Un evento storico nella cultura e nello spettacolo italiano collegato al 6 dicembre riguarda la nascita di LuigiLablache, uno dei bassi più importanti dell’opera lirica del XIX secolo, nato a Napoli il 6 dicembre 1794.
Lablache fu un cantante d’opera celebre per la sua voce profonda e agile, amato dal pubblico europeo e interprete di ruoli memorabili nei teatri più importanti d’Italia e d’Europa. La sua carriera fu così significativa che il ruolo di Don Pasquale fu creato proprio per lui dal compositore Donizetti.
Questo personaggio è tuttora noto nell’ambiente lirico per le sue doti comiche e drammatiche.
Prendendo spunto da questo avvenimento possiamo spiegare l’aggettivo sospirato.
In italiano “sospirato” descrive qualcosa che è stato desiderato o atteso con forte intensità e emozione, come un sospiro per l’attesa o l’ansia di veder realizzato qualcosa.
Nel contesto del teatro e dell’opera, un ruolo può essere definito sospirato quando un cantante lo desidera ardentemente, magari per anni, prima di poterlo interpretare sul palco.
Immagina un giovane cantante lirico che per tutta la sua carriera sogna di debuttare al Teatro alla Scala di Milano in un ruolo importante.
Quando finalmente riceve la chiamata, si può dire che quel debutto è il ruolo tanto sospirato della sua vita: non solo un’opportunità professionale, ma un sogno accarezzato con passione e pazienza, quasi come se fosse nato da un lungo susseguirsi di sospiri di desiderio e speranza.
Nel contesto cinematografico, possiamo applicare lo stesso concetto parlando, tanto per fare un esempio, del film Ilsorpasso, una delle opere più celebri della commedia all’italiana uscita nelle sale nel 1962 e considerata un capolavoro del genere.
Se un giovane regista italiano, dopo anni di progetti minori o corti sperimentali, aspira a dirigere un film di grande successo internazionale come questo, il film Il sorpasso potrebbe essere definito il sospirato successo della sua carriera.
Qui “sospirato” simboleggia l’oggetto di un desiderio intenso e prolungato nel tempo, capace di evocare emozioni forti e aspettative.
Per un atleta, la tanto sospirata vittoria di un campionato rappresenta l’obiettivo inseguito con determinazione per molte stagioni.
Per uno studente, il sospiratodiploma è quel traguardo che sembra sempre lontano finché non viene finalmente raggiunto.
In ciascuno di questi esempi, l’aggettivo sospirato non è solo una descrizione neutra di qualcosa desiderato, ma porta con sé l’idea di un desiderio intenso, atteso a lungo e finalmente realizzato.
Notate che generalmente l’aggettivo sospirato viene usato prima del sostantivo per sottolineare il valore emotivo del desiderio: non è un’attesa fredda o razionale, ma carica di sentimento. Abbiamo visto in un passato episodio il senso di mettere l’aggettivo prima del sostantivo.
Il sospirato diploma
La sospirata vittoria
Il sospirato bacio
Quanto alle alternative, potete sempre usare desiderato al suo posto, se volete, oppure agognato o bramato. C’è anche un bell’episodio in merito, per non parlare dell’episodio dedicato ai desideri. E poi esiste anche anelare. Anche qui abbiamo un episodio.
La scelta cambia il registro, l’intensità emotiva e il contesto.
Sospirato richiama il sospiro: un desiderio lungo, paziente, spesso tenero o malinconico, vissuto interiormente. È tipico di contesti affettivi, poetici o anche narrativi.
Una sospirata libertà, una sospirata pace, un sospirato incontro.
Desiderato è il termine più neutro e generale. Indica ciò che si vuole ottenere, senza caricarlo necessariamente di emozione. Funziona bene in contesti sia quotidiani sia formali.
Un desiderato risultato, una desiderata soluzione.
Agognato esprime un desiderio intenso e spesso sofferto, legato a una lunga attesa o a una mancanza profonda. Ha un tono più elevato e drammatico.
Un agognato riscatto, una agognata libertà.
Bramato è ancora più forte: suggerisce impazienza, ardore, talvolta quasi avidità, come la brama dì potere. È meno delicato e più viscerale.
Un bramato successo, una bramata vittoria.
Anelato viene come si è visto da anelare, che in origine significa “respirare affannosamente”. Per questo indica un desiderio intenso, profondo e spesso accompagnato da tensione o fatica, come se mancasse l’aria. È meno tenero di sospirato e meno impulsivo di bramato. Più ricercato.
Una anelata libertà suggerisce qualcuno che ne ha bisogno vitale, quasi fisico.
Un anelato riconoscimento richiama anni di attesa, sacrifici, frustrazione.
Qui magari può essere utile anche chiarire la differenza tra respiro e sospiro. Il respiro è un atto fisiologico, automatico, necessario per vivere: respiriamo continuamente, spesso senza accorgercene. Il sospiro, invece, è un respiro modificato dall’emozione. Si sospira per desiderio, per sollievo, per malinconia, per attesa. Da qui nasce l’aggettivo sospirato: qualcosa che non è solo voluto, ma desiderato con partecipazione emotiva, quasi trattenendo il fiato.
