Kappaò o fuori combattimento

Kappaò o fuori combattimento (ep. 1145) (scarica audio)

Trascrizione

Ci avete mai fatto caso che KO è OK hanno un significato opposto?

Eppure la parola “kappaò” (o KO), è l’abbreviazione della locuzione inglese knock out.

Kappaò ha un significato specifico e vari usi, che possono essere particolarmente utili e interessanti per chi sta imparando l’italiano.

Il termine viene dal mondo del pugilato.

Nel pugilato, “kappaò“, che spesso e volentieri si scrive con le due lettere k e o, indica la situazione in cui un pugile viene messo fuori combattimento con un colpo così potente da impedirgli di rialzarsi entro il conteggio di dieci secondi.

In questo contesto, “kappaò” è sinonimo di incapacità di continuare a combattere a causa di uno stato di incoscienza o incapacità fisica.

La versione abbreviata, “KO”, è un termine internazionale che viene riconosciuto e utilizzato anche in altre lingue, inclusa l’italiano.

Quindi KO in italiano sarebbe “fuori combattimento” e possiamo tranquillamente usare questa come modalità per esprimere lo stesso concetto, in ogni caso, letterale o figurato. Lo possiamo usare quasi sempre al posto di KO.

Esempi:

Durante il match, al terzo round, il pugile ha subito un kappaò.

In questo caso non si dice subire un fuori combattimento. Possiamo solamente usare “subire un ko”.
Possiamo però comunque usare “è stato messo fuori combattimento” al posto di “ha subito un ko”.

Nel linguaggio quotidiano italiano, “kappaò” e “fuori combattimento” sono usati spesso in senso figurato per indicare una situazione di estrema stanchezza o esaurimento. In questo caso, si usa per descrivere una persona che è “al tappeto” o che si sente “distrutta” o esausta.

Ricordate l’episodio dedicato al colpo di grazia?

Non c’è dubbio che dopo aver ricevuto il colpo di grazia, si viene messi ko, sebbene un colpo di grazia spesso prefiguri la morte, ben peggiore del ko! In contesti soprattutto sportivi però, il senso è il medesimo.

L’uso del termine ko e di “fuori combattimento” può essere utile per chi studia l’italiano perché è molto comune, informale e può aggiungere espressività al linguaggio.

Esempio:

Dopo otto ore di lavoro in piedi, ero completamente Kappaò.

Dopo otto ore di lavoro in piedi, ero completamente fuori combattimento

Si può anche parlare di una situazione di fallimento o sconfitta schiacciante, in particolare in ambiti che possono ricordare una “competizione” o una “sfida” (ad esempio, negli affari, nello sport o negli studi).

Questo significato enfatizza il senso di non riuscire a rialzarsi o recuperare la situazione, proprio come un pugile sconfitto sul ring.

Possiamo anche esprimere una sconfitta forte e definitiva.

Esempio:

La bocciatura all’esame di matematica ha lasciato conseguenze. Sono andato kappaò psicologicamente.

In definitiva, per usare ko e fuori combattimento, ciò che conta è il fatto di non riuscire più a proseguire, da ogni punto di vista, fisico o psicologico.

Oltre agli usi principali sopra descritti, “kappaò” può apparire anche in situazioni ironiche o esagerate. Ad esempio, può essere usato per descrivere una reazione a una notizia scioccante o a un evento particolarmente stressante o imprevedibile.

Esempio di utilizzo:

La notizia del costo della riparazione della macchina, mi ha messo kappaò!

Quella barzelletta mi ha messo Kappaò

I verbi che possono essere usati con Kappaò e quasi sempre anche anche con “fuori combattimento” sono:

– mettere (con la tua notizia mi hai messo Kappaò)

– subire (nell’ultima sfida ho un subito un Kappaò tremendo)

– mandare (es: il caldo mi ha mandato Kappaò)

– andare (dopo cinque ore di lezione sono andato Kappaò)

– essere (dopo che Laura mi ha lasciato ero completamente Kappaò)

– rimanere (quando ho visto il conto al ristorante sono rimasto ko)

– cadere (dopo l’ultimo colpo, il pugile è caduto Kappaò)

sentirsi (dopo due ore di corsa mi sentivo Kappaò).

Adesso tocca a voi. Cosa vi mette fuori combattimento o Kappaò?

