865 Tornare sulle proprie decisioni e sui propri passi

Tornare sulle proprie decisioni e sui propri passi

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Trascrizione

L’avrete sicuramente ascoltata o letta almeno una volta l’espressione di oggi:

Tornare sulle proprie decisioni

Oppure:

Tornare sui propri passi

In poche parole significano “cambiare idea”, “tornare indietro“.

Cambiare opinione” è invece un po’ diverso, perché parliamo di decisioni prese e di conseguenze di queste decisioni.

Non sono espressioni che fanno parte del vocabolario colloquiale, familiare, infatti sono usate prevalentemente dai giornalisti, dai politici, in tv, alla radio e sulla rete.

Si parla sempre di qualcosa di serio, importante, e in particolare, appunto, di una decisione.

Una decisione è stata presa e questo, come tutte le decisioni, ha delle conseguenze. Quando queste conseguenze possono essere gravi o addirittura irreversibili, allora può essere il caso di usare queste due espressioni equivalenti.

Aggettivo interessante questo. Irreversibile. In pratica non si può tornare più indietro quando accade qualcosa di irreversibile.

Ad esempio il processo di riscaldamento globale, se non facciamo qualcosa subito, rischia di essere irreversibile e le conseguenze sarebbero molto gravi.

Vediamo qualche esempio:

Putin aveva annunciato la sua intenzione di invadere l’Ucraina. Tutto il mondo ha sperato che tornasse sulle sue decisioni, ma non l’ha fatto.

Me ne vado di casa. Non tornerò sui miei passi, caschi il mondo!

L’uso del verbo tornare è abbastanza intuitivo, perché si tratta di “fare un passo indietro”, e infatti tornare sui propri passi dà proprio questa immagine, ad indicare un passo avventato, una decisione incauta, frettolosa.

Il termine “passo” infatti, tra i vari significati, è qualcosa di molto vicino a “decisione“, perché quando si fa un passo, si va in una certa direzione, sia in senso proprio che figurato.

Es:

Il matrimonio è un passo importante. Sei sicura di volerlo fare? Non vuoi tornare sui tuoi passi prima che sia troppo tardi?

Si può usare solo la preposizione su.

Es:

Tornare sui propri passi può essere indice di intelligenza.

L’arbitro ha assegnato il rigore ma pare stia tornando sulla sua decisione.

Notate che quando si usa tornare sui propri passi, l’espressione è invariabile quandi va usata sempre al plurale.

Invece si può tornare sulla propria decisione o sulle proprie decisioni, anche se la decisione è una.

Adesso ripassiamo.

Peggy: in Brasile se la sono vista brutta! Per poco non vinceva Bolsonaro, e invece pericolo scampato. Ho sintetizzato il pensiero del 51 percento dei brasiliani.

Mariana: Ma quale pericolo d’Egitto! Piuttosto, avete notato che Lula ha assunto una posizione critica verso l’Ucraina? Ne vedremo delle belle!

Marcelo: per vincere, ha vinto, il PT, ma non è stata una disfatta per Bolsonaro. Questa vittoria comunque funge da campanello d’allarme per i populisti del mio paese! (l’Argentina) quand’è così, si deve solo aspettare!

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Essere tutto d’un pezzo

Essere tutto d’un pezzo (scarica audio)

Trascrizione

Benvenuti nella rubrica delle espressioni idiomatiche di italiano semplicemente. Spieghiamo oggi l’espressione “essere tutto d’un pezzo“, un’espressione colloquiale adatta a desrivere un certo tipo di persona.

Voglio partire dal termine “pezzo“, che abbiamo già incontrato nell’espressione “stare sul pezzo”. Tranquilli, non avrò bisogno di fare voli pindarici per arrivare all’espressione di oggi.

In quel caso (stare sul pezzo) il “pezzo” va letto come un testo scritto, e più precisamente un articolo di un giornale.

Infatti scrivere un pezzo significa esattamente scrivere un articolo per pubblicarlo su un giornale.

Nel caso dell’espressione di oggi invece un pezzo è più semplicemente una parte di qualcosa, come se avessimo spezzato un oggetto. Ogni parte possiamo chiamarla proprio così: pezzo.

Un termine che si usa soprattutto in determinati casi, come:

Un pezzo di pane

Un pezzo di terra (cioè un appezzamento di terreno)

Un pezzo di carta

Un pezzo di merda (questo è un insulto)

Un pezzo d’artiglieria (es. un fucile)

Un pezzo pregiato (ad esempio un quadro o un mobile di valore)

Un pezzo di antiquariato (analogamente, qualcosa di valore perché antico)

Un pezzo di ghiaccio (sia nel senso di ghiaccio, sia nel senso figurato, per indicare una persona fredda, che non mostra emozioni).