Potete sospirare adesso, perché finalmente l’episodio è finito.
Prendiamo spunto da un evento realmente accaduto in Italia il 27 settembre 1943, cioè l’inizio delle famose Quattro giornate di Napoli, quando la popolazione insorse contro l’occupazione tedesca.
In quei giorni drammatici, la città di Napoli era oppressa dai nazisti e i cittadini soffrivano per fame, violenze e distruzioni.
Prima dell’insurrezione, molti napoletani vivevano con l’auspicio che gli Alleati, già sbarcati nel Sud Italia, arrivassero presto a liberarli.
Auspicio significa infatti “speranza, desiderio,aspettativa positiva per il futuro”, spesso espressa in modo solenne o collettivo.
Abbiamo un episodio in cui vi ho spiegato il verbo paventare in cui ho accennato al verbo auspicare, che ha il significato opposto. In un altro episodio invece abbiamo parlato dei modi per esprimere i desideri.
Nel nostro caso: l’auspicio dei napoletani era che la guerra finisse e che la libertà tornasse nella loro città.
Quando però l’attesa diventò insopportabile, i cittadini stessi decisero di reagire: uomini, donne, ragazzi, combatterono e riuscirono, in soli quattro giorni (le quattro giornate, appunto) a scacciare le truppe tedesche.
Guardando a quell’evento con gli occhi di oggi, possiamo dire che era auspicabile che il popolo trovasse la forza di ribellarsi.
Auspicabile significa “desiderabile, conveniente, ciò che sarebbe bene che accadesse”.
Non era sicuro che la rivolta riuscisse, ma era auspicabile che il coraggio collettivo portasse finalmente alla libertà.
Quindi: L’Auspicio è la speranza, il desiderio (l’auspicio dei napoletani era la libertà).
Auspicabile è ciò che è desiderabile o da ritenersi positivo (era auspicabile che la popolazione si liberasse dall’oppressione).
Concludo dicendo che In teoria al posto di auspicabile si potrebbe usare la parola “sperabile” (cioè che si spera) ma questa parola, purtroppo o per fortuna – chi può dirlo – non si utilizza molto. Direi quasi per niente. Mi era venuto persino il dubbio che non esistesse.
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Immaginate Bologna nell’agosto del 1848. Avete immaginato?
Aggiungo qualche dettaglio allora…
Da tempo sotto il controllo austriaco, la città viveva un clima di tensione, rabbia e frustrazione.
Gli austriaci avevano imposto il loro potere con rigide restrizioni e la popolazione attendeva il momento giusto per reagire.
Quando scoppiò la rivolta popolare, che era nell’aria, non si trattò soltanto di un’azione militare o politica: fu il frutto di un desiderio di rivalsa coltivato per anni.
Vediamo meglio questa frase.
Il desiderio di rivalsa è la spinta a reagire, a riscattarsi dopo un torto subito o una sconfitta, per dimostrare il proprio valore o per riprendere ciò che è stato tolto.
Riscattarsi è anche questo un verbo importante da capire in questi contesti. Non é esattamente come vendicarsi.
La vendetta è un’azione punitiva mossa principalmente dalla rabbia o dal rancore, spesso sproporzionata e mirata a far soffrire l’altro quanto (o più di) quanto si è sofferto.
La rivalsa è invece il desiderio di recuperare un vantaggio perso, ristabilire l’equilibrio o affermare il proprio valore dopo un torto o una sconfitta. Può avvenire anche in modo positivo, legale o sportivo, e non implica per forza nuocere direttamente all’altro.
Infine, riscattarsi viene da riscatto. Il desiderio di riscatto esiste ugualmente, ma questo implica la volontà di migliorare la propria condizione o riacquistare onore e dignità dopo un errore, un fallimento o una situazione negativa, spesso guardando più al futuro che al passato. Ci si può riscattare anche dal proprio passato, senza che ci siano altre persone coinvolte.
Il verbo, quando parliamo del desiderio di rivalsa, è rivalersi.
Quindi parliamo del desiderio di rivalersi su qualcuno. La preposizione da usare è “su“.
Per i bolognesi, vincere significava non solo liberarsi degli occupanti, ma anche lavare l’onta dell’umiliazione subita. Di questa espressione ci occupiamo un’altra volta.
E infatti, con determinazione, riuscirono a costringere gli austriaci a ritirarsi a nord del fiume Po.
Usiamo l’espressione anche in contesti quotidiani:
Dopo la sconfitta dell’andata, la squadra è scesa in campo con un forte desiderio di rivalsa.
Licenziato ingiustamente, ha aperto un’attività tutta sua per rivalsa.
A Bologna, quell’8 agosto, il desiderio di rivalsa si trasformò in azione concreta, lasciando un segno nella storia del Risorgimento italiano.
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Benvenuti amici di Italiano Semplicemente. Oggi parliamo di un verbo elegante, poetico, quasi nobile: anelare.
“Anelare” è un verbo che si usa per esprimere un desiderio intenso, profondo, quasi struggente, verso qualcosa che sembra lontano, ma che ci attira con forza. Abbiamo parlato dei desideri in un episodio passato, ma non avevo parlato del verbo anelare.
