Una parvenza (ep. 1000)

Una parvenza (scarica audio)

Giovanni: Episodio n. 1000 della rubrica dei due minuti con Italiano Semplicemente.

In questo speciale episodio dal numero roboante voglio parlarvi della parvenza.

Parvenza è simile a apparenza, sembianza.

La parvenza rappresenta l’aspetto visibile, l’apparenza esteriore di qualcosa o qualcuno.

Come appare una persona agli occhi degli altri? Come appare una cosa qualsiasi? Quella è la parvenza.

Voi direte: ma ciò di cui parli non è il termine “aspetto”? Non è questo il termine che si usa?

Avete ragione, e infatti l’uso del termine parvenza va riservato a specifiche occasioni.

Quindi è vero che stiamo parlando di ciò che si manifesta agli occhi, ma si usa quasi sempre in modo figurato.

Parliamo in particolare di una vaga apparenza. Se c’è una parvenza di qualcosa vuol dire che questa cosa (parliamo di una caratteristica) appare, ma vagamente, debolmente. E’ come se questa caratteristica non fosse molto evidente, ma vagamente apparente.

Possiamo parlare di qualunque cosa, sia qualcosa che si vede fisicamente, come la “pulizia”, sia di caratteristiche diverse, come la legalità, giustizia, amicizia eccetera. Si tratta di caratteristiche positive.

Si vuole evidenziare, usando il termine parvenza, che queste caratteristiche appaiono solo vagamente, che somigliano vagamente a qualcosa di positivo, ma siamo ancora lontani.

Vediamo qualche esempio:

Leggo le previsioni del tempo, che prevedono un abbassamento della temperatura nei prossimi giorni, dopo il caldo che ha fatto ultimamente. Pare però che questa parvenza di fresco e clima gradevole non durerà a lungo.

Che significa? Significa che il freddo che arriverà sarà abbastanza leggero, un lieve abbassamento della temperatura, che non si può chiamare “freddo” perché non durerà molto. Una leggera rinfrescata temporanea, potremo dire.

Oppure:

Se devo ospitare degli amici a cena ed ho la casa non molto pulita. forse è il caso che io mi dia da fare per dare alla casa una parvenza di pulizia.

Anche qui, il messaggio che si vuole dare è che la casa deve apparire un minimo pulita, non dico che deve luccicare e che il pavimento e i mobili devono essere brillanti e senza un granello di polvere, ma almeno deve sembrare pulita.
Dare una parvenza di” si usa molto spesso.

Notate come il senso sia quello di simulare o creare l’apparenza di qualcosa senza che sia necessariamente reale o autentico. In altre parole, si tratta di rendere qualcosa simile o apparentemente simile a qualcos’altro, anche se non corrisponde realmente a ciò che sembra. Questa espressione può essere utilizzata in contesti in cui si cerca di ingannare o di dare un’idea fuorviante di qualcosa.

Potremo dire “migliorare l’apparenza” di qualcosa, “cercare di sistemare un po’ le cose” affinché sembrino migliori di quello che sono.

Non sempre però si tratta di ingannare le persone. L’inganno è qualcosa di molto forte e in genere non basta dare una parvenza di qualcosa. Però certamente aiuta!

Vediamo qualche altro esempio:

Datti una sistemata, non puoi uscire così con la tua fidanzata! Almeno pettinati, giusto per darti una parvenza di decenza.

In pratica si chiede che questo ragazzo appaia decente, almeno un minimo decente, e pettinare i capelli sicuramente aiuta in questa direzione. Si potrebbe anche dire “giusto per darti un minimo di decenza”.

Finalmente la mia squadra di calcio sta mostrando una parvenza di gioco collettivo! Fosse la volta buona che riusciamo a fare qualche punto!

Evidentemente il gioco di questa squadra sta migliorando e sta iniziando a mostrare segnali positivi: una parvenza di gioco collettivo. Anche qui potrei dire “si è visto un minimo di gioco”, o “si è intravisto qualcosa che somiglia ad un gioco di squadra“.

In questo caso sto usando “intravedere” in modo ironico, ma d’altronde anche l’uso del termine “parvenza” è spesso ironico.

Adesso chi si occupa di fare il ripasso del millesimo episodio?

André: Poco più di quattro anni fa esordiva sul sito italianosemplicemente.com la rubrica “due minuti con IS”! Al netto della fantastica capacità creativa di Giovanni, neanche per sogno avrei immaginato che sarebbero già stati creati mille episodi! Pensate un po’! Gianni ha creato praticamente 250 episodi all’anno, senza contare le altre rubriche!
Complimenti, Gianni, con un insegnante come te siamo a cavallo!
Hanno il mio plauso anche i membri dell’associazione che spessissimo assolvono egregiamente al compito di fare i ripassi degli episodi precedenti con grande coraggio e capacità. Avercene altri 1000 di membri così!

parvenza

la parvenza - manifesto

Toccare il fondo e raschiare il fondo del barile (ep. 999)

Toccare il fondo e raschiare il fondo del barile (scarica audio)

Giovanni: Episodio n. 999 della rubrica dei due minuti con Italiano Semplicemente.

Oggi vediamo l’espressione “toccare il fondo”, molto usata in tutt’Italia.

L’espressione “toccare il fondo” è un modo informale per indicare il raggiungimento del punto più basso in una situazione difficile o negativa.

L’espressione si utilizza quindi quando parliamo di una situazione già problematica, già negativa, quasi compromessa. Ma nel momento in cui si tocca il fondo, allora non si può ulteriormente peggiorare. Il fondo è proprio la parte più bassa.

Il termine “fondo” in questo contesto si riferisce metaforicamente al punto più basso o alla situazione peggiore in una determinata situazione. Non si riferisce letteralmente a un luogo fisico o a un oggetto concreto, ma piuttosto a un punto in cui una persona o una situazione si trova in una condizione estremamente difficile, negativa o critica. Ad esempio, quando si dice “toccare il fondo”, si intende che qualcuno ha raggiunto il punto peggiore in quella situazione, o sta affrontando una crisi profonda.

Si può esprimere lo stesso concetto in modo più formale o meno colloquiale utilizzando frasi come:

– Raggiungere il punto più basso.
– Trovarsi nella situazione peggiore possibile.
– Essere al culmine di una crisi.
– Essere in una situazione estremamente difficile.

Al limite anche:
– Trovarsi in un momento di grande difficoltà.

Queste alternative sono più adatte in contesti formali o professionali.

Quando si tocca il fondo, spesso c’è una colpa, altre volte invece no, e allora parliamo solamente di una situazione estremamente difficile.

Quando c’è una colpa, c’è stato un comportamento giudicato pessimo, che denota la mancanza assoluta di una qualità importante.

Es:

Quell’uomo non solo ha tradirlo la moglie, ma dopo averci fatto 5 figli l’ha abbandonata senza una lira per andare a divertirsi in Brasile. Ha veramente toccato il fondo!

