718 Cosa ne è, cosa ne fu, cosa ne è stato, che ne sarà

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Trascrizione

Giovanni: oggi vediamo un uso particolare della particella ne.

Ne abbiamo parlato già varie volte di questa particella, ma più se ne parla, meglio è. Che ne pensi? Ne convieni? (cioè sei d’accordo?)

Alla fine dell’episodio metterò anche dei collegamenti ai passati episodi in cui abbiamo utilizzato questa particella, ma l’uso di cui vorrei parlare oggi è nelle locuzioni “cosa ne è”, “cosa ne fu”, “cosa ne è stato” e “cosa ne sarà”.

Ricorderete che “ne” si utilizza spesso per sostituire qualcosa nella frase, allora se io dico:

Quanti anni hai?

Posso dire: 50, oppure “ho 50 anni”, oppure “ne ho 50“.

Non c’è bisogno di ripetere la parola “anni“.

Volendo però posso dire:

Ne ho 50 di anni

Di anni ne ho 50

In questi casi, sebbene non ci sia bisogno di ripetere “anni” (perché già sappiamo di cosa si parla) a volte sentiamo il bisogno di specificare e se lo facciamo dobbiamo usare le preposizioni di, delle, degli, eccetera.

Questo non era l’esempio più adatto, ma se io chiedessi: quanti figli hai?

Potrei rispondere: di maschi ne ho due, mentre di femmine ne ho tre.

Sto specificando.

Anche nelle domande a volte si usa questa particella, e alcune volte si specifica:

Io ho 50 anni. Tu invece quanti ne hai?

E quanti ne hai di figli?

Qui, in quest’ultimo caso, sono costretto a specificare altrimenti non si capisce di cosa stia parlando.

Insomma avete capito che anche se uso la particella ne, a volte devo specificare, altre volte è solo un’opzione.

Un altro caso in cui si specifica è quando usiamo “ne” per ricordare qualcosa, per richiamare qualcosa dal passato.

La locuzione di oggi, a parte il tempo (passato, presente o futuro) si usa solo per fare domande.

Esempio:

Marito e moglie parlano del loro passato e la moglie si lamenta col marito perché il loro rapporto non è più quello di tanti anni fa. Secondo lei non c’è più l’amore di un tempo:

Cosa ne è stato del nostro amore?

Cosa ne è stato degli occhi con cui mi guardavi?

Che ne è stato delle nostre cene romantiche, dei nostri discorsi fino alle tre di notte, dei nostri sogni e delle nostre promesse?

Il marito a questo punto, dopo qualche secondo di interminabile silenzio, inizia a sudare…

Il senso di queste frasi è simile a:

Che fine ha fatto il nostro amore?

Che fine hanno fatto gli occhi con cui mi guardavi?

Perché non mi guardi più come prima? Neanche le nostre cene sono romantiche come prima, e non parliamo più fino alle tre di notte, e i nostri sogni e le nostre promesse? Qualcosa è cambiato.

Così è molto meno romantico però, meno malinconico, meno sentimentale, meno drammatico (anche per il marito…).

Anche in questi casi siamo costretti a specificare, perché non stiamo rispondendo a nessuna domanda. Siamo noi a fare le domande.

Si ricorda qualcosa che non c’è più, qualcosa che è scomparso, mentre invece non doveva scomparire.

È una domanda, ma quasi sempre somiglia ad una esclamazione, dunque a una domanda retorica.

Questo tipo di espressioni si usano ovviamente non solo con l’amore, ma ogni volta che ci si lamenta, si contesta qualcosa, qualcosa che ci si aspettava (spesso da altre persone) e invece questa cosa oggi non c’è.

Siamo solitamente in polemica con qualcuno. Altre volte invece si ricorda il passato con tristezza e con rimpianto.

Si usa spesso anche in politica:

Che ne è stato delle promesse del sindaco?

Con questa frase si stanno chiedendo spiegazioni.