Non è un semplice “volere”. Non è neppure un “desiderare”. No, anelare è qualcosa di più sottile, più viscerale, più… romantico.
La parola deriva dal latino anhelare, che significava “ansimare, respirare affannosamente”. Da qui, col tempo, ha assunto il significato di “desiderare ardentemente qualcosa, al punto da ansimare, da perdere il fiato”.
Hai presente quando si dice “non vedo l’ora”? Ecco, anelare è un “non vedere l’ora”… ma con l’anima. Tra l’altro, cosa non trascurabile, se si usa anelare non è detto che questa cosa accadrà, come quando si usa non vedere l’ora, che in genere si dice quando si aspetta con ansia un evento positivo già in programma, e che quindi già sappiamo che accadrà. Non è lo stesso con anelare.
Facciamo qualche esempio:
Dopo anni di lavoro in ufficio, Giulia anelava alla libertà di una vita all’aria aperta in un’isola sperduta.
Non era solo un desiderio: era un sogno che la consumava dentro, un’esigenza dell’anima.
Tutti aneliamo alla felicità, ma spesso non sappiamo nemmeno dove cercarla.
L’Italia intera anelava alla pace, dopo anni di guerra.
Nota bene:
Il verbo anelare regge normalmente la preposizione “a”, similmente al verbo ambire. Anelare a qualcosa
Non si dice: anelare qualcosa – anche se a volte può capitare nella lingua poetica o letteraria, ed anche a noi comuni mortali.
C’è qualcosa che tu aneli nella vita?
O meglio: c’è qualcosa a cui aneli nella vita?
Una meta, una persona, una condizione?
Prova a usare questa parola al posto di “desiderare”, e vedrai che effetto fa.
In definitiva, anelare è un verbo da usare quando vuoi dare forza, intensità e un tocco poetico ai tuoi desideri. È come dire: “Io non mi limito a volere… io anelo!”
Adesso, prima di ripassare, mi rivolgo a tutti i visitatori che anelano a diventare membri dell’associazione Italiano Semplicemente. Spedite la vostra richiesta compilando il form sul sito e il vostro desiderio verrà esaudito.
Edita:
Io, sinceramente, anelo a una vita semplice, senza l’andirivieni degli imprevisti e dei teatrini che imperversano quotidianamente in questo ufficio… altro che carriera!
Sofie: Gira gira, si finisce sempre lì: ci danniamo l’anima per fare il minimo sindacale, mentre dalle alte sfere continuano a inoltrare direttive a dir poco gravose, senza manco badare alla realtà.
Anna: Con tutto che uno cerca di mostrare gli attributi e tenerebotta, ma poi basta un qui proquo e succede un casino!
Marcelo:
Io anelo a una scuola in cui non si debbano ogni volta appianare le controversie tra genitori a colpi di whatsapp inviati nottetempo…
Karin:
A me invece basterebbe non ricadere nella solita velleità del cambiamento per forza: ogni riforma è un’involuzione, e noi qui a crogiolarci nel nostro orticello, mentre il mondo va allo sbando.
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Il congiuntivo in Italiano: omissione della particella “se”
L’uso della preposizione “a” seguita da un sostantivo in italiano ha diversi usi a seconda del contesto. Nei casi di ubbio, incertezza o rammarico e delusione, la particella “se” può essere omessa, soprattutto in frasi esclamative.
Oggi ci occupiamo dello sfizio, parola diffusissima in tutta Italia, ma di uso colloquiale.
Lo sfizio è una specie di desiderio, ma un desiderio particolare, un desiderio capriccioso.
In effetti sfizio e capriccio sono due sinonimi, e indicano entrambi la voglia di qualcosa.
Non si tratta di desideri importanti, tipo desiderare la pace nel mondo o di avere una famiglia. Gli sfizi sono voglie capricciose, desideri di cose abbastanza futili, di poca importanza; quei desideri che vogliamo soddisfare per divertimento o per avere una soddisfazione personale che ci procura un qualche tipo di gratificazione.
Insomma, vogliamo toglierci uno sfizio.
È proprio questo l’utilizzo principale di questa parola. Lo sfizio è qualcosa che si toglie, qualcosa che vogliamo toglierci. Uso il verbo togliere per indicare il soddisfacimento di questo desiderio, questa voglia, che è quasi un bisogno di essere soddisfatti.
Oggi vado in centro e mi voglio togliere lo sfizio di un bel gelato.
Sarebbe come dire: mi voglio prendere la soddisfazione di gustarmi un bel gelato.
È tanto tempo che desidero farlo, quindi voglio togliermi questo sfizio, questo capriccio. Non voglio più avere questo pensiero in mente.
Spesso si dice anche “è solo uno sfizio” parlando di un desiderio che vogliamo soddisfare. Dicendo “solo” si evidenzia la poca importanza dello “sfizio“. L’utilizzo più frequente resta comunque l’espressione “togliersi lo sfizio“.
L’uso del verbo togliere sta proprio ad indicare la voglia di non avere più un pensiero in mente ed essere così soddisfatti.
“Soddisfare una voglia” è molto simile a “togliersi uno sfizio“. E non è un caso che moltissimi esercizi commerciali in Italia si chiamano proprio così: “lo sfizio“, per invitare le persone a soddisfare un loro desiderio; in questo caso un loro appetito.
