Povero me e la commiserazione (ep. 977)

Povero me e la commiserazione (scarica audio)

Trascrizione

Ricordate l’episodio dedicato all’espressione “beato te”?

Oggi ci occupiamo di “povero te!” che rappresenta l’esclamazione di opposto significato.

Chiaramente esiste anche “povero me“. Parlo di me stesso quindi.

C’è però più di un legame tra le due esclamazioni, perché si tratta sempre di esclamazioni formate con un aggettivo e dove manca il verbo:

Povero me!

Beato te!

Questo è il motivo per cui si usano me e te e non io e tu. Non si può dire ad esempio “povero io” come esclamazione.

Comunque, che significa “povero me“?

L’aggettivo povero è l’opposto di ricco, quindi indica una persona che ha pochi soldi per vivere.

Questo non c’entra nulla però con l’espressione “povero me”, che serve invece per commiserare sé stessi.

Commiserate significa esprimere compassione o simpatia per qualcuno che sta vivendo una situazione difficile o dolorosa. È un modo di mostrare empatia e solidarietà verso una persona che sta affrontando un momento difficile.

Ma quando una persona commisera sé stessa, è un po’ come dire:

Questa cosa che mi è accaduta mi porterà gravi conseguenze

Adesso come farò?

Cosa mi accadrà ora?

Se da una parte questa esclamazione può esprimere paura verso il futuro per una cosa negativa accaduta, dall’altra si può usare questa esclamazione anche per cose poco gravi, o anche in senso ironico, quando accade qualcosa, sempre giudicata più o meno negativamente, che non lascia ben sperare per il futuro.

Per esempio, se provo a parlare in italiano e il professore mi corregge continuamente per lo stesso errore, posso dire:

Povero me! Non riesco proprio a capire come si pronuncia questa parola.

Oppure se combino un guaio e penso che mio padre mi punirà non appena tornerà a casa, posso dire o pensare:

Povero me! Chissà cosa mi aspetta quando tornerà mio padre!

Oppure:

Povero me, arriverò a scuola anche oggi in ritardo e la professoressa si arrabbierà.

Spesso si usa, al posto di “povero me”, l’esclamazione ahimè. Stesso significato.

Quindi l’aggettivo *povero” non si fa fatica a capire che non è in questo caso indice di povertà, ma, come detto, di commiserazione.

Se l’esclamazione non è rivolta a sé stessi, può essere rivolta come ho detto prima, a te, oppure a noi, o voi o loro, oppure a specifiche persone:

Povero te se scoprirai che avrai perso la scommessa

Poveri noi se dovesse arrivare un’altra pandemia

Povero Andrea, non ci voleva questa brutta notizia che mi hai appena detto.

Poveri voi! Oggi vi aspetta una domenica tutto lavoro!

E adesso poveri voi se non mi fate un ripasso coi fiocchi!

Usate anche alcuni verbi professionali all’interno del ripasso.

Marcelo: Ho appena ricevuto una lettera di licenziamento dal mio lavoro. Non so cosa fare, è terribile essere liquidati così su due piedi. Povero me!

Anne Marie: Mi dispiace sentire questo, ma adesso dovresti adoperarti per cercare un nuovo lavoro.

Marcelo: si fa presto a dirlo! Adesso non riesco neanche ad accettare che mi abbiano licenziato. Ho sempre cercato di attenermi alle regole. Ahimè, cosa farò ora?

Rauno: Falla finita adesso ok? Piuttosto, è importante constatare se effettivamente ci siano state circostanze particolari che giustifichino il licenziamento.

Peggy: Potresti fare ricorso contro il licenziamento se ritieni sia ingiusto.

Marcelo: Grazie per il vostro supporto. Siete dei veri amici! Scusate se mi sono un po’ auto-commiserato, ma che volete, mica si viene licenziati tutti i giorni!

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873 Chi ti incontro?

Chi ti incontro?