Abbiamo visto, ora che mi ricordo, anche l’espressione “pezzo da novantache in qualche modo fa pensare al concetto di valore, come nel caso del pezzo di antiquariato.

Poi, adesso che ho fatto mente locale, abbiamo visto anche la locuzione “da un pezzo” dove però il termine pezzo sta ad indicare una quantità di tempo abbastanza lunga.

Comunque, si tratta pur sempre di una parte, di una porzione di tempo.

Insomma, il termine pezzo, nelle locuzioni e nelle espressioni idiomatiche, può avere diversi utilizzi, talvolta dal senso non immediatamente comprensibile.

Arriviamo all’espressione di oggi: “essere tutto d’un pezzo”, dove si parla sempre di una persona e del suo carattere, del suo modo di essere e di agire. Un uomo può essere tutto d’un pezzo e una donna tutta d’un pezzo.

Se una persona viene definita come una persona tutta d’un pezzo, si vuole dire che è una persona decisa, determinata, sicura di sé ma soprattutto una persona coerente. Se invece una persona non è tutta d’un pezzo parliamo di qualcuno incoerente.

Qui il senso di “pezzo” sta ad indicare che questa persona “non si spezza”, non si divide, una persona che è un pezzo solo, non tanti pezzi separati: tutto d’un pezzo, o, se vogliamo, “tutto di un pezzo”

Quindi, l’immagine del carattere di questa persona è quella di qualcuno che ha una costanza logica nel pensiero e nelle azioni.

Queste persone sono coerenti. Non è un caso che – un inciso chiarificatore – coerente significhi proprio “stare unito insieme” nelle sue origini latine.

Vediamo qualche esempio:

Non riuscirai mai a convincere Giovanni a fare delle lezioni di grammatica fini a sé stesse. Lui ha detto più volte che è un uomo tutto d’un pezzo e non accetta compromessi, neanche se questo porterebbe più persone a visitare il sito.

Quindi Giovanni è un uomo tutto d’un pezzo, cioè si vuole comportare coerentemente con quanto ha sempre affermato: la grammatica da sola non basta ad imparare l’italiano. Bisogna ascoltare, parlare e ripetere, proprio ciò che dicono le sette regole d’oro di Italiano Semplicemente.

Si dice spesso così di uomini e donne decise, che meritano apprezzamento e stima soprattutto per il fatto che sono incorruttibili e coerenti.

Il presidente ha scelto il suo vice: si tratta di Mario Rossi, che definisce un uomo tutto d’un pezzo.

Si potrebbe parlare di un magistrato o un giudice che non si fanno intimidire dalle minacce, o di un imprenditore che raggiunge con caparbietà i suoi obiettivi senza farsi distrarre.

È la decisione e la coerenza a contraddistinguere le persone tutte d’un pezzo, il fatto che non sono persone disposte a scendere a compromessi.

Questa tra l’altro è una espressione che abbiamo spiegato all’interno del corso di Italiano Professionale, nella lezione numero 14, dedicata ai confronti tra le persone.

Segni zodiacali
Un audio-libro di Italiano Semplicemente dedicato agli aggettivi per descrivere le persone

Se siete interessati agli aggettivi, è al modo migliore per descrivere le persone vi consiglio il libro (anzi, l’audiolibro) dedicato ai segni zodiacali (anche su Amazon), pensato proprio a questo scopo, per aiutare gli studenti non madrelingua nel miglior modo possibile.

Lì dunque troverete tanti aggettivi per descrivere le persone. Non ve ne pentirete. Basti pensare che è il secondo libro più venduto dopo quello delle espressioni idiomatiche.

Se volete mettervi alla prova, provate a fare l’esercizio su questo episodio. Dovete provare a rispondere a 10 domande. Poi potrete verificare quante ne avrete azzeccate e quante ne avete sbagliate.

Un abbraccio e alla prossima.

Esercizio

1) La parola “tutto”, in questa espressione significa a) niente escluso b) unione

2) D’un = __ __

3) La caratteristica principale delle persone tutte d’un pezzo è la _______

4) Una persona tutta d’un pezzo non _____ ___ a compromessi

5) Il contrario di essere una persona tutta d’un pezzo è essere _________

6) La frase più vicina nel senso a “sono tutto d’un pezzo è: a) non mi faccio
convincere b) sono assolutamente convinto che sia così c) puoi fidarti di me

7) Quante parole contiene la frase “sono tutto d’un pezzo”?

