosa: un abito, un bicchiere, un precipizio.

Essere sull’orlo del baratro

Questa è un’espressione simile perché il baratro è proprio identico ad un precipizio, ma la maggior parte delle volte si usa in senso figurato.

Si sta sul punto di precipitare non nel senso fisico, materiale, ma psicologicamente, o economicamente.

Una azienda può essere sull’orlo del baratro quando sta quasi per fallire.

Una persona in condizioni psicologiche disastrose si può dire che si trova sull’orlo del baratro quando potrebbe avere un crollo psicologico.

Potrei dire che un paese in guerra si trova sull’orlo del baratro, con riferimento alle condizioni economiche, sociali e umane del popolo.

Ugualmente una famiglia che per un motivo qualunque si trova improvvisamente in povertà, possiamo dire che si trova sull’orlo del baratro. Bisogna quindi intervenire. Si trasmette l’urgenza, la necessità di fare qualcosa prima che sia troppo tardi.

Per collegarci agli ultimi due episodi, qualcosa di brutto è imminente (o anche incombente, se non è certo) pertanto c’è un bisogno impellente di trovare una soluzione.

Se non vogliamo ricorrere al “baratro” nel senso figurato, per descrivere una situazione limite, dal punto di vista psicologico possiamo usare anche:

Essere sull’orlo della disperazione

Essere sull’orlo di una crisi di nervi.

Se la situazione limite riguarda le risorse economiche, potremmo trovarci sull’orlo del fallimento o sull’orlo della bancarotta.

Ancora un passo e sarò disperato, ancora un passo e avrò una crisi di nervi, ancora un passo e il fallimento sarà inevitabile, ancora un po’ di acqua nel bicchiere e l’acqua uscirà fuori.

Credo sia abbastanza per oggi. Non vi dirò quindi che anche i piatti hanno un orlo e ce l’hanno anche altri indumenti, oltre ai pantaloni.

Non vado oltre, tanto il concetto credo sia chiaro.

Ripasso adesso.

Mariana: I sostenitori di Bolsonaro non accettano che Lula abbia vinto. Ne vedremo delle belle!

Rafaela: Neanche lui l’ha presa molto bene, tant’è che quanto a dichiarazioni post voto, si è limitato allo stretto indispensabile.

Marcelo: c’è chi dice che sia sull’orlo di una crisi di nervi, ma forse si tratta di voci false e tendenziose.

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