– – –

Ripasso in preparazione a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente

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Marcelo: Ci sono molte cose delle quali posso dire di aver subito un kappaò, ma me ne viene in mente una che mi è successa la settimana scorsa.

Christophe: Ero in dirittura d’arrivo per finire una lunga lista di riparazioni che hanno interessato alcuni elettrodomestici che a quanto pare hanno deciso di rompersi tutti allo stesso tempo, quando di scatto mia moglie mi annuncia: “amore! Sai cos’altro non funziona più?!”

Ulrike: Senza aspettare la mia risposta, aggiunge: “il forno a microonde!”
Questa giornata è
tutto un programma!” le ho fatto io per tutta risposta.

Anne Marie: la mia faccia si è trasformata immediatamente, le sopracciglia si sono aggrottate e gli occhi spalancati come due piatti! Non immaginavo che ciò che era appena successo fosse foriero di ancora nuovi problemi!

M5: io mi sono guardato bene dall’improvvisarmi tecnico riparatore, ma non vi dico a quanto è ammontato il preventivo del servizio riparazione.

M6: però posso dire che mi ha lasciato kappaò! Pazienza!

Ho già dato (ep. 1007)

Ho già dato

DURATA MP3: 10 min. circa

Descrizione: benvenuti nell’episodio numero 1007 della rubrica due minuti con Italiano Semplicemente.

Ho già dato” è un’espressione tipica del linguaggio informale, spesso usata in senso ironico, con la quale si vuole rappresentare di aver già vissuto una determinata esperienza.

Proponiamo anche una serie di esercizi per testare il grado di comprensione di questo episodio.

A partire dal numero 1001, gli episodi di questa rubrica sono solamente per i membri dell’associazione.

Le frasi di ripasso degli episodi precedenti, che si trovano alla fine dell’episodio, sono state registrate da Marcelo (Argentina 🇦🇷) e Zhao Junna (Cina 🇨🇳)

Se volete, Saremo felici di avervi tra noi. Guardate tutti i vantaggi sulla pagina dell’associazione.

ENTRAADERISCI

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Photo by Josue Ladoo Pelegrin on Pexels.com

L’ansia si trasmette? Il linguaggio della salute (ep. 2)

L’ansia si trasmette? (scarica audio)

Giovanni: L’ansia si trasmette? Un genitore può essere la causa di un figlio ansioso?

Queste sono le domande di oggi per il secondo episodio del linguaggio della salute, la nuova rubrica di Italiano Semplicemente adatta per migliorare il nostro italiano.

Sappiamo che non bisogna studiare il condizioni di stress – è la terza regola d’oro di Italiano Semplicemente se ricordate. L’ansia quindi è concepita come qualcosa che non giova, non è salutare oltre certi limiti. Soprattutto per i ragazzi.

L’ansia si trasmette?

Trasmettere” è il verbo che si usa normalmente per indicare il passaggio di una malattia da una persona all’altra.

Parliamo delle malattie trasmissibili, chiaramente.

Non tutte le malattie infatti si possono trasmettere.

Riguardo all’ansia, l’ho chiesto ad una professoressa universitaria, membro dell’associazione Italiano semplicemente di nome Rafaela, di nazionalità spagnola.

Ma cos’è l’ansia?

Facciamo una piccola premessa.

L’ansia è un’emozione naturale (non una malattia quindi) e anche normale, che tutti possono provare (tutte le emozioni si “provano”) in determinate situazioni, ad esempio in caso di esame, un colloquio di lavoro o situazioni di stress.

Tuttavia, quando l’ansia diventa eccessiva e interferisce con la vita quotidiana, sappiamo tutti che può diventare anche un problema di salute: può generare eccessiva preoccupazione, inquietudine, paura, apprensione, tensione e anche stanchezza.

Ma Rafaela è specializzata in psicologia dei ragazzi e allora le chiedo:

L’ansia dei ragazzi da cosa dipende?

Rafaela: buongiorno a tutti. La causa dell’ansia nei ragazzi può essere attribuita a molteplici fattori, tra cui la pressione scolastica, la competizione sociale, la pressione dei genitori e la mancanza di autostima.

Quindi sì, l’ansia può dipendere anche dai genitori. Tra l’altro, quando vediamo davanti a noi a una persona con un’ansia esagerata, ci può fare innervosire e possiamo provare anche noi ansia.