8) Una donna può essere: _____ d’un pezzo

9) Parliamo di un’espressione formale o colloquiale?

10) Due persone determinate sono _____ d’un pezzo.

Soluzioni

1) La parola “tutto”, in questa espressione significa UNIONE

2) D’un = DI UN

3) La caratteristica principale delle persone tutte d’un pezzo è la COERENZA

4) Una persona tutta d’un pezzo non SCENDE MAI a compromessi

5) Il contrario di essere una persona tutta d’un pezzo è essere INCOERENTE

6) La frase più vicina nel senso a “sono tutto d’un pezzo è: a) NON MI FACCIO CONVINCERE

7) Risposta: 5

8) Una donna può essere: a) TUTTA d’un pezzo

9) Parliamo di un’espressione COLLOQUIALE

10) Due persone determinate sono TUTTE d’un pezzo.

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723 Diktat

Diktat (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: di cosa ci occupiamo oggi? Oggi vediamo il termine diktat.

Cos’è un diktat? Vi faccio lo spelling: D come Domodossola, I come Imola, K come Kebab, T come Torino, A come Ancora e ancora T come Torino. Questo mi ricorda un episodio di qualche tempo fa dedicato a come ricordare l’alfabeto italiano e come fare lo spelling.

Diktat: finalmente anche un termine tedesco che si usa nella lingua italiana!

Dunque un diktat è una imposizione unilaterale di volontà che esclude la possibilità di negoziati.

Cioè? Ho usato un linguaggio troppo formale?

Beh non dovete stupirvi perché questo termine viene dalla politica. DIKTAT si traduce come “dettato”. Avete presente il dettato di pace? E avete presente il verbo DETTARE? Ce ne siamo occupati tra i verbi professionali. Vi metto un collegamento per approfondire se volete.

In particolare mi riferisco a dettare delle condizioni – delle condizioni di pace in questo caso.

Il diktat quindi è un trattato di pace imposto dai vincitori ai vinti di una guerra.

Quando si esce da una guerra, ci sono dei vincitori e dei vinti. C’è chi vince e c’è chi perde.

Chi vince detta le condizioni di pace a chi perde la guerra. Ebbene, il complesso delle condizioni, cioè l’insieme di queste condizioni, imposto (cioè non negoziato, non concordato, non deciso insieme) dai vincitori o più in generale da una delle parti, in una guerra o in un trattato internazionale, ebbene questo si chiama proprio diktat. E’ un insieme di condizioni imposto.

Notate che nella pronuncia l’accento spesso cade sulla lettera i. Sarebbe corretto se cadesse però sulla a, come nella lingua tedesca, ma in questo modo si rischia di pronunciare una parola che somiglia ad una barretta per fare uno spuntino (kit kat) o a delle caramelle (tic tac).

Cioè in pratica dunque il diktat è una specie di ordine. Un ordine indiscutibile, perentorio, cioè che non ammette replica o discussione, né prevede una trattativa.

Vi ricordate dell’aut aut? C’è una assonanza con diktat, non dico una ripetizione come “aut aut” ma quasi. L’aut aut è, come abbiamo visto, qualcosa di simile, perché in quel caso c’è l’imposizione di una scelta. Ma almeno è una scelta, per quanto sia.

Con un aut aut, come visto, si mette una persona davanti a un’alternativa, obbligandola a scegliere. Si deve scegliere per forza. C’è un obbligo di scelta nella consapevolezza delle conseguenze in entrambi i casi.

Il diktat invece è ancora più perentorio dell’aut aut, infatti quando si impone unilateralmente una volontà, si dice: tu adesso fai questo e basta. Non sei nelle condizioni di trattare, perché decido io.

È un po’ come dire “o così o pomì” (anche questo è un episodio passato). Un modo simpatico di dire più o meno la stessa cosa.

Mi sa che anche oggi va per le lunghe

Ricorderete che o così o pomì è un’espressione colloquiale e molto leggera, che si usa in contesti familiari e quindi non certamente in politica e in contesti formali. Tantomeno si può usare dopo una guerra.

Naturalmente non sempre c’è una guerra quando usiamo il diktat. In politica si usa spesso anche in altri casi e possiamo usarla in particolari casi anche quando parliamo di imposizioni e condizioni unilaterali di altro tipo, quando vogliamo parlare di una imposizione di qualunque tipo.