Non sempre però c’è colpa. L’importante è la condizione in cui ci si trova:

La sua dipendenza da sostanze stupefacenti lo ha portato a toccare il fondo della disperazione.

Spesso si specifica, come in questo caso: “il fondo della disperazione”.

La società era sull’orlo del fallimento e ha toccato il fondo finanziariamente.

La squadra di calcio ha toccato il fondo della classifica, perdendo tutte le partite.

In questo caso il senso non è metaforico. Infatti il fondo della classifica è la parte più bassa, quindi questa squadra è arrivata a essere l’ultima in classifica, quindi ha toccato il fondo della classifica.

Dopo anni di lotta contro la depressione, finalmente Maria sembra stia uscendo da quel periodo in cui aveva toccato il fondo.

Dopo anni di cattiva alimentazione e sedentarietà, la salute di Fernando ha toccato il fondo, costringendolo a cambiare stile di vita.

C’è un’espressione simile: “raschiare il fondo del barile“, ma non è proprio uguale a “toccare il fondo”. Entrambe le espressioni indicano il raggiungimento del punto più basso o il peggioramento di una situazione, ma hanno sfumature leggermente diverse:

“Toccare il fondo” implica come detto che qualcuno o qualcosa ha raggiunto un punto molto basso in termini di condizione, situazione o stato d’animo. Si concentra sulla difficoltà o sulla crisi in atto.

“Raschiare il fondo del barile” si riferisce più specificamente a scavare o cercare in profondità per ottenere ciò che resta, spesso in riferimento a risorse o opportunità esaurite. Può indicare che si stanno cercando le ultime risorse disponibili, senza necessariamente sottolineare la difficoltà emotiva o la crisi. Quasi sempre si parla di soldi.

Questa è un’altra differenza rispetto a toccare il fondo, in cui non si parla necessariamente di problemi economici.

Se ad esempio mi restano pochi euro nel portafogli, e poi non avrò più nulla, posso dire che sto raschiando il fondo del barile, nel senso che ho quasi finito i soldi. Infatti “raschiare“, nel senso proprio, significa grattare una superficie con uno strumento appuntito o affilato per rimuovere detriti, sporco o sostanze attaccate alla superficie. Ad esempio, puoi raschiare il ghiaccio dal parabrezza dell’auto con un raschietto, o puoi raschiare il fondo di una pentola per rimuovere cibo bruciato.

Il barile in senso letterale, è il nome di un contenitore, usato normalmente quando si parla di petrolio o merci. Nel caso del petrolio infatti si parla normalmente di “prezzo al barile”, cioè il prezzo di un barile di petrolio.

In questo caso invece rappresenta un recipiente immaginario contenente risorse, opportunità, denaro, quindi quando si raschia il fondo del barile queste risorse sono praticamente terminate.

Adesso ripassiamo. Chiedo ai membri dell’associazione di parlarmi di problemi economici, specie quelli in cui si tocca il fondo.

Marcelo: Non posso capacitarmi di come il mio paese (l’Argentina) sia arrivato a questa brutta situazione economica, la peggiore della sua storia. Un paese con molte risorse naturali, diversità di clima, vaste aree produttive. Nella Banca Centrale stanno raschiando il fondo del barile. Non ci sono più riserve di valuta estera, anzi sono negative| Vai a capire dove andremo a parare. Ci siamo veramente impelagati!

Ulrike: Che vuoi che ti dica Marcelo! So che non è nemmeno un contentino, ma devo dirti che anche in Germania c’è gente a iosa, e aumenta sempre di più, che si trova impelagata in problemi economici e non riesce a sbarcare il lunario. Per lo più si tratta di persone che subiscono salari irrisori. I problemi economici di chi lavora (diciamo pure la povertà) e le buste paga irrisorie sono un binomio inscindibile.

Irrisorio (ep. 998)

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Gina: Episodio n. 998 della rubrica dei due minuti con Italiano Semplicemente.

Giovanni: eh sì, non è proprio una quantità irrisoria di episodi questa: 998!

Allora vediamo come usare questo aggettivo “irrisorio“, che al femminile è chiaramente “irrisoria“.

Si può usare sia con riferimento ad un numero, come ho appena fatto io, quindi una quantità di qualcosa, ma anche per qualcosa che non si esprime in termini matematici. Ciò che conta è che si tratti di una misura assolutamente inadeguata a qualche scopo, insufficiente e spesso anche offensiva.

Riguardo all’inadeguatezza, oltre all’esempio che ho fatto all’inizio, posso dire:

Ho una quantità irrisoria di anni rispetto a quanto tempo è necessario per diventare un esperto in questa materia.

In questo contesto, sto scherzando sul fatto che sono giovane o inesperto in un determinato campo.

Ma perché ho parlato di una misura “offensiva“?

Si sente spesso parlare di salari irrisori, di stipendi irrisori, di paghe irrisorie.

L’aggettivo “irrisorio” viene utilizzato in questo modo, cioè per esprimere che qualcosa è ridicolmente piccolo, insignificante, esiguo, o inadeguato rispetto a ciò che ci si aspetterebbe, rispetto a ciò che sarebbe giusto. Abbiamo visto in un episodio il termine “sparuto“, che esprime proprio una quantità irrisoria, e in particolare una quantità irrisoria di persone.

Il termine “valore” probabilmente è la parola chiave di questo episodio.

Se qualcosa è irrisorio è troppo piccolo rispetto ad un valore di riferimento, proprio come uno stipendio irrisorio.

Quel lavoro vale molto di più di quanto viene pagato. Per questo lo stipendio viene definito irrisorio.

E’ offensivo pagare così poco un lavoratore. Il valore del suo lavoro è molto più alto, molto più elevato di quanto non dica il suo esiguo stipendio.

Ecco un altro esempio:

Abbiamo intenzione di vendere il nostro appartamento, ma l’offerta che ci hanno fatto era così irrisoria che abbiamo rifiutato subito.

In questo caso, “irrisoria” viene utilizzato per enfatizzare che l’offerta era così scarsa da essere considerata ridicola o inadeguata. L’aggettivo viene utilizzato per indicare che il valore o l’importanza dell’offerta erano molto bassi. La casa ha un valore maggiore dell’offerta, che quindi è irrisoria. Quindi anche un prezzo, in generale, può essere irrisorio. Un prodotto che ha un prezzo irrisorio viene svalutato fino all’incredibile o al ridicolo.

Es:

Ho acquistato un appartamento a un prezzo irrisorio.

C’è una notevole discrepanza tra ciò che ci si aspetterebbe e ciò che è in realtà. “Discrepanza” si riferisce a una differenza, un divario o una incongruenza tra due cose. Parliamo di una quantità o una qualità di qualcosa che è così bassa o inadeguata che sembra sorprendente o fuori luogo.

Parliamo anche di qualità dunque: qualità che sono giudicate estremamente basse o inadeguate rispetto al contesto o alle aspettative.

