L’ansia si trasmette? Il linguaggio della salute (ep. 2)

L’ansia si trasmette? (scarica audio)

Giovanni: L’ansia si trasmette? Un genitore può essere la causa di un figlio ansioso?

Queste sono le domande di oggi per il secondo episodio del linguaggio della salute, la nuova rubrica di Italiano Semplicemente adatta per migliorare il nostro italiano.

Sappiamo che non bisogna studiare il condizioni di stress – è la terza regola d’oro di Italiano Semplicemente se ricordate. L’ansia quindi è concepita come qualcosa che non giova, non è salutare oltre certi limiti. Soprattutto per i ragazzi.

L’ansia si trasmette?

Trasmettere” è il verbo che si usa normalmente per indicare il passaggio di una malattia da una persona all’altra.

Parliamo delle malattie trasmissibili, chiaramente.

Non tutte le malattie infatti si possono trasmettere.

Riguardo all’ansia, l’ho chiesto ad una professoressa universitaria, membro dell’associazione Italiano semplicemente di nome Rafaela, di nazionalità spagnola.

Ma cos’è l’ansia?

Facciamo una piccola premessa.

L’ansia è un’emozione naturale (non una malattia quindi) e anche normale, che tutti possono provare (tutte le emozioni si “provano”) in determinate situazioni, ad esempio in caso di esame, un colloquio di lavoro o situazioni di stress.

Tuttavia, quando l’ansia diventa eccessiva e interferisce con la vita quotidiana, sappiamo tutti che può diventare anche un problema di salute: può generare eccessiva preoccupazione, inquietudine, paura, apprensione, tensione e anche stanchezza.

Ma Rafaela è specializzata in psicologia dei ragazzi e allora le chiedo:

L’ansia dei ragazzi da cosa dipende?

Rafaela: buongiorno a tutti. La causa dell’ansia nei ragazzi può essere attribuita a molteplici fattori, tra cui la pressione scolastica, la competizione sociale, la pressione dei genitori e la mancanza di autostima.

Quindi sì, l’ansia può dipendere anche dai genitori. Tra l’altro, quando vediamo davanti a noi a una persona con un’ansia esagerata, ci può fare innervosire e possiamo provare anche noi ansia.

Giovanni: C’è allora un legame col comportamento dei genitori?

Rafaela: Nel corso degli anni, è stata constatata (cioè verificata, appurata) una connessione, cioè un legame, tra l’ansia dei ragazzi e genitori iperprotettivi.

Giovanni: bel termine questo. I genitori iperprotettivi sono coloro che proteggono eccessivamente i figli. “Iper” è simile a “super”.

Rafaela: infatti, ma così facendo si impedisce loro di maturare e la loro autostima è minacciata. Questa eccessiva protezione impedisce loro di sviluppare la resilienza necessaria a fronteggiare le situazioni di stress e difficoltà.

Giovanni: è una parola molto di moda in questi ultimi anni questa: la resilienza.

In psicologia la resilienza è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.

Si usa però anche in economia recentemente, per indicare la capacità di una economia, cioè di un paese, di una nazione, di superare prove difficili e crisi economiche.

Più è elevata la resilienza, meglio è.

Tornando alla medicina invece, pare che gli esperti, Rafaela compresa immagino, concordino sul fatto che l’ansia possa essere utile in alcune situazioni, poiché può tenere il corpo in allerta, in allarme, per affrontare una minaccia o una situazione pericolosa.

Quindi l’ansia in qualche modo è utile, serve a qualcosa.

Tuttavia, l’ansia eccessiva può ostacolare il normale funzionamento della vita quotidiana, tanto da impedire ai ragazzi di godersi le attività quotidiane e di sviluppare normalmente.

Rafaela: certo, e allora è importante che genitori e educatori aiutino i ragazzi a comprendere l’ansia e a sviluppare strategie salutari per affrontare le situazioni stressanti. Inoltre, è importante che i genitori evitino di mettere troppa pressione sui propri figli e li aiutino a sviluppare la resilienza necessaria per fronteggiare le difficoltà della vita.

Giovanni: allora meglio non proteggerli affatto? Ma qual è il contrario di iperprotettivo?

Si va da un eccesso all’altro. Si dice che un genitore, in questo caso, è lassista, permissivo. Parliamo del lassismo. È positivo il lassismo dei genitori?

Un genitore è lassista quando manca di rigore, quindi una specie di menefreghismo, un eccessivo permissivismo.

Rafaela: purtroppo anche il lassismo eccessivo può rendere i figli più vulnerabili all’ansia. E bisogna sapere che ci sono altri stili genitoriali come lo stile eccessivamente autoritario ed esigente. Questo tipo di genitore è ancora più collegato ai sintomi di ansia nei figli. Se i genitori usano una severa disciplina con i figli e li puniscono per i loro errori, è più probabile che i figli sviluppino una maggiore sensitività e reattività ai propri errori. Questa maggior reattività negativa davanti ai propri errori poi diventa parte della loro struttura neurale ed è questa caratteristica neurale a essere associata ai disturbi dell’ansia.

Giovanni: un mestiere difficile quello del genitore vero?

Rafaela: purtroppo si! Ma non ti far venire l’ansia perché ci sono molti fattori a intervenire, oltre ai genitori.

Giovanni: ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente dedicato alla salute. Grazie a Rafaela.

Rafaela: prego! Grazie te per questa occasione!

Giovanni: nel prossimo episodio parliamo delle analisi del sangue e ci aiuterà André dal Brasile, un esperto del settore. Anche André è membro dell’associazione Italiano semplicemente.

André gestisce infatti un centro analisi ad Araraquara, vicino San Paolo.

Anch’io una volta ho fatto le analisi del sangue nel laboratorio di André.

