Accadde il 10 agosto 1893: al di là di ogni ragionevole dubbio

Al di là di ogni ragionevole dubbio (scarica audio)

Trascrizione

Il 10 agosto 1893 l’Italia compì un passo importante nel mondo finanziario con la nascita della Banca d’Italia, frutto della fusione di quattro istituti bancari.

Questo evento arrivò dopo un periodo di grande instabilità e scandali, come quello della Banca Romana, che aveva minato la fiducia nel sistema bancario nazionale.

Per prendere una decisione così cruciale, il governo dovette raccogliere prove e testimonianze precise, valutare ogni elemento con attenzione e assicurarsi che la necessità di riforma fosse chiara al di là di ogni ragionevole dubbio.

Solo quando fu certo che il sistema bancario doveva essere unificato e regolamentato in modo efficace, si procedette alla creazione di una banca centrale capace di garantire stabilità e fiducia.

Questo esempio mostra come in ambito giuridico e politico si agisca solo quando la certezza supera ogni dubbio ragionevole, per evitare errori e ingiustizie.

L’espressione al di là/fuori di ogni ragionevole dubbio, tipica del linguaggio giuridico, indica che una determinata verità è stata accertata con un grado di certezza tale da rendere qualsiasi dubbio infondato e irragionevole.

Non si pretende la verità assoluta, ma si raggiunge un livello di prova così solido da escludere ogni ipotesi alternativa ragionevole.

L’espressione si può usare anche in altre circostanze ovviamente, ma in effetti se fate una ricerca prevalgono, nel suo utilizzo, le occasioni formali e giuridiche.

Ma stiamo parlando di dubbi, quindi nessuno mi vieta, ogniqualvolta bisogna essere sicurissimi, perché c’è una decisione importante da prendere, di dire ad esempio:

Che la carbonara si faccia senza panna è ormai un fatto assodato, direi al di là di ogni ragionevole dubbio.

Studiare solo la grammatica non basta per imparare l’italiano, e questo è chiaro al di là di ogni ragionevole dubbio. È come voler imparare a nuotare leggendo il manuale… senza mai entrare in acqua!

Che fingesse il piacere era evidente al di là di ogni ragionevole dubbio: ha guardato l’orologio tre volte, ha risposto a un messaggio della madre e ha detto ‘Interessante’ nel momento clou.

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Il verbo “sollevare”

Il verbo “sollevare”

(scarica audio)

Associazione Italiano Semplicemente

Indice degli episodi della rubrica

Trascrizione

sollevare

Buongiorno amici di Italianosemplicemente.com e benvenuti nell’episodio dedicato al verbo “sollevare”, che, a quanto pare, ha sollevato dei dubbi in alcune persone che mi hanno chiesto una spiegazione, per via dei molteplici utilizzi di questo verbo poliedrico. Finora abbiamo trattato solamente l’espressione sollevare da un incarico, all’interno del corso di Italiano Professionale.

Il verbo sollevare è uno di quei verbi tuttofare che si infilano dappertutto, sia in senso letterale che figurato. È come un amico sempre pronto a darti una mano… o meglio, a tirarti su quando serve! Sapete bene perché ho usato “tirare su”, vero?

Vediamolo insieme, questo verbo, con un po’ di leggerezza naturalmente (guarda caso, è spesso l’opposto di quello che fa il verbo “sollevare” quando si tratta di pesi!).

1. Sollevare nel senso più atletico della parola

Sollevare vuol dire innanzitutto alzare qualcosa o qualcuno. Questo è l’utilizzo più frequente. Puoi sollevare il tuo amico ubriaco da terra, ma puoi anche sollevare pesi in palestra (o almeno ci si prova), solleviamo le borse della spesa (con grande fatica), solleviamo le mani al cielo quando la nostra squadra segna un gol. Se solleviamo gli occhi, invece, non significa che abbiamo i muscoli nelle palpebre, ma semplicemente che guardiamo in alto.

Altri esempi di questo tipo?

L’aereo si sollevò dalla pista

Aiutami a sollevarmi dal letto per favore

2. Sollevare da un peso (figurato)

Ti vorrei sollevare da questo peso!

Questo è un modo gentile per dire “Vorrei aiutarti a liberarti di questa difficoltà”, “Vorrei alleggerirti da questa responsabilità” (notate come la preposizione cambia al cambiare del verbo).

Notate anche che quando il “peso” è figurato si usa spesso la preposizione “da” o una delle preposizioni articolate collegate (dai, dagli, dalla, eccetera). Ho detto spesso, non sempre. Infatti a volte non si usa nessuna preposizione:

Ti senti sollevato adesso che ho detto che non è colpa tua?

Significa “Ti senti più tranquillo, più leggero?”.

Se qualcuno si sentiva in colpa o preoccupato per qualcosa, sapere che non è colpa sua lo può sollevare, cioè farlo sentire meglio, togliendogli un peso dalla coscienza. Vedete che parliamo sempre di pesi, alla fin fine (questa espressione credo di non averla mai spiegata… me la segno e presto avrete mie notizie 🙂

Non pesa nulla, ma si può sollevare ugualmente. Cos’è? Il sopracciglio può essere una risposta!

Hai sollevato il sopracciglio. Significa qualcosa? Forse hai dei dubbi? Non ti fidi?

Notate che se solleviamo un solo sopracciglio generalmente è proprio per manifestare dubbi o sfiducia, mentre se li solleviamo entrambi è per esprimere stupore.

3. Sollevare pensieri (e non solo pesi)

A volte, però, solleviamo cose più leggere, come i pensieri o le preghiere. “Sollevare il pensiero a Dio” non significa metterlo su un montacarichi, ma elevarlo spiritualmente. Poco usato in questo modo comunque. Lo stesso vale per “sollevare una preghiera al cielo”.

4. Sollevare qualcuno dai guai

Un po’ come un supereroe, “sollevare” può anche significare liberare qualcuno da un problema. Se hai un amico in difficoltà economiche e gli presti qualche soldo, lo stai sollevando dalla miseria (anche se il tuo portafoglio potrebbe sentirsi un po’ meno sollevato).