Ad esempio, se qualcuno presenta un lavoro di scarsa qualità si potrebbe dire che:

La qualità del lavoro è irrisoria

sottolineando che è inadeguata rispetto alle aspettative o agli standard previsti per quella situazione.

Notate poi che non è che detto che parliamo di inadeguatezza. Una cosa irrisoria potrebbe anche essere positiva.

Ad esempio, se ho una azienda che produce mobili, potrei usare diversi materiali, più o meno costosi. Posso allora dire che:

La scelta di materiali più economici ha causato una perdita di qualità irrisoria nei mobili, ma ha permesso di ridurre i costi di produzione.

Quindi scegliendo materiali più economici si ottiene una diminuzione insignificante o trascurabile della qualità, sottolineando che, sebbene vi sia una perdita di qualità, questa è così piccola da non essere ritenuta significativa o grave.

Il termine “irrisorio” è però soggettivo, quindi può variare da persona a persona. Ciò che una persona considera irrisorio potrebbe non esserlo per un’altra.

Mi chiedo adesso: una persona può definirsi irrisoria? La risposta è sì.

es:

Non essere irrisorio!

Si può dire che una persona ha un comportamento irrisorio, in una certa circostanza, se è irriguardosa, cioè se manca di rispetto a una persona, se è irrispettosa nei suoi confronti, se ha un comportamento derisorio (si dice anche così), se cioè la prende in giro, se la deride, se la vuole ridicolizzare, se vuole mettere questa persona in imbarazzo, se vuole farla sentire inadeguata, se ha in generale un comportamento offensivo nei suoi confronti.
es:

Il comportamento irrisorio di Pietro durante la riunione aziendale ha offeso molte persone presenti, rendendo difficile qualsiasi discussione seria.

Il modo in cui si è comportato il direttore con il nostro collega è stato semplicemente irrisorio. Ha fatto commenti offensivi e ha cercato costantemente di metterlo in imbarazzo davanti agli altri.

Durante il colloquio di lavoro Emanuela, ad una domanda seria che le hanno fatto, ha dato una risposta irrisoria. In questo modo ha dimostrato una mancanza di rispetto e maturità, danneggiando le sue possibilità di essere assunta.

Adesso ripassiamo. Ditemi, cari membri dell’associazione, come fare secondo voi per esprimere una critica verso un vostro collega di lavoro che ha svolto un lavoro in modo pessimo.

Mi raccomando, siate irrisori!

Albèric: Gianni te lo dico in via amichevole, non ti ha mai sfiorato l’idea che così com’è, non possiamo assumere la paternità di questo lavoro? Io non ne avrei il coraggio e anche tu dovresti essere reticente a presentarlo ai clienti! Dai, so che non sei un nullafacente. Datti da fare prima che ci riduciamo all’ultimo!

Edita: Albèric, figurati se Gianni fosse l’unico dipendente al mondo irresponsabile! Un mio collega di recente, per l’ennesima volta non è riuscito a vincere la sua pigrizia e non ha fatto ciò che doveva fare nei tempi stabiliti. Così, anziché presentare al cliente un lavoro coi fiocchi, come dovuto, nisba! Mi accarezza sempre di più l‘idea di dirgli la mia in modo molto diretto perché oltre alla pigrizia che lo contraddistingue, come se non bastasse, è anche duro di comprendonio.

Marcelo: Ragazzi, non arriveremo in tempo alla data di scadenza del progetto! Dobbiamo rifarlo da capo! È un lavoro fatto alla carlona! Peggio direi: è fatto a cazzo di cane! Ho un vago presentimento sul colpevole… Mettiti a capofitto dai, ragazzo. Alludevo proprio a te.

irrisorio

I verbi porre e porsi (ep. 997)

Porre e porsi (scarica audio)

Giovanni: il verbo porre non si usa moltissimo, ma ci sono alcune occasioni in cui diventa inevitabile.

Iniziamo con il dire che il significato di base di porre è “mettere” o “collocare” e viene utilizzato per descrivere azioni come:

Mettere un oggetto su un tavolo.

ES:

Porre una matita su un tavolo.

È più formale di mettere. Si usa ad esempio quando si fa un concorso e si danno istruzioni ai partecipanti:

Ponete cortesemente la carta d’identità sul banco

In senso figurato, mettere (e quindi porre) si può usare anche in questo modo:

Porre attenzione su qualcosa

Es

Adesso ponete attenzione su ciò che sto dicendo

Ponete attenzione quando state alla guida

Si pregano i gentili passeggeri di porre attenzione ai borseggiatori

Anche questo è un uso meno informale rispetto a “mettere”. Chiaramente anche “fare attenzione” è una possibilità, e tra l’altro è molto più utilizzata rispetto a mettere e porre parlando di “attenzione“.

Si usa come alternativa al verbo “fare” , ancora una volta meno informale, anche quando si “fa” una domanda.

Posso dire infatti:

Porre una domanda

Es: Se volete porre una domanda al professore, potete farlo al termine della lezione.

Porre si può usare anche per fare delle ipotesi: “poniamo che…” Equivalente ma più formale rispetto a “mettiamo che…” e equivalente anche a “ipotizziamo che…”. Per saperne di più date un’occhiata all’episodio di italiano professionale in cui si parla di situazioni ipotetiche. 

Es:

Poniamo che io vi insulti pesantemente. Come reagireste?

Altri modi di usare il verbo porre sono:

Porre in evidenza

Porre a confronto

Porre in relazione

Porre a rapporto

In tutti questi casi, il verbo “porre” viene utilizzato in senso figurato per esprimere l’idea di mettere o collocare qualcosa o qualcuno in una situazione specifica o per scopi particolari, diversi dall’uso letterale del verbo.

Quando si “pone in evidenza” qualcosa, si sta sottolineando, mettendo in risalto o enfatizzando un particolare aspetto o caratteristica. Ad esempio:

Il capo ha posto in evidenza i dettagli del suo programma

Quando invece si “pongono a confronto” due o più cose, si stanno valutando le loro differenze o somiglianze. Ad esempio:

È interessante porre a confronto le culture di questi due paesi.

“Porre a rapporto” ha lo stesso uso. Si usa però anche in matematica quando si fa una divisione; infatti ogni divisione si esprime attraverso il rapporto tra due valori o numeri o grandezze.

Porre in relazione” è leggermente diverso, perché qui, “porre” significa “mettere in una connessione” o “collegare”. Quando si “pongono in relazione” due o più elementi, si sta esaminando come essi sono legati tra loro o come interagiscono. Ad esempio:

Questo libro pone in relazione la storia e la cultura della Regione Lazio.

Adesso passiamo a porsi.

Quando si pone sé stessi, il verbo porre diventa “porsi“.

Porsi” è quindi una forma riflessiva di “porre“.

Si usa per esprimere l’atteggiamento o l’approccio nei confronti di una situazione.