André: Fortunatamente sono andate bene 🙂

Giovanni: ah, per fortuna! Mi stava già prendendo l’ansia!

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Sussistere – VERBI PROFESSIONALI (n. 84)

Sussistere

Descrizione: il verbo sussistere si utilizza spesso in contesti lavorativi in caso soprattutto di problemi. Si può usare come une versione formale di essere e esistere ma anche in modo simile a persistere e perdurare.

Durata: 14 minuti

La trascrizione completa e il file audio dell’episodio sono disponibili per i membri dell’Associazione Italiano Semplicemente.

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Il groppo (ep. 930)

Il groppo (scarica audio)

Voce di Danielle, membro della nostra associazione italiano semplicemente

Ricordate il groppone? Ne abbiamo parlato in un episodio e abbiamo detto che deriva dalla groppa, al femminile.

Ebbene, esiste anche il groppo, che però è una cosa completamente diversa.

La parola “groppo” può avere diverse accezioni che dipendono dal contesto in cui viene usata.

Si usa soprattutto il “groppo in/alla gola“.
Si parla di groppo in gola quando si avverte una sensazione di blocco o di fastidio alla gola, come se avessimo qualcosa o se abbiamo veramente qualcosa alla gola che ci dà fastidio, ma in genere è una sensazione.

In questo senso, “groppo” può essere sostituito con “nodo”, quindi “nodo alla gola”, o “fastidio alla gola”.

Si usa anche quando, per l’emozione, non si riesce a parlare, come se si avvertisse qualcosa alla gola che impedisce di parlare o di esprimersi bene.

Mi è venuto un groppo alla gola e non sono riuscito a parlare. Ero troppo emozionato.

Il concerto è stato bellissimo. Da groppo alla gola.

La prima sera al festival di Sanremo mi è venuto un groppo alla gola. Non riuscivo a cantare.

Prima di piangere viene sempre un groppo alla gola

Quando si avverte un groppo alla gola, in generale, per commozione, paura o angoscia, non riusciamo a deglutire.

Il termine groppo si usa, sebbene più raramente, anche per indicare del filo arrotolato e intricato. Anche questo impedisce un’azione: quella di srotolare il filo.

In questo caso, “groppo” può essere sostituito con “nodo”, “attorcigliamento“, un “nodo intricato“, un “groviglio“. In pratica un insieme intricato di fili tutti arrotolati, attorcigliati.

In senso figurato, viene naturale e intuitivo immaginare che “groppo” può indicare anche una difficoltà o un impedimento che impedisce di procedere, generando ansia o incertezza.

Rappresenta una sorta di blocco, quindi proprio come i problemi, impediscono di procedere, di andare avanti in qualche attività.

Ad esempio, si può dire che si avverte un groppo nello/allo stomaco quando si è molto preoccupati o si è a disagio per qualcosa.

In questo contesto, “groppo allo stomaco” può essere sostituito con “nodo allo stomaco”, “sensazione di oppressione”, “disagio interno”.

Quando vedo certe scene di violenza mi prende un groppo allo stomaco che non ti dico!

Ma quando torna mio figlio? Già avverto un groppo allo stomaco per l’ansia.

Ma che schifezze ti mangi? Mi fai venire un groppo allo stomaco solo a guardarti!

Si usa spesso in contesti di questo tipo, quando c’è ansia, preoccupazione o anche in senso ironico.

Infine, “groppo” può anche essere usato come sinonimo di “cumulo”, “ammasso”.

Ad esempio, si parla di groppo di terra o di groppo di sassi. Un uso meno diffuso quest’ultimo.

Attenzione anche a non confondere “groppo” con “gruppo“, che ha un significato e un uso diverso, ma in fondo sia il gruppo che il groppo sono un insieme di qualcosa, quindi sono termini affini.

Groppo, letteralmente, significa massa tondeggiante, quindi questo chiaramente ci fa capire anche il legame con la groppa, che, come si è visto, è il dorso degli animali, anch’esso abbastanza tondeggiante.

Adesso facciamo un breve ripasso. Spero non venga a nessuno un groppo alla gola per l’emozione.

Marcelo: ciao amici. Adesso sono a Colonia, in Uruguay, e sto per andare in Argentina dopo quattro ore di macchina. Non appena arrivato, farò una scappata a salutare mia figlia! Dopo un anno di assenza, non vorrei passare per maleducato.

André: So che sei appassionato dell’Uruguay! Non a caso vivi li da un pezzo ormai. Non ti preoccupare, Marcelo! non sarai mai soggetto a critiche per questo motivo! Vedi un po’! Dopo tante ore in viaggio, dulcis in fundo, ritroverai tua figlia!

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Gli esercizi su questo episodio (con soluzione) sono disponibili per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente

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Le iniezioni – il linguaggio della salute (episodio n. 1)

Le iniezioni (scarica audio)

Benvenuti nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al linguaggio della salute.

In questa rubrica parleremo di salute, parti del corpo, sane abitudini, e chiaramente l’obiettivo è di migliorare il livello del nostro italiano parlando anche di cose utili e interessanti.

Non sarò solo perché tra i membri dell’associazione Italiano Semplicemente ci sono diverse persone che lavorano in ambito medico.

Parlo ad esempio di Anthony, medico statunitense, di Estelle, farmacista francese, di André, che ha un centro analisi in Brasile, di Rafaela che è una professoressa universitaria di psicologia infantile e di Sofie, che insegna in una università in Belgio e si occupa di medicina animale. Di volta in volta qualche membro mi aiuterà a realizzare i vari episodi. Oggi tocca Anthony e a Estelle, che ringrazio di cuore.

Allora, in questo primo episodio parliamo delle iniezioni. Cosa sono le iniezioni?