Arriva dal ministro dell’istruzione un diktat imperativo: la scuola non chiude col Covid.

Un ordine bell’e buono direi! Il ministro non accetta repliche. Si fa così e basta! Perché io sono il ministro. Questo il messaggio che vuole dare il giornalista: decisione, autorità, e a volte anche autoritarismo. Dipende dall’occasione. Forse non è questo il caso.

Non è questo un termine che si usa tanto per usarlo. Questo casomai si fa con molti anglicismi, che si usano tanto per far vedere che si conosce l’inglese molto spesso. Altre volte si usano al lavoro per darsi un tono, o perché fa figo usare l’inglese. e a volte in realtà si dimostra proprio il contrario, cioè che non si conosce l’inglese (vedi “smart working” o “box” che si usano con significato diverso in italiano rispetto all’inglese) Comunque vediamo altri esempi:

Dopo le recenti sconfitte sportive della sua squadra, l’allenatore lancia un diktat: ripartiamo da zero!

Stavolta l’allenatore vuole spingere i suoi giocatori, li vuole rimotivare e cerca di stimolarli. E’ un esempio di diktat “positivo” diciamo.

Un politico può imporre una condizione ai suoi alleati presentandola come una proposta, come qualcosa su cui si possa discutere e trattare, ma se gli alleati non la vedono come una proposta, per protestare con questa imposizione (perché è così che la vedono loro) possono dire:

Questo è un diktat, non una proposta!

cioè:

Questa è una cosa che tu ci vuoi imporre, non una proposta!

Ecco, questo è un esempio “negativo” di utilizzo di questo termine. Si denuncia una imposizione spacciata per proposta.

Allora adesso ripassiamo?

Per il ripasso di oggi invito i membri a ripassare anche gli episodi più antipatici e per questo poco usati nei ripassi. Sennò ve li dimenticate. Questo assolutamente non vuole essere un diktat!
a monte e a valle
è andato
a dispetto
la congruità
bello + aggettivo
ancora ancora
inculcare
al netto
nella misura in cui
indicazioni stradali
mettere mano e mettere le mani
prestarsi
strizzare l’occhio

Irina: Raccogliamo la provocazione da parte di Giovanni di abbozzare un ripasso che unisce questi episodi, a dispetto del fatto che c’è poca attinenza tra di loro.

Marcelo: Sono d’accordo che è un compito bello difficile ma non mandiamo tutto a monte solo per questo. Dobbiamo inculcarci nella mente che se trascuriamo alcuni episodi finiremo per dimenticarli. Allora possiamo anche provare a stilarne uno rischiando un po’. Al netto di alcuni errori sicuri credo che il tentativo si possa apprezzare.

Marguerite: È vero che questa lista contiene parecchi termini che non si prestano bene alla composizione di un ripasso, ma comunque non mettiamo le mani avanti. Proviamoci dai. Coraggio!

Hartmut: A dire la verità al ripasso non c’ho ancora messo mano perché ho ancora da portare a termine delle altre cose incaricatemi dal mio capo Albéric.

Sofie: capo? Ancora ancora collega, ma capo proprio no! Lui è un membro come noi.

Anthony e Xin: Ma per l’amor del cielo! Ho visto che quel mascalzone di Albéric ti ha strizzato l’occhio. Come mai ha fatto quel gesto?

Ulrike: Vabbè ragazzi, ormai è andata. Abbiamo preso di mira il povero Albéric ma ormai ci hai sgamato. Poi il ripasso è quasi finito, e bisogna scherzare nella misura in cui questo è utile.

Peggy: Infatti. Abbiamo imboccato una via pericolosa. A valle di questa gag che abbiamo improvvisato, Albéric potrebbe arrabbiarsi di brutto.

Albéric: so stare agli scherzi. Tranquilli. Ma ben presto pagherete un prezzo congruo. Potete starne certi.

717 Tirare dritto

Tirare dritto (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: caro visitatore di Italiano Semplicemente. So che stai cercando si imparare l’italiano.

Ne sei veramente convinto? Sei determinato? Sei veramente irremovibile? Sei tanto convinto che niente e nessuno potrebbe farti cambiare idea?

Dove voglio arrivare? Ve lo dico subito.

Uno dei modi per esprimere determinazione cioè una definitiva presa di posizione della propria volontà, una decisione irrevocabile, una decisione presa e nessuno riuscirà a farvi cambiare idea è usare l’espressione “tirare dritto“. Si usa spessissimo nei telegiornali.