Giovanni: C’è allora un legame col comportamento dei genitori?

Rafaela: Nel corso degli anni, è stata constatata (cioè verificata, appurata) una connessione, cioè un legame, tra l’ansia dei ragazzi e genitori iperprotettivi.

Giovanni: bel termine questo. I genitori iperprotettivi sono coloro che proteggono eccessivamente i figli. “Iper” è simile a “super”.

Rafaela: infatti, ma così facendo si impedisce loro di maturare e la loro autostima è minacciata. Questa eccessiva protezione impedisce loro di sviluppare la resilienza necessaria a fronteggiare le situazioni di stress e difficoltà.

Giovanni: è una parola molto di moda in questi ultimi anni questa: la resilienza.

In psicologia la resilienza è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.

Si usa però anche in economia recentemente, per indicare la capacità di una economia, cioè di un paese, di una nazione, di superare prove difficili e crisi economiche.

Più è elevata la resilienza, meglio è.

Tornando alla medicina invece, pare che gli esperti, Rafaela compresa immagino, concordino sul fatto che l’ansia possa essere utile in alcune situazioni, poiché può tenere il corpo in allerta, in allarme, per affrontare una minaccia o una situazione pericolosa.

Quindi l’ansia in qualche modo è utile, serve a qualcosa.

Tuttavia, l’ansia eccessiva può ostacolare il normale funzionamento della vita quotidiana, tanto da impedire ai ragazzi di godersi le attività quotidiane e di sviluppare normalmente.

Rafaela: certo, e allora è importante che genitori e educatori aiutino i ragazzi a comprendere l’ansia e a sviluppare strategie salutari per affrontare le situazioni stressanti. Inoltre, è importante che i genitori evitino di mettere troppa pressione sui propri figli e li aiutino a sviluppare la resilienza necessaria per fronteggiare le difficoltà della vita.

Giovanni: allora meglio non proteggerli affatto? Ma qual è il contrario di iperprotettivo?

Si va da un eccesso all’altro. Si dice che un genitore, in questo caso, è lassista, permissivo. Parliamo del lassismo. È positivo il lassismo dei genitori?

Un genitore è lassista quando manca di rigore, quindi una specie di menefreghismo, un eccessivo permissivismo.

Rafaela: purtroppo anche il lassismo eccessivo può rendere i figli più vulnerabili all’ansia. E bisogna sapere che ci sono altri stili genitoriali come lo stile eccessivamente autoritario ed esigente. Questo tipo di genitore è ancora più collegato ai sintomi di ansia nei figli. Se i genitori usano una severa disciplina con i figli e li puniscono per i loro errori, è più probabile che i figli sviluppino una maggiore sensitività e reattività ai propri errori. Questa maggior reattività negativa davanti ai propri errori poi diventa parte della loro struttura neurale ed è questa caratteristica neurale a essere associata ai disturbi dell’ansia.

Giovanni: un mestiere difficile quello del genitore vero?

Rafaela: purtroppo si! Ma non ti far venire l’ansia perché ci sono molti fattori a intervenire, oltre ai genitori.

Giovanni: ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente dedicato alla salute. Grazie a Rafaela.

Rafaela: prego! Grazie te per questa occasione!

Giovanni: nel prossimo episodio parliamo delle analisi del sangue e ci aiuterà André dal Brasile, un esperto del settore. Anche André è membro dell’associazione Italiano semplicemente.

André gestisce infatti un centro analisi ad Araraquara, vicino San Paolo.

Anch’io una volta ho fatto le analisi del sangue nel laboratorio di André.

André: Fortunatamente sono andate bene 🙂

Giovanni: ah, per fortuna! Mi stava già prendendo l’ansia!

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749 Non averne più

Non averne più (scarica audio)

Trascrizione

Gianni: oggi parliamo di “non averne più”.

Cosa? Ne abbiamo già parlato?

Vero. Abbiamo già affrontato qualcosa di simile in passato.

Abbiamo già detto infatti che oltre al senso proprio di “non averne più” di qualcosa (“ne” può riferirsi a qualunque cosa, può indicare qualunque cosa), abbiamo anche parlato (già due volte) di locuzioni simili, locuzioni che contengono sia il verbo avere che la particella “ne”.