Le iniezioni sono un metodo terapeutico che consiste nell’iniettare un farmaco direttamente nel corpo attraverso un ago e una siringa. L’ago serve per bucare la pelle per poter iniettare il farmaco e la siringa contiene il farmaco.

Ago

Si tratta di una procedura relativamente comune e sicura, utilizzata per iniettare diversi tipi di farmaci, come vaccini, antidolorifici, antibiotici, insulina e molti altri.

Quindi con le iniezioni si inietta un liquido. Il verbo è iniettare, simile a introdurre. Servono ago e siringa. L’ago sta sulla punta della siringa che contiene il farmaco da iniettare. Il farmaco viene iniettato ma viene anche somministrato. Bel verbo anche questo: somministrare. Somministrare è simile a iniettare, ma va bene per tutti i farmaci, non solo quelli che si iniettano. È molto simile a “dare”.

Somministrare significa dare, distribuire ad altri nell’esercizio delle proprie funzioni.

Per somministrare non è neanche necessario essere un medico.

Il sacerdote ad esempio somministra i Sacramenti, ma si può somministrare anche un questionario che qualcuno deve compilare. Si può somministrare anche del cibo.

In ambito medico però si somministrano medicine, farmaci.

Ma sentiamo Anthony, che esercita la sua professione negli Stati Uniti

Anthony: bungiorno a tutti.

Posso dirvi qualcosa sulle tipologie diverse di iniezioni.
Le iniezioni, innanzitutto, possono essere somministrate in diverse parti del corpo, a seconda del farmaco.

Ad esempio, le iniezioni intramuscolari vengono solitamente somministrate nel braccio o nel gluteo (detto volgarmente “chiappa“, singolare di chiappe. Parliamo del sedere. Le iniezioni intramuscolari si chiamano anche intramuscolo, e consistono nell’iniezione di un farmaco direttamente nel tessuto muscolare, per un più rapido assorbimento del farmaco stesso.

Poi ci sono le iniezioni sottocutanee, che vengono fatte con un ago più corto e vengono somministrate nella pelle, di solito nella coscia, nel braccio o nell’addome. Sottocutanee significa sotto la cute, e la cute è semplicemente la nostra pelle.

Ci sono anche le iniezioni endovenose.

Le iniezioni sottocutanee e quelle endovenose differiscono per la posizione in cui vengono somministrate.

Le iniezioni sottocutanee sono usate per somministrare farmaci che devono essere assorbiti lentamente dal corpo, come l’insulina.

Le iniezioni endovenose, d’altra parte, vengono somministrate direttamente in una vena. Questo tipo di iniezione è usato per somministrare farmaci che devono essere rapidamente immessi nel flusso sanguigno, come alcuni tipi di antibiotici o di chemioterapia.

Le iniezioni endovenose sono generalmente più rapide e potenti rispetto a quelle sottocutanee. Tuttavia, possono essere più difficili da eseguire e richiedono più attenzione per evitare effetti collaterali come irritazione, infezione o coaguli di sangue.

Spesso, i medici o gli infermieri sono i professionisti che decidono quale tipo di iniezione è più adatto al paziente e alla terapia prescritta.

La somministrazione più comune è ancora quella delle iniezioni al sedere, ma molte volte si preferiscono altre parti del corpo per evitare fastidi all’individuo.

Giovanni: grazie Anthony. Le tipologie di iniezioni che hai spiegato sono legate da una locuzione: “per via“. Quindi ci sono le iniezioni per via endovenosa, quelle per via sottocutanea e quelle per via intramuscolare. La “via” indica la modalità di somministrazione. La locuzione “per via” ha anche un altro utilizzo, simile a “perché”. Ne abbiamo parlato in un episodio della rubrica due minuti con Italiano Semplicemente”.

Mi viene in mente che nel linguaggio familiare le iniezioni si chiamano anche “punture”, proporlo come le punture delle zanzare.

Il termine “iniezione” comunque viene usato anche al di fuori del mondo della medicina.

Iniezioni di fiducia, che sono una metafora per descrivere un gesto o un’azione che può aumentare la fiducia di una persona.

Es: sono molto scoraggiato, avrei bisogno di una iniezione di fiducia.

Il gol di Messi è stata una bella iniezione di fiducia per l’Argentina.


– Iniezioni di liquidità, che sono iniezioni di denaro fatte dalle banche centrali per aumentare la liquidità nel sistema finanziario. Quindi ciò che viene inserito, o iniettato, è del denaro nel sistema.

Vale la pena di citare anche il verbo “inoculare“, che equivale a iniettare, a differenza di iniettare, non si usa quasi mai in modo figurato, ma solo in ambito medico.

In Italia, le iniezioni possono essere fatte dai medici come dai farmacisti abilitati, a seconda del farmaco e del trattamento prescritto.

Sentiamo Estelle, che da farmacista ne sa molto più di me.

Da bambino avevo paura delle iniezioni.

“Andiamo a fare la puntura” , diceva mia madre.
Ma perché farci soffrire così tanto Estelle?
Non c’era un metodo meno traumatico? Non c’era una pillola indolore?

Estelle: Ci sono diverse ragioni per cui scegliere le iniezioni in luogo
di altre tipologie di somministrazioni.
In primo luogo, spesso la situazione richiede un’azione rapida. Quando i farmaci sono assorbiti per via orale, cioè per bocca, questi poi possono essere distrutti dai succhi gastrici.
C’è anche da dire che in certi casi i medicinali sono irritanti per lo stomaco.
Per quanto riguarda i vaccini, questi sono completamente inattivi per via orale quindi impossibile fare altrimenti che una bella iniezione sulla chiappa. Non abbiamo altra scelta che iniettarli!
Ci sarebbe molto altro da dire, ma non voglio risultare pesante per questo primo episodio.