Questi desideri possiamo chiamarli desideri “sfiziosi“, un aggettivo, questo, che si addice anche alle cose che si mangiano:
Un pranzo sfizioso è un pranzo che ci attrae, ci attira per la sua particolarità, e non vediamo l’ora di assaggiare qualche pietanza.
Ma ci si può togliere uno sfizio in tantissimi modi diversi, non solo attraverso il cibo.
È sufficiente avere una voglia, un piccolo desiderio che, una volta soddisfatto, ci gratificherà.
Hai voglia di mandare a quel paese una persona da tanto tempo?
Dai, togliti questo sfizio e ti sentirai molto meglio.
Irina: manco a farlo apposta, stavo proprio pensando a uno sfizio che vorrei togliermi: andare due settimane in Italia.
Mariana: uno sfizio che potrai toglierti solo virus permettendo. Hartmut: Siamo ottimisti, sta prendendo corpo l’ipotesi di apertura totale nel mese di giugno in Italia.
Ulrike: Per scrupolo però, sempre meglio aspettare un mesetto prima di prenotare
Emma: Poi con queste varianti: la brasiliana, l’inglese, adesso anche la giapponese… speriamo che a settembre non saremo da capo a dodici
Sapete prefiggervi un obiettivo? Quante cose possono PREFIGGERSI?
Queste sono: un obiettivo, uno scopo, una meta, un risultato, un sogno, un termine, un desiderio.
Significa stabilire, decidere fermamente, fissare, proporsi come punto di arrivo, come desiderio.
PREFIGGERSI equivale a prefissarsi.
Iniziano con “pre” perché “pre” significa prima, in anticipo, in un momento precedente.
Entrambi sono verbi riflessivi ma posso usarli anche in modo non riflessivo.
Es: Occorre prefissare un termine per la consegna.
Comunque soprattutto PREFIGGERSI è molto più comune usarlo in modo riflessivo, perché è più personale, ha più a che fare con l’individuo e i suoi desideri, le sue ambizioni personali.
Allora facciamo un gioco. Voi fate una frase con delle parole che vi dico io usando questi verbi a scelta. Ad esempio se dico:
Io, laurearsi:
Voi dite: io mi sono prefisso di laurearmi.
Cioè ho fissato l’obiettivo di laurearmi.
Tu, finire il lavoro:
Tu ti sei prefisso di finire il lavoro
Anna, rimanere incinta:
Anna si è prefissa di rimanere incinta
Noi, uscire in tempo.
Ci siamo prefissi di uscire in tempo
Voi, un obiettivo ambizioso
Voi vi siete prefissi un obiettivo ambizioso
Loro, uno scopo preciso
Loro si sono prefissi uno scopo preciso.
Ma ho una domanda per voi. Nelle mie risposte ho usato PREFIGGERSI o prefissarsi?
Mi ero prefisso di spiegarvi il verbo PREFIGGERSI, ed allora ho usato prefiggersi. Altrimenti avrei detto:
Mi sono prefissato, ti sei prefissato, Anna si è prefissata, noi ci siamo prefissati e loro si sono prefissati. Con lo stesso identico significato.
Esercizi episodio 18 – Prefiggersi
1) Sostituisci la parola fra le parentesi quadre: “Mi sono [deciso fermamente] di finire il mio compito prima delle sette”.
2) ci si può prefiggere: a) un risultato b) un obiettivo c) uno scopo d) una risata
3) Sostituisci il participio passato nella frase seguente con il participio passato di un altro verbo che inizia per PREF. “Voi vi siete prefissi un obiettivo ambizioso”. Qual è è l’infinito del verbo usato nella frase originaria e di quello usato nella tua frase?
4) Cosa significano i verbi usati sia nella frase originaria della terza domanda, sia nella tua risposta a quella domanda?
5) Completa la frase: Occorre …re un termine per la consegna.
6) dieci anni fa mi pref_ _ _ _ questo obiettivo è così feci, senza esitare.
7) tra 10 anni me _ _ prefigge_ _ un altro di obiettivo.
Risposte
1) prefisso
2) a, b, c
3) Prefissati, PREFIGGERSI, PREFISSARSI
4) STABILIRE, DECIDERE FERMAMENTE, FISSARE, PROPORSI COME PUNTO DI ARRIVO, PROPORSI COME DESIDERIO.
5) FISSARE/PREFISSARE/DECIDERE un termine per la consegna.
Buongiorno amici e benvenuti in questo nuovo episodio di Italiano Semplicemente, chi vi parla è Giovanni, il creatore del sito.
Oggi vi vorrei parlare del congiuntivo. Prendo spunto da una mail che mi è arrivata in cui mi veniva chiesto da Lya, dalla Danimarca, se, in certe frasi, si deve usare il congiuntivo oppure no. Il dubbio è sicuramente lecito, è comprensibile; non è facile a volte usare il congiuntivo.
Bene, allora vorrei condividere con tutti voi questo argomento perché credo che l’uso del congiuntivo sia uno degli ostacoli su cui si imbattono tutti gli stranieri.
Allora oggi vediamo l’uso del congiuntivo e in particolare vedremo come evitare il congiuntivo. Questo è l’obiettivo di questo episodio.