Quindi parliamo di riuscire a venire fuori da uno stato di difficoltà materiale. Ecco, qui meglio usare risollevarsi.

Grazie all’eredità è riuscito a sollevarsi dalla miseria
Con grande impegno, è riuscito a risollevarsi dopo mesi di recupero

5. Sollevare da un impegno

Se un collega si offre di fare il lavoro al posto tuo, ti sta sollevando da un peso, ma anche da un impegno.

Per sollevare qualcuno da un impegno comunque è sufficiente dirgli che non deve più fare quella cosa, che non ha più quell’impegno. Non è necessario che quell’impegno venga assunto da altri.

Rispolverando l’episodio di Italiano Professionale di cui sopra, se il tuo capo ti solleva dall’incarico, beh… diciamo che hai un sacco di tempo libero da quel momento in poi!

Sollevare qualcuno da un incarico infatti è un modo più formale e “delicato” per dire che qualcuno è stato rimosso dal suo ruolo, che spesso equivale a dire che è stato licenziato o destituito. C’è da dire però che una persona può anche essere promossa ad un livello superiore e anche in questo caso possiamo usare sollevare. Es:

Sollevare qualcuno al trono

Poco usato comunque.

6. Sollevare un problema (e creare scompiglio!)

Così come si sollevano dubbi (non ve l’avevo detto ancora?) si possono allo stesso modo sollevare delle questioni. In entrambi i casi si porta all’attenzione qualcosa a altre persone.

“Scusate, vorrei sollevare una questione.” Classica frase da riunione che può scatenare il caos! Sollevare una questione significa proprio questo: portarla all’attenzione di tutti. Poi però qualcuno potrebbe risponderti: non sollevare questioni inutili che rischiano di sollevare un polverone! Quest’ultima espressione l’abbiamo già incontrata nell’episodio dedicato al “polverone”, se ricordate. È simile a sollevare una polemica. D’altronde abbiamo già visto che si può sollevare anche una bufera, un putiferio o un vespaio.

7. Sollevare proteste (o rivoluzioni!)

Estremizzando e generalizzando, quando una nuova legge o qualunque altra cosa, non piace, può sollevare polemiche. Se le polemiche sono tante, possono addirittura sollevare una ribellione. E qui passiamo al significato più epico del verbo: far insorgere le masse! Sollevare le masse significa esattamente questo: far insorgere le masse, cioè scatenare proteste da parte della gente, del popolo, che potrebbe manifestare apertamente il loro dissenso attraverso manifestazioni, proteste di piazza eccetera. Anche il verbo agitare si può usare in questi casi, come abbiamo visto quando vi ho parlato del verbo suddetto.

8. Sollevarsi da soli (la vera sfida!)

C’è il lato più motivazionale del verbo: sollevarsi significa anche rimettersi in piedi dopo una caduta (reale o metaforica). Dopo una brutta giornata, dopo un periodo difficile, dopo aver sentito una brutta notizia… ci si deve sempre sollevare. E magari, nel farlo, ci scappa anche un sorriso! Spesso si usano anche risollevare e risollevarsi in questo caso.

La differenza principale è che “sollevarsi” può indicare sia il semplice atto di alzarsi (fisicamente o metaforicamente), sia il riprendersi da una situazione difficile. Invece, “risollevarsi” mette più l’accento sul fatto che si sta tornando a stare meglio dopo una fase negativa.
Es:

Dopo la crisi economica, l’azienda si sta risollevando.

Qui è ancora più chiaro che prima stava male e ora si sta riprendendo.

Dopo quella sconfitta, la squadra si è risollevata e ha vinto la partita successiva.

Bene, l’episodio finisce qui, nella speranza di aver sollevato il vostro animo o di avervi risollevato lo spirito se la vostra giornata fosse iniziata male.

Anzi no, prima un piccolo esercizio di ripetizione:

Sollevare

Risollevare

Sollevare un dubbio

Mi aiuti a sollevarmi dal letto?

Vorrei sollevare una questione importante

Adesso mi sento veramente risollevato. Grazie per l’aiuto morale!

Vorrei sollevarti da questo peso, credimi, ma non posso!

Ti sollevo dall’incarico!

Per oggi siete sollevati dall’ascolto di altri episodi! (potete ripetere anche questa 🙂

FINE.

Ciao!

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L’aggettivo “Reticente” (ep. 990)

L’aggettivo “Reticente” (scarica audio)

Per spiegare il termine reticente, non posso certamente essere reticente, perché dovrei tacere, dovrei fare silenzio. Tacere è infatti all’origine del termine reticente.

La caratteristica di chiama reticenza.

Chi tace è reticente dunque?

Non esattamente.

Reticente significa, più precisamente, tendente a mantenere un cauto riserbo intorno a certi argomenti.

Il riserbo esprime anch’esso una tendenza a tacere o a non rivelare qualcosa, dovuta a prudenza o a un carattere abitualmente schivo.

Normalmente si usa il verbo mantenere col riserbo.

Generalmente poi è una caratteristica di una persona:

Maria si distingue per il suo riserbo

Evidentemente Maria non parla molto volentieri delle sue cose o mantiene facilmente un segreto.

Posso dire che Maria è reticente? Non esattamente. Manca un ingrediente.

Continuando a parlare del riserbo, posso anche usarlo per esprimere il fatto che su un certo argomento non voglio parlare più di tanto.

Voglio mantenere un minimo di segretezza.

Non è detto dunque che sia una mia caratteristica, che io mi distingua per il mio riserbo.

L’aggettivo “riservato” di adatta bene sia a descrivere la persona che mantiene un certo riserbo, sia l’argomento. Un argomento riservato, appunto. Ma qual è l’ingrediente che caratterizza la reticenza?

Reticente” non descrive solamente la persona che non vuole parlare granché di qualcosa.