Giovanni: Per oggi può bastare, abbiamo detto molte cose sulle iniezioni: il verbo somministrare, simile a dare, l’ago e la siringa, inoculare e iniettare, le varie tipologie di iniezioni (intramuscolo, sottocutanee e endovenose). Abbiamo detto che la cute è il nome medico della pelle e i glutei sono quello che comunemente si chiamano “chiappe” del sedere.

Nel prossimo episodio di italiano semplicemente dedicato alla medicina parleremo dell’ansia.

L’ansia si trasmette? Ci aiuterà Rafaela

Il virgolettato (ep. 929)

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Il termine “virgolettato“, che probabilmente molti di voi non avranno mai letto o ascoltato prima d’ora (ovviamente mi rivolgo a un pubblico di non madrelingua italiana) si riferisce all’uso delle virgolette (“”), che sono dei segni di punteggiatura.

I segni di punteggiatura sono i punti, le virgole, i due punti, il punto e virgola eccetera.

Anche le virgolette sono dei segni di punteggiatura, e il loro ruolo è fungere da delimitatori di parole o frasi all’interno di un testo.

I delimitatori servono a delimitare, a circoscrivere.

Partiamo dal nome: si chiamano in modo simile alla virgola, e in effetti la loro forma è simile, ma sono due, e si usano sia prima che dopo una parola o una frase: sono delimitatori, come ho detto, quindi delimitano una parola o una frase. Circoscrivono una parte di un testo.

Delimitare significa appunto segnare un limite, un confine, a destra e a sinistra in questo caso, cioè prima e dopo.

Le virgolette possono essere utilizzate in vari contesti, come per esempio:

– Per citare le parole di qualcuno: “Ho sempre amato questo posto”, ha detto Maria.

Sia prima che dopo la frase d Maria si mettono le virgolette. Questo per far capire che ciò che si trova all’interno delle virgolette è stato detto testualmente da Maria. Sono esattamente queste le sue parole.

– si usano anche per indicare il titolo di un libro, un film, una canzone:

Es:

Il mio libro preferito è “Il Nome della Rosa”. Allora lo scriviamo tra virgolette.

– possiamo usarle anche per contraddistinguere parole o espressioni che si vogliono enfatizzare: Il nuovo film di Tarantino è “imperdibile”. A voce si rappresentano con un tono più marcato in genere.

– Altro esempio può essere l’uso di virgolette per segnalare semplicemente che la parola o l’espressione indica un concetto specifico: La “flessibilità” del lavoro moderno.

– si usano anche per attribuire a una parola o a una frase un significato particolare, anche usando un termine, come un aggettivo, che potrebbe sembrare a qualcuno non molto adatto:

Es:

I ladri sono entrati nella mia cantina per rubare il vino e io li ho aggrediti perché nessuno deve permettersi di “profanare” la mia cantina.

Il verbo profanare infatti generalmente si usa quando si entra in luoghi relativi alla religione e al culto e si compiono atti sacrileghi. Ma la cantina non è un luogo sacro.

Allora uso le virgolette come a dire “permettetemi di usare il verbo profanare”, oppure “Passatemi il termine profanare” , per usare un’espressione che abbiamo già visto.

Ciò che sta tra virgolette, specie se si tratta di una frase, possiamo chiamarlo “virgolettato“.

Molto più spesso, in realtà, quando c’è un virgolettato, si usano modalità equivalenti, come un testo “tra virgolette”, oppure “tra doppi apici” o “tra virgolette doppie”.

Le virgolette infatti, sia quelle di apertura che quelle di chiusura, sono quasi sempre doppie.

In generale però quando si parla di testo scritto si fa riferimento anche (in Italia meno spesso) alle virgolette semplici. L’uso è più o meno lo stesso.

L’uso delle virgolette singole (quindi non doppie) si preferisce a quelle doppie ad esempio per racchiudere una parola tecnica, quindi spesso anche poco comune, poco usata, perché specifica di un settore.

Es: nel mondo del lavoro, il cosiddetto ‘quitfluencer’, è il dipendente che lascia il proprio lavoro e incoraggia gli altri a fare lo stesso.

Invece i cosiddetti ‘deinfluencer‘ (abbastanza tecnico anche questo) sono coloro che, specie su Tiktok, consigliano di non acquistare certi prodotti perché sono presentati con una pubblicità ingannevole, che cioè inganna i consumatori.

Il termine ‘virgolettato’ però si usa prevalentemente per citare dichiarazioni di personaggi pubblici e in questi casi si preferisce usare le virgolette doppie.

Si utilizza per riportare testualmente, come è scritto o come è stato detto da una persona.

Parliamo anche del verbo virgolettare.

Bisogna virgolettare le risposte quando si intervista una persona e poi si fa un articolo su questa intervista.

Cioè bisogna mettere il testo tra virgolette, così si capisce che il testo virgolettato riporta esattamente la parole utilizzate.

Ho letto un’intervista in cui c’erano dei virgolettati inesatti. Infatti io ho ascoltato l’intervista e spesso ciò che è stato virgolettato non corrispondeva esattamente alle parole dette.

Dunque una parola virgolettata è una parola chiusa tra virgolette, singole o doppie.

Una dichiarazione virgolettata invece, oltre ad essere delimitata da virgolette, rappresenta una frase pronunciata e riportata fedelmente (si dice anche così), parola per parola. Si dice anche riportare testualmente, o, come si suol dire, “alla lettera”.

Questa persona ha detto proprio questo, parola per parola.