Essere irremovibili è la modalità che si avvicina maggiormente a tirare dritto. Anche essere fermi e essere decisi vanno abbastanza bene, ma manca sempre l’interferenza dalla quale non ci si fa condizionare.

“DRITTO”, aggettivo, lo abbiamo già incontrato nell’espressione “essere un dritto” ma in quel caso è un sinonimo di furbo e opportunista.

Stavolta invece dritto sta per diritto, inteso come qualcosa di lineare, senza curve, come una strada dritta, come una linea dritta, una linea retta.

L’uso del verbo tirare è alquanto anomalo perché in questo caso sta per “andare avanti“.

Quindi “tirare dritto” ha un senso vicino a “andare avanti in modo diritto”. Ma in che senso?

Si dice proprio così e si usa spessissimo per indicare una decisione presa e sulla quale non si cambia idea, nonostante ci siano pressioni, generalmente provenienti da altre persone, che vogliono farci cambiare direzione.

La strada spesso viene presa a rappresentare le questioni che riguardano le decisioni e la vita:

Basti pensare alle espressioni:

Tornare sui propri passi

Essere sulla strada giusta

Un percorso ad ostacoli

Un bivio importante

Eccetera.

Così quando si tira dritto si intende che non si è disposti a tornare indietro, a cambiare idea, o ad accettare compromessi. Non si è neanche disposti a fermarsi per poi ripartire. Bisogna andare avanti senza esitazione.

Vi faccio qualche esempio:

Il governo, nonostante le pressioni dei vari partiti, tira dritto e, come era stato detto, impone l’obbligo alla vaccinazione a tutti gli italiani.

Un governo dittatoriale? Non esageriamo! In genere tirare dritto esprime convincimento, sicurezza nella propria decisione. Alcune volte può indicare una mal disposizione al compromesso e alla trattativa, ma difficilmente si usa questa espressione per indicare decisioni prese in modo dittatoriale o autoritario, anche perché in quel caso non si apre mai una vera trattativa.

L’espressione si usa normalmente in tutti quei casi in cui una decisione è stata presa e non si mostra disponibilità a cambiare idea.

Al femminile può diventare tirare dritta e al plurale tirare dritti o dritte.

Dico “può” diventare perché in teoria dritto può anche restare così, indicando il percorso da seguire. Nei fatti però si tende a usare, forse maggiormente dritto, dritta, dritti e dritte a seconda del caso.

Attenzione però perché l’espressione si usa anche in almeno altre due circostanze.

La prima è da intendersi in modo materiale es.

Una madre consiglia alla propria figlia adolescente:

Se qualche ragazzo ti fischia e ti dice di fermarti, tu tira dritto, ché non si sa mai!

Come a dire: non ti fermare, non ti voltare neanche: continua per la tua strada.

Ho incontrato un amico abbracciato con una ragazza che non era la moglie. Io l’ho salutato ma lui ha preferito tirare dritto senza dire nulla!

Un terzo utilizzo è invece relativo al giusto comportamento da tenere.

Lo usano sempre i genitori nei confronti dei figli quando non sono soddisfatti del loro comportamento e della mancanza di disciplina:

Tu cerca di tirare dritto, altrimenti sabato non ti faccio uscire con gli amici!

Si parla quindi della cosiddetta giusta “condotta” da avere.

La condotta è il comportamento abituale di un individuo nei suoi rapporti sociali e nei confronti di quello che si considera un comportamento corretto, virtuoso, se obbedisce ai genitori (o ai professori) e fa ciò che loro si aspettano.

Questo è “tirare dritto“, in questo caso.

In realtà è una espressione che potrebbe utilizzarsi anche in senso più generale per indicare la presenza o la mancanza di disciplina, anche volendo a livello lavorativo.

Quindi tirare dritto in quest’ultimo caso equivale più o meno a “comportarsi bene“, e l’opposto di tirare dritto potrebbe essere “fare di testa propria” o “non comportarsi bene“, o anche “non rispettare le regole” o fare qualcosa di diverso da ciò che è stato deciso o ciò che ci si aspetta.

Chi non tira dritto è allora un indisciplinato e merita spesso una punizione.

Spesso si sente dire anche:

Lo addrizzo/raddrizzo io quel ragazzo se non tira dritto!

Ti addrizzo/raddrizzo io a te!

