La misura (ep. 960)

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La misuraGiovanni: come promesso nell’episodio dedicato alla parola “modico” oggi ci occupiamo della cosiddetta “misura“.

L’importante è misurare le parole Giovanni, e cerca anche di misurare il tempo che impieghi, perché questa è la rubrica dei due minuti

Giovanni: Sì, lo so, facciamo una cosa alla volta però!

Con il termine “misura” si può far riferimento a cose diverse. Viene subito in mente la misura della lunghezza o del peso eccetera. Si tratta di misurare qualcosa. La misura è infatti un valore numerico (un numero) che rappresenta la grandezza di un oggetto o di un fenomeno fisico. Può essere espressa in diverse “unità di misura“, come ad esempio il metro (l’unità di misura della lunghezza), il chilogrammo (pari a mille grammi, per misurare il peso), il secondo (l’unità di misura del tempo), il volt, ecc.

Quanto misura la vostra altezza? La mia misura 187 cm. L’altezza infatti si misura in cm, il volume si misura in litri, il peso si misura in grammi eccetera.

Comunque oggi ci occupiamo di una misura diversa, quella relativa al comportamento.

In senso figurato, la misura è un criterio di giudizio o di comportamento o anche, più spesso, un limite conveniente o tollerabile.

Per questo motivo la misura è legata al termine “modico“. Abbiamo ancora una volta il senso della moderazione o, possiamo anche dire, della misura.

Non hai il senso della misura

Questa esclamazione può essere rivolta a chi non sa moderarsi, a chi esagera.

Hai oltrepassato i due minuti da un pezzo! Non hai mai il senso della misura!

Giovanni: Bravo! Avere il senso della misura significa avere la capacità di giudicare e agire in modo equilibrato, senza eccedere nei comportamenti o nelle parole. Chi invece non ha il senso della misura non si sa regolare (si dice anche così). E’ come se non si rendesse conto di quando sia il caso di fermarsi e finisce per esagerare.

Se ad esempio una persona beve due litri di vino rosso, chiaramente poi si sente male. Si potrebbe dire che questa persona non ha avuto il senso della misura, come se non fosse stato in grado di misurare la quantità di vino bevuta. Chiaramente questo è un uso figurato.

La misura è dunque una qualità di una persona. Non la tua però!

Giovanni: che antipatico! La misura è dunque da intendersi come una moderazione nel comportamento e indica la capacità di agire in modo equilibrato e controllato, evitando gli eccessi. In altre parole, significa saper dosare le proprie azioni, evitando di eccedere nell’uno o nell’altro senso.

Ci sono molte espressioni che contengono la parola “misura” oltre a “avere il senso della misura”. Ad esempio abbiamo visto “nella misura in cui” e anche “la misura è colma“.

La misura si può anche oltrepassare o superare:

Hai superato/oltrepassato la misura” è un modo più elegante per dire “hai esagerato“. Chi invece non supera la misura allora “sta nella misura“: si tratta di una prova di gusto e di stile estremamente contenuta e sorvegliata.

La sua risposta è stata molto equilibrata, dimostrando una grande misura.

Nonostante le difficoltà, ha sempre agito con misura e buon senso.

Il politico ha mostrato una misura impeccabile nel gestire la situazione di crisi.

Ha dimostrato una grande misura nel trattare con pazienza le opinioni diverse dalle sue.

Nonostante le provocazioni, è riuscito a mantenere la misura e non cadere nel confronto violento.

Si può anche dire:

La sua risposta alle critiche è stata calma e misurata.

Agire in modo misurato” è quindi equivalente a “agire con misura”, “comportarsi con misura”, cioè dimostrare misura.

Allo stesso modo “essere persone misurate” significa essere persone che agiscono con misura.

Attenzione perché si dice “dimostrare misura“, e non “misurazione”: la parola “misurazione” è utilizzata per riferirsi solamente all’azione di misurare qualcosa.

Misura le parole!

Questo è un altro modo di usare la parola “misura” (lo avete ascoltato anche all’inizio dell’episodio).

Misurare le parole” significa stare attenti alle parole che si utilizzano, quindi non esagerare. Significa scegliere attentamente le parole da utilizzare al fine di comunicare in modo appropriato, evitando di dire qualcosa di offensivo o inopportuno.

Anche questa è una modalità più elegante rispetto ad altre tipo: “attento a quello che dici“, e frasi simili.

Va bene, è tutto per oggi. Adesso ripassiamo:

Ulrike: Ciao ragazzi, come state? Vorrei sapere se avete mai affrontato problemi economici, come vi siete sentiti di fronte a essi e come li avete risolti.

Irina: Per quanto mi riguarda mi lascio spesso prendere dall’ansia e normalmente li per li resto in bambola, il che rende i problemi ancora più gravi.

Edita: di sicuro questo non aiuta. Devi affrontarli con determinazione, o, come si suol dire devi “prendere il toro per le corna”, scrutare tutte le possibilità, passare all’azione e agire senza remore.

Paul: la fai facile tu con “passare all’azione”, ma non è mica facile.

Estelle: e dai, un po’ di iniziativa! Questo atteggiamento la dice lunga sul tuo coraggio. Passami il termine: non te la devi fare sotto. Basta affrontare i problemi uno alla volta, senza temere che tutto vada a rotoli.

Marcelo: quanto al mio pensiero, che volete che vi dica, l’importante è valutare attentamente le opzioni, vagliarle e agire prontamente, considerando tutti gli annessi e connessi.

Peggy: mmm… Sarà! Secondo me chi non ha mai avuto problemi economici non può parlare, altro che storie!

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Modico (ep. 959)

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Giuseppina: probabilmente i non madrelingua italiana non usano mai l’aggettivo “modico” (modica al femminile).

Voglio spiegarvelo cosicché non sia più un aggettivo ad appannaggio dei soli madrelingua.

“Modico” deriva dal latino, somiglia all’aggettivo “moderato”, tanto è vero che l’origine “modus” significa misura, limite.

Il concetto è interessante. Modico è simile a “basso”, ma c’è il senso di qualcosa di “adeguato“.

Non parliamo di persone però. Non è un aggettivo che si può usare per descrivere le persone.

Vediamo qualche esempio e poi spiego meglio:

I prezzi del ristorante sono abbastanza modici, puoi permettertelo senza problemi.

Ho trovato un appartamento con un affitto modico, perfetto per il mio budget limitato.