Interessante l’uso del verbo riportare, perché tra i tanti significati e usi c’è anche quello di comunicare qualcosa che ha detto un’altra persona, quindi una sorta di virgolettato, anche se non è detto che le parole siano esattamente le stesse come nel caso del virgolettato:

Es:

Ti riporto ciò che ha detto Giovanni: lui ha detto che ha da fare stasera perché ha un impegno.

Se però si riportano fedelmente/testualmente le parole di Giovanni, allora:

Ti riporto fedelmente le sue parole: “non posso venire perché devo uscire con una ragazza”.

Allora avrete capito che virgolettato si usa come aggettivo ma anche come sostantivo (il virgolettato) oltre ad essere il participio passato del verbo virgolettare.

Adesso ripassiamo parlando di serie tv:

Ulrike: se parliamo di serie TV verrà a galla un fatto un pochettino imbarazzante su di me, ovvero che ai vecchi tempi non mi perdevo mai una puntato di “Un Medico in Famiglia”. Ce ne fossero ancora in onda serie cone quella!

Rafaela: hai messo tanto di virgolette, quindi quello è proprio il titolo della serie tv.

André: Ah! Ragion per cui, Anthony, sei diventato un dottore? Comunque le serie tv ogni due per tre mi capita di vederle ma in genere non mi piacciono, benché ce ne siano di bellissime. A dir la verità comunque sono troppo pesanti per via dei troppi episodi. Preferisco i film!

Peggy: serie tv? Ce ne fosse una che è una che mi piace. È proprio il concetto di “serie” che non mi sconfinfera. Ancora ancora un film, ma preferisco il cinema.

Marcelo: In quanto a serie di TV la so lunga, ma devo spaziare da quelli di poliziotti a quelli d’amore per accontentare mia moglie, della serie vivere in famiglia.

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Gli esercizi su questo episodio (con soluzione) sono disponibili per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente

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L’allenatore – il linguaggio del calcio (episodio 11)

L’allenatore

Indice episodi del linguaggio del calcio

l'allenatoreDescrizione

In questo episodio parliamo dell’allenatore nel gioco del calcio.

In particolare descriviamo tutti i modi per indicare l’allenatore, le espressioni e le locuzioni che si usano nel corso di una telecronaca, radiocronaca e negli articoli di giornale.

  • Parliamo in particolare di:
  • panchinari
  • gestire la squadra
  • spedire in tribuna un calciatore
  • Avere la panchina corta o lunga
  • Perdere la panchina
  • Il verbo esonerare
  • Allontanare da un incarico
  • Allontanare dalla panchina
  • Le scelte della panchina
  • Scelta tecnica
Gli episodi successivi al n. 10 di questa rubrica sono disponibili per i soli membri dell’associazione.

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Bellamente (ep. 928)

Bellamente (scarica audio)

Quello che vi spiego oggi è un avverbio molto particolare: bellamente.

Normalmente quando un avverbio finisce con – mente, si parla di un modo di svolgere un’azione.

Ad esempio “Normalmente” significa infatti “in modo normale” e “dolcemente”, sta per in modo dolce, così come “velocemente” significa in modo veloce, eccetera.

Anche per “bellamente” capita a volte che sia così: in modo bello, piacevole.

Infatti se ad esempio una tavola è bellamente apparecchiata, allora ci piace come è stata realizzata l’apparecchiatura: una bella apparecchiatura.

“Una torta bellamente decorata”, allo stesso modo, ci piace; è stata decorata proprio bene, in modo bello.

Sono pochi però gli esempi di questo tipo, perché la maggioranza delle volte stiamo parlando di qualcosa che ci provoca un certo nervosismo, qualcosa di fastidioso, e in particolare si tratta di un atteggiamento di una persona poco discreta, sfacciata, impudente.

Abbiamo già parlato della discrezione e del l’indiscrezione, ma in questo caso l’avverbio bellamente serve a descrivere questa azione che ci dà così tanto fastidio per l’impudenza, la sfacciataggine mostrata e, nella migliore delle ipotesi, per mancanza di discrezione.

Si può usare anche più in generale per una mancanza di rispetto.

Es:

Mia madre di 80 anni è salita su un autobus e tutti i posti a sedere erano occupati da tanti giovani che se ne stavano bellamente seduti senza preoccuparsi di lasciarle il posto.

Veramente fastidioso un atteggiamento del genere vero?

Quando sono entrato nella mia nuova classe, alcuni miei compagni si sono messi bellamente a ridere.

Che maleducati! C’è spesso una certa arroganza, una spavalderia fastidiosa.

Si usa anche in modo ironico per indicare un’azione fatta con abilità o accortezza, ma c’è sempre un qualcosa di fastidioso, anche se l’azione è fatta da chi parla. Ci può essere una sottile soddisfazione nel fare qualcosa che colpisce una persona:

Con questo scherzo ci hai preso tutti bellamente in giro

Le ho chiesto di ballare ma mi ha bellamente ignorato.

In pratica mi ha fatto bellamente capire che non era il caso di insistere.

Il capo stava per licenziarmi ma io gli ho bellamente riso in faccia e mi sono licenziato prima ancora che parlasse.

L’episodio finisce qui.

Adesso ripassiamone qualcuno passato.

La parola passa ai membri dell’associazione Italiano Semplicemente. Sono sicuro che qualcuno di loro se ne starà bellamente a riposarsi mentre i più volenterosi sono impegnati nella registrazione del seguente ripasso:

Ulrike: Il grosso del mio tempo lo passo a leggere libri fantasy. Mi piace lasciarmi trasportare in voli pindarici nei meandri dell’immaginazione umana.

Edita: Beata te! Che strana voglia che hai! Troppo faticoso per i miei gusti. A me piace stare spaparanzata sul divano ad ascoltare musica. Mi aiuta a rilassarmi e dimenticare le preoccupazioni. Spero non mi condanniate per questo. lo so, sono una nullafacente. Me ne sono fatta una ragione.