Cosa voglio dire?
Voglio dire che si può evitare di usare il congiuntivo, se non siete sicuri che possa andar bene in alcune frasi, e questi suggerimenti che vi darò oggi vi aiuteranno, almeno lo spero, a capire anche come usarlo oltre che come evitarlo.
È un modo alternativo di approcciare un argomento, e vedere un’altra faccia di un argomento credo possa aiutare a capirlo meglio.
Abbiamo già affrontato l’argomento del congiuntivo già in altri due episodi di Italiano Semplicemente. La prima volta quando parlavamo di tutti i modi di dire “se”: se, qualora, putacaso eccetera, quando si parla insomma di una possibilità probabile.
La seconda ne abbiamo parlato quando abbiamo affrontato la questione della concordanza dei tempi.
In questo episodio invece lo facciamo con un obiettivo particolare: cercare di evitare il congiuntivo. È possibile?
Sappiamo che quando la persona che parla presenta un fatto che per lui è certo e reale usa il modo indicativo, se invece esprime un dubbio, un’ipotesi, una possibilità eventuale o anche un desiderio, o una volontà, usa invece il modo congiuntivo, che quindi è il modo che si usa per esprimere possibilità, soggettività e incertezza. Non si tratta di un fatto certo, ma c’è il dubbio, una incertezza, una possibilità.
Sappiamo anche che, perché lo abbiamo visto nell’articolo della concordanza dei tempi, dove c’è un congiuntivo solitamente nella frase ci sono due verbi, e quello che va al congiuntivo è il secondo dei due verbi. Il primo è il verbo principale, che sta nella prima parte della frase; il secondo, quello che ci interessa, sta nella seconda parte, subordinata alla prima, cioè che dipende dalla prima.
Bene, vediamo alcune frasi, partiamo cioè da alcuni esempi con delle frasi in cui usiamo il congiuntivo e vediamo, per ogni frase, come evitare il congiuntivo, come possiamo fare per dire la stessa cosa ma senza usare il modo congiuntivo, se non siamo sicuri.
Prima frase: Siamo ad un matrimonio, e volete fare gli auguri agli sposi. In questi casi, nei casi di un augurio o un desiderio, è facile usare il congiuntivo, perché fare gli auguri a qualcuno significa augurare che accada qualcosa nel futuro, qualcosa di positivo. È un desiderio quindi. Potete ad esempio dire
Mi auguro che possiate vivere sempre felici.
oppure:
Mi auguro che siate felici per sempre.
La persona che parla, in queste due frasi, usa il congiuntivo dei verbi potere e essere (possiate, siate), e, rivolgendosi direttamente agli sposi, si augura che, gli sposi, possano essere sempre felici, per tutta la vita: mi auguro che (voi) possiate essere felici, o che siate felici.
Allora, un trucco, per evitare il congiuntivo, se non siete sicuri che sia la forma giusta da usare, è non usare il secondo verbo. Evitate il secondo verbo. Questo significa che, ad esempio con gli sposi potete riferirvi direttamente alla “vita felice”, quindi potete dire:
Vi auguro la migliore delle vite insieme
Vi auguro una vita bellissima
Vi auguro un futuro radioso
Vi auguro una vita eccezionale
E via dicendo. Evitate il verbo, il secondo verbo. In fondo per evitare il secondo verbo basta evitare la parolina “che”. Se pronunciate “che” (vi auguro che…) siete fregati: dovete usare il secondo verbo, col rischio che potreste sbagliarvi.
Non dovete quindi usare la frase subordinata, cioè il secondo verbo, perché se usate il secondo verbo si deve usare il congiuntivo. Dopo la frase principale ci va una frase senza il verbo.
Notate inoltre che in teoria c’è un secondo modo per fare un augurio; potete infatti anche dire:
Siate felici per sempre!
Abbiate la miglior vita insieme!
Possiate essere felici per il resto della vostra vita!
In questo caso la frase inizia subito col congiuntivo. Cosa cambia rispetto a prima?
Manca “mi auguro che”. Si tratta in realtà sempre dello stesso augurio, ma non c’è la frase principale (mi auguro che, spero, vi auguro, spero, vorrei, eccetera).
In questo caso siamo di fronte ad una frase che possiamo chiamare “indipendente”, che è ugualmente corretta e si usa frequentemente in italiano. Si chiama indipendente perché non c’è la frase principale e quindi l’unica frase presente non possiamo chiamarla “subordinata”. Non c’è più la subordinazione, cioè la dipendenza, della frase subordinata da quella principale. Se non c’è subordinazione è chiaro che c’è indipendenza: mancanza di dipendenza.
In questi casi evitare il congiuntivo può sembrare più complicato. Infatti in questi casi è necessario cambiare la frase. Manca la frse principale, quindi una possibilità è inserire nuovamente la frase principale. Quindi:
Mi auguro, mi piacerebbe, mi farebbe piacere, vorrei, eccetera. E poi?
Poi dovete fare come prima, cioè evitare il verbo, evitare il secondo verbo presente nella frase, perché se inserite un secondo verbo dovete usare il congiuntivo. Come prima quindi:
Vi auguro la migliore delle vite insieme, una vita bellissima, un futuro radioso, una vita eccezionale.