Non si tratta, tra l’altro, necessariamente di un silenzio assoluto, ma si ha la netta sensazione che si tratti di un argomento piuttosto riservato.

Es:

Giovanni circa i suoi progetti è piuttosto reticente

Questo posso dirlo, nel senso che Giovanni non parla molto dei suoi progetti, ha cioè la tendenza a mantenere un un certo riserbo, una certa riservatezza. C’è quindi una certa elasticità nell’utilizzo.

Per capire l’ingrediente segreto vi dico che l’aggettivo reticente si usa anche per descrivere un testimone in un processo.

Un testimone si dice reticente quando mantiene il silenzio su fatti o circostanze di cui dovrebbe informare l’autorità giudiziaria.

Si usa quindi per descrivere il comportamento di una persona che che esita a dire un “certo” tipo di cose.

Potrebbe raccontare delle cose ma non lo fa.

Ricordate il termine restio? Restio è meno formale. Ma c’è almeno un’altra differenza. Sempre dell’ingrediente segreto sto parlando.

Ok vi svelo il segreto: la persona reticente non dice spesso per paura, oppure per qualche interesse personale. Sa qualcosa che potrebbe o dovrebbe dire ma non lo dice perché crede che non gli conviene. Ecco perché si usa nel linguaggio giudiziario.

Invece restio è più legato alla diffidenza, alla mancanza di fiducia. Una persona non del tutto convinta o mal disposta a cedere al volere altrui è restia a credere.

Sono restio a credere nelle tue parole

Cioè non sono convinto delle tue parole, sono diffidente, non ci credo, non ho fiducia. Si può essere restii anche quando si tratta di comportamenti da intraprendere.

Questa però è la peculiarità della reticenza: il motivo, legato alla paura o agli interessi personali.

Un’altra differenza è che restio si usa quando si ha difficoltà soprattutto a credere, non a parlare.

Anche “ricalcitrante” e “riluttante” sono più simili a restio che a reticente.

“Titubante” è un altro aggettivo simile, ma è più legato ai dubbi.

Se sono titubante, sono incerto nel prendere una decisione o nel fare una scelta. Sono indeciso, esitante; insomma non sono convinto.

Adesso vorrei che qualche membro dell’associazione Italiano semplicemente mi facesse qualche esempio sull’utilizzo di tutti questi termini che ho spiegato oggi.

André (Brasile): l’attacco di Hamas a Israele, per essere spiegato è spiegato, comunque, tra spiegarlo e giustificarlo c’è di mezzo l’universo. Sono piuttosto riluttante nel credere che si troverà una soluzione a breve termine per la crise in medio oriente. detto questo, non me la sento nemmeno un po’ di mettermi in questo vespaio!

Ulrike (Germania): Avete presente quel tipo di persone che non dicono mai chiaro e senza giri di parole quello che pensano? Spesso e volentieri alludono a cose negative riferite ad amici o conoscenti comuni. Poi, se chiedete una spiegazione, di punto in bianco si mostrano reticenti e non disposti a scendere nei dettagli. Teniamoci alla larga da questi qua!

Estelle (Francia): Non vorrei stigmatizzare tutto un popolo, ma è risaputo che i francesi sono reticenti a rivelare i loro stipendi. Parlare di denaro è tabù come se guadagnare denaro fosse qualcosa di sconveniente. Questo sebbene le persone lavorino tanto. in altri paesi invece è un simbolo di riuscita personale. Vai a capire!

Erzsebet (Ungheria): Secondo il mio modesto parere l’argomento dello stipendio è molto intimo e sensibile dappertutto.
La gente non rivela volentieri l’entità del proprio reddito. Le persone sono reticenti su questo.

Marcelo (Argentina): Grazie per l’episodio! Dopo averlo letto, io mi domando e dico: perché ogni volta che i miei amici mi presentano persone di loro fiducia, anche se mi spronano e mi danno corda per parlare, io non riesco a farlo e rimango reticente, sarà riservatezza forse? Vai a capire cosa mi passa per la testa!

877 È che…

È che… (scarica audio)

Trascrizione

L’episodio di oggi è dedicato ad una brevissima locuzione con cui si può iniziare una frase. “È che”.

Probabilmente vi ricordate della locuzione “non è che“. Stavolta però non abbiamo la negazione, e togliere la negazione non significa sempre che il significato è l’opposto.

A dire il vero a volte “è che” si utilizza anche insieme a “non è che” e si usa proprio in senso opposto per sottolineare ciò che voglio dire. Prima nego una affermazione e poi aggiungo qualcosa, poi spiego meglio.

Ad esempio:

Non è che mi sono scordato del tuo compleanno, è che ricordavo fosse ieri.

Raramente però le due locuzioni si usano insieme a questo scopo. Vediamo allora di aggiungere qualcosa in più per capire come si usa “è che“.

Nel linguaggio colloquiale è molto frequente. Più difficilmente si trova anche per iscritto.

Questa locuzione si usa per dare una risposta, spesso per dare una giustificazione oppure come semplice commento.

Questo lo avevamo detto anche nell’episodio dedicato a “non è che”, a proposito di uno dei suoi utilizzi.

In questi casi si tratta di spiegare un motivo per cui accade qualcosa, ad esempio quando ci si deve giustificare, quando si deve trovare una scusa per giustificare un comportamento proprio o di altre persone.

Es: come mai non puoi venire più al cinema stasera?

Risposta:

è che avevo dimenticato di avere un impegno.

Non c’è bisogno di negare (usando “non è che”) e poi giustificarsi. È sufficiente la giustificazione. In questo caso non c’è niente da negare, a meno che la domanda non fosse stata:

Non ti va più di venire al cinema stasera?

Allora la risposta poteva essere:

Non è che non mi va più, è che avevo dimenticato di avere un impegno.

La risposta precedente (senza la negazione) è in pratica la forma abbreviata di:

Il motivo è che avevo dimenticato di avere un impegno.

Oppure:

Il fatto è che avevo dimenticato di avere un impegno.