Come mai il sindaco aveva promesso tante cose e adesso non se ne parla più?

Che fine hanno fatto le sue promesse?

Cioè:

Che ne è stato delle sue promesse

Oppure:

Che ne è stato dei politici di una volta, quelli che amavano la politica?

Si ricorda il passato con rimpianto: oggi non ci sono più i politici di un tempo.

È l’uso del verbo essere che dà questo particolare senso alla frase.

A volte non si tratta di domande retoriche e allora si esprime semplicemente stupore, meraviglia.

Immaginatevi una persona a New York il 12 settembre 2001, il giorno successivo all’attacco alle twin towers. Una persona che si risveglia dopo 24 ore di sonno, che non si è accorta di nulla, si affaccia alla finestra e esclama:

Scusate, ma cosa ne è stato delle torri gemelle?

Una domanda per niente retorica in questo caso.

In tutti i casi, è bene chiarire che si può anche invertire la posizione degli elementi della frase e il senso non cambia:

Cosa ne è stato delle sue promesse?

È identico a:

Delle sue promesse cosa ne è stato?

Lo stesso vale per tutti gli altri esempi.

Riguardo ai tempi, finora ho usato il passato prossimo.

Si possono usare anche altri tempi comunque.

Se ad esempio uso il futuro:

Che/cosa ne sarà di noi?

Che ne sarà di tutti i nostri progetti futuri?

Stavolta sono pessimista riguardo al futuro.

Esprimo un forte pessimismo e questo accade quando c’è un grosso cambiamento che mette in discussione i miei progetti. Qui c’è una forte emotività. Il futuro è in dubbio.

Cosa ne sarà dei nostri figli dopo la pandemia?

Potranno andare a ballare come abbiamo fatto noi?

Cosa ne sarà di loro se ci saranno altre pandemie?

Sia al passato che al futuro comunque il messaggio è sempre negativo. Al futuro c’è apprensione. Vogliamo chiamarla paura?

Il verbo essere gioca un ruolo particolare, e se cambiamo il verbo molto spesso non c’è un senso negativo. Se dico:

Che ne hai fatto dei soldi che ti ho dato ieri?

Resta un senso di accusa e polemica ma questa è una vera domanda.

Il senso altre volte cambia completamente:

Cosa ne pensi di me?

Cosa ne sai di me?

Anche qui si tratta di vere domande.

In realtà se uso il verbo rimanere e restare trasmettono un senso quasi identico rispetto ad essere e spesso si tratta di domande meno retoriche:

Cosa ne resta della nostra casa dopo il terremoto?

Cosa ne rimane di tutti i soldi che abbiamo guadagnato?

Vediamo adesso che al presente si usa praticamente con lo stesso senso del passato prossimo.

Che ne è delle promesse del sindaco?

Come a dire:

Cosa ne resta oggi di quelle promesse?

Oggi cosa abbiamo di quelle promesse?

Nella pratica ha lo stesso senso di:

Che fine hanno fatto quelle promesse?

Col passato remoto invece (che/cosa ne fu) si usa parlando di un passato, appunto, remoto, cioè di tanto tempo fa. Semplicemente.

Cosa ne fu delle tre persone che entrarono nelle acque contaminate di Chernobyl?

Cioè: cosa ne è stato, che fine hanno fatto? Si parla però di qualcosa di molto indietro nel tempo, senza più legami col presente.

Adesso vi dico anche che, a proposito dell’importanza della particella ne, a volte (abbastanza raramente) si omette e il senso non cambia.

C’è da dire però che la particella dà alla frase più forza, oltre che maggiore chiarezza, soprattutto se si tratta di una polemica o di paura (al futuro).

Quindi posso dire:

Cosa è stato del nostro amore?

Cosa sarà di noi?

Cosa fu di nostra nonna quando il nonno partì per la guerra?

Al presente invece non si usa omettere la particella ne.

