Trascrizione
Dopo avervi spiegato l’espressione “carezzare un’idea” e “sfiorare un’idea“, a questo punto devo necessariamente parlarvi dell’anticamera del cervello.
Il termine “anticamera” va spiegato.
Ve lo spiego.
Un’anticamera è una stanza o uno spazio che precede un ambiente principale, come una camera, appunto, o una sala.
È generalmente più piccola dell’ambiente che viene dopo.
L’anticamera si trova quindi in un punto precedente rispetto alla camera. Per entrare nella camera bisogna per forza passare per l’anticamera.
È un termine che si usa moltissimo in senso figurato. Continuiamo a parlare di idee.
Pensate adesso alla Camera come alla mente umana.
Chiaramente il nostro cervello non ha nessuna anticamera, ma pensiamo, per capire questa espressione, ad un pensiero, che anziché entrare nella mente ed essere elaborato, passa per l’anticamera e poi si ferma, oppure non passa neanche per l’anticamera del cervello.
Quindi, quando un pensiero non passa neanche nell’anticamera del cervello, è chiaro che è lontano dalla mente.
Allora se io dico ad esempio:
Non ti passa nemmeno per l’anticamera del cervello di avvisarmi quando hai un problema?
Vuol dire che sono arrabbiato perché tu hai avuto un problema e non mi hai avvisato.
Si usa il verbo passare.
È come dire: non hai neanche lontanamente pensato di avvisarmi; non ti è proprio venuto in mente questo.
Il pensiero di chiamarmi per avvisarmi non ti ha neanche sfiorato, potrei dirti.
Se però sono arrabbiato, usare l’espressione di oggi è più appropriato.
Si usa sempre e solo in espressioni negative, proprio come “sfiorare un’idea”; dunque generalmente anche questa espressione esprime irritazione e lontananza da un’idea. Qualcosa è lontanissima dalle intenzioni di qualcuno.
Al governo non gli passa neanche per l’anticamera del cervello di ridurre le tasse sulla Benzina.
Cioè:
Al governo non ha nemmeno sfiorato l’idea di ridurre le tasse sulla Benzina.
Evidentemente anche qui sono abbastanza irritato. Sono irritato perché le intenzioni del governo non sono assolutamente quelle di ridurre queste tasse.
Quante volte avete sentito qualcuno dire:
È vero, l’ho letto su internet!
La prossima volta avete la risposta pronta:
Scusami, ma non ti passa neanche per l’anticamera del cervello l’idea che non tutto quel che viene pubblicato sui social sia vero?
In uno dei prossimi episodi vediamo meglio il senso figurato di “anticamera“, che si usa in tante situazioni diverse. Per ora facciamo un ripassino dedicato al’amicizia.
Danielle: Chi sono i veri amici? Di sicuro non sono quelli che cercano di ingraziarsi con te. Anzi, sono quelli che ti fanno notare i tuoi errori, ogni tanto persinospiattellandotila verità in faccia, se ne hai bisogno…
Estelle: Secondo me i veri amici sono quelli che puoi chiamare per chiedere aiuto qualunque sia la situazione. È una relazione sincera e senza filtro. Sono personesulle qualipuoi contareanche dopo una lunga assenza.
Spesso non ci si vede da illo tempore, vuoi per percorso di vita, vuoi per imprevisti che accadono. Poi ci ritroviamo, magari per caso, e tutto si svolge come se ci fossimo lasciati il giorno prima.
Marcelo: Ogni volta che penso all’amicizia, mi chiedo se esiste un problema la cui entitàpossa rompere anche l’amicizia più solida. Preferisco però restare col dubbio.
Se qualcuno vi fa questa domanda, non è un buon segno! Infatti significa che avete detto o fatto qualcosa di molto strano, che questa persona non condivide e non gradisce.
Come ti viene?
Ma come ti viene?
Un’espressione colloquiale che spesso significa semplicemente:
Come ti viene in mente?
Come fai a pensare queste cose?
C’è dunque una disapprovazione, perché evidentemente hai fatto un pensiero apparentemente strano, hai detto qualcosa di poco logico o sei giunto a una conclusione bizzarra, o fantasiosa, creativa, nella migliore delle ipotesi.
C’è quasi sempre un giudizio negativo.
Spesso si aggiunge “dico io”.
Ma come ti viene, dico io?
C’è anche un po’ di ironia, del sarcasmo in questo giudizio, quindi è un commento anche irrispettoso per un pensiero non condiviso perché giudicato veramente strano, illogico o persino assurdo.
Altre volte invece l’espressione “come ti viene“, espressa in forma di domanda, non è l’abbreviazione di “come ti viene in mente”, ma è più una critica a una reazione spontanea.
Siamo molto vicini comunque nell’uso.
Il primo uso è più rivolto alla stranezza del pensiero, dell’idea, giudicata troppo fantasiosa e illogica o sbagliata; il secondo è più una critica alla spontaneità e più spesso ai comportamenti che ai propri pensieri.
Abbiamo già visto insieme l’uso di “uscirsene“, ricordate? Spesso, le due espressioni si somigliano, quindi “come ti viene?” in questo secondo utilizzo, somiglia molto a “come te ne esci così?”
Anche qui c’è un giudizio negativo.
Usare il verbo “venire” può sembrare strano, ma spesso anche quando si vuole esprimere un pensiero istintivo, spontaneo si usa dire:
Mi viene da pensare…
Mi verrebbe da dire…
Mi viene spontaneo…
Mi viene naturale…
Il verbo venire indica in questo caso qualcosa di spontaneo, un pensiero, il primo pensiero che viene in mente, la prima cosa che viene in testa.