La prima volta abbiamo parlato di tempo, nell’episodio 524, (es: “ne ho ancora per 1 ora” cioè mi manca ancora un’ora) poi in quello successivo, dove invece abbiamo parlato di non risparmiare nessuno (es: se mi fate arrabbiare non ne avrò per nessuno), cioè non risparmierò nessuno.

In questo caso posso anche aggiungere “più”: non averne più per nessuno, e il senso non cambia molto.

Ma “non averne più”, di cui parliamo oggi, può avere anche un altro significato.

“Non averne più”, in questi casi, può significare essere stanchissimi, quindi si sta parlando, anche se non viene detto, di energie: significa terminare le energie, non avere più energie, fisiche o mentali.

Sapete bene che in genere se usiamo la particella “ne” ci riferiamo a qualcosa di cui abbiamo già parlato.

Es:

Quanti anni hai?

Ne ho 25.

Parliamo di anni in questo esempio.

Stavolta invece, proprio come nell’espressione “non averne per nessuno” non siamo in quel caso.

Oggi parliamo di energie, ma questo lo possiamo capire solamente dal contesto.

“Non averne più” è simile a “essere esausti”. Si usa spesso parlando di sport.

Es:

È stata una partita molto intensa, e al minuto 90°, quando i giocatori avversari non ne avevano più, è arrivato il gol della vittoria.

I giocatori avversari quindi non avevano più energie da spendere, perché evidentemente le avevano spese tutte: non ne avevano più.

È solo leggendo tutta la frase che capiamo il significato.

Altri esempi simili:

I ragazzi non ne avevano più dal punto di vista fisico e mentale, al contrario degli avversari.

All’ultimo km di strada il ciclista è crollato sia psicologicamente che fisicamente, non ne aveva più.

Per oggi non ne ho proprio più, mi devo assolutamente riposare.

Attenzione perché la locuzione non ha esattamente lo stesso senso di “non poterne più“.

Dire “non ne ho più” non è esattamente come “non ne posso più” perché quest’ultima (che abbiamo visto ugualmente in un altro episodio) può esprimere ugualmente sia una stanchezza fisica che mentale, ma oltre ad essere più adatta per le esclamazioni, spesso è legata alla sopportazione quindi ha quasi sempre un forte contenuto emotivo e di conseguenza c’è solitamente più enfasi.

Potrei dire lo stesso di “averne abbastanza, ma non lo faccio perché anche in questo caso abbiamo un episodio passato ad hoc.

Diciamo che “non averne più” ha la caratteristica di riferirsi alle energie fisiche, mentali e/o psicologiche ma non si usa quando si parla di sopportazione o di sfoghi personali tipo:

Basta, ne ho abbastanza di te, non ti sopporto più, non ne posso più!

Adesso è il momento del ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente:

Peggy: mi pare che “non averne più” sia anche simile a dare fondo a tutte le energie. Mi sbaglio?

Giovanni: bravissima Peggy. È proprio così infatti. Nell’episodio dedicato a “dare fondo” abbiamo visto che significa terminare, finire, esaurire una qualsiasi risorsa. Anche una risorsa economica però.

Irina: bene, vedo che a differenza di me c’è chi riesce a far tesoro degli episodi passati. Che frustrazione…

(ps: nel prossimo episodio parleremo proprio della frustrazione).

Segue commento e spiegazione del ripasso

681 Essere provato

Essere provato

File audio MP3 disponibile per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente (ENTRA)

Se non sei membro ma ami la lingua italiana puoi registrarti qui

 

Trascrizione

Giovanni: Dopo aver provato a spiegarvi, nell’ultimo episodio, uno degli utilizzi del verbo provare, oggi ne vediamo un altro.

Essere provato, infatti, è completamente diverso da aver provato.

Essere provati significa semplicemente essere stanchi, ma è una stanchezza che può essere di due tipi diversi.

Può essere una grande stanchezza, quindi essere provato è come essere stanchissimo, essere esausto, non avere più energie.

Il secondo uso si riferisce imvece ad una stanchezza diversa, non solo fisica ma anche mentale. Si può trasmettere anche un senso di sofferenza.

Ecco che allora una persona provata può esserlo perché non ha più le energie, fisiche o mentali, ma si può dire anche di persone che recano i segni di esperienze difficili o dolorose:

È una famiglia provata dalle disgrazie

Quest’uomo è visibilmente provato dagli anni

Sono veramente provato. Dopo 25 esami all’università e il dottorato non vedo l’ora di iniziare a lavorare.