Spesso è quest’ultima la versione che si preferisce utilizzare in queste occasioni.

A volte si è dispiaciuti per un certo motivo, altre volte si vorrebbe prendere una decisione ma non si può per un qualunque motivo.

Es: dobbiamo assolutamente rinunciare al nostro viaggio in Italia.

Risposta:

Lo so, è che volevo andare a trovare Giovanni.

Equivalente a:

Lo so, mi spiace perché volevo andare a trovare Giovanni.

Oppure:

I miei amici Carlo e Francesca, dopo 20 anni di matrimonio, si sono lasciati.

Commento:

È che dopo un po’ il rapporto cambia, l’innamoramento finisce e con gli anni bisogna vivacizzare il rapporto.

Anche in questi caso possiamo dire “il fatto è che“, come prima. Così però è più informale, meno impegnativo, meno giudicante.

Un altro esempio. Paolo parla con Alfredo e gli dice quanto è sfortunato:

Paolo: Non ho mai vinto alla lotteria. Che sfortunato che sono!

Alfredo: sai, è che per vincere bisogna anche provare a giocare…

In questo caso è anche ironico.

Avete notato che in questo caso somiglia anche a “però“. Può somigliare anche a “ma purtroppo”.

Esempio:

Vorrei tanto comprare una Ferrari; è che non ho abbastanza soldi!

Infine si utilizza quando si hanno dei dubbi, preoccupazioni e problemi:

Mi piacerebbe trasferirmi in un’altra nazione completamente diversa dall’Italia.

Ci sarebbe anche l’opportunità, è che i miei figli non sono molto d’accordo.

Oppure:

Io e mia moglie stiamo pensando di fare un altro figlio. È che abbiamo solo due camere da letto per il momento.

Qui all’inizio sembra essere “il problema è che“. Lo stesso nell’esempio precedente.

Oppure:

Mio figlio stasera dovrà rientrare a casa da solo. Va bene, ha 15 anni; è che sarà buio a quell’ora.

In questo caso si potrebbe dire:

Sono preoccupato ugualmente perché a quell’ora sarà buio

O anche:

Nonostante questo sono preoccupato perché sarà buio a quell’ora.

È che” è più veloce e per questo adatto a un linguaggio colloquiale.

Vi lascio adesso ad un bellissimo ripasso realizzato dalla nostra Peggy. Le voci sono di altri membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

Peggy: Un giorno, un bambino giapponese di 4 anni, di punto in bianco ha espresso ai suoi il desiderio di volersi far crescere i capelli fintantoché non sarebbero diventati molto lunghi.

Ulrike: vai a capire cosa gli è frullato in testa!

Marcelo: Il padre, di primo acchito, era prevenuto contro questo pensiero che gli era alquanto peregrino. La richiesta del figlio ha suscitato una forte preoccupazione in entrambi i genitori, facendogli pensare che il loro piccolo possedesse un orientamento sessuale diverso rispetto dagli altri bambini.

Irina: Per ridurre ai minimi termini tale preoccupazione, i genitori hanno interpellato il figlio per conoscere il motivo per cui aveva preso la decisione attinente ai capelli.

Estelle: Dopo le plausibili spiegazioni del figlio, nonostante inizialmente poco propensi ad aderire alla sua idea, sono rimasti d’accordo con lui. al contempo però gli hanno fatto presente che questo atto avrebbe dato adito a tante critiche nei suoi confronti da parte degli amici. Un rovescio della medaglia a cui forse non aveva pensato.

Sofie: Manco a dirlo, nel giro di tre anni, via via che i suoi capelli crescevano, spesso e volentieri veniva preso di mira ed a mali parole da altri bambini. Alcuni non l’hanno neanche degnato di uno sguardo, guardandosi bene da qualunque approccio con lui.

Natalia: Certamente, tutto ciò è quanto mai difficile da sorbire per un ragazzo, e a maggior ragione per un bambino di una simile età.

Danita: In effetti, per via della frustrazione, diverse volte ha ceduto, pensando di tornare sui propri passi. Tuttavia, ogni volta, come rifletteva sulla finalità del suo gesto, pensava all’imminente momento del traguardo, così stringeva i denti e andava avanti.

Hartmut: All’età di sette anni, i suoi capelli sono arrivati alla lunghezza che voleva, ossia all’altezza della vita. Al che, si è fatto tagliare i capelli per poi donarli ai malati di cancro.

Danielle: Ecco perché tre anni fa ha deciso di intraprendere questo percorso tortuoso! La causa misteriosa alla fine è venuta a galla.

Anthony: Dunque, forte della sua tenacia, non ha reso il proprio desiderio pio o effimero che dir si voglia. Il suo gesto non lascia affatto il tempo che trova.

Fatima: A suo modo ha dato un valido apporto al progetto di aiutare le persone sofferenti di cancro.

Cat: Pensiamoci! Noi grandi, ci reputiamo all’altezza di questo bambino? Sappiamo fare qualcosa del genere tendendo la mano ai bisognosi?

Peggy: Senz’altro si tratta di un bambino sui generis, nonché con tanta nobiltà d’animo! Tra l’altro, il suo lavoro non è risultato fine a sé stesso, anzi è stato molto edificante. Fare del bene fa del bene anche a sé stessi.

Rauno: Dopo tale vicenda, numerosi bambini provenienti da svariati angoli del mondo, hanno seguito il suo esempio sulla falsariga del protagonista, andando incontro a chi necessitava di aiuto nei modi più svariati. Questi bambini hanno tutto il nostro plauso, eccome!

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Gli esercizi (con soluzione) per questo episodio sono disponibili per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente (LOGIN)

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813 Capace che

Capace che

(scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: voglio parlarvi di un modo particolare per esprimere una possibilità.

Nella lingua italiana esistono molti modi per farlo. Sappiamo ad esempio che è previsto l’uso del congiuntivo quando si esprime una possibilità o un dubbio:

Credo si tratti di questo…

Immagino sia così..