Allora “come ti viene?” esprime incredulità per una frase pronunciata, per una battuta fatta, o per un’azione fatta, che sembra come minimo molto strana, ma spesso si disapprova fortemente quanto si è appena ascoltato perché va contro la logica o è contrario a determinati valori o comportamenti che si danno per scontati.
Vediamo qualche esempio:
Una donna trova del rossetto sulla camicia del marito.
Lei pensa e dice (giustamente) che il marito la abbia tradita, ma il marito prontamente risponde:
Ma come ti viene in mente che io ti tradisca?
Oppure:
Ma come ti viene?
Cioè: come puoi pensare questo? Perché sei giunta a questa conclusione? Cosa te lo fa pensare?
In questo modo il marito vuole far sembrare strano e illogico il pensiero della moglie.
Un altro esempio:
Vedo mio fratello che si fa il bagno al mare nel mese di gennaio con una temperatura di 3 gradi. Allora posso dirgli:
Ma come ti viene di farti il bagno con questo freddo?
Cioè: come ti viene in mente di farti il bagno con questo freddo?
Ma come ti viene di fare una roba del genere?
C’è chiaramente stupore e disapprovazione per qualcosa di illogico, di non comprensibile. Sembra si stia chiedendo una spiegazione, perché la frase è espressa in forma di domanda, ma in realtà è una domanda retorica.
Si può anche mettere il punto esclamativo al posto del punto interrogativo.
Ma come ti viene!
In questo esempio è esattamente come dire “come ti viene in mente di fare/dire/pensare” eccetera eccetera.
Un terzo esempio:
Tu mi dici che sei stufo della vita che fai e allora hai deciso improvvisamente di licenziarti dal lavoro e andare a fare il senzatetto, il cosiddetto “barbone”.
Ma come ti viene?
Ma come ti viene di licenziarti e andare a fare il senzatetto?
Cioè: Ma come ha fatto a venirti in mente di licenziarti e soprattutto di fare una vita da senzatetto? Sei impazzito? Qual è la logica?
Questo esempio è una via di mezzo tra i due utilizzi di cui vi ho parlato perché si sta commentando un’azione che sembra improvvisa, spontanea, naturale.
In qualche caso poi “come ti viene” può esprimere un complimento, un apprezzamento per la spiccata fantasia, creatività o la presenza di spirito. Infatti potrei fare una battuta spiritosa, potrei commentare qualcosa che denota creatività e allora la reazione di qualcuno potrebbe essere questa:
Ma come ti viene?
Cioè:
Come ti vengono queste battute?
Come fanno a uscirti spontaneamente questi pensieri?
Se invece questa spontaneità non è gradita, evidentemente si tratta di una critica.
Ad ogni modo il verbo venire si associa alla spontaneità, a un pensiero o delle parole che vengono spontaneamente, che nascono senza pensarci, in modo naturale.
Adesso un bel ripasso all’insegna del nuovo anno.
Marguerite: vuoi proprio un ripasso all’insegna dell’anno nuovo Gianni? Ma come ti viene, dico io. A inizio anno un ripasso conforme a caratteristiche ancora ignote, ma come si fa? Mi spiace, veditelatu.
Marcelo: Anch’io sono del tuo stesso avviso Ulrike. Fare dei ripassi ogni giorno è utile per dare il nostro meglio quando ci esprimiamo in italiano. Per me sono sempre congeniali al mio modo di imparare!…. Tutt’al più occorre lavorare un po’ più rispetto allo studio della grammatica, ma che vuoi!
Il titolo di questo episodio è “digià?”. Si tratta di una domanda con cui si manifesta stupore per qualcosa che termina prima del previsto, o prima di quanto vi aspettavate. Lo avevamo già accennato in un episodio passato ma oggi vorrei dire qualcosa in più.
Finita la spiegazione.
Proprio adesso voi potete rispondere così:
Di già?
Cioè: hai già finito?
Oppure: cosa? È già terminata la spiegazione? Così presto? Davvero?
Si potrebbe anche dire: di già terminata?
Hai di già finito?
O, meglio ancora:
Hai finito di già?
Semplice vero?
Altre volte poi non c’è il punto interrogativo. Es:
Dopo due minuti avevo finito di già.
In questo modo c’è qualcosa di inaspettato, c’è stupore per una fine prima del previsto.
Se volete, posso aggiungere che a volte si usa anche ironicamente, perché ciò che pensate è esattamemte il contrario.
Es:
Dopo due ore che aspetti sotto casa la tua fidanzata, lei ti dice:
Sono pronta, adesso scendo!
Risposta: di già?
State attenti perché potreste risultare ironici anche non volendo.
Notate che volendo potete eliminare la preposizione “di” e il senso non cambia. C’è solamente meno enfasi sulla meraviglia.
La preposizione “di” si usa davanti a “già” non solo in questo caso, però sicuramente col punto interrogativo va interpretata in questo modo.
Es. Se dico che:
Il Covid ha aggravato una situazione di già difficile per la popolazione, colpita precedentemente dalla crisi economica.
In questo caso non c’è nessuna meraviglia e la preposizione ha solamente il ruolo di sottolineare che la situazione era (di) già difficile da prima che arrivasse il Covid.
Anche stavolta però possiamo eliminare “di” e la frase ha ugualmente senso.
Anche esempi come quest’ultimo che ho fatto sono molto frequenti. Accade ogni volta che volete enfatizzare un evento che peggiora una situazione (di) già complicata prima che accadesse:
Il terremoto ha peggiorato le condizioni della casa, di già compromesse dall’uragano della scorsa settimana.
Vediamo un terzo utilizzo con alcuni esempi:
Quando avevo tre anni ho scoperto che il mondo era qualcosa di già esistente.
L’ultima sfilata di moda a cui ho assistito era un mix tra nuovo e di già visto.
Tra i membri del nuovo governo ce ne sono di nuovi e di già noti.