Quel compito che ti hanno affidato richiede una modica quantità di lavoro, potrai gestirlo senza troppi sforzi.

Per quel tipo di prodotto c’è una modica domanda rispetto alle altre proposte simili sul mercato.

La quantità di cibo servita al ristorante era modica, non eccessiva ma abbastanza soddisfacente. Avrei gradito qualcosa in più.

Il costo del biglietto del concerto era piuttosto modico considerando gli artisti in programma.

Il termine “modico” quindi si riferisce a qualcosa che è moderato, misurato, ragionevole o adeguato in termini soorattutto di quantità, prezzo o importo.

Aggettivi simili sono modesto, accessibile, contenuto e abbordabile.

Non è però la stessa cosa che dire “giusto“, ma si riferisce ad una quantità.

Viene quindi utilizzato per indicare una quantità o un livello che non è né troppo elevato né troppo basso, ma comunque si colloca più vicino al basso.

Detto in altre parole, indica un livello in una fascia medio-bassa o accettabile. Si usa quando si vuole descrivere qualcosa che è equilibrato o adeguato alle aspettative o alle necessità di una persona.

Se un prezzo è modico ce lo possiamo permettere, è alla nostra portata.

Se parliamo di una modica quantità di qualcosa, è una quantità moderata, accettabile.

Un uso particolare avviene a proposito della quantità di droga posseduta da una persona e della relativa legislazione.

Si dice ad esempio:

Una modica quantità di sostanze stupefacenti

Questa è una quantità piccola, quindi non elevata, perciò considerata accettabile, tanto che nel caso se ne possiede una modica quantità (definita per legge) si è considerati solamente consumatori e non spacciatori di quella sostanza stupefacente.

Lo spacciatore è colui che vende la droga, mentre il consumatore la consuma, cioè la utilizza per sé e basta. È chiaro quindi che chi possiede una modica quantità di droga, non ne posso possiede abbastanza per venderla,o meglio, è considerata una quantità adatta ad essere consumata e quindi probabilmente se la polizia ti trova con una modica quantità di marijuana in tasca non ti considera uno spacciatore e non verrai perseguito dalla legge come tale.

Se venite in Italia e cercate un ristorante poco caro, allora state cercando un ristorante con prezzi modici.

Si usa spesso anche la “modica cifra“.

Es:

Vicino al Colosseo potete affittare delle biciclette ad una modica cifra.

Ti do la mia macchina per la modica cifra di 10 euro al giorno

Cioè si tratta di una spesa moderata, una cifra ragionevolmente accettabile e conveniente. Si parla di prezzi in questo caso.

A Roma si trovano anche alberghi e ristoranti a prezzi modici. Non aspettatevi un’alta qualità però.

Anche i “prezzi modici” si usano molto spesso.

Nel prossimo episodio approfondiamo il concetto parlando della “misurazione” e delle cose misurate. Come la vedete? Nel frattempo potete cimentarvi un po’ con l’utilizzo dell’aggettivo di oggi.

Questo è quanto.

Oggi abbiamo anche ripassato qualche episodio passato, tanto per non perdere l’abitudine. Infatti ne abbiamo ripassati qualcosa come una decina, se non di più. Ho sentore però che se non faccio terminare questo episodio con ogni probabilità aumenteranno ancora di più. È che quando mi prende la mano…

Va bè, vi saluto. Alla prossima.

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Cosa non si fa per… (ep. 958)

Cosa non si fa per… (scarica audio)

Giovanni: ecco un’altra locuzione molto usata che però non trovate spiegata in nessun altro luogo al di fuori di italianosemplicemente.com.

La locuzione è “cosa non si fa per”.

Si utilizza spesso parlando dei figli, dei nipoti e di tutte le cose a cui teniamo di più, dunque le cose più importanti per noi e generalmente per tutti.

Cosa non si fa per i figli!

Cosa non si fa per i nipoti!

Queste esclamazione servono a sottolineare l’enorme amore che abbiamo per i nostri figli o per i propri nipoti.

Il significato è:

Per i propri figli si è disposti a fare di tutto.

Per i propri nipoti si è disposti a fare di tutto.

Potrei dire la stessa cosa con i genitori o i fratelli comunque.

La frase è impersonale: cosa non si fa, e non “cosa non farei”, anche se è consentito personalizzare l’esclamazione e quindi riferirmi a me stesso.

Si utilizza questa espressione soprattutto dopo aver parlato di un sacrificio fatto per loro (i figli ad esempio), di un grosso sacrificio o un grosso sforzo economico.

Es:

Sto parlando con un amico e lui mi ha appena detto che nonostante il reddito familiare non fosse per niente alto, ha voluto pagare al figlio un corso d’inglese all’estero che è costato 5000 euro, e per poter affrontare la spesa ha dovuto vendere l’automobile.

Io allora ho commentato:

cosa non si fa per i figli!

È una sorta di domanda retorica, il cui senso è che si fa di tutto per i figli, per renderli felici e farli stare bene.

Un altro esempio:

Mia nonna, appena sposata, ha rinunciato al suo lavoro da ingegnere per seguire mio nonno (di nazionalità francese) nel suo paese d’origine.

Cosa non si fa per amore eh?

In questo caso ho utilizzato una domanda retorica a tutti gli effetti.

Nel caso di questioni più personali, per cose cioè che non sono così importanti per tutti, ma lo sono per una persona in particolare, si può dire ad esempio:

Cosa non darei per avere un fisico come una modella!

Cioè: mi piacerebbe moltissimo essere una modella. Sarei disposta a pagare una cifra enorme se solo si potesse.

Oppure:

Cosa non farei per poter aiutare il mio caro amico che è stato appena mollato dalla fidanzata

Cioè: sarei disposto a tutto per aiutarlo, ma purtroppo non posso fare nulla per lui.

Posso parlare anche al passato:

Da ragazzo ho dovuto lavorare già dai 18 anni per aiutare i miei genitori. Cosa non avrei dato/fatto per aver avuto la possibilita di studiare per diventare un medico!

In questo caso (come nel precedente) si tratta di un desiderio, qualcosa di impossibile da realizzare che non è possibile o che non è stato possibile fare. Si vuole enfatizzare, dare più forza a questo desiderio e trasmettere e amplificare un senso di malinconia o di profonda delusione o tristezza o rimpianto, ad esempio per non aver avuto l’opportunità di studiare per diventare un medico.