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Ci sono tanti modi per esprimere stupore, meraviglia, nella lingua italiana.

Ne abbiamo già visto qualcuno anche in questa rubrica.

Mi riferisco ad esempio all’espressione “hai capito!” oppure “Caspita!” e anche “non mi dirai che” e “ma dimmi tu”e altre ancora.

Ogni volta cambia il tipo di stupore o la situazione.

Oggi vediamo un modo per esprimere uno stupore che abbiamo provato incontrando una persona.

In particolare, questa modalità espressiva si usa quando raccontiamo questo incontro inaspettato ad un’altra persona, e per manifestare questa meraviglia e incuriosire il nostro interlocutore, si può dire ad esempio:

indovina chi ti incontro?

Veramente strana come costruzione non è vero? Strano anche perché si usa il presente indicativo del verbo e non una forma del passato. Ma l’espressione funziona così.

La stranezza deriva anche dalla presenza di questo “ti” che qualcuno, a ragione, potrebbe definire “pleonastico” cioè inutile, di troppo. Abbiamo visto in un recente episodio il “non” pleonastico. Se lo avete dimenticato ve lo ricorderò tante volte finché non lo memorizzate!

In effetti questo “ti” in questo caso è proprio un pronome pleonastico, quindi sarebbe inutile, se non fosse che in questo modo si aggiunge un tono di ironia e si sottolinea maggiormente lo stupore.

A volte si dice anche:

Indovina chi ti vado ad incontrare?

Stesso significato.

Raramente può capitare di incontrare anche:

Chi non ti vado a incontrare?

Chi non ti incontro?

In questo casi c’è anche un “non” pleonastico, l’ennesimo caso, dopo quelli che abbiamo visto proprio in un episodio dedicato al “non” pleonastico.

Comunque, normalmente (per fortuna) la frase non presenta questa negazione. Accontentiamoci del “ti” pleonastico che è meglio!

Vediamo qualche esempio per prendere maggiore confidenza con l’episodio di oggi.

Sai, ieri al lavoro sono entrato all’improvviso nella stanza della direttrice per prendere un documento. Avevo una urgenza e così non ho neanche bussato. Ma, ta-da! Chi ti incontro appena entro? C’era Mario che stava baciando la Direttrice appassionatamente. Non ti dico che imbarazzo!

Evidentemente questo incontro era assolutamente inaspettato e in questo modo voglio trasmettere questo mio stupore al mio interlocutore.

È una modalità colloquiale ma molto usata tra amici, colleghi e familiari.

Questo “ti” pleonastico non può diventare un “vi“. Il “ti” è invariabile, anche quando non parlo di me:

I miei figli aprono la porta e ti trovano una ragazza completamente ubriaca a terra!

Si, avete capito bene: si possono usare anche altri verbi oltre a incontrare, come trovare o scoprire.

Vediamo ancora altri esempi. Prestate attenzione al tono in particolare.

Ho voluto rilassarmi una settimana lontanissimo da tutti, così sono andato in Brasile, ad Araraquara, vicino San Paolo. Ma chi ti vado ad incontrare? La mia collega Giuseppina in vacanza con l’amante! Incredibile quanto è piccolo il mondo!

Si può usare poi non solo con le persone:

Appena arrivo a casa di Maria, ti trovo un caldo asfissiante!

Notate che se uso questa espressione non significa necessariamente che questa sorpresa è non gradita. Si tratta solo di una sorpresa.

Ho controllato i compiti dei ragazzi e chi ti vado a scoprire che ha copiato tutto? Proprio Giovanni che si vantava di essere il primo della classe.

Ho rovistato nello zaino di mia figlia. Non puoi capire cosa non ti scopro! Dei profilattici!!!!

Avrete notato che, se pronunciate la frase con tono interrogativo, si tratta anche di una domanda retorica. Si può comunque anche pronunciare con tono esclamativo. C’è meno ironia ma l’effetto meraviglia non cambia.