I soldati, benché di già stanchi, continuarono a lottare
Non c’è meraviglia però neanche in questi casi. Verrebbe anche qui voglia di eliminare la preposizione vero? Spesso in effetti all’orale si preferisce non utilizzarla, ma a volte è necessaria perché serve a specificare, a fare delle distinzioni (di nuovi e di già noti, un mix tra nuovo e di già visto) o a far rientrare qualcosa in una categoria (qualcosa di già esistente).
Oggi comunque volevo solamente spiegarvi l’uso di “di già?” ma come al mio solito mi sono dilungato. È qualcosa di già visto comunque, giusto?
Ripassiamo adesso:
Irina: ragazzi, siamo lontani da casa questo fine settimana dopo aver abbozzato quattro ore di noiosissima macchina ieri sera. Mentre ci avvicinavamo alla destinazione ci siamo accorti di essere in riserva. Quindi ci siamo fermati per fare benzina. E chi ti trovo alla pompa di benzina accanto? Un mio collega di lavoro! Una sorpresa che non ti dico!
Albéric: lui ci vede subito e ci fa “cosa ci fate qua?” Gli abbiamo risposto subito dicendo che siamo venuti per far visita a mio fratello e poi gli abbiamo posto la stessa domanda. Ma lui invece era molto restio a rispondere. Infatti avevamo subito sentore che qualcosa di strano stesse succedendo.
Natalia: sì, ma prima che fosse riuscito a darsela, ho buttato un occhio nella sua macchina e ho intravisto una signora che mi sembrava un’infermiera dal nostro reparto: era tutta inghingheri, Non era di certo sua moglie, che ho incontrato più volte. Per non farlo innervosire ulteriormente ho fatto la finta tonta e non ho detto piu’ niente.
Estelle: mi sa che alla fine è una vicenda di cui non si parlerà mai piu’. Tra l’altro non voglio rovinarmi l’idea positiva che ho di lui come professionista indefesso sempre pronto a tendere la mano ai colleghi. Comunque, se ne parlassimo, finirebbe in difficoltà e gli toccherebbegiurare espergiurare di non aver fatto nulla di inappropriato.
Giovanni: e rieccomi qua! Per finire, se volete, abbiamo due episodi sull’uso della preposizione di. Se non credete sia undi più, andate subito a leggerli. Che volete di più?
Ogni volta cambia il tipo di stupore o la situazione.
Oggi vediamo un modo per esprimere uno stupore che abbiamo provato incontrando una persona.
In particolare, questa modalità espressiva si usa quando raccontiamo questo incontro inaspettato ad un’altra persona, e per manifestare questa meraviglia e incuriosire il nostro interlocutore, si può dire ad esempio:
indovina chi ti incontro?
Veramente strana come costruzione non è vero? Strano anche perché si usa il presente indicativo del verbo e non una forma del passato. Ma l’espressione funziona così.
La stranezza deriva anche dalla presenza di questo “ti” che qualcuno, a ragione, potrebbe definire “pleonastico” cioè inutile, di troppo. Abbiamo visto in un recente episodio il “non” pleonastico.Se lo avete dimenticato ve lo ricorderò tante volte finché non lo memorizzate!
In effetti questo “ti” in questo caso è proprio un pronome pleonastico, quindi sarebbe inutile, se non fosse che in questo modo si aggiunge un tono di ironia e si sottolinea maggiormente lo stupore.
A volte si dice anche:
Indovina chi ti vado ad incontrare?
Stesso significato.
Raramente può capitare di incontrare anche:
Chi non ti vado a incontrare?
Chi non ti incontro?
In questo casi c’è anche un “non” pleonastico, l’ennesimo caso, dopo quelli che abbiamo visto proprio in un episodio dedicato al “non” pleonastico.
Comunque, normalmente (per fortuna) la frase non presenta questa negazione. Accontentiamoci del “ti” pleonastico che è meglio!
Vediamo qualche esempio per prendere maggiore confidenza con l’episodio di oggi.
Sai, ieri al lavoro sono entrato all’improvviso nella stanza della direttrice per prendere un documento. Avevo una urgenza e così non ho neanche bussato. Ma, ta-da! Chi ti incontro appena entro? C’era Mario che stava baciando la Direttrice appassionatamente. Non ti dicoche imbarazzo!
Evidentemente questo incontro era assolutamente inaspettato e in questo modo voglio trasmettere questo mio stupore al mio interlocutore.
È una modalità colloquiale ma molto usata tra amici, colleghi e familiari.
Questo “ti” pleonastico non può diventare un “vi“. Il “ti” è invariabile, anche quando non parlo di me:
I miei figli aprono la porta e titrovano una ragazza completamente ubriaca a terra!
Si, avete capito bene: si possono usare anche altri verbi oltre a incontrare, come trovare o scoprire.
Vediamo ancora altri esempi. Prestate attenzione al tono in particolare.
Ho voluto rilassarmi una settimana lontanissimo da tutti, così sono andato in Brasile, ad Araraquara, vicino San Paolo. Ma chi ti vado ad incontrare? La mia collega Giuseppina in vacanza con l’amante! Incredibile quanto è piccolo il mondo!
Si può usare poi non solo con le persone:
Appena arrivo a casa di Maria, ti trovo un caldo asfissiante!
Notate che se uso questa espressione non significa necessariamente che questa sorpresa è non gradita. Si tratta solo di una sorpresa.
Ho controllato i compiti dei ragazzi e chi ti vado a scoprire che ha copiato tutto? Proprio Giovanni che si vantava di essere il primo della classe.
Ho rovistato nello zaino di mia figlia. Non puoi capire cosa nonti scopro! Dei profilattici!!!!