Si trovano tantissimi esempi di questo tipo sul web e sui libri.

Notare che non si tratta di un non pleonastico, perché non possiamo eliminare “non”: la frase non avrebbe più senso, anche se un italiano vi capirebbe ugualmente, anche perché di solito anche il tono della voce che si utilizza in questi casi aiuta a capire.

Ho fatto riferimento alla retoricità della domanda perché se dico ad esempio: cosa non farei per te?

La risposta (ovvia) sarebbe: niente. Non ci sarebbe nulla che non farei, cioè farei qualunque cosa per te. Non c’è bisogno che lo specifichi.

Se invece dicessi:

Cosa non faresti per me?

Questa sarebbe con ogni probabilità intesa come una vera domanda. Attenzione a come rispondete!

Adesso sentiamo i membri dell’associazione se hanno preparato un ripasso delle espressioni precedenti.

Peggy: In questi giorni, dalle mie parti, fa un caldo bestiale, con tanta di quell‘umidità che la percezione del caldo ha raggiunto i massimi termini. Tuttavia, per una questione di principio, lungi da noi l’idea di mettere un climatizzatore in casa; di conseguenza, mio marito stamattina si è svegliato fradicio di sudore, e io con il torcicollo che mi procura un dolore della madonna. Vabbè! Pazienza! Tra due settimane saremo in vacanza e sarà una vacanza con la V maiuscola, sfuggendo da questo calore seccante.

Irina: Ciao amica! Se tra due settimane vai in vacanza, allora non c’è di che preocupparsi

Diversamente da te, da me è inverno e le mie vacanze sono lontane. Pazienza.

Marcelo: io invece, in attesa di qualcuno che possa rimpinguare il mio portafogli (per inciso: è una pia illusione la mia) potrò solamente fare una scappata qui vicino, ma di sicuro mi riprometto un buon piano di vacanze all’estero per la prossima estate. Vorrei visitare la Thailandia! Mai sentito parlare dei massaggi thailandesi? Della serie “paradiso sto arrivando!”

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Questa mi giunge nuova (ep. 957)

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Giovanni: dovete sapere che io sono da sempre innamorato della grammatica italiana…

Questa vi giunge nuova, vero?

Infatti questo era solo un pretesto per usare l’espressione di oggi: “questa mi giunge nuova” che significa in parole povere “non lo sapevo”. Si può usare anche al maschile: questo mi giunge nuovo.

Possiamo tradurla in diversi modi comunque:

Questa notizia è una novità per me

Non ne avevo mai sentito parlare.

Per me è una novità assoluta.

Non sapevo che fosse così.

Questa mi coglie di sorpresa.

Mai avrei pensato a una cosa del genere.

Con “questa” si intende questa notizia, questa cosa che hai appena detto. Se usiamo questa espressione generalmente siamo molto sorpresi di ciò che abbiamo ascoltato.

Si utilizza il verbo giungere, simile a arrivare e anche a raggiungere.

Nel caso dell’espressione di oggi, ad arrivare è una notizia.

Il verbo giungere non è difficile da usare. Si può utilizzare sempre al posto di arrivare. Non sempre vale il contrario però. Ad esempio non si dice “questa mi arriva nuova”. Vediamo alcuni esempi equivalenti:

Sono arrivato a casa

Sono giunto a casa

Sono arrivato a Roma

Sono giunto a Roma

Siamo arrivati ad una conclusione

Siamo giunti ad una conclusione

La notizia mi è arrivata solo stamattina

La notizia mi è giunta solo stamattina

I turisti arriveranno/giungeranno alla meta in serata.

Dopo tanti sforzi, è finalmente arrivato/giunto al successo.

Siamo giunti/arrivati alla conclusione che è necessario cambiare strategia.

Le due parti sono giunte/arrivate a un accordo soddisfacente.

Non siamo riusciti a giungere/arrivare a un compromesso.

Il treno è giunto/arrivato alla stazione puntualmente alle 15:00.

Spero di giungere/arrivare in tempo per l’inizio dello spettacolo.

La morte arriva/giunge spesso inattesa.

Le notizie che giungono/arrivano da Kiev non sono molto confortanti.

Come verbi alternativi a “giungere“, oltre ad arrivare, a volte si può usare anche “raggiungere”.

È il caso del raggiungimento di un obiettivo, un risultato.

Infatti si può dire:

Le due parti hanno raggiunto un accordo soddisfacente.

Non siamo riusciti a raggiungere un compromesso.

Un uso interessante del verbo giungere è “giungere al termine”. Il senso è sempre quello di arrivare, ma in questo caso, più dei casi precedenti, l’uso è abbastanza formale.

Siamo giunti al termine della riunione

Come fare a capire quando una relazione è giunta al termine?

L’episodio è quasi giunto al termine

Manca solamente il ripasso.

Parliamo di ciò che non deve mancare in vacanza.

Marcelo: ogni volta che penso alle cose che non devono mancare al momento di preparare le valigie, io mi domando e dico: ma possibile che debba portarmi dietro mezza casa? Devo prendere solo lo stretto indispensabile, cioè: notebook, cellulare, caricatore, i farmaci essenziali, i documenti di viaggio. Poi penso agli indumenti e cerco di ridurli ai minimi termini. Questo è quanto.

Irina: Forse io sono un tipo sui generis, però mi porto poco o niente in vacanza. Non sono affatto assuefatta allo stress cittadino e non voglio portare niente che mi colleghi con la mia vita e il lavoro, indi per cui se mi manca qualcosa la compro.

Ulrike: da sempre ogni volta che devo andare in vacanza, resto a braccia conserte e così lascio a mia marito il compito di fare le valigie. Solo dopo faccio una revisione di quello che ha preparato. Non che io sia un nullafacente. Sono solo un po’ sfaticato.

Estelle: ok portare poche cose, ma per quanto riguarda il cellulare vorrei aprire una parentesi se me lo consentite. Per portarlo lo porterei, ma solo un telefono di cui nessuno conosce il numero. Lo userei solo in caso di emergenza!

Hartmut: per me in vacanza non deve mancare il bidè e l’aria condizionata. Sembra poco, eppure finora mi ha detto sempre male qui in Slovenia.

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“C’era da aspettarselo” e le premesse (ep. 956)

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Giuseppina: abbiamo visto nell’episodio precedente che “c’è da“, seguito da un verbo, normalmente sta ad indicare una necessità, qualcosa che occorre fare.