Posso anche dire che:

Un contadino può essere provato dalla fatica

In questo caso si parla di fatica, ma non necessariamente di fatica di una giornata di lavoro, bensì quella di una vita di lavoro e sacrifici.

Provato è quindi un aggettivo, proprio come stanco e esausto, e si usa solo per le persone o al limite per un animale, che so, ad esempio un asino provato dalla fatica o un qualunque animale provato dagli anni, provato dall’età.

Potrebbe sembrare che non ci sia nessun legame col verbo provare, inteso come sperimentare, tentare.

Ma vediamo la frase seguente:

I ragazzi, dopo quattro ore di maratona, sono stati provati dallo sprint finale.

Oppure:

L’ultima salita mi ha provato!

In questo caso, essere provati da qualcosa si avvicina a “essere messi a dura prova” , o semplicemente “essere messi alla prova” .

Quando qualcosa ci mette alla prova, questa è una sfida da vincere, ed è una sfida molto difficile da vincere.

Non è sicuro che si riuscirà a vincere, perché la sfida ci metterà alla prova, ci metterà a dura prova.

La prova sarà dura e solamente provando si può verificare se possiamo veramente farcela.

La cosiddetta “prova” è infatti un sinonimo di sfida, qualcosa da superare, qualcosa che ci impegnerà duramente.

Dunque possiamo sentirci provati dopo che qualcosa ci ha messo a dura prova dal punto di vista fisico o mentale, ci ha estenuati.

È vero o no che la lotta contro il virus ha messo alla prova i sistemi sanitari di tutto il mondo?

È anche vero che tutti noi ma soprattutto i medici che sono in prima linea sono provati da due anni di lotta contro il Covid.

Notate che normalmente si usa il verbo essere, ma possiamo anche usare sentirsi:

Mi sento provato dalla fatica

Ci sentiamo provati da tanti anni di lavoro

Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente

irina russiaIrina: Ciao a tutti. Vorrei rispondere a Marcelo e complimentarmi con lui per i suoi bei ripassi che ha fatto di recente. Riprendendo il suo discorso sull’attività fisica e l’alimentazione, direi che schiaffarsi sul divano dopo aver mangiato, magari dopo aver anche sforato col cibo, è una cosa normale da fare, no? Non sono un medico ma l’attività fisica dopo un pranzo abbondante direi proprio che sia il caso di evitarla.

Karin: Sì, lo penso anch’io. Trenta e anche passa minuti per il riposo, dopo aver mangiato a crepapelle credo sia la mossa giusta da fare altro che storie!

Albéric: guarda, con me sfondi una porta aperta, però bisogna comunque stare alla larga dai cibi troppo pesanti. State sempre sul chi vive riguardo all’alimentazione, altrimenti la pesantezza, giocoforza, è inevitabile e si rischia di prendere una brutta piega col tempo.

Hartmut: concordo. Va bene ogni tanto mangiare e divertirsi, ma si dà il caso che il colesterolo non si possa prendere alla leggera. Avete sicuramente ben presente il fatto che la cattiva qualità del sonno può essere un campanello di allarme per il colesterolo alto, vero? Livelli alti, appunto, possono causare disturbi del sonno.

Anthony: per quanto mi riguarda, In quanto medico, ce ne sarebbero di cose da dire ma
non voglio tediarvi con noiosi paroloni scientifici. Sicuramente bisogna sgombrare la tavola dai cibi più grassi, che causano maggiore pesantezza . Non siate ossessionati però. Mangiare troppo fa male ma di qui a dire che un singolo peccatuccio di gola sia deleterio ce ne vuole. La parola d’ordine è “moderazione”.

Peggy: Io veramente ne faccio anche qualcuno in più di peccatuccio di gola, ma in compenso faccio molta attività fisica. Per tenere a bada il colesterolo poi mangio 5 porzioni di frutta e verdura al giorno e al contempo cerco di scegliere cibi ricchi di fibre come il pane integrale, legumi e cereali.

bogusia poloniaBogusia: ho capito, volete farmi sentire in colpa perché non so resistere a patate arrosto e salsicce? Ma non è colpa mia. Tra la mia voglia di moderazione e le salsicce che mi dicono “mangiami” la sfida è impari.