Es:

Mi pongo obiettivi realistici

Mi pongo delle domande sulla mia vita

Quindi posso pormi degli obiettivi, nel senso di stabilire degli obiettivi che intendo raggiungere.

Nel caso delle domande posso ugualmente anche usare “fare” (o farmi) ma non se parlo di obiettivi.

Stavolta posso sostituire il verbo porsi con “stabilire“, o “fissare” ma con porsi c’è più l’idea dell’impegno personale, essendo riflessivo, e si usa più facilmente in tante occasioni poco formali. Stabilire e fissare suonano più professionali stavolta.

Posso anche usare “prefissarmi/prefiggermi di raggiungere un obiettivo” mantenendo la forma riflessiva e quindi il senso dell’impegno personale.

Un’altra cosa che normalmente si pone (quindi non in senso riflessivo) sono delle condizioni. Anche in questo caso “stabilire” è un adatto sostituto di porre.

I terroristi hanno posto delle condizioni alla base del rilascio dei prigionieri

Quindi porre delle condizioni equivale a stabilire, fissare delle condizioni.

Tornando a “Porsi“, anche col verbo riflessivo possiamo parlare di condizioni:

Porsi nelle condizioni

Quando qualcuno si pone nelle condizioni di fare qualcosa, sta creando le circostanze o le condizioni necessarie per svolgere un’azione o per affrontare una situazione specifica.

Es:

Per ottenere un prestito, devi porti nelle condizioni richieste dalla banca, adempiendo a determinati requisiti di credito e finanziari.

Anche in questo caso si può usare il verbo “mettere“.

Per aiutarti, mi devi mettere/porre nelle condizioni di poterlo fare!

Parliamo sempre di creare le condizioni necessarie per raggiungere un obiettivo o affrontare una situazione specifica.

Il verbo “porsi“, riguarda molto spesso  un atteggiamento personale di tipo interiore.

C’è infatti un altro modo per usare questo verbo.

Es:

Come ti poni con i tuoi clienti? Ti poni in modo aggressivo o come una persona riflessiva?

Giovanni non riesce a porsi nel modo giusto ogni volta che conosce una ragazza.

Il “modo di porsi” riguarda il modo con cui siamo percepiti dal prossimo, o meglio, l’impressione che facciamo verso gli altri.

Il “modo di porsi” si riferisce quindi all’atteggiamento, al comportamento o alla disposizione di una persona in una determinata situazione o verso qualcun altro. In altre parole, si tratta di come una persona si comporta o si presenta in relazione agli altri, alle circostanze o a un particolare contesto. Il modo in cui una persona si pone può essere riflessivo, amichevole, aggressivo, timido o in qualsiasi altro modo che descriva il suo atteggiamento o il suo comportamento.

Nel primo esempio, “Come ti poni con i tuoi clienti? Ti poni in modo aggressivo o come una persona riflessiva?”, si sta chiedendo come la persona interagisce con i suoi clienti e se mostra un atteggiamento aggressivo o riflessivo nel suo comportamento.

Nel secondo esempio, “Giovanni non riesce a porsi nel modo giusto ogni volta che conosce una ragazza,” si sta dicendo che Giovanni ha difficoltà a mostrare l’atteggiamento o il comportamento appropriato quando incontra una ragazza. In altre parole, potrebbe comportarsi in modo goffo, timido o inappropriato.

Non parliamo generalmente di vestiti e di aspetto esteriore, anche se a volte si usa anche in questo senso. Es:

Un dipendente di una banca che indossa una maglietta al posto di giacca e cravatta non si pone con i clienti in un modo professionale. Possiamo dire che si pone in modo sbagliato.

Sicuramente mi sto dimenticando altri modi di usare porre e porsi, perché sono veramente tanti.

Mi viene in mente ad esempio solo ora “porre in essere“. che significa mettere in atto o realizzare qualcosa. È spesso utilizzata per riferirsi all’atto di mettere in pratica un’azione, un progetto o un’idea. Ad esempio, se qualcuno dice di “porre in essere un piano” significa che sta mettendo in atto o attuando un piano specifico. In altre parole, si tratta di tradurre in azione ciò che è stato pianificato o progettato.

Es:

L’azienda porrà in essere una strategia di espansione globale, aprendo nuove filiali in diversi paesi

Il docente ha posto in essere un nuovo metodo didattico per coinvolgere gli studenti in attività più interattive e coinvolgenti

Il governo ha annunciato l’intenzione di porre in essere un piano di vaccinazione su larga scala per combattere la diffusione di una malattia contagiosa.

Poi c’è anche “porre rimedio” che significa agire per correggere o risolvere una situazione problematica o un errore. Quando qualcuno “pone rimedio a qualcosa” sta cercando di trovare una soluzione o prendere misure per affrontare un problema o mitigare un danno che è stato causato.

Es:

Come porre rimedio all’inquinamento?

Mi sono accorto degli errori fatti e ho cercato di porre rimedio

A volte si usa anche “porre riparo” con lo stesso senso, che ha un senso diverso di “porsi al riparo“, che si usa in senso simile a ripararsi o proteggersi o mettersi al sicuro prima che accada qualcosa:

Poiché il meteo prevedeva una forte tempesta, la famiglia ha deciso di porsi al riparo in casa anziché andare al picnic.

L’azienda ha cercato di porsi al riparo dagli effetti negativi dell’instabilità economica diversificando i propri investimenti

Quindi rispetto a “porre rimedio a qualcosa” che si usa dopo che è accaduto qualcosa di negativo, “porsi al riparo da qualcosa” è un’azione precedente all’evento negativo. Sta per “prendere misure per proteggersi da situazioni potenzialmente negative” o per evitare conseguenze dannose.

Ora posso porvi una domanda?

Poniamo che io vi chieda un ripasso (che volete, bisogna usare il congiuntivo) che parla del vostro modo di porvi. Cosa mi direste voi?

Andrè: Se sono al lavoro nel momento in cui si svolgono le videochat dell’associazione Italiano Semplicemente come potrei partecipare? Questa è la domanda che mi pongo! Essendo una domanda retorica, tra l’altro, nessuno risponde!

Albèric: Quanto a me, mi pongo spesso l’obiettivo di ripassare almeno due episodi al giorno, dicendomi: questa “sarà la volta buona” che mi metto in pari con le lezioni mancanti. Poi invece, come c’era da aspettarsi, scopro che ci sono 10 nuovi episodi e dico: vaffancina!!!!

Marcelo: Ogni giorno quando mi alzo, mi chiedo come sarà il nuovo giorno: sarà bello, sarà bel tempo oppure no? E non appena alzo la persiana avvolgibile, a prescindere dal tempo, vedo il solito paesaggio mozzafiato, allora ringrazio Dio e mi dico: avanti Marcelo, anche oggi il problema non si pone!