Chiaramente si può usare anche al passato e al futuro.

Posso dire ad esempio che:

ieri non sono potuto venire alla festa perché c’era da pulire casa.

Oppure, posso dire che:

domani, considerato che arriveranno molti ospiti a pranzo, ci sarà da lavorare molto per preparare il pranzo.

Oggi però vorrei parlarvi di “c’era da aspettarselo” che si usa più frequentemente al passato. Rappresenta un uso particolare di “c’è da”.

Infatti “c’era da aspettarselo” è un’esclamazione che si usa dopo che qualcosa è accaduto. Si tratta di qualcosa generalmente di negativo, qualcosa che non era stato previsto e che quindi ha procurato un effetto negativo di qualche tipo.

A posteriori parliamo di qualcosa di prevedibile. A posteriori – cioè dopo, successivamente all’evento – diciamo che questa cosa che è accaduta poteva essere prevista.

Quindi c’era da aspettarselo significa “Non deve sorprendere” oppure “era prevedibile”, “era nell’aria”.

È un’espressione che si usa a posteriori, quindi si parla di un momento precedente all’evento. Per questo motivo non si usa l’imperfetto.

Se invece parlo di un evento che deve ancora accadere, posso dire ad esempio:

Secondo te domani pioverà?

Cioè, in altre parole:

Secondo te c’è da aspettarsi che pioverà domani?

Secondo te c’è da aspettarsi la pioggia domani?

Oppure:

Marco non è un tipo affidabile. Da lui c’è da aspettarsi di tutto. Stai attento.

Quindi non è molto prevedibile come si comporterà Marco, però è prevedibile che ci potrebbero essere grosse sorprese negative.

Oppure:

Il prossimo campionato di calcio chi lo vincerà? C’è da aspettarsi una sorpresa?

Il verbo aspettarsi è chiaramente diverso dal verbo aspettare.

Aspettarsi esprime un’aspettativa, ciò che ci si aspetta, ciò che crediamo accadrà.

C’è da aspettare” invece esprime un’attesa: bisogna aspettare, è necessario aspettare. Proprio lo stesso utilizzo che ho spiegato nell’episodio precedente.

La forma è al maschile in genere: aspettarselo.

Alcune volte si usa anche al femminile: “Aspettarsela” , ma in questi casi quasi sempre si parla di qualcosa di femminile. Es.

Questo brutta notizia c’era da aspettarsela.

Durante le recenti elezioni qualche sorpresina dal voto c’è da aspettarsela.

Non è ancora arrivata alcuna reazione a questa notizia, ma c’è da aspettarsela nelle prossime ore.

C’erano le premesse” è un’ottima alternativa a “c’era da aspettarselo”, ma è meno informale.

Le premesse si riferiscono alle circostanze, agli elementi o alle condizioni che indicano o preannunciano un possibile risultato o sviluppo futuro.

Se ci sono le premesse affinché accada qualcosa vuol dire che ciò che è accaduto in passato o le circostanze attuali fanno pensare che questa cosa sia probabile che accada.

Se ad esempio vedo tante nuvole nel cielo, se vedo che diventa sempre più scuro, se già si iniziano a sentire dei tuoni e inizia a soffiare un forte vento, posso dire che:

Ci sono le premesse per un forte temporale.

Posso anche dire che:

Tutto lascia pensare che ci sarà un forte temporale.

Tutto lasciava pensare che…

Anche questa è un’ottima alternativa a “c’era da aspettarsi” qualcosa.

C’è da dire però che “c’era da aspettarselo” prevalentemente si usa come commento di una persona delusa o amareggiata per qualcosa.

Oltre alla delusione, potrebbero esserci sentimenti come frustrazione, rassegnazione o insoddisfazione, perché è vero che ciò che è accaduto è in linea con le aspettative, ma evidentemente c’era una speranza che le cose andassero diversamente. Questa è la situazione prevalente quando si usa “c’era da aspettarselo”.

Può anche essere un modo per porre le distanze da qualcuno o qualcosa:

Ho saputo che Giuseppe ha avuto un incidente. C’era da aspettarselo però: si ubriaca spesso con gli amici e prima o poi doveva accadere.

Va bene adesso ripassiamo qualche episodio passato.

Ulrike: Non riesco a smettere di pensare ai miei rimpianti per non aver studiato abbastanza. Ad oggi è una delle cose di cui sono più pentito.

Marcelo: Puoi sempre continuare adesso però. Meglio tardi che mai! Vedrai che questa sarà la volta buona! Ci vorrà molta solerzia da parte tua chiaramente.

Rauno: Non è mai facile però studiare da adulti, soprattutto se hai una famiglia sul groppone!

Estelle:. Come sei pessimista! Vuoi stroncarlo così? Non c’è di che stupirsi allora di quanto poco hai ottenuto nella vita!

Rafaela: vedo che c’è sempre maretta qui ! Se queste sono le premesse, meglio che questo ripasso finisca qui!

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C’è da fare o va fatto? (ep. 955)

C’è da fare o va fatto (scarica audio)

Giuseppina:

Ricordate l’episodio dedicato alle locuzioni “c’è di che” e “non c’è di che”?

Abbiamo visto in particolare frasi come:

Non c’è di che stupirsi

Non c’è di che meravigliarsi

Non c’è di che vergognarsene

Non c’è di che stare allegri

Ecc..

Vi ho detto che il senso è sempre simile: “non c’è motivo di…“, “non c’è ragione di…“.

Senza negazione, si è detto, il senso può essere opposto e a volte ironico, oppure può esprimere il senso di qualcosa di sufficiente per giustificare una conseguenza di qualche tipo.

Oggi aggiungo che de usassi la preposizione “da” il senso può essere simile ma vi sarebbe meno enfasi.

Quindi possiamo tranquillamente anche anche dire:

Non c’è da stupirsi se in ladro uscito di prigione torni a rubare.

Non c’è da meravigliarsi se un adolescente abbia voglia di uscire con gli amici la sera.

Vuoi lasciare il tuo partner perché ti tradisce? Non c’è da vergognarsene.

C’è da preoccuparsi se il mio cane abbaia. Non lo fa mai inutilmente.

Eccetera.

In pratica sparisce “che” quando utilizzo “da”.