Avrete notato che, se pronunciate la frase con tono interrogativo, si tratta anche di una domandaretorica. Si può comunque anche pronunciare con tono esclamativo. C’è meno ironia ma l’effetto meraviglia non cambia.
Adesso ripassiamo.
Anthony: Ragazzi, posso raccontarvi una barzelletta sconcia?
Irina: Vi rendete conto che ogni tanto Anthony sembra avere una voglia impellente di raccontare una barzelletta un po’ troppo osé?
Estelle: devo dire che in queste discussioni sono solita difenderlo, ma questa volta no! Stavolta sono più che mai di diverso avviso rispetto alla sua idea di ciò che è divertente. Risulta spesso sopra le righee la cosa mi dà pure un po’ sui nervi.
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Trascrizione
Con l’espressione di oggi vogliamo esprimere allo stesso tempo stupore e apprezzamento, o, se vogliamo, stima e meraviglia, considerazione e sorpresa:
Hai capito!
Notate soprattutto il tono nella pronuncia.
È infatti una delle esclamazioni in cui l’uso del tono è fondamentale per riuscire a usarla correttamente e a farci comprendere.
Infatti non si tratta di una domanda, altrimenti il tono ed anche il punto, sarebbe interrogativo. Invece se avete notato, c’è il punto esclamativo.
Si esprime meraviglia per un traguardo o un obiettivo raggiunto da una persona.
A volte non ci aspettavamo, non pensavamo, che questa persona avesse le qualità per raggiungere quel traguardo, ma detto così potrebbe sembrare che avevamo una scarsa considerazione della persona. In tali casi meglio usare l’espressione “non ce lo facevo“.
In realtà è sufficiente che questo traguardo sia considerato importante, ambizioso, desiderabile, e quindi la meraviglia e la stima sono espresse con una breve esclamazione:
Hai saputo di Francesca? È stata assunta da una azienda lo scorso anno e è già dirigente.
Risposta:
Hai capito!
Spesso si fa seguire il nome della persona.
Hai capito Giovanni! Si è laureato in tempi record e ha subito trovato lavoro in banca!
Hai capito Mario! Sembrava con la testa tra le nuvole e invece adesso è un artista di successo.
C’è da dire che “accidenti” ha diversi utilizzi, infatti può esprimere anche dispiacere o disappuntoo anche solamente stupore. “Caspita” dà solamente l’idea dello stupore.
“Mica male” e “niente male” forse non rendono a sufficienza il grosso obiettivo raggiunto.
L’esclamazione “però!”, Pronunciata con stupore, dunque con lo stesso tono di “hai capito” è probabilmente la più vicina perché viene rispettato il giusto mix tra meraviglia e apprezzamento.
Es: Giovanni guadagna 3000 euro al mese:
risposta:
Però!
Che ha un pochino meno di enfasi ma più o meno ha lo stesso significato di:
Hai capito Giovanni!
Vediamo adesso se riesci a usare il tono giusto. Ti lascerò il tempo per rispondere
Sono vent’anni che non vedi Giorgia, e adesso sai che è presidente del consiglio dei ministri?
Risposta:
Hai capito Giorgia!
Però!
Ovviamente siamo nell’ambito di un linguaggio colloquiale.
Difficilmente pertanto troverete esempi su internet se non all’interno di video, sia di “hai capito” che di “però”.
C’è da dire ancora una cosa però. A volte questa esclamazione, sebbene non sia una domanda, può avere un tono interrogativo. In questo caso si tratta di una domanda retorica:
Hai capito?
Il senso può essere lo stesso, ma prevale lo stupore e somiglia molto a:
Non te l’aspettavi eh? Neanch’io!
Strano vero?
Incredibile vero?
Es:
Oggi ho incontrato per caso mia figlia, che aveva detto che usciva con una amica. Invece stava in compagnia di un bel giovanotto. Hai capito?
Non è una vera domanda, ma si esprime il proprio stupore.
Hai capito mia figlia?
Come a dire: sono rimasto stupito, la cosa mi ha colto di sorpresa, non me l’aspettavo.
Questo “hai capito” con tono interrogativo trasmette quindi la difficoltà a credere a quello che sto dicendo.
L’episodio di oggi riguarda la Madonna. Non sarà però un episodio della madonna, ma solamente sulla Madonna!
Adesso vi spiego meglio!
Sapete tutti, credo, che sto parlando di Maria, la mamma di Gesù. Il termine “Madonna” è un cosiddetto epiteto (un termine nuovo per voi?) di Maria di Nazareth, madre di Gesù Cristo. Un epiteto cos’è?
Un epiteto serve a identificare, a volte a chiamare una persona, altre a apostrofarlo, anche! E’ simile cl concetto di “soprannome” o “nomignolo”.
Ebbene, questo epiteto (madonna, con la iniziale generalmente minuscola) è entrato nel linguaggio comune e si usa in tante occasioni diverse che non hanno più a che fare con la madre di Gesù Cristo.
Esiste ad esempio l’espressione “tirare le madonne“, o anche “smadonnare“, ancora più informale, che ha un senso simile a bestemmiare, imprecare, non direttamente contro la Madonna (con la M maiuscola) ma è sufficiente riferirsi a divinità e santi.
Si sta nominando impropriamente il nome di qualche santo per sfogare la propria rabbia.
Questo è il concetto di smadonnare e tirare le madonne..l
Se vogliamo, quando si smadonna possiamo dire che si stanno chiamando impropriamente in causa alcuni santi, che, poverini, non c’entrano nulla con le nostre disgrazie o disavventure.
E’ nelle cose che ogni tanto quel che ci accade non sia sempre di nostro gradimento o non vada a nostro favore.
Si usa generalmente il verbo “imprecare“, e in questo caso non ci rivolgiamo necessariamente contro un santo,. Imprecare è più diffuso e sta per “pronunciare parole con rabbia contro qualcuno o qualcosa”, parole offensive o blasfeme.