Vediamo un secondo esempio:
Non ho ancora capito il congiuntivo: che io debba preoccuparmi?
Questa è la frase: Non ho ancora capito il congiuntivo: che io debba preoccuparmi?
Oppure:
Non ho ancora capito il congiuntivo: che sia il caso di preoccuparsi?
In questo caso chi parla ha un dubbio. Chi parla dice di non aver ancora capito l’uso del congiuntivo ed allora aggiunge: che io debba preoccuparmi? Che sia il caso di preoccuparsi?
Anche questa non è una frase subordinata ma è una frase indipendente. Non c’è quindi una frase principale. Un dubbio quindi è come un augurio. Potete esprimerlo anche senza frase principale.
C’è solamente una frase, che è indipendente. Come facciamo? Beh, come prima, dovete reintrodurre, reinserire, inserire nuovamente la frase principale. Se non mettete la frase principale non potete evitare il congiuntivo. Quindi:
Che io debba preoccuparmi? Questa frase equivale a:
Credete che io debba preoccuparmi?
Pensate sia il caso di preoccuparsi?
Queste sono due frasi equivalenti dove c’è però la frase principale: credete che, pensate che…
Ancora una volta quindi, anche se la frase principale non c’è, potete evitare il verbo al congiuntivo:
Che io debba preoccuparmi? equivale come appena detto a “Credete che io debba preoccuparmi?”
Bene, in questa frase è difficile fare ciò che abbiamo fatto prima, cioè evitare il secondo verbo, non scrivendo la congiunzione “che”. Dopo la parola “credete” difficile non inserire “che”.
Allora vi propongo un seocndo trucco.
La frase può diventare ad esempio la seguente:
Che ne dite? La situazione è preoccupante? Mi devo preoccupare?
Quindi qual è il trucco stavolta?
Il trucco è fare due domande e non una. Spezzare Così potete parlare sempre al presente o al futuro, o al condizionale.
Anziché dire:
Pensate che la situazione sia preoccupante?
Potete dire
Che ne dite? La situazione è preoccupante?
Che ne dite? Mi dovrò preoccupare?
Che ne dite? Dovrei preoccuparmi?
In questo modo avete spezzato la frase in due frasi separate. Due domande separate.
Se invece Cominciate con Credi o credete, dovete aggiungere “che”, e questo significa usare il congiuntivo: Credi che, pensi che, dovete per forza usare il congiuntivo, perché la congiunzione “CHE” è appunto una congiunzione, che congiunge, unisce due frasi. Dovete invece separare le due frasi. Fare due domande e non una sola.
Vediamo un terzo esempio:
Abbiamo visto come esprimere prima un desiderio, un augurio, e poi dubbio. Ora vediamo cosa succede quando facciamo una richiesta, un’esortazione o un invito, un invito a fare qualcosa. Ad esempio. Se volete dire a un collega, o ad un cliente, dandogli del lei, di avere pazienza, che deve avere pazienza, solitamente si dice:
Abbia pazienza! Abbia un po’ di pazienza!
Questo è un invito. Si invita una persona ad avere pazienza. La frase inizia subito con un congiuntivo: abbia pazienza!
Beh, in questo caso è abbastanza semplice non usare il congiuntivo: l’invito diventa “Lei deve avere pazienza!”
Facile quindi evitare il congiuntivo nel caso di un invito.
Facciamo un altro esempio di invito:
Vada via!
Oppure:
Se ne vada subito!
Oppure:
Esca immediatamente da questa stanza!
Anche qui si tratta di inviti: si invita la persona ad uscire, ad andarsene da un luogo, come una stanza.
Anche qui è abbastanza facile: è sufficiente inserire il soggetto nella frase:
Lei deve andare via! Lei deve lasciare subito questo posto!
Inserite il soggetto quindi; rivolgetevi alla persona dicendo “lei”. Sapere bene che sono molte le situazioni e i modi diversi di usare il congiuntivo.
Abbiamo quindi visto tre modi diversi di evitare il congiuntivo:
1) Nel caso di augurio evitare il secondo verbo;
2) Nel caso di dubbio spezzare la frase;
3) Nel caso di invito inserire “lei” davanti alla frase.
Non è facile riuscire a comprendere tutti i casi in cui si usa il congiuntivo, ma abbiamo detto il congiuntivo si usa nelle situazioni in cui non c’è certezza, e infatti per esprimere i dubbi si può usare il congiuntivo. Lo stesso come si è visto vale per gli auguri. In entrambi i casi non sappiamo cosa avverrà: “mi auguro che tu sia felice”, “spero che tu sia felice”. Non so se sei felice, io me lo auguro ma non lo so. Lo stesso per i dubbi: spero che tu sia felice esprime un dubbio oltre che un augurio.
Sapete poi che il congiuntivo si usa non con tutti i verbi ma come regola si tratta sempre di verbi adatti per i dubbi, gli auguri, le volontà, i desideri, insomma tutte le situazioni in cui non c’è certezza: credere, pensare, temere, sperare, desiderare, preferire, dubitare, sembrare eccetera. In tutti questi casi, sono moltissimi, si può usare il congiuntivo. Si dice che questi verbi “reggono” il congiuntivo. Ciò significa che possiamo usare il congiuntivo, ma significa che possiamo anche evitarlo, se vogliamo, ma nel modo giusto.