Molto spesso però “c’è da“, seguito da un verbo all’infinito, si usa per esprimere il senso del dovere, di qualcosa che bisogna fare, che occorre fare, similmente all’uso del verbo andare (es: va fatto, va detto ecc) con cui però si usa il participio passato. Abbiamo visto in un episodio passato questo uso del verbo andare

Stavolta aggiungo che nel caso di “c’è da” si esprime più la necessità, mentre con il verbo andare prevale il senso dell’obbligo o del dovere (o del divieto, con la negazione).

Vediamo esempi simili:

Questa cosa va fatta (obbligo))

C’è da fare questa cosa (Necessità, bisogno)

Il biglietto va acquistato solo online (obbligo)

C’è da acquistare il biglietto (Necessita, bisogno)

All’università c’è molto da studiare (Necessità, bisogno)

L’esame di statistica va fatto obbligatoriamente (obbligo)

Va detto che sei simpatico

C’è da dire che sei simpatico

In quest’ultimo caso usare le due forme è indifferente. Il senso è lo stesso: aggiungere qualcosa per meglio esprimere il nostro pensiero, come aggiungere una precisazione necessaria.

Usare il verbo andare (va detto, va fatto, va precisato, eccetera) è simile a “si deve fare, si deve dire ecc) ed è un po’ più forte rispetto a “andrebbe fatto”, “andrebbe detto”, “si dovrebbe fare”, “ci sarebbe bisogno di” ecc.

Per aumentare il senso del dovere ancora un po’ si può aggiungere “assolutamente“. Es:

Questo bagno va assolutamente pulito prima che arrivino gli ospiti.

Se invece dico che “c’è da pulire questo bagno” esprimo più che altro una necessità: qualcuno dovrà pulirlo. È necessario.

Quasi sempre è questo il senso di “c’è da”: quello della necessità. Altre volte si torna al concetto che abbiamo visto nell’episodio dedicato a “c’è di che”, quindi quando ce n’è a sufficienza per giustificare qualcosa, come nel caso di “c’è di che” oppure, con la negazione, nel senso di “non c’è motivo/ragione di…”

Dipende anche dal verbo e dal contesto.

Es:

C’è da fare attenzione quando si guida (bisogna fare attenzione, è necessario)

C’è da svuotare la stanza prima di iniziare a pulirla (bisogna svuotarla, è necessario)

Ogni volta che vedo un film di Gigi Proietti, c’è da morir dal ridere (ce n’è abbastanza per ridere a crepapelle)

Non c’è da festeggiare quando vinci una competizione ma non mostrando spirito sportivo (non c’è una vera ragione per festeggiare).

Sulla guerra non c’è da discutere, siamo tutti contrari (non c’è motivo di discutere)

Poi ci sono alcune volte che il senso può essere particolare:

Qui non c’è da mangiare (si intende non c’è “niente” da mangiare, con “niente” che è sottinteso)

C’è da bere per tutti (tutti possono avere qualcosa da bere, ci sono abbastanza bevande per tutti)

Non c’è niente da fare con te. Non vuoi proprio capire! (in questo caso “niente” è obbligatorio, non si può sottintendere)

Riassumendo: a parte alcuni casi particolari, “c’è da” (es. c’è da fare) esprime quasi sempre una necessità, similmente all’uso del verbo andare (es. va fatto) dove è più forte il senso del dovere o dell’obbligo.

Altre volte invece “c’è da” ha un senso simile a “c’è di che”, ma con meno enfasi.

Adesso ci sarebbe da fare un ripasso per chiudere l’episodio in bellezza. Che ne dite?

André: Quando ho saputo che Gianni sarebbe andato in vacanza, ecco cosa ho pensato: Guarda, il nostro Schettino lasciarà la nave IS, se ne fregherà di noi! Idea che si è dimostrata peregrina questa che mi è venuta in mente! Si dà il caso invece che Gianni stia continuando a chiarire tutti i nostri dubbi e addirittura è riuscito a ritagliarsi del tempo e creare dei nuovi episodi! Quanto sono stato prevenuto! Non dimentichiamo comunque che Ulrike e Anthony gli hanno dato manforte, eccome!

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La volta buona, la buona volta (ep. 954)

La volta buona, la buona volta (scarica audio)

Giuseppina: Non è la prima volta che ci occupiamo di una locuzione che contiene la parola “volta”. Abbiamo anche visto, in un episodio, quando mettere l’aggettivo prima e quando dopo il sostantivo. Ma stavolta il discorso è diverso.

Stavolta però vediamo la differenza tra la “volta buona” e la “buona volta”.

Non è la stessa cosa? – Direte voi – no, rispondo io. Sono simili ma non si possono usare una al posto dell’altro perché cambia lo stato d’animo, cambia il sentimento che c’è dietro. Vediamo perché.

La volta buona: Questa espressione si riferisce a un momento opportuno o favorevole per fare qualcosa. Viene usata quando si desidera indicare che è giunto il momento giusto per agire o per ottenere un risultato desiderato.

Ad esempio, se tu mi stai dicendo che domani avrai un colloquio di lavoro, si potrebbe dire: “Spero che questa sia la volta buona che riuscirai a trovare un lavoro”.

Evidentemente hai già avuto altre occasioni, altre opportunità, altri colloqui, ma sono andati male, allora spero che questa sarà la volta buona. C’è ottimismo.

La buona volta è simile, ma esprime un sentimento radicalmente diverso.

Nella stessa occasione di prima, potrei dire:

Rouscirai, una buona volta, a far emergere le tue qualità?

Non c’è ottimismo qui, ma c’è un rimprovero, una sensazione quasi di malessere, come se avessi perso la pazienza.

La “buona volta” si utilizza sempre in questo modo: per sgridare, per rimproverare, per rammaricarsi di qualcosa.

Basta, smettila una buona volta di far rumore la mattina!

Finiscila una buona volta di promettere cose che sai di non mantenere.

Deciditi una buona volta! Vuoi imparare veramente l’italiano oppure no?

La “volta buona” non possiamo usarla in questo modo. Esprime ottimismo, speranza. Chiaramente possiamo usarla anche in senso ironico. Vediamo qualche esempio:

Mio figlio ha studiato molto. Questo esame all’università lo ha già fatto due volte. Speriamo che sarà la volta buona.

Non credi di aver mangiato abbastanza stasera? È la volta buona che ti senti male, vedrai!

Questo però non è un rimprovero? Direte voi.

Si, certo, però stavolta sono ironico, e la “buona volta” si usa sempre quando si è arrabbiati, delusi, amareggiati.