Spesso si impreca contro le persone. Non è necessario prendersela con la Madonna o con i santi.
Per imprecare si può anche semplicemente urlare contro la sfortuna o contro sé stessi o contro dei “mali” riconosciuti da tutti come la miseria o la morte.
“Porca miseria” o “mannaggia alla miseria” o “mannaggia alla morte” sono tra le imprecazioni più pacate che esistono.
Queste però forse è meglio chiamarle esclamazioni di disappunto. Ce ne siamo già occupati in un episodio passato.
Se invochiamo la Madonna, con una frase analoga, entriamo però nel campo delle imprecazioni e delle bestemmie. Meglio evitare…
Smadonnare e “tirare le madonne” sono comunque due modalità del linguaggio popolare per riferirsi al fatto che una persona inizia a imprecare per la rabbia e se la prende con qualcuno che non può neanche rispondere. Non è carino.
Ma dobbiamo per forza parlare o strillare?
Avere un pessimo umore, seppure restando in silenzio, è indicato con l’espressione “avere le madonne“.
Ovviamente per tirare le madonne, bisogna innanzitutto averle…
Si tratta sempre di un’espressione popolare. Non potrebbe essere altrimenti.
“Oggi mi sono alzato col piede sbagliato“. Questa frase, probabilmente più nota a tutti, è del tutto simile a “oggi ho le madonne“. Hanno un significato simile, ma generalmente se si chiamano in causa “le madonne” c’è un motivo particolare, legato a qualcosa di accaduto che ha provocato questo pessimo umore.
Es:
Lascialo perdere, oggi ha le madonne per colpa di una multa che gli hanno fatto!
I miei figli mi hanno fatto venire certe madonne che non ti dico.
Anche l’espressione “avere un diavolo per capello” ha lo stesso significato di “avere le madonne“.
Ovviamente quando mi arrabbio, cioè quando mi accorgo di avere le madonne, potrei anche dire che “mi sono venute le madonne” oppure che “mi sono prese le madonne“.
In pratica le madonne (solo al plurale mi raccomando) possono venire, si possono prendere, avere e tirare.
Es:
Quando ho visto la mia auto distrutta dopo l’incidente mi sono venute certe madonne!
Se non volete nominare impropriamente e direi anche indebitamente la Madonna, potete comunque dire che vi sono venuti i nervi, che siete diventati molto nervosi, o che vi siete arrabbiati.
Ci sono mille modi per arrabbiarsi e come ricorderete li abbiamo visti in un episodio passato.
La modalità di oggi meritava un trattamento a parte 🙂
Un altro modo di usare il termine madonna è nell’espressione “della madonna“. Qui la rabbia non c’entra.
Non stiamo parlando però di qualcosa che a appartiene alla Madonna (e quindi che è “della Madonna”). Stiamo invece parlando di qualcosa di molto grande o intenso.
Es:
Fa un freddo della madonna.
Oggi fa un caldo della madonna
Mi è arrivata una multa della madonna
Ho una fretta della madonna
Si parla di qualcosa di particolarmente grande o intenso. Il freddo è molto intenso, oppure fa molto caldo, caldissimo, un caldo bestiale, e una multa della madonna è una multa molto elevata.
Analogamente una fretta della madonna è molta fretta, una fretta esagerata.
Anche qui abbiamo un’alternativa meno blasfema:
Un freddo della miseria
Un caldo della miseria
Una fretta della miseria
Una multa della miseria
Ecc..
Se poi dico solamente “madonna!!!”, questa è una esclamazione di stupore o di dispiacere o anche di preoccupazione. Il tono è molto importante in questo caso.
Hai pagato un caffè 7 euro? Madonna!! Come è possibile?
Mio figlio non è ancora rientrato e sono le due di notte. Madonna, gli sarà successo qualcosa?
O Madonna, ma perché ti preoccupi sempre così tanto?
La Madonna, con la M maiuscola, si può fortunatamente anche invocare.
Invocare significa rivolgersi a qualcuno con un tono di preghiera, con affetto, con fede, soprattutto per ottenere aiuto o conforto. Si può invocare la Madonna, Dio e i Santi.
Nel vocabolario esistono poi termini particolari come “il madonnaro”. Si tratta di una persona che produce o vende immagini della Vergine. In particolare chi si dedica alla raffigurazione di soggetti sacri (soprattutto Madonne, appunto), facendo disegni con dei gessetti colorati, sul pavimento di piazze o strade. I madonnari dunque sono artisti che solitamente disegnano a terra nelle strade.
Adesso voglio un ripasso con i fiocchi, quindi mi rivolgo ai membri dell’associazione che stanno cercando di fare passi in avanti con la lingua italiana. Sicuramente non faranno grossi errori e quindi non mi faranno venire le madonne. 🙂
Harjit: quali preoccupazioni ti hanno fatto passare la notte insonne? Ti ronzavano tante cose per la testa? Scommetto che è per colpa di quella pratica burocratica arzigogolata che devi ancora sbrigare. Ricordi che pappardelladella madonna che che mi hai fatto l’altro ieri?
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Trascrizione
Una locuzione interessante da usare quando si descrive la reazione di una persona è “per tutta risposta“.
Si tratta di situazioni in cui c’è una reazione inaspettata, inattesa e spesso provocatoria da parte di una persona.
Si può parlare di una discussione o di un confronto tra persone, ma la risposta di cui si parla è la conseguenza di una divergenza di opinioni e se usiamo questa locuzione non parliamo solitamente di una risposta a parole, ma di una risposta diversa.
Vediamo qualche esempio:
Durante la lezione di italiano, alcuni studenti chiesero al professore di spiegare nuovamente il congiuntivo. Il professore, per tutta risposta si alzò e abbandonò l’aula.