Si tratta di linguaggio familiare e spesso si accompagna questa frase minacciosa (in senso quasi sempre ironico) con un gesto della mano: il palmo teso verticalmente che si muove in su e in giù.

In senso proprio, tirare dritto si può ovviamente usare anche quando si gioca a calcio, a tennis, quando si lancia una palla, un oggetto qualsiasi, anche una freccia, un sasso eccetera: tutti in quei casi in cui “tirare” esprime il movimento di un oggetto lanciato o spinto (o tirato), una palla ad esempio, verso una direzione. In questo caso tirare dritto è l’opposto di tirare storto.

Ma nei tre casi descritti in precedenza siamo in circostanze diverse perché è il verbo tirare che si usa in modo diverso.

Non voglio tirarla troppo per le lunghe come al solito (questa è un’altra delle tante espressioni col verbo tirare, analoga a “farla lunga” che abbiamo già trattato), pertanto vi saluto. Non prima del ripasso però.

La parola ai membri dell’associazione.

Marcelo: si fa presto a dire la parola ai membri. Io non proprio niente da dire oggi. A saperlo, mi sarei preparato per tempo, ma così, su due piedi!

Sofie: allora parlo io. Ieri ho incontrato un tizio per strada che mi fa: “scusi, posso farle una domanda? ” ed io: “dica pure”. E poi mi fa: “ma lei chi è? Io la conosco!”. Accidenti, l’ho riconosciuto tardi, era il mio primo fidanzato del liceo… Se sapevo tiravo dritto.

Rafaela: ah, io questi di solito li prendo a mali parole. Mi capita spesso.

Anne France: beh, vedi un po’! Per te è più facile. C’è qualcuno con cui non sei stata?

Karin: scusa Anne, ma perché questa frecciata? Neanche li avesse rubati a te i fidanzati. O forse si?

Sergio: ah beh, quanto a frecciatine, tu non sei stata affatto da meno!

Peggy: ben le sta! Così impara. Chi di spada ferisce, di spada perisce.

Lia: ben detto! Ma che bella aria frizzante che tira oggi! Non è vero?

Rauno: non ti ci mettere anche tu adesso con le domande retoriche!

631 Non se ne parla!

Non se ne parla (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: parole, parole, parole, recita una famosa canzone italiana. Ma parlare a cosa serve? Diciamo a comunicare, in generale, ma spesso il verbo si usa per indicare un particolare tipo di comunicazione.

Se dico ad esempio a mia moglie:

Dobbiamo parlare.

Lei si preoccuperà. Cosa mi dovrà dire? Perché mi vuole parlare? Di cosa?

Questo “parlare” indica in questo caso un chiarimento che normalmente comporta delle conseguenze, dei cambiamenti di qualsiasi tipo. Un argomento delicato di cui parlare in privato.

Altre volte parlare indica anche una semplice discussione su un argomento:

Oggi in ufficio dovremmo parlare di un affare.

Ne parliamo appena torno a casa

Altre volte si usa quando si devono spiegare bene le caratteristiche di qualcosa o quando si fa una proposta e un’altra persona può accettarla oppure no:

Di questo affare ne dobbiamo assolutamente parlare

Ti propongo una soluzione al problema. Parliamone.

Si usa anche, e arriviamo all’espressione di oggi, quando vogliamo rifiutare decisamente una proposta.

Non se ne parla proprio!

Cosa hai detto? Non se ne parla!

Andare a lavorare senza aria condizionata? Con questo caldo? Non se ne parla prima della fine dell’estate!

Non se ne parla: Con questa espressione si sta dicendo che non è neanche il caso di parlarne, quindi si non deve neanche iniziare una discussione sulla questione, perché ciò che hai detto non mi trova assolutamente d’accordo. Siamo in completo disaccordo se dico:

Non se ne parla!

Non se ne parla proprio!

Sintetizzando, l’espressione equivale a un “no!”

Spesso si aggiunge, “proprio” in questo caso, equivale a “assolutamente”. Si vuole esprimere convinzione, risolutezza, una ferma opinione da non discutere.

Quando dico “Se ne parla” si intende “si parla di questa cosa” Quindi la particella “ne” serve a non ripetere la questione di cui si sta parlando, altrimenti dovrei dire:

Non dobbiamo proprio parlare di questa cosa!

Non discutiamo assolutamente della questione!

O altre frasi di questo tipo

Ovviamente io metto sempre il punto esclamativo in questi casi, perché altrimenti “non se ne parla” può avere un senso diverso. Ad esempio:

Ma il problema che avevamo ieri? Non se ne parla più? Forse è stato risolto?