Per una buona volta, vuoi stare zitto?

Ok, la finisco qui allora. Avremo occasione di ripassare queste due locuzioni tante volte in futuro.

Adesso ripassiamo:

Marcelo: Oggi vorrei fare un ripasso in onore di mia nipote Juana, giocatrice di rugby niente poco di meno che nella Nazionale Spagnola Under 18. Dio permettendo tra poche ore giocaranno la finale Europea contro la Francia. Penso che le starà dando di volta il cervello con tanta emozione adosso. La sua sarà sicuramente una prestazione della Madonna! Scusatemi, ma il mio orgoglio è traboccante!

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Il Lazio: Storia, luoghi, turismo e cultura

Il Lazio: Storia, luoghi, turismo e cultura (scarica audio)

Perché visitare il Lazio? In cosa si distingue dalle altre regioni? Vale a dire: cosa contraddistingue questa regione?

Voglio provare a spiegarvi nel minor tempo possibile, cosa dovete aspettarvi dal Lazio, raccontando un minimo di storia, e cosa c’è oggi da vedere di interessante. Tra l’altro questo sarà l’ennesimo pretesto per ripassare qualche episodio.

La regione del Lazio, situata nel centro dell’Italia, ha vissuto una storia affascinante. Nell’antichità, la zona era abitata da popoli cosiddetti pre-romani (in quanto vissero nel Lazio prima dei romani) come gli Etruschi, che lasciarono un’impronta significativa sulla regione. Ce n’è traccia in molte località, specie nella cosiddetta Tuscia, quindi soprattutto in provincia di Viterbo.

Tuttavia, è l’epoca romana che ha avuto il maggior impatto sulla storia del Lazio e ha contribuito a definire la sua identità culturale. Roma, fondata nel 753 a.C., divenne il centro di un vasto impero che si estendeva su gran parte dell’Europa, dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente.

Durante questo periodo, Roma si trasformò in una delle città più grandi e influenti del mondo antico, lasciando un’eredità straordinaria di monumenti, come il Colosseo, il Pantheon e il Foro Romano.

Dopo il declino dell’Impero Romano, la regione passò attraverso periodi di dominio da parte di vari popoli, tra cui i Goti, i Bizantini e i Longobardi.

Nel Medioevo, il potere politico si spostò nelle mani dei papi, con la creazione dello Stato della Chiesa, e Roma divenne la sede del Papato. Questo ha contribuito a preservare e arricchire il patrimonio artistico e culturale della regione.

Durante il Rinascimento e il periodo barocco, artisti come Michelangelo, Raffaello e Bernini hanno lasciato un’impronta indelebile su Roma e sul Lazio, creando capolavori architettonici e artistici coi fiocchi che ancora oggi attirano e impressionano i visitatori di tutto il mondo.

Roma chiaramente rimane una delle principali mete turistiche al mondo, con i suoi siti archeologici, i musei e la sua vivace vita culturale.

La regione però vanta anche altre attrazioni turistiche di grande rilievo, come la città di Tivoli con la sontuosa Villa d’Este e Villa Adriana, entrambe Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO.

Il Lazio è anche noto per le sue pittoresche località costiere, come Gaeta, Sperlonga e le Isole Pontine, che offrono spiagge incantevoli e un ambiente mediterraneo suggestivo.

Dal punto di vista culturale, il Lazio si distingue per la sua cucina autentica e deliziosa, con piatti tradizionali come la pasta all’amatriciana, la coda alla vaccinara e i carciofi alla romana. Inoltre, la regione ospita numerosi eventi culturali, come concerti, spettacoli teatrali e festival.

Non sapete cosa visitare nel Lazio?

Beh, ogni luogo ha più di un buon motivo per essere visitato. Potrei però cercare di riassumere associando il nome di una località laziale alla sua caratteristica distintiva.

In primo luogo la capitale: Roma è conosciuta come la “Città Eterna” a causa della sua storia millenaria e della sua importanza nel corso dei secoli. È stata la capitale dell’antico Impero Romano e conserva numerosi monumenti e reperti storici che testimoniano la sua grandezza Roma è conosciuta come la “Città Eterna” a causa della sua storia millenaria e della sua importanza nel corso dei secoli. È stata la capitale dell’antico Impero Romano e conserva numerosi monumenti e reperti storici che testimoniano la sua grandezza passata.. Mica pizza e fichi!

Tivoli invece è la città delle ville. Situata a circa 30 chilometri da Roma, Tivoli è famosa per le sue splendide ville e giardini storici. Villa d’Este è uno dei principali punti di interesse, con i suoi incantevoli giardini rinascimentali e le fontane spettacolari. Un’altra attrazione di Tivoli è Villa Adriana, un’antica residenza imperiale romana, che offre una visione unica dell’architettura e della vita nell’antica Roma.

Non mancate di fare una capatina a Frascati, la città del vino. Frascati infatti è conosciuta per la produzione di vino bianco di alta qualità.

Civita di Bagnoregio, il paese che muore. Civita di Bagnoregio è un antico borgo costruito su un’altura di tufo e affronta il rischio di crollo a causa dell’erosione del terreno. Bellissima da vedere.

Viterbo è la città dei papi. Viterbo è famosa per essere stata la sede del conclave che elesse diversi papi nel corso dei secoli. C’è un episodio su questa bella città che vi consiglio di ascoltare e leggere.

Anzio è la città delle spiagge. Anzio è una località costiera che vanta belle spiagge e un’importante storia legata alla Seconda Guerra Mondiale.

Subiaco è la città dei monasteri. Subiaco è famosa per i suoi monasteri, tra cui il Monastero di San Benedetto, dove il santo fondatore dell’ordine benedettino visse per un certo periodo.

Ostia, la città antica. Ostia Antica è un sito archeologico che un tempo era il porto di Roma. Ci sono le rovine dell’antica città romana. Da non perdere.

Palestrina, la città della musica. Palestrina è nota per il suo importante patrimonio musicale e per essere la città natale del compositore rinascimentale Giovanni Pierluigi da Palestrina.

Gaeta, la città delle spiagge e degli ulivi. Gaeta è una splendida località costiera con spiagge dorate e numerosi ulivi che caratterizzano il paesaggio.

Castel Gandolfo, la città papale. Castel Gandolfo è famosa per essere la residenza estiva dei papi e per il suo affascinante lago vulcanico, il Lago Albano.