Spesso la scelta di usare il congiuntivo è legato a quello che noi vogliamo evidenziare nella frase.
Non per forza dobbiamo usarlo. A volte basta semplicemente lasciare la frase uguale e cambiare solo il modo del verbo.
A volte infatti preferiamo dare l’accento alla possibilità, all’eventualità, ed allora usiamo il congiuntivo. Ma non siamo quindi obbligati.
Ad esempio se tu mi chiedi: è possibile imparare una lingua senza studiare la grammatica?
Io potrei rispondere con:
Non so se è possibile;
Oppure con:
Non so se sia possibile.
Potete usare entrambi le forme, l’indicativo o il congiuntivo, si tratta si una scelta più che altro di stile, più o meno formale.
Oppure, la frase:
Non so se può andar bene così, professore.
Che potete anche dire usando il congiuntivo:
Non so se possa andar bene così, professore.
Vanno bene entrambe le frasi, e la seconda, quella col congiuntivo, ha un significato più incerto, ipotetico, come se chi parla non fosse così sicura di quello che dice.
Quindi se volete sembrare più sicuri di voi, sicuri di quello che state dicendo, evitate il congiuntivo: “non so se può andar bene, professore”.
In fondo gli italiani, soprattutto coloro che devono essere credibili, quelli che vogliono convincere gli altri, come ad esempio i politici, cercano di evitare il congiuntivo quando possono, per non sembrare incerti, dubbiosi. Loro devono sembrare sicuri di sé. Spesso fanno anche errori però.
Analogamente:
“Non so se va bene”, e “non so se vada bene” sono entrambe forme corrette.
“Non so se è possibile” è ugualmente equivalente a “non so se sia possibile”.
A volte quindi potete semplicemente evitare il congiuntivo, lasciare la frase così com’è, identica a prima, e mettere l’indicativo al posto del congiuntivo.
Questo quindi è il quarto caso diverso che vi ho presentato: cambiare solamente il verbo e usare l’indicativo.
Vediamo un quinto caso, simile al precedente: Quello che cambia è che ci sono due congiuntivi in una sola frase.
Delle volte infatti ci possono essere più congiuntivi in una frase. Ad esempio:
Non so se esistano persone che abbiano paura di parlare in italiano.
In questo esempio ci sono quindi due congiuntivi: esistano e abbiano
Oppure:
Mi chiedo se ci siano al mondo persone che abbiano paura di parlare in italiano.
Lo stesso. Due congiuntivi; siano e abbiano.
Anche in questo caso si hanno dei dubbi: non so se, mi chiedo se …
In queste frasi in realtà, come prima, non è corretto o scorretto usare due volte il congiuntivo. Tra le due frasi c’è la congiunzione “che” a fare da spartiacque, la congiunzione “che” quindi separa le due frasi, e possiamo usare il congiuntivo in entrambe le frasi, oppure solamente nella prima frase.
Quindi:
Mi chiedo se ci siano al mondo persone che hanno paura di parlare in italiano.
È equivalente a:
Mi chiedo se ci siano al mondo persone che abbiano paura di parlare in italiano.
Analogamente, cambiando frase:
Non so se esistano persone che hanno paura di parlare in italiano.
È equivalente a:
Non so se esistano persone che abbiano paura di parlare in italiano.
Se usiamo due congiuntivi diamo più enfasi all’eventualità, alla mancanza di certezza, ma le frasi sono entrambe corrette. Fate attenzione alla congiunzione “che”.
La congiunzione “che” ci aiuta a capire quindi.
Ma potrebbe anche darsi che nella frase la congiunzione “che” appaia due volte.
Questo è il sesto caso che vi presento oggi.
Ad esempio:
Sono convinto che la lingua italiana abbia alcune caratteristiche che la rendono migliore delle altre.
In questo caso abbiamo due volte “che” (che la lingua italiana abbia) e (caratteristiche che la rendono migliore…).
In questi casi, una volta usato il congiuntivo la prima volta, la seconda volta, cioè dopo il secondo “che”, si deve usare l’indicativo: “che la rendono” e non “che la rendano”.
Non è corretto quindi dire:
Credo che la lingua italiana abbia delle caratteristiche che la rendano migliore delle altre
Ma devo dire: “che la rendono migliore delle altre”.
Vediamo altre frasi simili:
– Penso che tu debba frequentare persone che ti stimano;
– Non credo che Giovanni abbia dei genitori che lo odiano;
– Non credo che Marco debba fare le cose chevogliono i suoi amici.
Naturalmente è importante dire ancora una volta che il congiuntivo è “retto” solamente da alcuni e non da tutti i verbi, quindi in ogni caso si può usare solamente con i verbi che “reggono” il congiuntivo..
Quindi quando dico di prestare attenzione alla congiunzione “che”, questo vale quando ci sono i verbi giusti.