Se non se ne parla evidentemente è stata trovata una soluzione.

Non se ne parla in giro, ma la lingua italiana si sta diffondendo sempre di più nel mondo

Della riforma del lavoro non se ne parla ormai da tempo. Chissà perché.

Oggi nel ripasso parliamo di… ve ne parla Bogusia, il membro dell’associazione Italiano Semplicemente che lo ha realizzato. Domani vediamo “se ne parla” (senza negazione) e anche “se ne riparla“.

Buon ripasso (ci sono ben 51 richiami a episodi precedenti):

Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente

Bogusia: Buongiorno a tutti, vi ho ascoltato davvero con molto piacere recentemente. Siete stati bravissimi con i vostri ripassi sui diversi argomenti, ma cotanta cultura mi ha preso un po’ alla sprovvista. Eravate davvero in vena. Balza agli occhi che ci sappiate fare in questo ambito, eccome. Questo mi ha dato lo spunto per comporre il presente ripasso. Avete mai pensato di cimentarvi con qualche satira?

Gli eventi che viviamo di recente a tratti fanno paventare sciagure nel il nostro futuro e soprattutto in quello dei nostri figli.

Ci viene voglia di gridare a squarciagola che bisognerebbe rimettere in sesto tante cose, ci viene voglia di apostrofare qualcuno di rilievo, qualche politico oppure qualcuno che semina voci false e tendenziose e rispondergli in malo modo.

Però il mondo è quello che è e bisogna mettersi dei paletti e a volte anche darsi una regolata.

Però urge dire qualcosa, arrabbiarsi apertamente, indignarsi pubblicamente, ma non lo facciamo perché sarebbe una mossa sbagliata e di conseguenza si vedrebbero le brutte e si potrebbe persino finire in galera.
Da che mondo è mondo esiste questo problema, ma si dà il caso che fin dagli inizi del XVI secolo a Roma abbiano inventato una bella mandrakata per far sapere alla gente di potere che c’è qualcuno di diverso avviso che si ribella, e questo avveniva tramite la stampa satirica e le “statue parlanti” che svolsero il ruolo di vere e proprie gazzette, veri e propri giornali, dove di punto in bianco si commentava un fatto accaduto un certo giorno.

Parlo del cosiddetto “Congresso degli Arguti” cioè un gruppo composto di sculture, sparse nei vari punti della città, che “parlavano” attraverso componimenti satirici.

Anonime malelingue che non volevano calare le braghe davanti al potere, in primo luogo quello della chiesa.

Bisognava correre ai ripari e i loro pensieri venivano pubblicati su fogli e foglietti affissi di nascosto proprio su queste sculture.

Il Congresso degli Arguti consiste di ben sei sculture.

Annoverato tra i più conosciuti è il Pasquino, una statua ormai assai mal ridotta vicino campo de Fiori, al centro di Roma.

Le altre si chiamano: Marforio, Madame Lucrezia, il Facchino, l’Abate Luigi e il Babuino.

Quell’ultima fu giudicata talmente brutta che i romani la battezzarono proprio “er Babuino” , paragonandola a una mera scimmia, appunto.

Non vorrei però tediarvi troppo parlando di tutti i dettagli su queste sculture.

Giocoforza qualcuno potrebbe darmi della leziosa e stucchevole.

Siamo li?

Secondo poi, potrei sforare nel tempo, facendole girare a qualcuno.

Sto scalpitando però per introdurvi una di queste cosiddette “pasquinate“, anch’essa annoverata tra i più famosi discorsi tra le statue parlanti, e riguarda l’occupazione francese, che dava del filo da torcere a tanti perché le truppe napoleoniche razziarono a man bassa il patrimonio artistico di Roma (1808 – 1814)
Eccolo:

Albèric (Marforio) È vero che i francesi son tutti ladri?

Sofie (Pasquino): Tutti no, ma “bona parte”, si.

Bogusia: Allora, avete in vista qualche viaggio a Roma? E magari durante qualche tappa del vostro viaggio vi imbattete in queste sculture? Può darsi allora che vi coglierà alla sprovvista il fatto che anche oggi si possa scorgere qualche foglietto appiccicato sulle sculture.

Allora si presenta anche a voi l’occasione per cimentarvi con qualche satira. Potete appenderla su una di queste statue parlanti e chissà, magari questo sarà anche il vostro esordio nell’ambito della satira.

Non ne risentirete sicuramente perché si fa in modo anonimo. In bocca al lupo!