Indubbiamente il professore ha dato una “risposta” agli studenti, non è così?
Si può comunque anche indicare una risposta a voce, tipo:
Il professore, per tutta risposta, disse che quegli studenti che hanno fatto quella domanda sarebbero stati bocciati!
Anche questa è una risposta!
La cosa importante è che questa risposta sia una reazione e che sia inaspettata, dunque che stupisce. Può accadere anche che questa reazione sia la dimostrazione di uno scontro, o come dicevo, di una divergenza di idee, ma è comunque qualcosa di esagerato e che solitamente mette fine a una discussione.
Es:
Il ladro ha provato a rubare la borsa alla vecchietta, che per tutta risposta lo ha colpito ripetutamente e il ladro è finito in ospedale.
Il ragazzo, dopo essere stato sgridato dal padre, per tutta risposta gli ha bucato le gomme dell’automobile.
Vedete che c’è sempre una reazione di un certo tipo: esagerata, inattesa, provocatoria. In caso contrario non è il caso di usare questa locuzione. Negli altri casi si può usare “come risposta” o “in risposta a”. In questi casi non c’è sorpresa, non c’è emozione e non c’è neanche una vera reazione; solo una semplice risposta fatta a parole o con altro.
Es:
Questo episodio è in risposta a coloro che mi hanno chiesto il significato della locuzione di oggi.
Questo episodio non è da interpretare come risposta ad una domanda
Il mio capo mi ha chiesto di licenziarmi. Che ne dite, come risposta potrebbe andar bene un semplice “no, grazie”?
Adesso è il momento del ripasso. Rispolveriamo qualche episodio precedente.
Karin: oggi al lavoro ho dovuto leggere un centinaio di email. Manco fossi il dirigente! Chediamine!
Qual è la seconda parola che un non madrelingua impara della lingua italiana?
“Ciao” è sicuramente la prima. Per la seconda, credo che in molti casi si tratti di “cazzo”.
Le parolacce hanno evidentemente un fascino irresistibile per chi impara una nuova lingua.
Se però non volete dire parolacce, in tutte le occasioni potete usare una parolina molto più gentile.
Si tratta di “caspita“.
La si può usare ad esempio come singola esclamazione per esprimere stupore o meraviglia, e rispetto alla parolaccia di cui sopra, lasi può usare in modo più appropriato quando si tratta di cose positive e non solo brutte notizie:
Caspita, come ti sta bene questo vestito!
Hai saputo che Giovanni ha avuto 7 figli?
Risposta: caspita!
Si può esprimere anche impazienza e in questi casi si aggiunge “che” per far capire che non sono stupito ma irritato e questa è veramente un’alternativa alla parolaccia:
Checaspita! Quanto ci mette per prepararsi la tua ragazza! Siamo già in ritardo per la cena!
Oppure si esprime offesa, risentimento, sempre con “che”:
Che caspita! sono due volte che mi rispondi male. La prossima volta prendoe me ne vado!
Si può usare anche all’interno di una frase per sottolineare la propria irritazione e contrarietà:
Che caspita ha detto il professore? Non ho capito un’acca della sua spiegazione.
Ti ho tradito? Che caspita stai dicendo!
In questi casi potremmo anche togliere caspita e la frase sarebbe meno colorita ma avrebbe lo stesso senso.
Esiste anche il diminutivo “caspiterina” che si può usare in tutti i modi visti finora. Certo, quando esprimiamo contrarietà o irritazione, non si raggiunge così lo stesso livello di rabbia ma l’obiettivo è proprio questo. Il senso è leggermente attenuato anche quando siamo stupiti.
Caspiterina, oggi l’episodio è durato veramente poco! Se volete però ne abbiamo un altro simile in cui ci siamo occupati di disappunto.
Vi parlo di disappunto perché ad esempio alcuni episodi presenti sul sito di italiano semplicemente potrebbero farvi esclamare espressioni come diamine! Oppure maledizione, accidenti, mannaggia. Questo perché non tutti gli episodi sono disponibili per tutti ma solo ai membri dell’associazione Italiano Semplicemente.
In questi casi potete usare anche “caspita” , ma avendo l’accorgimento di usare “che caspita”. Solo in questo modo trasmettete irritazione e non solo stupore.
Se poi volete evitare di arrabbiavi invece basta diventare membri. È facile, economico e, come se non bastasse, vi farete tanti amici. Ti aspettiamo!
Giovanni: dopo aver visto la locuzione “mi dirai che“, oggi aggiungiamo un “non” all’inizio.
Ciò che otteniamo è un’altra tipica locuzione che però non rappresenta la semplice negazione di “mi dirai che“.
Sarebbe troppo facile!
Quella di oggi è più semplice da capire e da usare, in quanto esprime meraviglia, curiosità ed allo stesso tempo si esprime qualcosa che si è intuito e che potrebbe risultare vero.
Può trattarsi sia di qualcosa di positivo che di negativo.
Es:
Non mi direte che pensavate che aggiungere “non” a una frase servisse solo per esprimere una negazione?
In senso letterale è così, ma purtroppo o per fortuna non lo è mai.
Vediamo qualche esempio:
Entro in casa e vedo mia figlia che ascolta Beethoven. Le dico subito:
Non mi dirai che ti piace la musica classica!
C’è meraviglia, curiosità. È comunque una domanda che richiede una risposta:
Perché, che c’è di strano?
Questa potrebbe essere la risposta di mia figlia di fronte allo stupore mostrato da me.
Un po’ irritata come risposta?
Può darsi.
In effetti la mia domanda può provocare una reazione irritata.
Non è detto, ma a volte è così, perché spesso c’è ironia in questa locuzione, e questa ironia potrebbe derivare da una contraddizione da cui deriva la meraviglia.