Presumo possa essere accaduto questo…

Senza stare ad esplorare tutte le possibilità, oggi ne vediamo una in particolare: l’uso di “capace che”.

Es:

Oggi capace che nevichi!

Il significato più vicino a questa frase è:

Potrebbe accadere che oggi nevichi.

Oppure potremmo dire:

È possibile che oggi nevicherà

Può darsi che oggi nevicherà

È una modalità informale ma molto diffusa.

Quasi sempre c’è il verbo al congiuntivo, ma soprattutto all’orale non sempre si usa:

Perché Giovanni non risponde al telefono?

Risposta: capace che stia/sta facendo la doccia.

È abbastanza fréquente anche l’uso del verbo essere, ma non è obbligatorio:

È capace che Giovanni non ti sente/senta perché ha la suoneria spenta.

A volte è una risposta secca equivalente a “può darsi” , “è possibile“:

Secondo me a casa non c’è nessuno, che ne dici?

Risposta: è capace!

Questo non è l’unico caso in cui manca la congiunzione che.

Infatti posso anche dire:

Oggi è capace a piovere

Questo possiamo farlo solo se non parliamo di persone, perché usare la congiunzione “a” fa pensare alla classica capacità, cioe l’abilità nel riuscire a fare qualcosa.

Notate infatti che non stiamo parlando della capacità di una persona. Non c’è nessuno in questi casi che è capace o incapace a fare qualcosa. Parliamo invece della semplice possibilità che qualcosa accada o che sia accaduto.

Si sta esprimendo un’opinione e si afferma che le cose potrebbero stare in un certo modo. Non si ha nessuna certezza, ma è solo una possibilità non troppo remota.

Somiglia anche a “forse“, “è probabile“:

Dovete anche sapere che non esiste la forma negativa.

Non posso dire “non è capace che” oppure “incapace che” per dire che qualcosa è improbabile.

Vediamo altri esempi:

Guarda che facce quei due. Capace che stanotte non abbiano neanche dormito!

Dai sbrighiamoci, altrimenti nostro padre è capace che non ci faccia più uscire per una settimana!

Secondo me a quest’ora capace che dorma e neanche se ne accorge che rientriamo tardi.

Capace che abbiamo già superato i due minuti? Altroché!

Allora ripassiamo:

Ulrike: Ah che bello, Marcelo ed Edgardo sono tornati alla carica per viziarci con le loro belle foto dell’Italia. Temevo che si fossero beccati anche loro il virus e Invece, vivaddio, qualcuno viene risparmiato. Oggi comunque se ne sono usciti con nuove belle foto dal Sud-Italia.

Peggy: E fu così che dimenticarono l’Uruguay…

Marcelo: Sono stato chiamato in causa e allora eccomi qua: Marcelo in carne e ossa. Vi assicuro che sia io che Edgardo ce la siamo cavata senza avere nessuna corsia preferenziale. Direi che si è trattato di mera fortuna.

717 Tirare dritto

Tirare dritto (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: caro visitatore di Italiano Semplicemente. So che stai cercando si imparare l’italiano.

Ne sei veramente convinto? Sei determinato? Sei veramente irremovibile? Sei tanto convinto che niente e nessuno potrebbe farti cambiare idea?

Dove voglio arrivare? Ve lo dico subito.

Uno dei modi per esprimere determinazione cioè una definitiva presa di posizione della propria volontà, una decisione irrevocabile, una decisione presa e nessuno riuscirà a farvi cambiare idea è usare l’espressione “tirare dritto“. Si usa spessissimo nei telegiornali.

Essere irremovibili è la modalità che si avvicina maggiormente a tirare dritto. Anche essere fermi e essere decisi vanno abbastanza bene, ma manca sempre l’interferenza dalla quale non ci si fa condizionare.

“DRITTO”, aggettivo, lo abbiamo già incontrato nell’espressione “essere un dritto” ma in quel caso è un sinonimo di furbo e opportunista.

Stavolta invece dritto sta per diritto, inteso come qualcosa di lineare, senza curve, come una strada dritta, come una linea dritta, una linea retta.

L’uso del verbo tirare è alquanto anomalo perché in questo caso sta per “andare avanti“.

Quindi “tirare dritto” ha un senso vicino a “andare avanti in modo diritto”. Ma in che senso?

Si dice proprio così e si usa spessissimo per indicare una decisione presa e sulla quale non si cambia idea, nonostante ci siano pressioni, generalmente provenienti da altre persone, che vogliono farci cambiare direzione.

La strada spesso viene presa a rappresentare le questioni che riguardano le decisioni e la vita:

Basti pensare alle espressioni:

Tornare sui propri passi

Essere sulla strada giusta

Un percorso ad ostacoli

Un bivio importante

Eccetera.

Così quando si tira dritto si intende che non si è disposti a tornare indietro, a cambiare idea, o ad accettare compromessi. Non si è neanche disposti a fermarsi per poi ripartire. Bisogna andare avanti senza esitazione.

Vi faccio qualche esempio:

Il governo, nonostante le pressioni dei vari partiti, tira dritto e, come era stato detto, impone l’obbligo alla vaccinazione a tutti gli italiani.

Un governo dittatoriale? Non esageriamo! In genere tirare dritto esprime convincimento, sicurezza nella propria decisione. Alcune volte può indicare una mal disposizione al compromesso e alla trattativa, ma difficilmente si usa questa espressione per indicare decisioni prese in modo dittatoriale o autoritario, anche perché in quel caso non si apre mai una vera trattativa.

L’espressione si usa normalmente in tutti quei casi in cui una decisione è stata presa e non si mostra disponibilità a cambiare idea.

Al femminile può diventare tirare dritta e al plurale tirare dritti o dritte.

Dico “può” diventare perché in teoria dritto può anche restare così, indicando il percorso da seguire. Nei fatti però si tende a usare, forse maggiormente dritto, dritta, dritti e dritte a seconda del caso.

Attenzione però perché l’espressione si usa anche in almeno altre due circostanze.