Adesso ripassiamo.

Anthony: Ragazzi, posso raccontarvi una barzelletta sconcia?

Irina: Vi rendete conto che ogni tanto Anthony sembra avere una voglia impellente di raccontare una barzelletta un po’ troppo osé?

Hartmut: tra l’altro ogni due per tre se ne esce con una sciocchezza o ciofeca che dir si voglia.

Estelle: devo dire che in queste discussioni sono solita difenderlo, ma questa volta no! Stavolta sono più che mai di diverso avviso rispetto alla sua idea di ciò che è divertente. Risulta spesso sopra le righe e la cosa mi dà pure un po’ sui nervi.

Anthony: ma è mai possibile che la mia battuta vi sia andata così di traverso?Allora prendo atto del fatto che un po’ di sana sconcezza a voi non sconfinfera.

Peggy: ma dai Anto’, che palle! Fai conto che non abbiamo detto niente! Sono battute da prendere con filosofia! Mi fa specieche proprio tu non le capisca!

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774 Dispiace o mi dispiace?

Dispiace o mi dispiace? (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni:

Oggi vediamo un’altra cosa che nessun libro di grammatica o di lingua italiana, di qualsiasi tipo, checché se ne dica, vi spiegherà mai.
Parlo della differenza tra l’esclamazione “mi dispiace” e “dispiace“, senza il pronome davanti.

Ciò che intendo dire è che spessissimo si leggono e si ascoltano, sempre di più da qualche tempo a questa parte, frasi tipo:

Spiace un po’ che Giovanni abbia questa avversione per la grammatica.

Dispiace per come sono andate le cose tra Maria e Pasquale. Le ricordo come due brave persone e si volevano bene.

In pratica a volte si preferisce non usare il pronome mi, ti, ci, vi, gli.

Perché?

Vediamo allora le differenze tra “mi dispiace” e dispiace.

Se io mi sto scusando per una mia colpa devo assolutamente usare il pronome personale.

Ad esempio:

Oh, davvero hai perso il treno per colpa mia? Mi dispiace molto, scusami.

Mi dispiace che ti sei sentito offeso, ma non era mia intenzione, ti assicuro.

Questo è un primo caso in cui non posso togliere il pronome perché si vuole sottolineare il dispiacere e allo stesso tempo questa è una forma di scuse.

Il pronome trasmette un coinvolgimento emotivo personale, quindi devo assooitanente utilizzarlo.

In realtà non è necessario che ci sia una colpa personale.

Anche quando non si tratta di una colpa personale ma semplicemente di trasmettere vicinanza, affetto o comprensione per qualcosa di negativo accaduto, è necessario usare il pronome personale:

Cosa? Sei stato bocciato all’esame di grammatica? Non puoi capire quanto mi dispiace!

Mi spiace per tua madre. Ho saputo che sta passando un brutto momento.

La persona apprezzerà affermazioni di questo tipo, perché trasmettono empatia e comprensione.

Quando invece si commenta una situazione in cui non c’è alcuna colpa ma, oltre a questo c’è anche poco coinvolgimento emotivo, si può evitare di mettere il pronome ed è sufficiente un “dispiace che…”.

Anche il tono è importante. Oltretutto la frase è anche più veloce da pronunciare.

Es:

Nei prossimi campionati mondiali chi vincerà? Certo, dispiace che non ci sarà l’Italia.

In taluni casi (cioè “talvolta”), come anche nell’esempio appena fatto, possiamo anche aggiungere “mi” o “ci”, ma se aggiungessi “ci” qualcuno direbbe: dispiace a chi?

Quindi “ci” implicherebbe l’esistenza di un “noi” quando invece non c’è nessun “noi” in questo caso.

Se invece usassi “mi dispiace” o “mi spiace” (equivalente, anche se c’è meno coinvolgimento) andrebbe comunque bene ma questa non è una questione personale, non è accaduta una disgrazia ad una persona, sebbene la cosa rappresenti pur sempre un fallimento calcistico di una nazione.