Impelagarsi, mettersi in un pelago (ep. 996)

Impelagarsi, mettersi in un pelago (scarica audio)

Giovanni: tutti noi, prima o poi nella vita, ci capita di impelagarsi in qualcosa.

Non è una cosa piacevole. Questo è bene dirlo subito.

Il verbo “impelagarsi” indica l’atto di coinvolgersi o ritrovarsi in situazioni complesse, in intricati affari, o difficoltà da cui è complicato uscire.

È un termine che esprime il concetto di essere intrappolati o coinvolti in modo involontario in situazioni problematiche. Alcuni sinonimi di “impelagarsi” potrebbero essere “avvilupparsi,” “avvolgersi,” “incastrarsi,” “coinvolgersi in complicazioni,” o “immergersi in situazioni intricate.”

Impelagarsi evidenzia chiaramente il concetto di difficoltà e complicazioni associate a tale avventura.

Si usa anche espressione “mettersi in un pelago.”

Un pelago di guai” è sicuramente quello più usato, ma non è necessario specificare.

Es:

Ti sei impelagato in una relazione con una donna sposata che ti porterà solo problemi.

Se continui a frequentare quelle persone, rischi di impelagarti in un mare di guai.

Non acquistare una casa troppo costosa. Rischi di impelagarti nei debiti.

Mi sono messo in un pelago da cui non uscirò mai.

Ma cos’è il pelago?

Avete presente l’Arcipelago? Si chiama così un gruppo di isole o isolette disposte in prossimità l’una dell’altra. Le galapagos, le Maldive, l’arcipelago delle Isole Hawaii, eccetera. Questi sono famosi arcipelaghi.

Invece il “pelago” rappresenta, nel senso proprio, una porzione di mare aperto. Deriva dal greco e significa proprio “mare”. Rappresenta la vastità del mare.

Posso allora dire, ad esempio:

Il professore si è specializzato nello studio dei vari ecosistemi che si trovano in un pelago

Parliamo quindi di una porzione di mare da qualche parte.

Ma nel senso figurato è simbolo di situazione o vicenda difficile, pericolosa, o anche di quantità eccessiva, che non serve a niente e anzi è qualcosa di nocivo.

Un pelago di guai è dunque una quantità di guai molto grande.

“Mettersi in un pelago di guai” (cioè impelagarsi) quindi significa entrare in una situazione difficilissima dalla quale si fa fatica a uscire.

Il termine pelago però può anche essere usato semplicemenete per indicare qualcosa di grande, vasto, senza confini, e non necessariamente essere legato a guai e problemi.

Es:

La mente dell’artista era come un pelago di creatività, sempre in fermento con nuove idee.

Il viaggiatore si sentì piccolo e insignificante quando contemplò l’immensità di un pelago di stelle nel cielo notturno.

Potete sbizzarrire la vostra creatività nell’uso di questo termine. Chiaramente l’obiettivo deve essere legato a qualcosa possibilmente di immateriale.

Possiamo anche parlare di un “pelago di persone” per indicare che sono tante, ma in genere si usa per dare un tocco di classe, di eleganza, di creatività o di romanticismo a una frase.

A seconda dello scopo della frase, potrei anche usare altri termini soprattutto se parlo di persone.

Ad esempio, Umberto Eco ha detto che con lo sviluppo dei social media si dà la parola a una “legione di imbecilli”.

Qui lo scopo è completamente diverso e Eco ha deciso di usare la “legione“, un termine militare che indica un gruppo molto numeroso di soldati.

In senso più dispregiativo potrei usare “mandria“, che in senso proprio indica un gruppo di “animali”.

Potrei usare anche “combriccola” in altre occasioni e altri termini ancora. Non voglio però impelagarmi in spiegazioni troppo lunghe e nell’evidenziare tutte le differenze che esistono tra i vari termini.

Tra l’altro ci sono anche altri verbi che si avvicinano al verbo impelagarsi, tipo perdersi o impantanarsi.

Vi lascio invece al ripasso di oggi dove i membri dell’associazione Italiano Semplicemente parlano del loro rapporto con la musica.

Anthony: Apprezzo un’ampia gamma di musica però non è mai stato nelle mie corde fare il musicista e quindi non ho mai dato seguito a questo mio apprezzamento. Rimane una fonte di rammarico nella mia vita. Fortunatamente però ho scoperto di essere votato alla medicina, e con queste competenze riesco almeno a campare. Sarà per la prossima vita!

Ulrike: Se penso al mio rapporto con la musica, in primo luogo mi viene in mente il lungo periodo della mia infanzia e adolescenza in cui suonavo il violino. Benché portata per lo strumento, almeno a parere dei miei insegnanti insistenti, dopo 8 anni di studio e competizioni musicali, per tutta risposta e senza remore ho chiuso per sempre la custodia del violino.

Marcelo: Da piccolo, alle scuole elementari, ero volto agli studi di musica e mi piaceva! Eccome! Ero parte di un complesso musicale e suonavo il tamburo. Col tempo e senza che nessuno caldeggiasse un mio futuro dedicato allo strumento, ho smesso il mio rapporto con la musica. Vai a capire perché! Ora, a posteriori e a ragion veduta, posso dire che è molto importante assecondare un bambino nello sviluppo dei suoi gusti e inclinazioni. Peccato!

Andrè: non so che ne pensate, ma quando esco con gli amici per una cena o per fare un aperitivo nel posto dove andiamo deve per forza esserci la musica dal vivo, sennò nisba! Non importa il ritmo, sebbene io sia un po’ nostalgico e preferisca le musiche degli anni 60 70 e 80! Se poi è anche musica brasiliana ben venga!

Una pallida e una fedele imitazione (ep. 995)

Una pallida e una fedele imitazione (scarica audio)

Giovanni: Sì, “pallida”, come avete letto nel titolo, è un aggettivo che può essere utilizzato anche per descrivere un’imitazione. Lo abbiamo già visto parlando di idee, ricordate l’espressione non avere la più pallida idea?

Ma cos’è una imitazione? Il termine “imitazione” può avere diversi significati a seconda del contesto in cui viene utilizzato:

L’Atto di imitare si riferisce ad esempio nel copiare o riprodurre il comportamento, l’aspetto, le azioni o le caratteristiche di qualcun altro. Questo può riguardare persone, oggetti, stili, suoni, ecc. In ogni paese ci sono imitatori, comici che imitano il presidente, l’attore, il personaggio famoso.

L”imitazione può essere una riproduzione che assomiglia o si avvicina all’originale, ma non è l’originale stesso.

Nel settore artistico, l’imitazione può riguardare l’arte di riprodurre o reinterpretare opere d’arte, stili o movimenti artistici esistenti.
Nel mondo del design, l’imitazione può riferirsi alla creazione di prodotti che assomigliano o sono ispirati a prodotti esistenti, spesso per scopi commerciali.

Noi in Italia ne sappiamo qualcosa, perché i prodotti italiani sono spesso imitati, e in genere con scarso successo. Parmigiano, scarpe, vestiti eccetera.