La prima è da intendersi in modo materiale es.

Una madre consiglia alla propria figlia adolescente:

Se qualche ragazzo ti fischia e ti dice di fermarti, tu tira dritto, ché non si sa mai!

Come a dire: non ti fermare, non ti voltare neanche: continua per la tua strada.

Ho incontrato un amico abbracciato con una ragazza che non era la moglie. Io l’ho salutato ma lui ha preferito tirare dritto senza dire nulla!

Un terzo utilizzo è invece relativo al giusto comportamento da tenere.

Lo usano sempre i genitori nei confronti dei figli quando non sono soddisfatti del loro comportamento e della mancanza di disciplina:

Tu cerca di tirare dritto, altrimenti sabato non ti faccio uscire con gli amici!

Si parla quindi della cosiddetta giusta “condotta” da avere.

La condotta è il comportamento abituale di un individuo nei suoi rapporti sociali e nei confronti di quello che si considera un comportamento corretto, virtuoso, se obbedisce ai genitori (o ai professori) e fa ciò che loro si aspettano.

Questo è “tirare dritto“, in questo caso.

In realtà è una espressione che potrebbe utilizzarsi anche in senso più generale per indicare la presenza o la mancanza di disciplina, anche volendo a livello lavorativo.

Quindi tirare dritto in quest’ultimo caso equivale più o meno a “comportarsi bene“, e l’opposto di tirare dritto potrebbe essere “fare di testa propria” o “non comportarsi bene“, o anche “non rispettare le regole” o fare qualcosa di diverso da ciò che è stato deciso o ciò che ci si aspetta.

Chi non tira dritto è allora un indisciplinato e merita spesso una punizione.

Spesso si sente dire anche:

Lo addrizzo/raddrizzo io quel ragazzo se non tira dritto!

Ti addrizzo/raddrizzo io a te!

Si tratta di linguaggio familiare e spesso si accompagna questa frase minacciosa (in senso quasi sempre ironico) con un gesto della mano: il palmo teso verticalmente che si muove in su e in giù.

In senso proprio, tirare dritto si può ovviamente usare anche quando si gioca a calcio, a tennis, quando si lancia una palla, un oggetto qualsiasi, anche una freccia, un sasso eccetera: tutti in quei casi in cui “tirare” esprime il movimento di un oggetto lanciato o spinto (o tirato), una palla ad esempio, verso una direzione. In questo caso tirare dritto è l’opposto di tirare storto.

Ma nei tre casi descritti in precedenza siamo in circostanze diverse perché è il verbo tirare che si usa in modo diverso.

Non voglio tirarla troppo per le lunghe come al solito (questa è un’altra delle tante espressioni col verbo tirare, analoga a “farla lunga” che abbiamo già trattato), pertanto vi saluto. Non prima del ripasso però.

La parola ai membri dell’associazione.

Marcelo: si fa presto a dire la parola ai membri. Io non proprio niente da dire oggi. A saperlo, mi sarei preparato per tempo, ma così, su due piedi!

Sofie: allora parlo io. Ieri ho incontrato un tizio per strada che mi fa: “scusi, posso farle una domanda? ” ed io: “dica pure”. E poi mi fa: “ma lei chi è? Io la conosco!”. Accidenti, l’ho riconosciuto tardi, era il mio primo fidanzato del liceo… Se sapevo tiravo dritto.

Rafaela: ah, io questi di solito li prendo a mali parole. Mi capita spesso.

Anne France: beh, vedi un po’! Per te è più facile. C’è qualcuno con cui non sei stata?

Karin: scusa Anne, ma perché questa frecciata? Neanche li avesse rubati a te i fidanzati. O forse si?

Sergio: ah beh, quanto a frecciatine, tu non sei stata affatto da meno!

Peggy: ben le sta! Così impara. Chi di spada ferisce, di spada perisce.

Lia: ben detto! Ma che bella aria frizzante che tira oggi! Non è vero?

Rauno: non ti ci mettere anche tu adesso con le domande retoriche!

688 Si fa presto

Si fa presto (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: dopo aver visto “si fa prima” parliamo oggi di “si fa presto“. Si tratta di una locuzione molto particolare, che naturalmente la maggior parte delle volte non è da interpretare alla lettera.

Infatti “si fa presto” ha anche un uso molto semplice.

Si fa presto a fare un video col cellulare e pubblicarlo su YouTube.

Cioè ci vuole poco tempo.

fare presto“, come significato principale ha proprio quello di svolgere “In breve tempo” un’attività.

Si fa presto a pulire una piccola stanza.

Fai presto che abbiamo fretta!

Bisogna far presto altrimenti perdiamo il treno!

La mattina mi alzo sempre molto presto.

In quest’ultimo esempio non si parla di tempo impiegato a fare qualcosa, e infatti non c’è il verbo fare. Ma torniamo a “far presto“.

Quando si parla in modo impersonale, “si fa presto” non si usa solamente per indicare che un’attività richiede poco tempo.

Vediamo qualche esempio e poi vi spiego il significato:

Adesso che siamo tutti vaccinati contro il covid siamo al sicuro.

Si potrebbe rispondere:

Si fa presto a dire sicuro. La verità è che non c’è nessuna certezza. E poi con tutte queste varianti, ogni sei mesi dobbiamo vaccinarci nuovamente.

Un altro esempio:

Conosco una ragazza che vive negli Stati Uniti che dice che c’è una pizzeria, sotto casa sua, che fa la pizza napoletana.

Un italiano potrebbe commentare: si fa presto a dire pizza napoletana.

Attenzione anche al tono con cui vengono pronunciare queste frasi. Il tono deve aiutare a dare il segnale di una protesta, una critica contro qualcosa che è stato appena detto.

Si fa presto a dire…” è molto simile a “non dire così”, oppure “è facile dire…” oppure “questo non è detto sia vero”.

Quindi si sta contestando, criticando ciò che si è sentito, perché le cose probabilmente stanno diversamente o potrebbero stare diversamente. Si stanno sollevando dei dubbi.