Leyla: Io a tratti mi diverto a fare la birichina e a vezzeggiare il mio gatto.

Peggy: Cosa? col mio gatto non esiste proprio. Mi massacrerebbe la mano in men che non si dica!

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L’aggettivo suscettibile (ep. 927)

L’aggettivo suscettibile (scarica audio)

Quello che state per leggere o ascoltare è l’episodio numero 927 della rubrica due minuti con Italiano Semplicemente.

Questo episodio non è particolarmente indicato per le persone che amano eccessivamente la grammatica, specie se particolarmente suscettibili.

Scherzi a parte (avete capito che scherzavo vero?), l’episodio è dedicato all’aggettivo suscettibile, che ha due significati.

Prima di tutto si utilizza per le persone. Infatti ci sono persone più suscettibili di altre. Cosa significa?

Una persona si dice suscettibile se dimostra un’eccessiva sensibilità verso un giudizio più o meno critico nei propri confronti. Una persona suscettibile è pertanto una persona permalosa, che si offende facilmente.

Quanto sei suscettibile! Non volevo affatto offenderti, perché mi tieni il muso?

E’ un aggettivo che si usa in particolare proprio per giustificarsi di fronte ad una persona che si mostra offesa, ma che non si ritiene aver offeso.

Ci sono molte situazioni diverse che possono far risentire o offendere una persona, anche se non c’era l’intenzione di offendere. Ad esempio, alcuni argomenti possono essere particolarmente delicati per alcune persone, come la religione, la politica o la salute mentale. Inoltre, alcune persone possono avere sensibilità diverse su determinati argomenti o possono essere più inclini a prenderla sul personale.

È importante ricordare che ogni persona ha la propria esperienza di vita che influenza la propria sensibilità e quindi la propria suscettibilità.

Questo è il primo significato del concetto di suscettibilità.

Un secondo significato è relativo alla possibilità di subire impressioni, influenze, modificazioni.

In pratica, quando qualcosa potrebbe cambiare. potrebbe subire una modifica, una variazione o una influenza da parte di altro o di qualcuno, possiamo usare l’aggettivo “suscettibile” e in questi casi si usa la preposizione “di”:

Dottore come sta mia madre?

Dottore: Non molto bene per ora, ma le sue condizioni sono suscettibili di miglioramento.

E’ dunque un modo alternativo per indicare un possibile cambiamento. Una modalità sicuramente meno informale, ma che tutti gli italiani comprendono senza difficoltà. Si usa maggiormente in contesti professionali, specie nella forma scritta.

Se qualcosa è suscettibile di cambiamenti o di modifiche (o termini analoghi, come “sviluppi”, “integrazioni”, “rifacimenti” allora parliamo di qualcosa di provvisorio, temporaneo. La preposizione “di” serve a indicare l’effetto (es: la modifica).

Vediamo altri esempi:

Il calendario degli eventi per la riunione dei membri dell’associazione è suscettibile di variazioni, a seconda delle condizioni metereologiche.

Quindi il calendario degli eventi, pur essendo già stabilito, potrebbe cambiare, potrebbe subire delle modifiche, potrebbe essere soggetto a cambiamenti/modifiche.

Se ricordate abbiamo già trattato “soggetto a” in uno dei primissimi episodi di questa rubrica.

Si può anche dire che il calendario è passibile di cambiamenti/modifiche. Ricordate anche l’episodio che abbiamo dedicato all’aggettivo passibile?

Dunque se qualcosa è suscettibile di modifiche allora è passibile di modifiche.

L’aggettivo passibile è sostituibile da suscettibile anche quando parliamo di possibile conseguenza (negativa) di un atto contrario alla legge.

Si può quindi dire, ad esempio, che “un comportamento è passibile di denuncia” e anche che “un comportamento è suscettibile di denuncia”.

Possiamo anche dire che “chi va troppo veloce con la macchina è passibile di multa” e anche che “è suscettibile di multa”.

Quando usiamo suscettibile però, oltre alla preposizione “di” possiamo usare anche “a” ma in questo caso indichiamo la possibile causa del cambiamento o di influenza. Non parliamo dell’effetto ma della causa.

Es:

La quotazione dell’Euro rispetto al dollaro è molto suscettibile alle questioni geo-politiche.

Quindi le questioni geo-politiche, come ad esempio un conflitto europeo, anche potenziale, ha la capacità di influenzare il cambio euro-dollaro.

Il livello dell’inflazione è sempre molto suscettibile alle fluttuazioni di prezzo del petrolio.

Facciamo un esempio più terra-terra:

La popolazione anziana è maggiormente suscettibile agli effetti delle ondate di caldo sulla salute.

Sei troppo suscettibile a qualsiasi visita improvvisa. Che sarà mai se ti viene a trovare qualcuno all’improvviso? Non è una bella sorpresa? Che vuoi che sia se hai la casa disordinata?

Ricapitolando, l’aggettivo suscettibile può essere utilizzato per indicare la sensibilità di una persona. In questo caso la suscettibilità è la sensibilità verso i giudizi negativi nei suoi confronti. Si usa però anche per indicare una possibile modifica futura.

Si tratta comunque, in entrambi i casi di un cambiamento che deriva da qualcosa di esterno. Se usiamo la preposizione “di” indichiamo l’effetto (es: suscettibile di variazione) mentre se usiamo “a” indichiamo la causa (es: suscettibile alle visite improvvise).