Quando una imitazione non si avvicina all’originale, potremmo usare diversi aggettivi o modalità per descrivere questo.
Uno dei modi è usare l’aggettivo “pallida“. Una pallida imitazione.

In genere, viene impiegato per sottolineare che l’imitazione non è molto convincente o non ha catturato adeguatamente le caratteristiche dell’originale. Ad esempio, se qualcuno fa un’imitazione di una celebrità e questa imitazione non è molto accurata (un aggettivo meno informale questo) potresti dire che è “pallida” nel senso figurato che manca di vivacità o dettagli. È importante notare che “pallida” è usato in senso critico e è considerato un termine negativo quando si parla di imitazioni.

Es: la crostata che ho fatto è una pallida imitazione di quella che sa fare mia moglie.

Cioè: è tutta un’altra cosa, non somiglia per niente, non ha niente a che vedere, ha un sapore e un aspetto totalmente diverso dalla crostata di mia moglie, ma mentre le modalità che ho appena usato possono significare sia che sono migliori, sia il contrario, dire che è una pallida imitazione non lascia spazio a alcun dubbio. La mia crostata è una ciofeca!

Al contrario, se somiglia moltissimo all’originale, potrei usare l’aggettivo “fedele“.

Una fedele imitazione è un complimento perché dimostra un alto livello di abilità nell’imitare o riprodurre qualcosa con grande precisione.

Una “fedele imitazione” si riferisce a un tipo di imitazione o riproduzione che è molto accurata e precisa nell’imitare l’originale. In questo caso, l’imitazione è così simile all’originale che cattura in modo dettagliato le caratteristiche, le qualità o le peculiarità dell’oggetto o del soggetto che si sta imitando.

Una fedele imitazione cerca di replicare l’originale nel modo più esatto possibile, in modo che possa essere difficile distinguerla dall’originale.

È proprio uguale all’originale, tale e quale, spiccicata, una fotocopia, pari pari all’originale, sputato. Alcune di queste sono più informali (pari pari, spiccicato, sputato) ma tutte implicano che non c’è alcuna differenza apprezzabile tra la riproduzione e l’originale.

Ma che ne pensano i membri dell’associazione Italiano Semplicemente delle imitazioni? Avete esempi da farmi per ripassare gli episodi passati?

Sofie: Spero che le imitazioni che si fanno di Papa Francesco, che a me piacciono molto, non siano un tabù da nessuna parte. Sono davvero divertenti. A proposito, di imitatore (involontario) di Sua Santità ne abbiamo uno anche noi dell’associazione.

Marcelo: Cari fratelli, forse Sofie allude al sottoscritto?
Scherzi a parte,
quando parliamo di imitazioni dobbiamo tener conto di diversi aspetti. Il primo è il più importante, e, se vogliamo, riguarda l’apprendimento. I bambini difatti imparano proprio per imitazione e anche gli adulti in fondo, ma in misura minore. Il problema è l’imitazione intesa nel senso di voler spacciare qualcosa per l’originale. Queste cose se le osservi nei dettagli, però, non sono mai perfettamente conformi all’originale. Qui gatta ci cova quasi sempre e se ci caschi! … povero te!
Ah dimenticavo di ricordarvi di pregare per me!

André: Avete mai visto Gianni giocare a calcetto? il nosso presidente conosce come pochi i segreti di questo sport! Durante le partite spesso ci regala una caterva di dribbling e assist. Mi chiedo se se la senta di fare l’imitazione di Leo Messi.

Rompere e sfatare un tabù (ep. 994)

Rompere e sfatare un tabù (scarica audio)

tabù

Giovanni: Per spiegare il termine tabù, vi ricordo che è stato usato in uno degli ultimi episodi, all’interno di un ripasso. La frase era la seguente:

Estelle (Francia): Non vorrei stigmatizzare tutto un popolo, ma è risaputo che i francesi sono reticenti a rivelare i loro stipendi. Parlare di denaro è tabù come se guadagnare denaro fosse qualcosa di sconveniente. Questo sebbene le persone lavorino tanto. in altri paesi invece è un simbolo di riuscita personale. Vai a capire!

Giovanni: evidentemente Estelle, di cui avete appena ascoltato la voce, conosce già il termine tabù.

Quando qualcosa è tabù, parliamo di un argomento sensibile. Parliamo di un tema delicato. Tabù somiglia a “vietato”, ma parliamo di qualcosa che ha a che fare con qualcosa che, in quel luogo, per quella persona, per quella determinata circostanza, pone un particolare tipo di ostacolo, e questo ostacolo ha normalmente a che fare con la “morale”.

Inizialmente, il termine “tabù” (che deriva dalla lingua polinesiana, in particolare dalla lingua tahitiana) era utilizzato per riferirsi a pratiche culturali o religiose che vietavano o proibivano determinati atti o oggetti per ragioni sacre o culturali. Nel tempo, il termine è stato adottato in altre lingue e ha assunto un significato più ampio, riferendosi a qualsiasi cosa che sia considerata proibita o vietata per motivi morali, sociali o religiosi.

Oggi è un termine ampiamente utilizzato per riferirsi a argomenti, pratiche o concetti considerati sensibili o vietati in una determinata cultura o società.

Un “argomento tabù“, ad esempio, è un argomento di cui non si parla, o si parla con estrema difficoltà. E’ un argomento o una questione che è meglio evitare o trattare con cautela in una determinata situazione o contesto.
Ci sono diversi modi alternativi per indicare questo tipo di argomenti:

  • Tema delicato.
  • Materia vietata.
  • Tema/Soggetto controverso.
  • Discorso proibito.
  • Materia off-limits.
  • Conversazione inappropriata.
  • Argomento non idoneo.
  • Discussione da evitare.
  • Argomento spinoso

Ciò che è considerato un argomento tabù in una determinata società o cultura può derivare dalle credenze morali e dalle norme etiche di quella società. Estelle poco fa parlava del fatto che parlare del proprio guadagno è tabù in Francia. C’è una sorta di barriera morale.

La morale è una guida per ciò che è considerato giusto o sbagliato da un punto di vista etico. Gli argomenti tabù spesso riguardano questioni che vengono percepiti come moralmente sensibili, e il desiderio di evitare tali argomenti può derivare dalla volontà di rispettare le convinzioni e i sentimenti degli altri o di evitare conflitti morali o etici.

Tuttavia, è importante notare che le concezioni di ciò che è morale o immorale possono variare notevolmente tra le culture e le persone. Quindi, ciò che è considerato un argomento tabù in una cultura potrebbe non esserlo in un’altra.