612 Senz’appello

Senz’appello

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Trascrizione

Giuseppina: parliamo ancora di appello. Nell’ultimo episodio abbiamo parlato della differenza tra fare l’appello e fare (o lanciare) un appello, e poi abbiamo detto che si può anche fare appello a qualcosa.

È bene chiarire che in questo caso ci si riferisce a qualcosa di proprio, che ci appartiene come ad esempio:

Fare appello alle proprie risorse

Fare appello a tutte le energie

Oppure posso riferirmi agli altri se ad esempio faccio appello alla vostra generosità vi sto chiedendo di essere generosi.

In pratica è come richiedere una risposta da parte della vostra generosità.

Quando c’è di mezzo l’appello si fa sempre una richiesta e a attende sempre una risposta.

L’episodio è oggi è dedicato allespressione “senz’appello”, che si può scrivere anche senza apostrofo: senza appello

Senz’appello significa definitivamente, senza alcuna possibilità di eccezione o ricorso.

Infatti il termine appello ha anche a che fare con la giustizia.

L’appello in effetti è un Istituto giuridico che ha per scopo di ovviare, rimediare a possibili errori od omissioni del giudizio di primo grado di una sentenza.

Se una sentenza è sbagliata o si ritiene sbagliata si può infatti
“ricorrere in appello”.

È molto simile a chiedere aiuto e fare una richiesta e ci si aspetta che la corte d’appello risponda a nostro favore.

Ecco, allora quando qualcosa è senz’appello vogliamo dire che non si può rimediare. Non c’è alcuna possibilità. Non si può quindi ricorrere in appello, sperando che ci sia una possibilità di rimedio. Non si può rimediare.

Non si tratta quindi solo di un provvedimento giurisdizionale, della legge, che non può essere impugnato, contrastato, ma in senso figurato indica qualcosa che è irrevocabile e irrimediabile.

Volendo si può usare per scherzo, per prendere in giro un amico.

Ad esempio un vostro amico ha una scarsa memoria?

Giovanni da questo punto di vista è senz’appello.

Cioè: non c’è niente da fare, la sua memoria è talmente poca che non si può fare nulla. La situazione è irrimediabile.

Può anche indicare autorità:

La decisione del direttore di vendere la società è senz’appello.

Quindi inutile provare a convincerlo che non bisogna vendere la società. Non è possibile rimediare. Non c’è possibilità di contraddizione o di opposizione, è una cosa decisiva e definitiva.

Si può anche dire che non c’è appello. Stesso significato.

Contro la morte non c’è appello.

Contro le decisioni del direttore non c’è possibilità di appello.

Raramente si usa in senso opposto, quindi in senso figurato non si usa spesso dire frasi tipo:

Forse c’è una possibilità di appello.

Questo tipo è frasi hanno un uso quasi esclusivamente giuridico, quindi vengono intese nel senso che si può fare appello, si può cioè “ricorrere in appello“, presentare una richiesta, una richiesta formale, per modificare una decisione già presa.

Comunque volendo si può dire ad esempio:

La tua è una decisione senz’appello, irrevocabile, oppure c’è una possibilità di appello? Se c’è questa possibilità si può cambiare, si può intervenire per cercare di cambiarla.

Questa espressione in effetti è molto adatta alle decisioni. E quando ci sono le decisioni irrevocabili, queste decisioni vengono confrontare alle sentenze, che sono a loro volta delle decisioni, ma prese da un guidice.

Se invece una decisione diciamo che non è senz’appello allora vogliamo dire che è ancora in discussione, si può cercare di cambiarla.

Anche una risposta di una persona o una frase può essere definita senz’appello e in questo modo si sottolinea l’autorità o la sicurezza con cui è stata data la riaposta o pronunciata questa frase

Adesso però ripassiamo.

Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente

Harjit: il mio oroscopo oggi dice che dovrò fare appello a tutta la mia concentrazione per risolvere i problemi causati dai colleghi. In vista di questo inizialmente stavo per avermela a male ma poi ho pensato fosse meglio prenderla con filosofia.

Edita: certamente. Al lavoro bisogna sempre mantenere la calma. Senza contare che questo fa bene anche alla salute.

Marcelo: io una volta per aver raccolto una provocazione in ufficio ho corso il rischio di essere licenziato dopo aver apostrofato pubblicamente un mio collega. Poi però alcuni colleghi sono corsi ad aiutarmi.

Hartmut: fortunatamente anche al lavoro c’è gente perbene.