Adesso ripassiamo qualche episodio passato. La parola passa ai membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

marcelo

Marcelo: Ciao amici, come state? Oggi non mi sento veramente molto in vena per fare un ripasso! Dopo un po’ però mi sono detto: coraggio Marcelo, fallo! Hai il fegato per farne uno (spero anche la stoffa) e allora eccomi qua, indugiando di fronte al computer e navigando per i meandri dei miei pensieri alla ricerca di un’idea che non arriva. Tanto vale provarci però. Per questo, almeno in teoria, sono sempre abbastanza propenso a farne uno, dal momento che so che questo arricchisce il mio apprendimento della lingua del sì! Fatevi sotto amici! Datemi manforte!

Ulrike: in quanto alla odierna richiesta di un ripasso, sono alquanto restia. Non c’è un argomento valevole per farne uno come Dio comanda e nessuno mi ha fornito un assist adeguato. Perciò, essendo anch’io sguarnita di idee e proposte propizie, non resta che tacere. Mi dispiace Marcelo, non sono in grado di tenderti la mano.

Edita: Non c’è di che dispiacersi Ulrike! Ce ne fossero di amici come te, sempre disposti a tendere la mano all’uopo .
Forse abbiamo potuto aprire una breccia nel cuore di un altro dei nostri amici con questo dialogo improvvisato e quindi capace che a questo punto si precipiti a trovare un vero argomento sul quale destare interesse. Tutt’al più sarà un’occasione per fare pratica e destreggiarsi. Alla fine resta sempre un ripasso. Buttalo via!

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Gli esercizi su questo episodio (con soluzione) sono disponibili per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente

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Remare contro (ep. 926)

Remare contro (scarica audio)

remare controRemare contro” è un’espressione figurata che significa opporsi o contrastare qualcosa o qualcuno.

Figurata perché il verbo “remare” è un verbo che significa “muovere un’imbarcazione attraverso l’uso di uno o più remi”. I remi si muovono con le braccia e vanno spinti in acqua esercitando una pressione in acqua in direzione opposta a quella del movimento.

Esempi di situazioni in cui si può usare questa espressione sono:

Il progetto non andrà avanti se continuiamo a remare contro invece di collaborare.

Giovanni, vuoi smetterla di fare opposizione? Anziché remare contro come fai sempre, cerchiamo di risolvere il problema.

Pensate a una imbarcazione dove una persona rema per far andare la barca in una certa direzione e un’altra persona rema in direzione opposta. Il risultato è che la barca non andrà né avanti né indietro.

Dal punto di vista figurato “remare contro” si può usare per rappresentare l’azione, il modo di comportarsi di una o più persone che impedisce il raggiungimento di un obiettivo o quantomeno è contrario a quello delle altre persone coinvolte.

In sostanza, “remare contro” indica un’opposizione o una resistenza a fare qualcosa o a seguire una certa direzione.

Ci sono diverse espressioni italiane che somigliano all’espressione “remare contro” e che esprimono un’opposizione o una resistenza a qualcosa. Alcune di queste espressioni includono:

  • Essere contrario a qualcosa
  • Essere in disaccordo con qualcosa/qualcuno
  • Essere ostile a qualcosa

Ci sono poi i bastian contrari, che, come abbiamo visto in un episodio passato, remano sempre contro perché non sono mai d’accordo con gli altri.

Notate che in genere non stiamo parlando di un semplice “no” quando gli altri dicono tutti “sì”, perché questa normalmente è una semplice opposizione. “Remare contro” è più forte rispetto a opporsi. c’è anche al verbo “contrastare“.

C’è sempre il senso della la resistenza o l’opposizione ad un’idea, un movimento o una tendenza. Tuttavia, “remare contro” ha anche un senso più forte di sfida e determinazione nel resistere, mentre “contrastare” può essere utilizzato in modo più generale per descrivere qualsiasi tipo di opposizione. Il verbo “contrastare” poi si usa anche per indicare una mancanza di logica o coerenza. Ad esempio si può dire che:

la tua versione dei fatti contrasta con la realtà

Osservando la realtà quindi mancano degli elementi di riscontro, di coerenza, di logica rispetto a ciò che hai detto tu.

Vale la pena citare due espressioni che sono simili (ma non troppo) a “remare contro” sono: “andare controcorrente“, e “essere in controtendenza“.

La differenza è che mentre “andare controcorrente” significa opporsi alle opinioni o alle tendenze comuni, “remare contro” indica un’opposizione o una resistenza diretta nei confronti di qualcosa o di qualcuno, quindi un’azione contraria a quella di persone specifiche, In sostanza, “andare controcorrente” è più generale, mentre “remare contro” è più specifica .

Ad esempio, si può dire:

Sono sempre andato controcorrente e ho fatto scelte diverse dalla massa.

La massa è generica (non sono persone precise) e le persone che ne fanno parte non sanno che io sono un tipo che ha sempre fatto scelte diverse.

Se invece io “remo contro“, sto facendo qualcosa di cui gli altri sono generalmente consapevoli e la conseguenza del mio remare contro va contro i loro interessi.

“Andare controcorrente” (che si scrive tutto attaccato) fa chiaramente riferimento alla corrente di un fiume.

Spesso, quando si usa il termine “controcorrente”, si può parlare di qualunque argomento. la cosa che conta è che normalmente si va contro una tendenza generale. E’ in genere una scelta personale che non coinvolge gli altri.

 Un politico russo controcorrente, ad esempio, può schierarsi dalla parte dell’Ucraina

Molto simile è essere o andare in controtendenza (anche in questo caso si scrive tutto unito in una sola parola). La presenza del termine “tendenza” indica ciò che fanno gli altri. Anche qui è generico.

Andare in controtendenza” significa fare qualcosa che va contro la tendenza generale o il consenso comune.

Un investitore che va in controtendenza sceglie di investire in modo contrario rispetto alla maggioranza degli investitori.