Ulrike: non me lo dire! Con me un piatto non resta mai Intonso! Inoltre sono di un goloso pazzesco! Ma da domani, quant’è vero Iddio, mi metto a dieta!

Khaled: e fu così che si mangiò tutto il frigorifero! Le ultime parole famose!

Non ne posso più

Audio

È possibile ascoltare il file audio in formato mp3 tramite l’audiolibro in vendita su Amazon (Kindle o cartaceo)

Trascrizione

Ciao ragazzi e benvenuti su ItalianoSemplicemente.com io sono Giovanni.

Oggi ci occupiamo di stanchezza. Come possiamo definire la stanchezza?

Sicuramente possiamo parlare di una sensazione, una sensazione soggettiva, cioè che riguarda un singolo soggetto, cioè una singola persona, oppure la stanchezza possiamo definirla come anche una condizione di indebolimento delle proprie forze e capacità. Diventiamo deboli in conseguenza di uno sforzo fisico o mentale. Nel caso mentale quindi parliamo di un indebolimento della capacità di concentrazione o di partecipazione.

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La stanchezza la possiamo quindi dividere in due categorie: la stanchezza fisica e quella mentale:

La stanchezza fisica riguarda il nostro corpo mentre la stanchezza mentale è quella stanchezza che non riguarda le sensazioni fisiche ma quelle mentali e celebrali, quindi quel genere di stanchezza che arriva quando il nostro cervello è stanco, perché è stato sottoposto ad una condizione di stress, ad esempio perché si sono verificati una serie di eventi tali da averci messo alla prova.

Ebbene, “Non ne posso più” è la frase di oggi (non ne posso più: quattro parole), frase interessante, che molti stranieri conoscono ma probabilmente non tutti. Allora oggi cerco di spiegarvi questa espressione, questa esclamazione, ed in questo modo colgo l’occasione per spiegare altre modalità per esprimere ogni tipo di stanchezza.

Non ne posso più” è in realtà un’espressione di estrema stanchezza fisica o mentale, estrema significa massima, esagerata, cioè indica che siamo al limite, stiamo per raggiungere il limite massimo della stanchezza. Cosa c’è dopo l’estrema stanchezza mentale? Cosa succede dopo aver superato il limite estremo? Beh, nel caso della stanchezza mentale evidentemente quando superiamo il limite, il valore estremo, quello che succede è che perdiamo la pazienza, non riusciamo più a comportarci in modo razionale ed equilibrato e perdiamo il controllo.

Questo è un limite variabile da persona a persona, un limite che dipende da ciascuno di noi, dal nostro personale grado di sopportazione e di pazienza.

Se ad esempio state facendo una passeggiata in montagna, dopo 5 ore di passeggiata qualcuno di voi potrebbe stancarsi ed esclamare:

– scusate, io mi fermo, non ne posso più.

In realtà, in questo caso (siamo nel caso di stanchezza fisica) l’espressione più usata è:

Non ce la faccio più!

Quest’ultima è infatti più adatta alla stanchezza fisica, benché non ci siano problemi ad usare “non ne posso più”, che è ugualmente adatta.

In entrambi i casi si potrebbe iniziare la frase con “basta!” che indica in una sola parola la volontà di arrestare ciò che sta proseguendo da troppo tempo, che in questo caso è la passeggiata in montagna.

Nel caso di stanchezza fisica ci sono molte espressioni equivalenti informali:

Basta!

Mi arrendo! (che si può usare nel caso di una sfida personale o nel caso di una gara)

è troppo!

– Sono sfinito! (con la “s” davanti)

Ripeti: Sono sfinito!

In questo caso parliamo dello sfinimento delle energie: “questa riunione mi ha sfinito!” cioè mi ha tolto le energie. Questo è essere sfiniti.

Lo sfinimento si usa soprattutto nella frase: “fino allo sfinimento

– Il cane ha abbaiato fino allo sfinimento

– Ho ripetuto a mio figlio fino allo sfinimento che deve fare i compiti

– Stasera vorrei lavorare fino allo sfinimento per terminare il mio lavoro

In tutti questi casi il termine sfinimento si usa per indicare un’attività che si è protratta a lungo, quindi si vuole indicare lo sforzo fatto e la stanchezza derivante da questo sforzo.