Questo “dispiace” è pertanto impersonale rispetto a “mi dispiace” e perciò appare più freddo, più distaccato. Si vuole esprimere ugualmente un dispiacere, ma piuttosto lieve. Certamente non è colpa di chi parla se l’Italia non è andata avanti nel suo percorso, inoltre non è detto che la qualità del campionato mondiale sia inferiore per via dell’assenza dell’Italia.

Infine, non abbiamo un interlocutore a cui vogliamo alleviare le sofferenze e esprimere empatia. Questo è ugualmente importante.

Tutti questi motivi rendono accettabile l’assenza del pronome.

Dico “accettabile” perché non è mai un errore inserire il pronome “mi”, ma sicuramente non siamo in uno dei casi descritti sopra in cui il pronome è obbligatorio.

Finora si è parlato essenzialmente di emozioni, di coinvolgimento e di empatia, ma spesso bisogna usare il pronome semplicemente per indicare a chi ci si riferisce:

Non ho capito. Ti dispiace spiegarti meglio?

Non vi dispiace se fumo una sigaretta vero?

La forma impersonale in questi casi non posso usarla.

Poi, sapete che “non mi dispiace” può esprimere anche un piacere (ad esempio per qualcosa che si mangia o si ascolta) e non solo l’assenza di un dispiacere per un qualcosa che accade, come visto finora. Parlo della forma opposta rispetto a “mi piace”.

Se dico:

Tranquillo, non mi dispiace se parli prima tu di me.

Qui si esprime, con una forma di cortesia, l’assenza di un dispiacere.

Invece:

Sai che ho assaggiato il caffè senza zucchero e ho scoperto che non mi dispiace affatto.

In questo caso si esprime un piacere inaspettato, un vero apprezzamento per il caffè senza l’aggiunta di zucchero.

Anche in questi casi (entrambi) non possiamo togliere il pronome, essendo il piacere una cosa del tutto personale.

Direi che senza il pronome davanti, “dispiace che” è molto simile a “peccato che”. Si esprime in questo modo per lo più disappunto, che è abbastanza vicino al concetto di lieve dispiacere.

Adesso, se non vi dispiace, ripassiamo un po’:

Ripasso in costruzione

Albéric: Mi Dispiace molto che stiamo transcorrendo un periodo colmo di conflitti e divergenze, dove tra l’altro fioccano ogni due per tre voci false e tendenziose, nonché accozzaglie di storie inventate e faziose.
Ne ho fin sopra i capelli.

Peggy: Dai, cerca di essere ottimista, intorno a noi esistono anche tante cose interessanti da provare, tante persone per bene per scambiarsi idee. Per non parlare delle bellezze folgorante da ammirare. Guarda quella ragazza che sta passando davanti a te ad esempio. Sbaglio o ti ha lanciato un’occhiatina?

Edgardo: Ue’, non fare lo spiritoso! Non mi vanno a genio questo tipo di battute!

Hartmut: dunque, ragazzi. Con questo stress sociale, non mi dispiace affatto la riunione a Roma a fine giungno con i membri della nostra associazione. Saranno presenti i membri più brillanti del gruppo. Poi ci sarò anch’io, se non vi dispiace…

Me o mi?

Mi e me (scarica audio)

Sai distinguere me da mi?

Si. Certo. Mi esercito tutti i giorni con l’italiano.

Mi fai un esempio allora? Me ne fai almeno uno?

Ok: a me piace molto la pasta. La pasta mi piace molto.

Me ne fai un altro?

Ok: mi ricordo che una volta me ne sono andato di casa.

Perché te ne sei andato?

Mi ero stufato di mia moglie.

Cosa?

Non hai capito? Mi sono spiegato male? Vuoi che te lo ripeta?

No, non me lo ripetere, ho capito. Ma tua moglie?