Cerveteri, la città degli etruschi. Cerveteri è nota per i suoi monumenti etruschi, in particolare la Necropoli della Banditaccia, un importante sito archeologico.

Calcata, il borgo artistico. Calcata è un affascinante borgo medievale che attrae artisti e creativi, con le sue strade pittoresche e la sua atmosfera bohémien.

Bracciano, la città del lago. Bracciano è famosa per il suo lago omonimo, il Lago di Bracciano, uno dei laghi vulcanici più grandi d’Italia. Il Castello Orsini-Odescahlchi poi dona a Bracciano un aspetto rinascimentale.

Questo castello è uno dei meglio conservati d’Italia ed è aperto al pubblico per visite guidate.

Fregene è una nota località balneare vicino a Roma, nota per le sue spiagge sabbiose e i locali alla moda.

Anguillara Sabazia, il borgo sul lago. Anguillara Sabazia è un grazioso borgo che si affaccia sul Lago di Bracciano, offrendo paesaggi suggestivi e romantiche passeggiate lungo il lago.

Sperlonga, la perla del Tirreno. Sperlonga è una splendida località sul mare, con spiagge incantevoli.

Nemi, il paese delle fragole. Nemi è conosciuta per la coltivazione delle fragole, che vengono festeggiate ogni anno durante la Festa delle Fragole.

Tarquinia, la città dei tumuli. Tarquinia è rinomata per i suoi tumuli etruschi, che sono state tombe monumentali risalenti all’epoca etrusca.

C’è anche il lago di Bolsena, più a Nord rispetto a quello di bracciano.

Il Lago di Bolsena è il lago vulcanico più grande d’Europa e si trova nella provincia di Viterbo. È noto per la sua bellezza naturale e la sua acqua cristallina. Le sue rive sono costellate da piccoli villaggi pittoreschi, tra cui Bolsena, Capodimonte e Marta, che offrono scorci suggestivi e atmosfera tranquilla. Uno dei principali punti di interesse del lago è l’Isola Bisentina, un’isola al centro del lago che può essere visitata in barca.

Rispetto a quello di Bracciano, Il Lago di Bolsena è più grande e offre una maggiore varietà di località da visitare lungo le sue rive.

Ci sono tanti piccoli paesi poi dove si svolgono particolari manifestazioni come ad esempio la corsa del Bigonzo di Canale Monterano.

La Corsa del Bigonzo a Canale Monterano
Fonte: https://www.parchilazio.it/schede-362-corsa_del_bigonzo

Il bigonzo (apriamo una breve parentesi) è un tipico recipiente in legno utilizzato in tempi passati per la vendemmia e questa corsa nasce proprio per portare una buona vendemmia, cioè una buona raccolta dell’uva per fare il vino. Un bambino entra nel Bigonzo e quattro baldi giovani, due a destra e due a sinistra, lo sorreggono con delle aste cercando di andare più velocemente possibile.

Ogni paese del Lazio in realtà, anche il più piccolo, può essere valevole di una visita, e tutti hanno una loro tipica manifestazione, soprattutto nel periodo estivo.

Quanto ai periodi dell’anno, la primavera (aprile-maggio) e l’autunno (settembre-ottobre) sono generalmente considerati i periodi migliori per visitare Roma e il Lazio. Durante questi mesi, le temperature sono piacevoli, generalmente tra i 15°C e i 25°C, e ci sono meno turisti rispetto alla stagione estiva. Si può godere di giornate più lunghe e scoprire le attrazioni senza subire il caldo intenso dell’estate.

L’inverno (dicembre-febbraio) a Roma e nel Lazio è generalmente mite, con temperature medie intorno ai 10°C-15°C. Puoi incontrare piogge occasionali, ma in genere non è un periodo di grande freddo. L’inverno offre l’opportunità di godere delle attrazioni senza grandi folle turistiche e talvolta è possibile trovare tariffe alberghiere più convenienti.

Seguono, solo nel file audio, alcune testimonianze dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente che sono state nel Lazio.

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La riunione dei membri dell’associazione 2023 – PROGRAMMA E FOTO

 

Programma 24-30 giugno 2023

Associazione Italiano Semplicemente

Giorno 1: sabato 24/06/2023
– Arrivo a San Vincenti (Toscana) dalle ore 11.

– Pranzo libero

– Visita di Radda in Chianti (45 min), pittoresco borgo. Passeggiata per le sue stradine medievali, ammirazione delle viste panoramiche sulla campagna toscana 

Cena in struttura

Giorno 2: domenica 25/06/2023
– Colazione in struttura
– in piscina in struttura per un po’ di relax. Carlos, Emanuele e Giovanni giocano a fare la “morsa”
– Visita alla città di Cortona e al suo centro storico

Giorno 3: lunedì 26/06/2023
– colazione in struttura
– Visita al castello di Brolio
– Cena in struttura. Cuciniamo noi dopo aver fatto la spesa.

Giorno 4: martedì 27/06/2023
– Colazione in struttura
– Visita al centro storico di Siena e alla sua famosa Piazza del Campo
– Ritorno e cena in struttura

Giorno 5: mercoledì 28/06/2023
– Colazione in struttura
– Firenze e visita alla Galleria degli Uffizi, il Ponte Vecchio, la Cattedrale di Santa Maria del Fiore e la Piazza della Signoria
– Pranzo in un ristorante locale fiorentino: Trattoria dell’orto 
– Ritorno e cena “dal Bandito”

Giorno 6: giovedì 29/06/2023
– Colazione in struttura
– Visita alla città di Pienza e al suo centro storico
– Pranzo in un ristorante a Pienza: La Piazzetta
– Ritorno e cena in struttura tutti insieme.

Giorno 7: venerdì 30/06/2023
– Colazione in struttura
– Saluti e alla prossima!

C’è di che, non c’è di che (ep. 953)

C’è di che, non c’è di che (scarica audio)

Giovanni:

C'è di che

Ricordate la locuzione “non avere di che“? Oggi ne vediamo una simile, dove si usa la forma impersonale.

Cosa si risponde a una persona che ci dice “grazie”?

Una delle possibili risposte è: “non c’è di che“, che è una risposta simile a “di niente” e “figurati”, “non preoccuparti”, “non c’è problema”, “non fa niente”, “non è un problema” e anche “prego“.

Si tratta semplicemente di una risposta di cortesia a chi ringrazia.