Nell’esempio che vi ho fatto, potrebbe essere accaduto che in passato mia figlia non abbia mai mostrato apprezzamento per la musica classica o che addirittura l’abbia criticata. Questa potrebbe essere la contraddizione di cui parlavo, in questo caso.
A volte non si usa il futuro, ma non cambia nulla se uso la forma presente:
Non mi dire che ti piace la musica classica!
Un altro esempio:
Vedo una mia amica dopo tanto tempo e noto che ha un po’ di pancetta. Meravigliato e incuriosito le dico:
Ciao Emanuela, non mi dirai che sei incinta!
Spesso è qualcosa che non ci si augura, perché per chi parla non sarebbe una cosa positiva se confermata.
Es:
Sento un mio amico per telefono e mi dice che ha qualche problema al lavoro per via del green pass. Io subito gli chiedo:
Non mi dirai che sei un no-vax!
Il mio amico potrebbe irritarsi per la mia meraviglia e ironia. Ha anche intuito che io invece sono favorevole ai vaccini.
Potrebbe rispondermi:
E tu, non mi dirai che sei a favore!
Questa locuzione si usa sempre in questo modo, tranne quando è preceduta dal termine “fino” o “finché”
Non ti parlerò più fino a quando non mi dirai che hai sbagliato!
Io avrò speranza di stare con te fino a quando non mi dirai che è finita per sempre!
Starai in punizione fino a quando non mi dirai che sei pentito!
In questi casi si parla di qualcosa che continuerà fino ad un momento preciso, ossia fino a quando io non sentirò dalle tue parole che hai sbagliato (1° esempio), o che sei pentito (3° esempio), o che è finita per sempre (2° esempio).
Un non madrelingua può trovare strano l’uso della negazione “non” in questi casi.
La questione credo meriti di essere trattata in un prossimo episodio.
Spiegazione odierna terminata.
Adesso ripassiamo. Non mi direte che vi eravate dimenticati del ripasso!
Irina: ci penso io a iniziare questo ripasso, non scomodatevi; non fosse altro che per mettermi alla prova con qualche espressione che mi dà molto filo da torcere. Se poi qualcuno vuole aggiungere qualcosa è benaccetto, sempre che non abbiate paura di sbagliare!
Albéric: castroneria dici Harjit? Invece la sai lunga tu! Sai anche come suscitare l’interesse per l’apprendimento dell’italiano! Poi non potrei mai dire che dici castronerie. Resti pur sempre un’amica e non ti offenderei mai. Poi lo so che lo fai per il meglio di tutti noi!
Giovanni: oggi vediamo un uso particolare della particella ne.
Ne abbiamo parlato già varie volte di questa particella, ma più se ne parla, meglio è. Che ne pensi? Ne convieni? (cioè sei d’accordo?)
Alla fine dell’episodio metterò anche dei collegamenti ai passati episodi in cui abbiamo utilizzato questa particella, ma l’uso di cui vorrei parlare oggi è nelle locuzioni “cosa ne è”, “cosa ne fu”, “cosa ne è stato” e “cosa ne sarà”.
Ricorderete che “ne” si utilizza spesso per sostituire qualcosa nella frase, allora se io dico:
In questi casi, sebbene non ci sia bisogno di ripetere “anni” (perché già sappiamo di cosa si parla) a volte sentiamo il bisogno di specificare e se lo facciamo dobbiamo usare le preposizioni di, delle, degli, eccetera.
Questo non era l’esempio più adatto, ma se io chiedessi: quanti figli hai?
Potrei rispondere: di maschi ne ho due, mentre di femmine ne ho tre.
Sto specificando.
Anche nelle domande a volte si usa questa particella, e alcune volte si specifica:
Io ho 50 anni. Tu invece quanti ne hai?
E quanti ne hai di figli?
Qui, in quest’ultimo caso, sono costretto a specificare altrimenti non si capisce di cosa stia parlando.
Insomma avete capito che anche se uso la particella ne, a volte devo specificare, altre volte è solo un’opzione.
Un altro caso in cui si specifica è quando usiamo “ne” per ricordare qualcosa, per richiamare qualcosa dal passato.
La locuzione di oggi, a parte il tempo (passato, presente o futuro) si usa solo per fare domande.
Esempio:
Marito e moglie parlano del loro passato e la moglie si lamenta col marito perché il loro rapporto non è più quello di tanti anni fa. Secondo lei non c’è più l’amore di un tempo:
Cosa ne è stato del nostro amore?
Cosa ne è stato degli occhi con cui mi guardavi?
Che ne è stato delle nostre cene romantiche, dei nostri discorsi fino alle tre di notte, dei nostri sogni e delle nostre promesse?
Il marito a questo punto, dopo qualche secondo di interminabile silenzio, inizia a sudare…
Il senso di queste frasi è simile a:
Che fine ha fatto il nostro amore?
Che fine hannofatto gli occhi con cui mi guardavi?
Perché non mi guardi più come prima? Neanche le nostre cene sono romantiche come prima, e non parliamo più fino alle tre di notte, e i nostri sogni e le nostre promesse? Qualcosa è cambiato.
Così è molto meno romantico però, meno malinconico, meno sentimentale, meno drammatico (anche per il marito…).
Anche in questi casi siamo costretti a specificare, perché non stiamo rispondendo a nessuna domanda. Siamo noi a fare le domande.
Si ricorda qualcosa che non c’è più, qualcosa che è scomparso, mentre invece non doveva scomparire.
È una domanda, ma quasi sempre somiglia ad una esclamazione, dunque a una domanda retorica.
Questo tipo di espressioni si usano ovviamente non solo con l’amore, ma ogni volta che ci si lamenta, si contesta qualcosa, qualcosa che ci si aspettava (spesso da altre persone) e invece questa cosa oggi non c’è.