Anche mia moglie mi ha chiesto il perché.

E tu?

Io me ne sono restato in silenzio e poi me ne sono tornato a casa

Ah, non me ne avevi parlato. E lei?

Lei poi mi ha lasciato. Allora, hai capito la differenza tra me e mi?

No, ma ho capito la differenza tra te e lei!!

Me la spieghi?

A me sembra ovvia. Mi pare strano che tu me lo chieda.

A me no! Mi aspetto che tu lo faccia.

Dunque: a me sembra che tu sia pazzo. Questo mi sembra.

E lei invece?

Lei mi sembra una persona normale, perché adesso sta con me e non più con te.

Ah ecco. Mi sembrava! A me comunque non importa perché a me sembra sia molto tempo che non mi ama più.

A me invece mi ama. Questo almeno mi dice….

Rita Levi-Montalcini

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Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=48428878

Ciao ragazzi e benvenuti su ItalianoSemplicemente.com io sono Giovanni.

Che ne pensate se oggi parliamo di un grande personaggio italiano?

Tra i tanti personaggi famosi in tutto il mondo potremmo ad esempio parlare di Rita Levi Montalcini.

Una grande donna italiana, vissuta dal 1909 al 2012; dunque ha vissuto ben 103 anni, durante i quali è stata una famosa neurologa e accademica, oltre che una senatrice a vita italiana, e per finire ha vinto il Premio Nobel per la medicina nel 1986.

Neurologa significa che ha studiato neurologia, cioè la scienza che si occupa del sistema nervoso. La neurologia è la branca specialistica della medicina che studia le patologie del sistema nervoso.

Accademica vuol dire che si è dedicata alla ricerca e all’insegnamento, mentre il premio Nobel, o Nobèl (si può pronunciare in entrambi i modi) è innanzitutto un premio, anzi potremmo dire che si tratta di un’onorificenza, cioè un alto premio, un premio di alto valore, legato all’onore. Il premio Nobel è quindi un premio di valore mondiale, un’onorificenza attribuita annualmente a persone viventi che si sono distinte nei diversi campi dello scibile apportando i maggiori benefici all’umanità per le loro ricerche, scoperte e invenzioni, per l’opera letteraria, per l’impegno in favore della pace mondiale.

Questa è la definizione di premio Nobel. Soltanto persone che viventi possono ricevere questo premio, quindi persone che sono vive nel momento della premiazione.

Il premio è attribuito (cioè dato) annualmente (cioè tutti gli anni) a persone viventi che si sono distinte nei diversi campi dello scibile.

Ho detto persone che si sono “distinte”. Si parla del verbo “distinguere” nella modalità riflessiva: “distinguersi”, che significa mettersi in luce, farsi notare, essere riconoscibile per qualcosa che si è fatto nella vita. Chi si distingue quindi si distingue dagli altri, perché è diverso dagli altri. In questo caso perché ha una qualità rispetto agli altri, una grande qualità. In generale ci si può distinguere per diversi motivi.

Ci si può distinguere per onestà,

Ci si può distinguere per correttezza, per diligenza, per chiarezza, ed in generale per qualità morali e professionali soprattutto.

Comunque spesso i parla semplicemente di caratteristiche, come l’elefante indiano ad esempio, che si distingue da quello africano perché ha le zanne meno sviluppate, più corte quindi.

Ebbene Rita Levi Montalcini nella sua vita si è distinta (parlo al passato ovviamente e al femminile) per diverse cose. Si è distinta in uno dei campi dello scibile.

Lo scibile è un termine che indica tutto ciò che può essere conosciuto e compreso. Si parla spesso dello scibile umano, cioè di tutto quello che gli esseri umani posso conoscere, quindi si parla di scienze, di conoscenze degli esseri umani. Questo è lo “scibile umano”.

Ripeti: scibile umano

Ripeti: lo scibile umano

Ripeti: Distinguersi in un campo dello scibile umano.