Es:

Ho deciso di investire in azioni di questa società anche se tutti gli altri vendono, sono andato in controtendenza.

L’espressione può essere usata anche in altri contesti come la moda, la politica, ecc.

In questo caso è ancora più marcata la separazione degli interessi tra chi va controtendenza e gli altri. Gli altri generalmente non sono persone specifiche neanche in questo caso e non subiscono le conseguenze della scelta di chi va controtendenza.

Quindi ricapitolando, andare in controtendenza e andare controcorrente rappresentano una situazione in cui si fa qualcosa che va contro la tendenza comune o il consenso generale, mentre “remare contro” significa opporsi o resistere a qualcosa o qualcuno direttamente, che dunque è coinvolto nella scelta di chi rema contro.

Esiste ovviamente anche “remare a favore” che si contrappone a “remare contro” e quindi indica un’azione che va nella stessa direzione dell’interesse di altre persone coinvolte nella questione.

Per finire vi segnalo che anche l’espressione “essere restio” indica qualcosa di simile all’opposizione, ma direi che siamo più vicini sicuramente al concetto di diffidenza. Ci può essere resistenza. Una persona restia verso qualcosa, va convinta che quella è la scelta giusta da fare. Non c’è opposizione a prescindere. come nel caso del bastian contrario. Ci può essere paura. C’è sicuramente esitazione dovuta a mancanza di convincimento o di coraggio. Non c’è però il concetto di contrarietà contro persone specifiche o generiche.

Adesso ripassiamo qualche episodio passato parlando dei vostri nemici. Se ne avete ovviamente. La parola passa ai membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

Hartmut: Ne ho, ne ho. Eccome! Ma non credo che ci sia nulla di congeniale nell’affrontare i nemici. Le sconfitte sono troppo onerose per me.

Ulrike: Io non credo di averne, ad ogni modo spesso è necessario assumere una posizione, e questo può creare dei nemici. Pazienza, no?

Danielle: Sì, ma occorre anche avere fegato nel farlo. Averne di coraggio!

Peggy: Il problema sono gli strascichi che lasciano i nemici. Mi ritengo troppo sensibile. Meglio avere solo amici.

Marcelo: Capace che hai ragione. Però inizialmente si possono anche avere scontri con delle persone, ma quando si intravede una breccia di speranza all’orizzonte bisogna cogliere l’occasione per fare pace e magari poi quel nemico diventa il nostro miglior amico. Hai visto mai!

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La sgrammaticatura istituzionale – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 35)

La sgrammaticatura istituzionale (scarica audio)

Indice episodi del linguaggio della politica

Trascrizione

Bentornati nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al linguaggio della politica.

Una parolina che ogni tanto si vede usare quando si parla di politica è sgrammaticatura.

Ma che c’entra la grammatica?

Normalmente infatti una sgrammaticatura indica un errore grammaticale.

Un compito pieno di sgrammaticature è pertanto un compito pieno di errori di grammatica.

Il fatto è che parlando di politica, a questo termine si associa l’aggettivo istituzionale o anche costituzionale.

Cos’è una sgrammaticatura istituzionale o costituzionale?

Si tratta sempre di una specie di errore in fondo, perché qualcuno già da qualche anno, ha pensato di usare questa espressione in occasione di episodi in cui c’è stato un modo scorretto di applicare le regole istituzionali.

Le istituzioni ad ogni livello e anche i personaggi che ricoprono cariche politiche hanno un compito preciso, dettato dalle leggi, cioè dalla costituzione o altre norme o da regolamenti, e anche il modo di assolvere a queste funzioni è definito, se non dalle norme, dalla prassi. Assolvere in questo caso significa compiere, adempiere. Parliamo di doveri.

Ebbene, ci sono casi in cui tali compiti o tali comportamenti non sono stati rispettati esattamente come si doveva ma si sono verificate scorrettezze, inesattezze, errate interpretazioni delle norme, o comportamenti non esattamente coerenti con la figura ricoperta da un personaggio delle istituzioni o dalle istituzioni stesse.

Spesso si parla di conflitti sulle competenze dei vari organi amministrativi o di governo.

Vi faccio alcuni esempi:

Una regione Italiana e alcuni comuni entrano in conflitto perché i comuni hanno organizzato degli incontri per prendere decisioni di interesse comune, ma non hanno coinvolto la Regione su una questione sulla quale è proprio la Regione a stanziare le risorse.

La regione pertanto lamenta una sgrammaticatura istituzionale, cioè una scorrettezza, o, nel migliore dei casi, un errore.

Vediamo un ultimo esempio riguardante una sgrammaticatura costituzionale:

La costituzione prevede che un cittadino italiano possa non andare a votare durante un referendum, ma un pubblico ufficiale non può indurre all’astensione i cittadini, non può cioè consigliare loro di non andare a votare o convincerli in tal senso.

Qualora questo accada qualcuno potrebbe parlare di sgrammaticatura costituzionale.

In tal caso (come nel precedente esempio) si sta utilizzando una modalità alternativa per denunciare una scorrettezza, un errore o, come in questo ultimo esempio, un atto illegittimo.

Quando però si parla di sgrammaticature istituzionali, a volte lo si fa per minimizzare l’accaduto, declassandolo come sgrammaticatura, paragondolo cioè ad un’errore grammaticale, cioè una cosa di poco conto, l’accaduto.

Così, una dichiarazione inopportuna, ad esempio con contenuti razzisti di una carica istituzionale viene derubricata (cioè declassata) come sgrammaticatura istituzionale, come a dire:

Queste dichiarazioni il presidente non può dirle perché non è previsto dal regolamento.

In un altro paese magari sarebbero state richieste le sue dimissioni per una questione così importante.

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano dedicato al linguaggio della politica.

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