È troppo facile dire questo” , oppure “aspettiamo a trarre facili conclusioni“, “non è così semplice“, “non credo sia vero“, “credo che la questione sia più complicata di così“, “non dovresti dire così”, “non è il caso di dire questo”, “non ne sarei così sicuro” o anche “io ci andrei piano”.

Queste sono delle altre possibili alternative a “si fa presto a dire...”.

In questa espressione però si ripete il termine che si ritiene sbagliato, o meglio frettoloso, oppure si ripete una parte della frase. Dico frettoloso perché quando si dice qualcosa di fretta, lo si fa prima del dovuto, quindi “presto“. Si parla sempre di tempo impiegato, in tal caso a dire qualcosa, quindi qualcosa detto troppo presto, senza pensare.

Es:

Adesso che sono laureato ho risolto tutti i miei problemi e posso iniziare subito a lavorare!

Eh, si fa presto a dire problemi risolti! Forse è proprio adesso che iniziano i veri problemi.

Hai letto dieci libri di grammatica e credi di saper parlare l’italiano?

Si fa presto a dire che adesso lo sai parlare!

Sono innamorato!

Si fa presto a dire amore!

A volte però non si usa il verbo dire, ma un altro verbo. In questo caso si tratta comunque di un giudizio, di una critica, di un’opinione che riguarda una decisione ritenuta sbagliata o una frase ritenuta affrettata, detta senza pensare troppo:

Es:

Chi non va bene a scuola è un somaro e va sempre bocciato.

Risposta: si fa presto a giudicare! Che ne sai tu dei problemi delle persone?

Ho visto il mio fidanzato che si abbracciava con una ragazza. Traditore!

Risposta: ma dai, si fa presto a pensare male, magari era una sua amica!

Adesso facciamo un bel ripasso delle lezioni precedenti grazie ad alcuni membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente

Hartmut: si fa presto a dire ripasso! Mica è facile costruire un ripasso in quattro e quattr’otto!

Khaled: sì fa prima ad aspettare che sia tu a farne uno. Poi noi registriamo. No?

Irina: sarà pure vero, ma poi bisogna impegnarci personalmente ogni tanto. Questo non significa fare un ripasso alla buona, ma anche laddove ci siano molti errori, è proprio così che si impara.

Edita: scusate ma io sono facile alla distrazione e sto pensando alla frase “un ripasso in quattro e quattr’otto!”. Ma che significa?

Danita: quando fai qualcosa in quattro e quattr’otto la fai velocemente. 4 + 4 fa otto. È un’operazione facile da fare. È veloce, non c’è bisogno di stare a pensarci troppo.

Albéric: ah, allora si fa presto a fare le cose in quattro e quattr’otto! Ma alla precisione non ci pensa nessuno? Scusate ma ho la fisima della precisione.

676 Sgombrare il campo

Sgombrare il campo

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Trascrizione

Giovanni: episodio 676 della rubrica due minuti con Italiano Semplicemente.
Conoscete il verbo sgomberare?

Ha a che fare con la pulizia.

Infatti significa liberare, vuotare un luogo o un ambiente da ciò che lo occupa

sgombrare l’appartamento

Sgombrare il solaio

Sgombrare la cantina da tutti i mobili

Si usa la preposizione da per indicare le cose da togliere, da eliminare, da portar via fisicamente.

Le cose che ingombranti, cioè che ingombrano, vanno sgombrare, vanno rimosse, vanno portate via.

Sgombrare quindi esprime un’azione legata ad un fastidio, una necessità: eliminare qualcosa da un luogo.

Questo qualcosa da sgombrare può anche essere qualcuno:

I dimostranti sono stati invitati a sgombrare la piazza

Bisogna far sgombrare gli inquilini dall’appartamento prima di venderlo.

La polizia ha sgombrato l’area

Qui c’è anche il senso di disperdere, evitare una concentrazione di persone in un luogo.

Se questo luogo è il cielo possiamo dire:

Il vento ha sgombrato le nubi

In questo modo il cielo diventa sgombro dalle nubi, così come una piazza diventa sgombra dai manifestanti.

Passiamo adesso al senso figurato. Infatti se non vogliamo liberare uno spazio fisico come un appartamento o una piazza, ma vogliamo liberare la mente dai pensieri, posso dire:

Devo sgombrare la mente da tutte le preoccupazioni per concentrarmi sull’esame.

il mio cuore non si è ancora sgombrato dal ricordo di lei…

Ogniqualvolta ci sono pene o turbamenti o preoccupazioni di cui vogliamo liberarci possiamo usare il verbo sgombrare o anche sgomberare, un verbo quasi identico che però trova più utilizzo nelle frasi dal senso figurato.

Nel caso di dubbi, sospetti, equivoci o pericoli che possono ugualmente dar fastidio in molte occasioni, si usa spesso:

Sgomberare il campo

Per vincere le elezioni occorre sgomberare il campo da ogni sospetto sulla mia onestà.

Si usa spesso in ambito professionale:

Prima di effettuare l’acquisto vorrei sgomberare il campo da ogni eventuale dubbio da parte sua. Mi faccia pure tutte le domande che desidera.

Cominciamo con lo sgomberare il campo da equivoci. I nostri prodotti sono di una qualità superiore.

Per sgomberare il campo da tutti i dubbi, le estendo la garanzia a 10 anni.