Rita Levi Montalcini per cosa si è distinta quindi? Essendo una scienziata in medicina, di è ovviamente distinta nel campo della medicina e della neurologia. Ha fatto un’importante scoperta scientifica, scoperta per la quale è stata insignita nel 1986 del premio Nobel per la medicina.

È stata insignita del premio Nobel per la medicina dunque.

Insignita. Insignita viene dal verbo “insignire”, che significa: “Fregiare di un’onorificenza o di un titolo”.

Quando una persona viene insignita di qualcosa, si tratta sempre di qualcosa che dà onore a questa persona, che la premia, che la onora, che le riconosce un alto merito per la sua opera. Si usa sempre in questo modo:

Insignire di un premio, insignire di una onorificenza, insignire di riconoscimenti, insignire di una targa.

Rita Levi Montalcini è stata insignita nel 1986 del premio Nobel per la medicina.

Attenzione perché solamente per le alte onorificenze posso parlare di un vero insignimento. Non posso certamente insignire un amico di un premio per aver vinto una corsa in bicicletta. La cosa farebbe un po’ sorridere.

Stiamo facendo perciò un alto riconoscimento, ed è quello che ha avuto Rita Levi Montalcini quando è stata insignita del Premio Nobel per la medicina. Questo sì che è un vero insignimento.

Ripeti: Insignita

Ripeti: Insignita del premio Nobel

Ripeti: Rita Levi Montalcini è stata insignita del Premio Nobel per la medicina

Nel 2001 poi è stata nominata senatrice a vitaper aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale”.

È stata nominata senatrice a vita, cioè è stata designata senatrice a vita.

Essere nominati senatrice a vita (o senatore a vita) è ovviamente un onore, perché quando una persona viene nominata o designata senatore o senatrice a vita, questo può avvenire solamente per alti meriti; per aver fatto delle grandi cose.

In questo caso per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale.

Rita Levi Montalcini ha illustrato la patria, cioè l’ha resa gloriosa, ha dato lustro alla patria, cioè ha reso la patria migliore, l’ha migliorata, le ha dato gloria, l’ha illustrata.

Il verbo illustrare si può usare anche in questo modo. Normalmente quando si illustra qualcosa si mostra, si commenta, si chiarisce nei particolari:

vorrei illustrare un libro con delle immagini

ad esempio.

In tal caso si usa per dare lustro, per dare gloria alla patria, cioè all’Italia. E lei lo ha fatto “con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale”.

Il senatore a vita è una carica istituzionale. Normalmente si diventa senatori attraverso una elezione, ma senatore a vita si diventa per due motivi: o perché si è stati Presidente della Repubblica Italiana, oppure perché ci si è distinti “per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. In questo caso si viene scelti dal presidente della Repubblica Italiana, che ha la facoltà (cioè la possibilità) di nominare 5 senatori a vita, scegliendoli tra i cittadini italiani.

Capite quindi che essere nominati senatore a vita non è una cosa da poco. “A vita” vuol dire per tutta la vita, cioè fino alla morte.

E’ interessante notare che su più di 500 premi Nobel assegnati fino ad oggi, soltanto 12 di questi sono andati a delle donne: circa 1 su 50.

Lei stessa ha ammesso che nella sua vita ha dovuto combattere, ed ha sofferto tutta la vita per essere accettata in quanto donna negli ambienti scientifici più esclusivi e rinomati. Ha faticato, ha sofferto tutta la vita.

Lei era consapevole di questa difficoltà per le donne di tutto il mondo, soprattutto nel mondo dello studio e delle scienze.

Per questo ha deciso di aiutare le giovani studentesse universitarie africane, con l’obiettivo di creare una classe di giovani donne che svolgano un ruolo chiave, un ruolo importante nella vita scientifica e sociale del loro paese.