Tabù si usa spesso soprattutto in queste circostanze, per evidenziare particolarità, prerogative specifiche. Non si parla solamente di argomenti di cui si può o non si può parlare, ma anche di cose che non è accettato che vengano fatte. Vediamo qualche esempio:

  1. Per alcune religioni, c’è un forte tabù contro il consumo di carne di maiale.
  2. Per alcuni, la sperimentazione sugli animali è considerato un tabù etico, mentre per altri è accettata per scopi scientifici.
  3. Nella nostra famiglia, è da sempre considerato un tabù parlare delle questioni sessuali personali.
  4. Gli uomini possono portare la gonna? In Italia è tabù, ma gli scozzesi non la pensano allo stesso modo.
  5. La squadra della Roma andrà a giocare a Torino contro la Juventus. Un campo in cui la Roma non vince da 10 anni. Stavolta la Roma spera di rompere il tabù.

Rompere il tabù” ho detto. Infatti si usa dire così quando si cerca di superare questo ostacolo, questa restrizione. Nel caso della partita di calcio, chiaramente, non si tratta di una questione morale; semplicemente quello di Torino è da sempre un campo difficile per vincere per la Roma, dunque è proibitivo (più che proibito) vincere a Torino contro la Juventus.

Posso chiaramente usare anche “superare il tabù” con lo stesso senso. Oppure si può dire infrangere un tabù.

Ma lo sapete, a proposito, che le borsette da uomo – le cosiddette pochette – forse non saranno più un tabù?

Personalmente non sarò io a rompere questo tabù!

Posso fare altri esempi:

La società sta finalmente rompendo il tabù sull’uguaglianza di genere, promuovendo l’uguaglianza salariale e l’accesso alle opportunità professionali per uomini e donne.

Vi dirò che oltre che rompere o infrangere un tabù, si usa molto anche “sfatare un tabù“. C’è di mezzo il fato. Ma perché chiamare in causa il fato?

L’uso del termine “fato” suggerisce che ciò che è considerato un tabù è stato storicamente considerato immutabile o inevitabile, ma ora qualcosa o qualcuno sta cercando di modificarlo o superarlo. Sfatare infatti significa dimostrare inconsistente o falsa una credenza, una convinzione radicata nella massa.

Il senso è simile a rompere, ma è più legato alle credenze e al coraggio o alla forza che ci vuole per cambiare le cose. Si tratta in genere di superare ostacoli culturali, sociali o morali e di rendere accettabili discussioni o azioni che erano precedentemente considerate inaccettabili o proibitive (come la vittoria della Roma a Torino). Diciamo che “sfatare un tabù” è più o meno come “rompere un tabù” , ma si sottolinea maggiormente come delle persone o delle opere contribuiscano a rompere delle barriere sociali o culturali associate a determinati argomenti o questioni, aprendo la strada a una maggiore comprensione e accettazione.

Es:

Con una ricerca approfondita, uno scienziato potrebbe sfatare il tabù che circonda la medicina alternativa, dimostrando che alcuni trattamenti possono avere effetti benefici basati su prove scientifiche.

L’artista ha sfatato il tabù dell’arte erotica, esponendo opere provocatorie che sfidano i pregiudizi e promuovono la libertà di espressione.

La scrittrice ha scritto un libro che sfata il tabù del divorzio, offrendo una prospettiva compassionevole e realistica sulla fine di un matrimonio.

Il film ha sfatato il tabù dell’omosessualità nell’industria cinematografica, presentando con sensibilità storie d’amore tra persone dello stesso sesso.

Adesso chiedo ai membri dell’associazione se mi vogliono parlare dei loro tabù.

Marcelo: In famiglia abbiamo deciso di non scendere a compromessi riguardo a certi argomenti: parlare di politica, religione, educazione dei figli, vaccinazioni e via discorrendo: tutti argomenti rigorosamente tabù. Se nessun disattende questa norma, viviamo in pace. Altrimenti, apriti cielo!

Andrè: benché agli occhi del mondo possa sembrare una sciocchezza, parlare di sesso nel mio paese (il Brasile) è ancora un tabù.

Il verbo rimediare (ep. 993)

Il verbo rimediare (scarica audio)

Giovanni: oggi io e Elettra parleremo del verbo rimediare. Non è un caso che mi sia venuto in mente proprio questo verbo. Vedremo alla fine perché.

Rimediare è un verbo che ha due utilizzi diversi.

Elettra: Innanzitutto, rimediare significa aggiustare una situazione negativa o problematica. Ha un significato molto simile al verbo risolvere.

Giovanni: Il termine “rimedio” è chiaramente collegato a questo utilizzo di rimediare.
Infatti, ad esempio, se dico che occorre rimediare a una brutta situazione, significa che bisogna trovare un rimedio a questa brutta situazione, cioè bisogna risolvere un problema trovando una soluzione. Somiglia abbastanza a “recuperare“.

Il rimedio chiaramente arriva dopo che un problema si è verificato e serve a riportare la situazione allo stato precedente o quantomeno a attenuare gli effetti del problema.

Elettra: Dopo che si è rimediato a un problema, bene che va, siamo nelle stesse condizioni di prima che il problema si verificasse, non certamente in una situazione migliore.
Vediamo qualche esempio:

Ho dimenticato il mio portafoglio a casa, ma ho rimediato prendendo dei soldi in prestito da un amico.

In questo caso, il problema è rappresentato dall’aver dimenticato il portafoglio. Il rimedio è consistito nel farsi prestare dei soldi da un amico.

Giovanni: Oppure:

Se hai rotto il vaso, puoi rimediare incollandolo insieme

Certo, in questo caso il rimedio non è così efficace, ma meglio che niente. Ad ogni modo non si riuscirà ad ottenere un risultato migliore di prima. Al massimo non si vedrà la differenza rispetto a prima.

Mi sono dimenticato dell’anniversario di matrimonio. Come rimediare?

In questi casi basta un bel gioiello!

Elettra: Passiamo invece al secondo utilizzo, familiare ma molto diffuso.

Rimediare, in questo senso, significa riuscire a ottenere qualcosa, e normalmente si usa quando non si ha la più pallida di quanto si riuscirà a ottenere.

Una verbo equivalente ma meno informale è “racimolare“. Una terza opzione è “raccapezzare“. Anche “procacciarsi” è simile.

Es

Rimediare un po’ di soldi

I mendicanti chiedono l’elemosina nella speranza di rimediare qualcosa per poter mangiare

Oppure:

Ho dimenticato il mio ombrello, ma sono riuscito a rimediarne uno in prestito da un collega.

Non c’era alcuna garanzia di riuscire a trovarne uno.

Giovanni: Quando si rimedia qualcosa (attenzione, ho detto quando si rimedia qualcosa, non “a qualcosa” – ecco un modo per riconoscere il primo dal secondo utlizzo), o meglio, quando si cerca di rimediare qualcosa, è perché questa cosa ci serve e quindi si cerca. Dopo la ricerca, se si riesce ad ottenere un risultato, si può dire che si è riusciti a rimediare qualcosa. In genere il risultato non è troppo positivo, ma non è detto. A volte si usa anche al posto di “cercare” o “trovare“.