Adesso ripassiamo:

Bogusia: La stagione degli sport invernali sta lì lì per iniziare e queste gare sulla coltre bianca, eccome se mi interessano! Personalmente li seguo con interesse e in primo luogo il salto con gli sci. Ho sentore che molti di voi siano a disagio su questo argomento visto che con la neve non avete molto a che spartire. Laddove abbiate questa passione avrete sicuramente presente nomi come Ryoyu Kobayashi, Karl Geiger, Markus Eisenbichler, Anze Lanisek, Kamil Stich, Stefan Kraft, Halvor Granerud. A me ronzano per la testa una bella caterva di questi nomi. Io provengo dalla regione in Polonia dove normalmente inizia la coppa del mondo, maschile, di salto con gli sci. La città si chiama Wisła. Quest’anno iniziano in Russia. È risaputo che la neve in Russia sia meno restia a cadere vero? Hanno iniziato proprio oggi, il 19 novembre a Nizny Tagil. Dove Kamil Stoch, polacco, si aggiudicanla qualificazione meritando il plauso dei giornali. Di contro vengono eliminati a sorpresa atleti come Zajc dalla Repubblica Ceca e Stefan Kraft, austriaco. Partenza a razzo di Kamil Stoch, autore di un salto praticamente perfetto. Non ci avrei scommesso neanche per sogno, vista la sua età e la stagione precedente. Nel giro di poche settimane credo ne vedremo delle belle. In quanto polacca auguro soprattutto a Kamil la sfera di cristallo. Però mi devo ficcare nella testa che lo sport è quello che è e tutto è possibile. Kamil Stoch ha iniziato perfettamente, ma di qui a dire che vincerà ce ne vuole. Nel caso di sconfitta ci rimarrò male però bisogna prenderla con filosofia. Questo è quanto.

Il tedesco Karl Geiger si è imposto oggi davanti a Kobayashi e Granerud. Mannaggia. Ma io non lo so! Ci riaggiorniamo

Non raccontarla giusta

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Trascrizione

Oggi parliamo di sospetti. Un sospetto è simile ad un dubbio, nel senso che è un dubbio che riguarda la colpevolezza di una persona.

Se ho un sospetto significa che ho un’opinione più o meno fondata, più o meno credibile, verosimile, che fa ritenere qualcuno responsabile di un’azione colpevole. Quindi io credo che una persona si colpevole di aver fatto qualcosa. Questo dubbio si chiama sospetto.

Ebbene, se questa persona cerca, secondo noi, di non apparire colpevole, se secondo noi dice delle bugie, ma io continuo a sospettare di lui o lei, in questi casi potrei dire che “non me la racconta giusta“. La frase è adatta soprattutto se noto che c’è qualcosa che non va, se noto che ci sono delle cose che mi fanno sospettare, delle incongruità ad esempio, delle contraddizioni. Qualcosa non mi torna.

Ad esempio: Qualcuno rompe il vetro della mia finestra. Ci sono dei ragazzi che giocavano a pallone, tra cui Giovanni. Allora gli chiedo: Giovanni, sei stato tu? Lui nego.

Giovanni però non me la racconta giusta. perché ho visto che tutti guardavano lui.

Non sono del tutto convinto se pronuncio o se penso questa frase. Però ho dei sospetti.

Un altro esempio:

Gli studenti hanno preso tutti il massimo dei voti, ma la volta precedente quasi nessuno aveva raggiunto la sufficienza….. mi sa che non me la raccontano giusta!

Ho evidentemente dei sospetti perché trovo molto strano che adesso tutti siano diventati bravissimi. Ho cioè il sospetto che abbiano copiato.

I genitori usano questa frase spesso con i propri figli quando sospettano che gli stiano nascondendo qualcosa. La verità raccontata può essere anche solo parziale, per rendere più credibile la storia.

Si usa il verbo “raccontare” come se si trattasse di una storia o di un avvenimento passato. In effetti spesso è così, ma in realtà l’espressione si può usare con qualsiasi tipo di sospetto.

Si tratta di una espressione informale e può essere offensiva. Non si usa nello scritto, dove si preferisce usare l”destare sospetti“. Quindi la persona che desta sospetti indubbiamente non la racconta giusta!

Destare significa far nascere, far venire, quindi si sta dicendo la stessa cosa: un dubbio sta nascendo, sta sorgendo, un sospetto sta emergendo.

L’espressione si usa quasi esclusivamente con la negazione. Se uso la frase senza negazione probabilmente sto negando di non raccontare tutta la verità, tipo:

Cosa? Non credi alle mie parole? Certo che te la racconto giusta, mica sono un bugiardo!

Ma perché “giusta?” Al femminile perché si riferisce ad una storia, come ho detto. Invece “giusta” nel senso di esatta, (il contrario di sbagliata), quindi è una storia non giusta, Non pariamo di giustizia, ma di giustezza.

Ad esempio se vi credo. Indovinate quanti anni ho? Se rispondete in modo giusto, avete risposto esattamente, avete indovinato. Al contrario avete sbagliato. Se una risposta è sbagliata, allora non è giusta, che è completamente diverso da “è ingiusto“. Non parliamo di giustizia e di ingiustizia, ma solo di esattezza, e l’esattezza, cioè la giustezza, non ha sfumature, non ha gradazioni. O è giusta oppure no.

Quindi la frase “non me la racconti giusta” sta a significare che la tua storia non è giusta, ovviamente in senso figurato. Quello che hai detto non corrisponde alla verità, ed anche se c’è qualcosa di vero, resta una cosa “non giusta”.

La frase posso, anche in senso affermativo, usarla anche in senso proprio, non figurato:

Ti racconto una storia e spero di raccontarla giusta, perché non sono sicuro di ricordami bene.

Aspetta, non la sto raccontando proprio giusta, ho paura che tu non capisca bene. Cerco di ricordare meglio e ci sentiamo domani

Adesso ripetete dopo di me, tanto per non perdere il vizio:

Mmm… Tu non me la racconti giusta!

Guardami negli occhi, non me la racconti giusta!

Credo che Marco non me la racconti giusta.

Secondo me Giuseppe non te la racconta giusta.

Secondo te Sofia ce la sta raccontando giusta?

Se non gliela raccontiamo giusta secondo me se ne accorgeranno!

I vostri figli secondo me non ve la stanno raccontando giusta. Io vi consiglio di approfondire.

Al prossimo episodio di Italiano Semplicemente.


Questo episodio è stato inserito anche nell’audio-libro “Frasi idiomatiche italiane” in vendita su Amazon

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