In Africa infatti anche il diritto allo studio è spesso negato alle donne. La donna africana spesso non ha diritto allo studio. Il diritto allo studio le viene negato, cioè le viene impedito di studiare alla donna africana: studiare non è un suo diritto, non rientra tra i suoi diritti.

Notate che ho detto “le viene negato” e non “gli viene negato” perché si tratta di una donna. Anche gli italiani speso fanno questo errore: il pronome “gli” tende a essere usato anche al posto del femminile “le”.

– Stasera chiamerò Giovanni. Gli mostrerò il mio lavoro.

– Stasera chiamerò Giovanna. Le mostrerò il mio lavoro.

Analogamente posso dire:

– Voglio bene a Giovanni. Gli voglio bene.

– Voglio bene a Giovanna. Le voglio bene.

– A Giovanni viene negato un diritto. Gli viene negato un diritto

– A Giovanna viene negato un diritto. Le viene negato un diritto

Dunque secondo la Montalcini le ragazze africane hanno fame di conoscenza, di sapere: “hanno più fame di conoscenza che di cibo” (sono le sue esatte parole) e “sono molto più determinate degli uomini: quando possono istruirsi i risultati sono davvero sorprendenti”.

Sentiamo direttamente la sua voce, quando in un’intervista parlava delle donne e della sua esperienza di vita come donna:

—-

Rita Levi non si è mai sposata (un’altra curiosità interessante) e non ha mai pensato di sposarsi: “Io sono sposata con la scienza” diceva, e “non ho mai sentito la mancanza di un figlio o il bisogno di legarmi a un uomo. Sono felice così”.

Aggiunge che se in passato fosse mai stata corteggiata da qualche uomo, se qualche uomo fosse mai stato interessato a lei, magari un collega di lavoro, ebbene, lei non ne n’è neanche accorta. “L’amore su di me ha l’effetto dell’acqua sulle piume di un’anatra: sono totalmente impermeabile”, ha detto.

Come sapete infatti l’acqua, quando viene a contatto con le piume delle anatre non riesce a bagnare le piume, perché queste sono impermeabili, quindi l’acqua scivola sulle piume, e la Montalcini usa questa immagine per descrivere l’amore e l’effetto che fa su di lei: l’amore per un uomo, su di lei, è impermeabile, nel senso che lei non si è mai innamorata di un uomo, l’amore le scivola addosso, come l’acqua scivola sulle piume di un’anatra.

Tra parentesi, una piccola curiosità: mi sono informato su questo, ed ho scoperto che le anatre, come anche le oche e i cigni, possiedono una ghiandola, che si trova sul dorso, cioè sulla schiena, vicino alla coda, che produce una sostanza oleosa, (come un olio quindi) con la quale gli uccelli si spalmano le piume per renderle impermeabili.

Ripeti:

un olio

una sostanza oleosa

un olio che le anatre si spalmano sulle piume

una sostanza con la quale le anatre si spalmano le piume

un olio con il quale le anatre si spalmano le piume

Comunque, curiosità a parte, mi sono anche chiesto se Rita Levi Montalcini avesse a che fare in qualche modo con la lingua italiana.

Beh, comunque non ho trovato granché sul legame con la lingua italiana, ma ho trovato una curiosità: dovete sapere che La Montalcini ha scritto anche una canzone nell’anno 2006 che si chiamava “Linguaggio Universale”, che ha partecipato alle selezioni del Festival di Sanremo 2007.

Non si parlava di lingua italiana però. Si parla però di una lingua, anzi di un linguaggio: questa canzone parla di vita, di pace e di amore, gli unici veri linguaggi universali che uniscono il mondo.

La canzone sarebbe stata cantata dal gruppo Musicale Jalisse. Ho detto “sarebbe stata cantata” perché la canzone non è riuscita a superare le selezioni, quindi non ha partecipato a quel Festival.

L’episodio di oggi finisce qui. Spero ne abbiate tratto giovamento, ci voleva un grande personaggio come Rita Levi Montalcini per onorare la donna e l’intelligenza umana.

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