Es:

Mi serve un cacciavite, riesci a rimediarmelo?

Cioè: me ne riesci a rimediare uno, me lo trovi? Me ne trovi uno?

Un altro modo informale di esprimere lo stesso concetto, ma solo nel primo utilizzo del verbo, è attraverso l’espressione “metterci una pezza“. Anche “riparare” si usa spesso con lo stesso significato.

Comunque, tornando al secondo utilizzo, se non otteniamo nulla passiamo sempre dire di non essere riusciti a rimediare nulla.

Es:

Sono andato in cerca di funghi porcini oggi ma non ho rimediato nulla, se non un bel raffreddore.

Stavolta, la seconda volta, l’ho utilizzato in senso ironico: ho rimediato solo un bel raffreddore. Non era certamente questo ciò che stavo cercando. In questo caso, cioè nell’uso ironico, spessissimo si usa il verbo beccare.

Non ho trovato funghi ma in compenso mi sono beccato un bel raffreddore

Elettra: Spesso si usa in senso ironico.

Es:

Se non abbassi la musica a mezzanotte, rimedierai una bella denuncia per schiamazzi notturni.

Continua a prendere in giro la mia squadra e rimedierai un calcio nel sedere!

Credo che nella prossima partita l’Italia rimedierà una sonora sconfitta.

In senso non ironico, invece posso dire ad esempio:

Mi servono delle sedie perché ho ospiti cena. Vedo se riesco a rimediare qualcosa al mercatino dell’usato.

Giovanni: Ma perché vi ho detto, all’inizio, che mi è venuto non a caso in mente questo verbo?

Perché Elettra, per la sua collaborazione negli episodi di italiano semplicememte, ha rimediato ben 44 euro, grazie a due generose donazioni.

Due gentili signore che ringraziamo calorosamente hanno infatti risposto all’appello fatto nell’ultimo episodio.

Chi gradisce la collaborazione di Elettra puo chiaramente contribuire indicandolo nell’oggetto della donazione con paypal, oppure si può donare tramite indicando la mail italianosemplicemente@gmail.com

Elettra: grazie anche da parte mia. Adesso ripassiamo gli episodi passati parlando di rimedi. La parola ai membri dell’associazione.

Estelle: ragazzi come possiamo fare per rimediare agli errori quando componiamo i ripassi? Per quanto sto attenta, il mio tentativo è difficilmente scevro da errori.

Hartmut: meno male che Giovanni o qualche membro più avanzato ci mettono una pezza, altrimenti stiamo freschi…

Karin: però quantomeno non rimediamo mai cazziatoni da nessuno per questo!

56 – L’assegno – ITALIANO COMMERCIALE

L’assegno

Descrizione: Vediamo tutte le cose che un commerciante deve sapere sugli assegni. In particolare le varie tipologie di assegno, come quelli non trasferibili, scoperti, sbarrati, circolari eccetera.

Durata: 9:05

Episodio per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente

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lista degli episodi di italiano commerciale

Edulcorare (ep. 992)

Edulcorare (scarica audio)

Giovanni: chi di voi prende il caffè senza zucchero?Elettra: io non lo prendo proprio il caffè. Almeno non da solo. Non ancora.Giovanni: beh, tu a 17 anni ancora puoi farne a meno. Credi che lo prenderai con o senza zucchero?Elettra: credo che senza zucchero non ce la farei. È troppo amaro.Giovanni: dai, prova. L’ho fatto proprio adesso. È caldo caldo.Elettra: ok….Ah che amaro! Possibile edulcorare un po’?Giovanni: Edulcorare? Vuoi edulcorare il caffè?Elettra: Si, non mi piace così. Voglio metterci un po’ di dolcificante.Giovanni: ok, ma vuoi spendere qualche parola in più su questo verbo? Non credo che i nostri amici conoscono.Elettra: sì, va bene.Giovanni: ok, prego. Ti lascio la parola. Allora dovete sapere che Elettra ha deciso di aiutarmi con gli episodi di italiano semplicemente perché ha detto che vorrebbe una “paghetta”. Si chiama così la piccola somma di denaro che diamo periodicamente noi genitori ai figli, bambini o adolescenti, come nel caso di Elettra, affinché lei gestisca in autonoma le proprie spese.Allora ho pensato: fai un lavoretto per me, aiutami con gli episodi e se i visitatori vogliono farti un regalo, una piccola donazione, quella sarà la tua paghetta. Sennò, in alternativa, te la darò io, come sempre.Così le tue uscite con gli amici saranno meno “amare”. Possiamo dire così?Elettra: speriamo. Allora per edulcorare le mie uscite iniziamo con lo spiegare questo verbo.Edulcorare significa rendere dolce, cioè dolcificare, nel caso del caffè.Giovanni: perché? Cos’altro si può edulcorare, oltre al caffè, alle bevande eccetera? Cos’altro si può usare edulcorare?Elettra: perché questo verbo, stavolta l’ho usato in senso proprio, ma generalmente non si usa così.In genere, quando parliamo di “dolcezza” posso dire ad esempio:

Questa bevanda è stata edulcorata con aspartame o con altro dolcificante.

Con lo zucchero non si usa generalmente. Si usa zuccherare in quel caso.Invece il senso figurato è
rendere meno grave o sgradevole, quindi come attenuare.Allora posso edulcorare una notizia, posso edulcorare un fatto, possiamo cioè usare edulcorare per attenuare la gravità di un fatto, per farlo sembrare meno grave di quello che è.Magari posso farlo non dicendo alcuni particolari o dando un’interpretazione ottimistica di qualcosa che è accaduto o che è stato detto.Giovanni: facciamo qualche esempio che ne dici?Elettra: lo sento spesso usare in politica, tipo che un politico ha cercato di edulcorare una certa situazione, cercando di far sembrare meno gravi i problemi economici del paese.Quindi questo politico vuole far sembrare che le cose non vanno così male. I politici edulcorano spesso i fatti.Oppure possiamo parlare di un film, magari un film estremamente violento, così violento che così non andrebbe mai in TV.Allora la televisione fa una versione edulcorata di questo film per renderla adatta a un pubblico più giovane. Così vengono eliminate le scene più violente.Giovanni: bene, grazie mille Elettra, speriamo che la tua collaborazione duri a lungo. Allora ci vediamo al prossimo episodio. Chi vuole contribuire alla paghetta si Elettra basta indicarlo quando si fa la donazione con PayPal.Se volete potete usare il Link sul sito, altrimenti la e-mail è italianosemplicemente@gmail.com.Grazie a tutti per la generosità.Adesso ripassiamo parlando proprio di paghetta.André: Io ricordo la paghetta che mi dava mio padre, che non era molto alta. In compenso mi ha insegnato il valore dei soldi! Ho imparato anche a fissare il mio tetto di spesa. Tutto bello, fatto salvo quando dovevo tagliare l’erba d’estate, erba che cresceva in continuazione! Se ci ripenso, povero me!