Ad esempio:
– Penso che tu debba frequentare persone che ti stimano;
Abbiamo detto poco fa che in questa frase il primo verbo va al congiuntivo (debba) e poi stimare si deve usare all’indicativo. Ci sono due “che”
Questo discorso va bene, è corretto, perché “pensare” è un verbo di opinione, che “regge” quindi il congiuntivo, come anche credere, ritenere, supporre, o avere l’impressione.
Se cambio la frase invece e uso un verbo diverso, non di opinione, come ad esempio il verbo “dire” cambia tutto:
Io dico che tu devi frequentare persone che ti stimano.
Oppure:
Io direi che tu dovresti frequentare persone che ti stimano.
Il verbo dire non fa parte dei verbi che “reggono” il congiuntivo, quindi non si deve usare il congiuntivo.
Vediamo adesso un altro modo, il settimo, di sostituire e così evitare il congiuntivo.
Un modo particolare di usare il congiuntivo è nelle frasi in cui si vuole esprimere una conseguenza.
Ad esempio:
Studio l’italiano affinché possa riuscire a parlarlocorrettamente
Quindi studio l’italiano in modo tale che io riesca, che io possa riuscire a parlare correttamente l’italiano come conseguenza. Prima lo studio, poi lo parlo.
Un altro esempio:
Faccio la dieta cosicché possa riuscire a dimagrire
Il dimagrimento è una conseguenza della dieta.
Vi faccio molti esempi affinché voi possiate capire bene.
Il fatto che voi capirete bene è una conseguenza del fatto che io vi faccio molti esempi.
In questi casi, se vogliamo evitare il congiuntivo, è sufficiente agire sulla parola “cosicché” o “affinché”, usando al loro posto, un sinonimo, una frase equivalente che permetta di usare l’indicativo, o il futuro, o il condizionale eccetera. Spesso è necessario spezzare, dividere la frase in due frasi.
Ad esempio:
Studio l’italiano affinché possa riuscire a parlarlo.
diventa:
Studio l’italiano in modo da poter riuscire a parlarlo. Non c’è il congiuntivo qui.
Studio l’italiano perché così potrò riuscire a parlarlo.
Studio l’italiano così riuscirò un giorno a parlarlo.
Studio l’italiano. In questo modoriuscirò un giorno a parlarlo. Qui uso due frasi.
Studio l’italiano al fine di poterlo parlare un giorno.
Studio l’italiano con l’obiettivo di pararlo un giorno.
Studio l’italiano per poterlo parlare un giorno.
Oppure:
Faccio la dieta cosicché possa riuscire a dimagrire
diventa:
Faccio la dieta in modo da poter dimagrire;
Faccio la dieta perché così potrò dimagrire;
Faccio la dieta così riuscirò a dimagrire;
Faccio la dieta. In questo modoriuscirò a dimagrire;
Faccio la dieta al fine di dimagrire;
Faccio la dieta con l’obiettivo di dimagrire;
Faccio la dieta per poter dimagrire;
Vediamo il terzo esempio:
Vi faccio molti esempi affinché voi possiate capire bene.
diventa:
Vi faccio molti esempi con l’obiettivo di farvi capire bene.
Vi faccio molti esempi. In questo modo capirete bene.
Vi faccio molti esempi. L’obiettivo è infatti quello di farvi capire bene.
Vi faccio molti esempi. Così sicuramente capirete bene.
Vi faccio molti esempi. Così facendo capirete bene.
Vi faccio molti esempi. La speranza è che in questo modo riuscirete a capire bene.
Vediamo altri esempi per fare pratica:
– Dovete allungare le gambe, così che i muscoli non siano più tesi ma siano rilassati.
può diventare:
Dovete allungare le gambe, e vedrete che i muscoli non saranno più tesi ma saranno rilassati.
– Dovete respirare profondamente in modo che il ritmo cardiaco rallenti,
Dovete respirare profondamente. In questo modo vedrete che il ritmo cardiaco rallenterà.
– Dovete seguire le mie istruzioni, così che possiate massimizzare i benefici dello yoga.
Dovete seguire le mie istruzioni. Come risultato massimizzerete i benefici dello yoga.
– Dovete mangiare in modo adeguato, in modo che il vostro corpo sia nelle condizioni migliori dal punto di vista metabolico.
Dovete mangiare in modo adeguato, così il vostro corpo sarà nelle condizioni migliori dal punto di vista metabolico.
Bene ragazzi, abbiamo terminato, spero di non avervi confuso le idee. Probabilmente non ho esaurito tutte le possibilità dell’uso del congiuntivo ma spero di avervi dato alcune idee e alcuni suggerimenti utili per usarlo correttamente e per, in caso di dubbio, riuscire ad evitarlo.
Abbiamo visto sette casi diversi di usare e di evitare il congiuntivo. Vi consiglio di ripetere l’ascolto per esercitare l’ascolto. Non preoccupatevi di memorizzare i sette casi che vi ho mostrato. Quello che conta, come sapete è l’ascolto ripetuto e che voi comprendiate quello che ho detto e scritto. Ricordatevi le sette regole d’oro di Italiano Semplicemente. Non dovete stressarvi.
Un saluto a tutti da Giovanni e grazie a tutti i donatori che fanno vivere Italiano Semplicemente, coloro che così ci danno una mano e in questo modo riusciamo ad aiutare tanti stranieri che hanno problemi con la lingua italiana.