Un’altra espressione interessante è:

Sono al capolinea!

Ripeti: sono al capolinea!

Anche quest’ultima è un’espressione che si può usare quando vi trovate al limite estremo di stanchezza fisica. Il capolinea indica la stazione o la fermata terminale di un servizio di trasporto pubblico, per lo più urbano. Il capolinea è l’ultima fermata, quindi essere al capolinea (cioè a capo della linea – la linea di autobus si intende, dove la linea indica il numero identificativo dell’autobus).

In realtà essere al capolinea non si usa solamente nel caso di stanchezza, anche quando un percorso sta per finire. I giornalisti utilizzano molto questo modo di dire quando parlano di un percorso politico ad esempio, o lavorativo, o affettivo:

– Il partito al governo è al capolinea (nel senso che sta per terminare l’esperienza politica al governo)

– Il nostro amore è al capolinea (cioè sta per finire)

– Il capitalismo finanziario è al capolinea (anche qui indica una fine prossima, in tal caso del capitalismo finanziario)

Comunque si usa anche spesso per indicare una stanchezza estrema.

Poi c’è:

– Sono arrivato!

Anche questa è una modalità frequente e abbastanza informale: sono arrivato, Sono proprio arrivato. Molto usata dai giovani.

Un’altra espressione curiosa, anche questa molto usata dai giovani è:

– Sono alla frutta!

Ripeti: Sono alla frutta!

Questa frase si usa spesso in Italia per indicare una stanchezza estrema. Perché alla frutta? Di solito i pasti in Italia finiscono con una porzione di frutta: una mela, una pera, del melone eccetera. Quindi, nel senso proprio, la frase significa “finire il pasto”. Essere alla frutta significa essere arrivati al momento della frutta, cioè proprio quando il pasto sta per terminare.

In realtà posso usarlo anche se non stiamo mangiando ma ugualmente c’è qualcosa che stiamo finendo: le energie. Stiamo finendo le energie quindi diciamo di essere “alla frutta”.

Quando uscite dal lavoro alle 20 di sera, dopo una giornata di intenso lavoro, siete autorizzati sicuramente a dichiarare di essere alla frutta, poiché a quel punto non resta che il letto per terminate la giornata.

Molto informale anche questa modalità: “essere alla frutta”. Se volessi essere più formale potrei invece tranquillamente dire:

– sono esausto!

Qui mi riferisco all’esaurimento delle energie. Io sono esausto, cioè privo di energie. Non ho più energie. Le mie energie sono esaurite, sono finite, terminate, quindi sono esausto, come le batterie, cioè le pile, che quando sono scariche non hanno più la carica elettrica per ricaricare un telefono cellulare, ad esempio.

Attenzione a non confondere l’essere esausti con l’esaustività.

Ripeti: esaustività

L’esaustività indica tutta un’altra cosa. L’esaustività è la capacità di essere esaustivi (e non esausti. Le due cose sono ben diverse). Cosa significa essere esaustivi?

È questa una bella modalità per indicare che una cosa è stata spiegata bene, o che una persona ha spiegato bene qualcosa, cioè in modo completo, in modo esaustivo.

Sono stato esaustivo? Cioè: mi sono spiegato bene? Avete capito tutto chiaramente?

Se state cucinando un piatto italiano e state leggendo la ricetta su un libro, sperate che le istruzioni siano esaustive, perché se non sono esaustive allora non riuscirete a cucinare il piatto in modo esatto. L’esaustività quindi è un pregio, e una mancanza di esaustività indica una mancanza di completezza. L’esaustività è associata a molte cose diverse: una spiegazione, una ricerca, una trattazione, una soluzione. Io spero che questo episodio sia esaustivo, perché se non fosse esaustivo sarebbe carente di informazioni.

Ma torniamo alla stanchezza fisica. In quel caso parliamo di esaurimento e non di esaustività. Possiamo anche dire:

– Sono esaurito

Ma questa modalità aggiunge qualcosa in più alla stanchezza. Se dico “sono esaurito” può anche essere semplicemente stanchezza, quindi parliamo di un esaurimento delle energie, ma in generale il concetto è simile e vicino a quello dell’esaurimento nervoso, che è la denominazione generica di una serie concatenata di disturbi da stress. L’esaurimento nervoso è una forma di depressione o di disturbo d’ansia. Un concetto abbastanza generico ma legato ad una condizione di salute che va curata, una specie di malattia dunque. L’essere esauriti quindi richiama un po’ l’esaurimento nervoso, e si può usare ogni volta che vogliamo indicare una stanchezza molto grave che ha portato delle conseguenze mentali, quasi come se avessimo bisogno di un medico.

