È che… (scarica audio)
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Trascrizione
L’episodio di oggi è dedicato ad una brevissima locuzione con cui si può iniziare una frase. “È che”.
Probabilmente vi ricordate della locuzione “non è che“. Stavolta però non abbiamo la negazione, e togliere la negazione non significa sempre che il significato è l’opposto.
A dire il vero a volte “è che” si utilizza anche insieme a “non è che” e si usa proprio in senso opposto per sottolineare ciò che voglio dire. Prima nego una affermazione e poi aggiungo qualcosa, poi spiego meglio.
Ad esempio:
Non è che mi sono scordato del tuo compleanno, è che ricordavo fosse ieri.
Raramente però le due locuzioni si usano insieme a questo scopo. Vediamo allora di aggiungere qualcosa in più per capire come si usa “è che“.
Nel linguaggio colloquiale è molto frequente. Più difficilmente si trova anche per iscritto.
Questa locuzione si usa per dare una risposta, spesso per dare una giustificazione oppure come semplice commento.
Questo lo avevamo detto anche nell’episodio dedicato a “non è che”, a proposito di uno dei suoi utilizzi.
In questi casi si tratta di spiegare un motivo per cui accade qualcosa, ad esempio quando ci si deve giustificare, quando si deve trovare una scusa per giustificare un comportamento proprio o di altre persone.
Es: come mai non puoi venire più al cinema stasera?
Risposta:
è che avevo dimenticato di avere un impegno.
Non c’è bisogno di negare (usando “non è che”) e poi giustificarsi. È sufficiente la giustificazione. In questo caso non c’è niente da negare, a meno che la domanda non fosse stata:
Non ti va più di venire al cinema stasera?
Allora la risposta poteva essere:
Non è che non mi va più, è che avevo dimenticato di avere un impegno.
La risposta precedente (senza la negazione) è in pratica la forma abbreviata di:
Il motivo è che avevo dimenticato di avere un impegno.
Oppure:
Il fatto è che avevo dimenticato di avere un impegno.
Spesso è quest’ultima la versione che si preferisce utilizzare in queste occasioni.
A volte si è dispiaciuti per un certo motivo, altre volte si vorrebbe prendere una decisione ma non si può per un qualunque motivo.
Es: dobbiamo assolutamente rinunciare al nostro viaggio in Italia.
Risposta:
Lo so, è che volevo andare a trovare Giovanni.
Equivalente a:
Lo so, mi spiace perché volevo andare a trovare Giovanni.
Oppure:
I miei amici Carlo e Francesca, dopo 20 anni di matrimonio, si sono lasciati.
Commento:
È che dopo un po’ il rapporto cambia, l’innamoramento finisce e con gli anni bisogna vivacizzare il rapporto.
Anche in questi caso possiamo dire “il fatto è che“, come prima. Così però è più informale, meno impegnativo, meno giudicante.
Un altro esempio. Paolo parla con Alfredo e gli dice quanto è sfortunato:
Paolo: Non ho mai vinto alla lotteria. Che sfortunato che sono!
Alfredo: sai, è che per vincere bisogna anche provare a giocare…
In questo caso è anche ironico.
Avete notato che in questo caso somiglia anche a “però“. Può somigliare anche a “ma purtroppo”.
Esempio:
Vorrei tanto comprare una Ferrari; è che non ho abbastanza soldi!
Infine si utilizza quando si hanno dei dubbi, preoccupazioni e problemi:
Mi piacerebbe trasferirmi in un’altra nazione completamente diversa dall’Italia.
Ci sarebbe anche l’opportunità, è che i miei figli non sono molto d’accordo.
Oppure:
Io e mia moglie stiamo pensando di fare un altro figlio. È che abbiamo solo due camere da letto per il momento.
Qui all’inizio sembra essere “il problema è che“. Lo stesso nell’esempio precedente.
Oppure:
Mio figlio stasera dovrà rientrare a casa da solo. Va bene, ha 15 anni; è che sarà buio a quell’ora.
In questo caso si potrebbe dire:
Sono preoccupato ugualmente perché a quell’ora sarà buio
O anche:
Nonostante questo sono preoccupato perché sarà buio a quell’ora.
“È che” è più veloce e per questo adatto a un linguaggio colloquiale.
Vi lascio adesso ad un bellissimo ripasso realizzato dalla nostra Peggy. Le voci sono di altri membri dell’associazione Italiano Semplicemente.
Peggy: Un giorno, un bambino giapponese di 4 anni, di punto in bianco ha espresso ai suoi il desiderio di volersi far crescere i capelli fintantoché non sarebbero diventati molto lunghi.
Ulrike: vai a capire cosa gli è frullato in testa!
Marcelo: Il padre, di primo acchito, era prevenuto contro questo pensiero che gli era alquanto peregrino. La richiesta del figlio ha suscitato una forte preoccupazione in entrambi i genitori, facendogli pensare che il loro piccolo possedesse un orientamento sessuale diverso rispetto dagli altri bambini.
Irina: Per ridurre ai minimi termini tale preoccupazione, i genitori hanno interpellato il figlio per conoscere il motivo per cui aveva preso la decisione attinente ai capelli.
Estelle: Dopo le plausibili spiegazioni del figlio, nonostante inizialmente poco propensi ad aderire alla sua idea, sono rimasti d’accordo con lui. al contempo però gli hanno fatto presente che questo atto avrebbe dato adito a tante critiche nei suoi confronti da parte degli amici. Un rovescio della medaglia a cui forse non aveva pensato.
Sofie: Manco a dirlo, nel giro di tre anni, via via che i suoi capelli crescevano, spesso e volentieri veniva preso di mira ed a mali parole da altri bambini. Alcuni non l’hanno neanche degnato di uno sguardo, guardandosi bene da qualunque approccio con lui.
Natalia: Certamente, tutto ciò è quanto mai difficile da sorbire per un ragazzo, e a maggior ragione per un bambino di una simile età.
Danita: In effetti, per via della frustrazione, diverse volte ha ceduto, pensando di tornare sui propri passi. Tuttavia, ogni volta, come rifletteva sulla finalità del suo gesto, pensava all’imminente momento del traguardo, così stringeva i denti e andava avanti.
Hartmut: All’età di sette anni, i suoi capelli sono arrivati alla lunghezza che voleva, ossia all’altezza della vita. Al che, si è fatto tagliare i capelli per poi donarli ai malati di cancro.
Danielle: Ecco perché tre anni fa ha deciso di intraprendere questo percorso tortuoso! La causa misteriosa alla fine è venuta a galla.
Anthony: Dunque, forte della sua tenacia, non ha reso il proprio desiderio pio o effimero che dir si voglia. Il suo gesto non lascia affatto il tempo che trova.
Fatima: A suo modo ha dato un valido apporto al progetto di aiutare le persone sofferenti di cancro.
Cat: Pensiamoci! Noi grandi, ci reputiamo all’altezza di questo bambino? Sappiamo fare qualcosa del genere tendendo la mano ai bisognosi?
Peggy: Senz’altro si tratta di un bambino sui generis, nonché con tanta nobiltà d’animo! Tra l’altro, il suo lavoro non è risultato fine a sé stesso, anzi è stato molto edificante. Fare del bene fa del bene anche a sé stessi.
Rauno: Dopo tale vicenda, numerosi bambini provenienti da svariati angoli del mondo, hanno seguito il suo esempio sulla falsariga del protagonista, andando incontro a chi necessitava di aiuto nei modi più svariati. Questi bambini hanno tutto il nostro plauso, eccome!
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