Non c’è di che” potremmo considerarla come l’abbreviazione di “non c’è motivo di ringraziarmi“, oppure anche di “non c’è di che ringraziare“, sebbene quest’ultima potrà apparire come alquanto strana come risposta ad un non madrelingua italiana.

In realtà “non c’è di che ringraziare” è del tutto analoga ad altre locuzioni simili che si usano molto spesso. Basta cambiare il verbo. Es:

Non c’è di che stupirsi

Non c’è di che meravigliarsi

Non c’è di che vergognarsene

Non c’è di che preoccuparsi

Non c’è di che vantarsi

Non c’è di che stare tranquilli

Non c’è di che stare allegri

Ecc..

Il senso è sempre simile: “non c’è motivo di…“, “non c’è ragione di…” e il concetto che si vuole esprimere è quello di una cosa scontata, che non dovrebbe determinare una preoccupazione, una vergogna, uno stupore eccetera.

Vediamo qualche esempio:

Non c’è di che stupirsi se un attaccante nel gioco del calcio possa essere acquistato alla cifra di 100 milioni di euro, considerando quanti soldi muove il mondo del calcio.

In Italia la democrazia è molto apprezzata. Non c’è di che meravigliarsi considerando cosa è successo quando c’era la dittatura.

Hai sempre pagato le tasse? E allora? Non c’è di che vergognarsene! Anzi, devi andarne fiero!

Mio figlio si è fatto una canna! Mia moglie dice che non c’è di che preoccuparsi, ma io mi preoccupo lo stesso! Mio figlio però se ne vanta e lo sta dicendo a tutti. Ma secondo me non c’è di che vantarsi per una cosa del genere.

La cosa interessante è che si usa questa modalità anche senza la negazione. Es:

In Italia ogni coppia fa mediamente poco più di un figlio. C’è di che riflettere!

Vuol dire che questa cosa fa riflettere, nel senso che viene da pensare ai motivi e alle conseguenze di questa realtà.

Spesso, quando non c’è la negazione, si utilizza in modo ironico, quindi la negazione ci dovrebbe stare ma non c’è. Es:

Le temperature stanno aumentando di anno in anno. C’è di che stare allegri, non credete?

Chiaramente in realtà non c’è proprio nulla di che stare allegri, cioè non c’è motivo di stare allegri!

Oppure:

Un mio amico ha 4 cani nel cortile, tutti senza museruola. Ogni volta che vado a trovarlo, quando mi apre il cancello c’è di che stare tranquilli!

Anche qui, in realtà ci sono molti motivi per avere preoccupazione!

Non sempre però si vuole esprimere ironicamente il senso opposto. Es:

La giornata oggi è cominciata malissimo! Appena mi sono alzato sono scivolato e sono caduto. Poi mi sono rovesciato il caffè addosso, poi ho dimenticato l’ombrello e mi sono bagnato dalla testa ai piedi. Adesso sono solamente le 12 e fino a questa sera c’è di che stare all’erta!

Quindi fino a stasera devo stare molto attento perché mi possono capitare ancora tante cose negative. Si tratta di un modo di enfatizzare il messaggio.

Quando non c’è la negazione c’è il senso del “motivo abbastanza valido”, o il senso della quantità che giustifica una risposta o una reazione o una conseguenza. Es:

Moltissime persone, su TikTok, pubblicano dei video in cui preparano delle ricette con degli abbinamenti assurdi. Si tratta di preparazioni molto fantasiose ma c’è di che far rabbrividire gli amanti del cibo italiano o della dieta mediterranea.

La frase “C’è di che far rabbrividire gli amanti del cibo italiano” significa che l’azione o la situazione descritte nella frase sono così stravaganti o inappropriate da poter provocare disgusto o sconcerto tra le persone che seguono la dieta mediterranea o che apprezzano l’alimentazione sana e tradizionale associata a quella dieta.

Quindi potremo dire che gli amanti del cibo italiano “hanno un motivo abbastanza valido” per potersi stupire e restare disgustati di fronte a queste preparazioni.

C’è dunque il senso della “quantità” di qualcosa o di un certo “livello” raggiunto, tale da giustificare una reazione o una conseguenza.

Vediamo altre frasi simili:

Molti italiani adulti sbagliano l’uso del verbo avere e non sanno mettere la lettera “h” correttamente (io ho, tu hai eccetera). C’è di che far saltare sulla sedia un professore di italiano!

Siete mai stati ad un matrimonio nel sud Italia? C’è di che fare indigestione!

Quindi gli insegnanti di italiano hanno un motivo abbastanza valido per saltare sulla sedia (per lo stupore) e gli invitati a questi matrimoni hanno abbastanza cibo da sentirsi male.

Altri esempi:

L’agenda dell’incontro è chiara e molto vasta, e quindi c’è di che parlare.

Il senso della “quantità” qui è molto evidente: “c’è di che parlare”, cioè ci sono molti argomenti di cui parlare.

Moltissimi insegnanti prediligono le spiegazioni di pura grammatica: c’è di che farsi venire il mal di testa ascoltandoli!

Come a dire: ci sono motivi abbastanza validi affinché possa insorgere un bel mal d testa!

Quest’estate in tutt’Italia ci saranno tantissime feste: sagre comunali, concerti, spettacoli in piazza. Insomma, c’è di che divertirsi, ma soprattutto c’è di che dare qualità al proprio tempo libero.

Chiaramente, se esiste “c’è di che” e “non c’è di che” esiste anche “ci sarà di che” e “non ci sarà di che”. Questo vale per il futuro ma vale anche per il passato: “c’è stato di che”, “non ci fu di che” eccetera.

Es:

Ci sarà di che divertirsi la prossima estate

Finché continuiamo a non fare nulla contro il riscaldamento globale, non ci sarà di che sperare.

Non c’è stato di che stupirsi quando il Presidente del consiglio si è dimesso, dopo tutte le figuracce che ha fatto!

10 anni fa non ci fu di che essere allegri quando perdemmo tutti i nostri risparmi.

Bene allora oggi, come forma di ripasso degli episodi precedenti, ripetete dopo di me le seguenti frasi:

Ad oggi non abbiamo ancora programmato le vacanze estive. Non c’è di che andarne fieri!

Dopo la sequela di incidenti che ho avuto la scorsa settimana, c’è di che farsi benedire.

Ciao, alla prossima

Alla prossima.

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