Altre modalità per esprimere stanchezza informali sono poi:

– Sono stremato (cioè sono allo stremo delle energie)

– Sono spossato, logorato

Ripeti:

– sono logorato

– Logoramento

Il logoramento, in particolare, è molto usato quando si parla di stanchezza fisica.

Tutti i materiali sono soggetti a logoramento: si logorano perché si consumano, il tempo li consuma, ma anche l’utilizzo li logora.

Cosa può logorarsi? In senso figurato anche le forze possono logorarsi, l’ingegno, per arrivare fino ad un rapporto affettivo. Anche le amicizie, purtroppo, possono logorarsi col tempo.

Quindi se dite “sono logorato” state esprimendo una forte stanchezza fisica oppure mentale: non siete più quello/a di prima: siete consumati, consunti; siete spossati, stanchi. Il logoramento in genere indica una condizione dalla quale non si può tornare indietro, quindi è più forte come termine, e questo lo rende adatto anche ad essere utilizzato per i rapporti sociali come le amicizie.

– Sono logorato da questo rapporto difficile

– Non voglio che il mio lavoro mi logori

– il potere logora chi non ce l’ha

Quest’ultima frase è molto celebre perché appartiene ad un importante politico italiano del recente passato, che ha scritto anche un libro con questo titolo.

Ma torniamo alla nostra frase di oggi: “Non ne posso più”, dicevamo prima, si usa sia nel caso di stanchezza fisica che in quello di stanchezza mentale. Quest’ultimo caso è quello più interessante, senza dubbio.

Non ne posso più di questo lavoro, voglio assolutamente trovarne un altro!

C’è la particella “ne” all’interno, che indica qualcosa, che in questo caso è il mio lavoro.

Di solito quando si utilizza questa espressione si chiarisce sempre la cosa della quale stiamo parlando:

– Non ne posso più della nostra relazione!

– Non ne posso più di questi ritardi dell’autobus tutte le mattine!

– Non ne posso più di te, lasciami stare, ti prego!

– Non ne posso più di questo governo!

Generalmente la particella “ne”, come sappiamo, serve a sostituire la cosa di cui parliamo, invece in questo caso solitamente si chiarisce sempre tramite “di”.

Posso comunque fare una semplice esclamazione:

– non ne posso più!

Tuttavia deve essere chiaro la cosa di cui sto parlando, altrimenti arriverà la domanda:

– Di cosa? Di cosa non ne puoi più?

Risposta (prova a rispondere):

Del mio lavoro. Non ne posso più del mio lavoro!

Perché in questa espressione usiamo il verbo “potere”?

Semplice, sto dicendo semplicemente che non posso più andare avanti, non posso, cioè non riesco più a proseguire. “Non posso” in generale esprime la mancanza di una volontà o l’impossibilità di un’azione:

– Non posso tradire mia moglie (per mancanza di volontà, per rispetto verso mia moglie)

– Non posso essere in aeroporto alle 14. Non posso perché non ci riesco, non sono in grado di farcela, non faccio in tempo.

In questo caso però è fondamentale la presenza di “ne” che dà alla frase tutto un altro significato: “non ne posso più”, indica qualcosa di cui siamo stanchi, quindi se la frase prosegue deve esserci “di” o “del” o “dello”, “della”, “dei”, “degli”, “delle”.

– Non ne posso più di questo caldo

– non ne posso più del mal ti testa

– non ne posso più dello stallo politico italiano

– non ne posso più della pasta alla puttanesca

– non ne posso più dei rumori durante la lezione

– non ne posso più degli schiamazzi notturni

– non ne posso più delle serate in discoteca

Se anche voi non ne potete più di questa spiegazione terminiamo qui questo episodio, augurandomi che continuiate a seguire Italiano Semplicemente e che magari decidiate anche di far parte dell’Associazione Italiano Semplicemente.

Siamo arrivati a 32 membri, l’associazione cresce rapidamente. Vi aspettiamo numerosi.