Siamo solitamente in polemica con qualcuno. Altre volte invece si ricorda il passato con tristezza e con rimpianto.
Si usa spesso anche in politica:
Che ne è statodelle promesse del sindaco?
Con questa frase si stanno chiedendo spiegazioni.
Come mai il sindaco aveva promesso tante cose e adesso non se ne parla più?
Che fine hanno fatto le sue promesse?
Cioè:
Che ne è stato delle sue promesse
Oppure:
Che ne è stato dei politici di una volta, quelli che amavano la politica?
Si ricorda il passato con rimpianto: oggi non ci sono più i politici di un tempo.
È l’uso del verbo essere che dà questo particolare senso alla frase.
A volte non si tratta di domande retoriche e allora si esprime semplicemente stupore, meraviglia.
Immaginatevi una persona a New York il 12 settembre 2001, il giorno successivo all’attacco alle twin towers. Una persona che si risveglia dopo 24 ore di sonno, che non si è accorta di nulla, si affaccia alla finestra e esclama:
Scusate, ma cosa ne è stato delle torri gemelle?
Una domanda per niente retorica in questo caso.
In tutti i casi, è bene chiarire che si può anche invertire la posizione degli elementi della frase e il senso non cambia:
Cosa ne è stato delle sue promesse?
È identico a:
Delle sue promesse cosa ne è stato?
Lo stesso vale per tutti gli altri esempi.
Riguardo ai tempi, finora ho usato il passato prossimo.
Si possono usare anche altri tempi comunque.
Se ad esempio uso il futuro:
Che/cosa ne sarà di noi?
Che ne sarà di tutti i nostri progetti futuri?
Stavolta sono pessimista riguardo al futuro.
Esprimo un forte pessimismo e questo accade quando c’è un grosso cambiamento che mette in discussione i miei progetti. Qui c’è una forte emotività. Il futuro è in dubbio.
Cosa ne sarà dei nostri figli dopo la pandemia?
Potranno andare a ballare come abbiamo fatto noi?
Cosa ne sarà di loro se ci saranno altre pandemie?
Sia al passato che al futuro comunque il messaggio è sempre negativo. Al futuro c’è apprensione. Vogliamo chiamarla paura?
Il verbo essere gioca un ruolo particolare, e se cambiamo il verbo molto spesso non c’è un senso negativo. Se dico:
Che ne hai fatto dei soldi che ti ho dato ieri?
Resta un senso di accusa e polemica ma questa è una vera domanda.
Il senso altre volte cambia completamente:
Cosa ne pensi di me?
Cosa ne sai di me?
Anche qui si tratta di vere domande.
In realtà se uso il verbo rimanere e restare trasmettono un senso quasi identico rispetto ad essere e spesso si tratta di domande meno retoriche:
Cosa ne resta della nostra casa dopo il terremoto?
Cosa ne rimane di tutti i soldi che abbiamo guadagnato?
Vediamo adesso che al presente si usa praticamente con lo stesso senso del passato prossimo.
Che ne è delle promesse del sindaco?
Come a dire:
Cosa neresta oggi di quelle promesse?
Oggi cosa abbiamo di quelle promesse?
Nella pratica ha lo stesso senso di:
Che fine hanno fatto quelle promesse?
Col passato remoto invece (che/cosa ne fu) si usa parlando di un passato, appunto, remoto, cioè di tanto tempo fa. Semplicemente.
Cosa ne fu delle tre persone che entrarono nelle acque contaminate di Chernobyl?
Cioè: cosa ne è stato, che fine hanno fatto? Si parla però di qualcosa di molto indietro nel tempo, senza più legami col presente.
Adesso vi dico anche che, a proposito dell’importanza della particella ne, a volte (abbastanza raramente) si omette e il senso non cambia.
C’è da dire però che la particella dà alla frase più forza, oltre che maggiore chiarezza, soprattutto se si tratta di una polemica o di paura (al futuro).
Quindi posso dire:
Cosa è stato del nostro amore?
Cosa sarà di noi?
Cosa fu di nostra nonna quando il nonno partì per la guerra?
Al presente invece non si usa omettere la particella ne.
Vi vorrei ricordare, prima di congedarmi, che c’è un episodio interessante in cui abbiamo parlato dei vari modi che esistono per “dispiacersi del passato“. Un episodio che vi potrebbe aiutare ad aumentare ancor più il vocabolario.
Parlare del passato e del tempo che passa vi mette ansia? Ma è sempre meglio che non si fermi, no?
In proposito, abbiamo un bel ripasso:
Marguerite: posso proporvi un soggettodi riflessione? I cinesi dicono che i giorni trascorrono molto velocemente. Che ne pensate? Avete questa sensazione?
Albéric: Un detto valevole di approfondimento perchégli antichi greci dicono a loro volta che il tempo si può paragonare a una ruota che ricomincia ogni volta da capo.
Marcelo: Ma Peggy, “domani è un altro giorno” come dicono i francesi.
Anne France: Anche se è sempre meglio non ridursi all’ultimo se hai in programma di fare qualcosa di importante.
Chi tempo ha e tempo aspetta, tempo perde.
Questo è un altro bel proverbio all’insegna della saggezza.
Rauno: I giapponesi a loro volta dicono: se parli di domani i topi nel soffitto avranno ben donde di ridere. Per dire che nessuno sa di cosa il domani sarà fatto e meglio non fare voli pindarici in merito.
Marguerite: Ma anche io volevo dire la mia! Forse non è che il tempo si acceleri. È che noi siamo sempre più lenti. Io allora mi domando e dico: Ma come fare a essere un po’ meno lenti sicché la ruota giripiù piano?
Ho una voglia smodata di chiudere con una poesia che cista perfettamente:
Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: del doman non v’è certezza