Vi vorrei ricordare, prima di congedarmi, che c’è un episodio interessante in cui abbiamo parlato dei vari modi che esistono per “dispiacersi del passato“. Un episodio che vi potrebbe aiutare ad aumentare ancor più il vocabolario.

Parlare del passato e del tempo che passa vi mette ansia? Ma è sempre meglio che non si fermi, no?

In proposito, abbiamo un bel ripasso:

Marguerite: posso proporvi un soggetto di riflessione? I cinesi dicono che i giorni trascorrono molto velocemente. Che ne pensate? Avete questa sensazione?

Albéric: Un detto valevole di approfondimento perché gli antichi greci dicono a loro volta che il tempo si può paragonare a una ruota che ricomincia ogni volta da capo.

Peggy: Pur avendo contezza che la durata dei giorni è quello che è, cioè sono sempre 24 ore, mi rendo conto che con l’avanzare dell’età vi è questa preoccupante sensazione che i giorni passino in men che non si dica.

Marcelo: Ma Peggy, “domani è un altro giorno” come dicono i francesi.

Anne France: Anche se è sempre meglio non ridursi all’ultimo se hai in programma di fare qualcosa di importante.

Chi tempo ha e tempo aspetta, tempo perde.

Questo è un altro bel proverbio all’insegna della saggezza.

Rauno: I giapponesi a loro volta dicono: se parli di domani i topi nel soffitto avranno ben donde di ridere. Per dire che nessuno sa di cosa il domani sarà fatto e meglio non fare voli pindarici in merito.

Hartmut: Ragion per cui occorre non perdere troppo tempo e non tirarla troppo per le lunghe.

Marguerite: Ma anche io volevo dire la mia! Forse non è che il tempo si acceleri. È che noi siamo sempre più lenti. Io allora mi domando e dico: Ma come fare a essere un po’ meno lenti sicché la ruota giri più piano?

Ho una voglia smodata di chiudere con una poesia che ci sta perfettamente:

Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
del doman non v’è certezza

Episodi utili

708 A che pro?

A che pro? (scarica)

Video YouTube con sottotitoli

A che pro

Trascrizione

Giovanni: abbiamo già fatto un episodio che riguarda “perché” , giusto? Anzi ne abbiamo fatto più di uno. Il primo ha riguardato la differenza tra perché e poiché, mentre nel secondo ci siamo occupati di “come mai“. Poi ce ne sono anche altri.

Oggi ne facciamo un altro.

Voi potreste chiedermi:

A che pro farne un altro?

A che pro fare un altro episodio sul termine perché, visto che già ne abbiamo fatto più di uno?

Lo avete già capito, rispondo io, allora a che pro dare una spiegazione?

In realtà, qualcosa da dire c’è ancora. Perché la locuzione “a che pro” è vero che può sostituire “perché” in alcuni casi, ma la questione è più complessa.

Bisogna spiegare bene il termine “pro” che abbiamo già incontrato in un’altra locuzione. Sto parlando di “pro-forma“. Qui è una preposizione, e come tale in genere ha un significato simile a “in favore” o” a favore“. In pratica pro è l’opposto di contro, e si usano spesso insieme:

Tu sei pro o contro la nuova legge?

Io voterò contro il governo, ma molti votano pro.

Pro e contro stanno spessissimo insieme in una frase, anche quando diventa sostantivo:

Bisogna considerare il pro e il contro di una soluzione.

Abbiamo valutato tutti i pro e tutti i contro della nostra scelta?

Cioè abbiamo considerato tutti i vantaggi e tutti gli svantaggi? Pro sta per vantaggi, benefici.

Oltre a pro-forma, ci sono altre locuzioni molto comuni, come promemoria, pro-capite, pro-tempore e in questi casi ha un significato analogo a “per“.

Anche quando fate una donazione, la fate a favore di qualcuno, quindi ad esempio una donazione pro-bambini abbandonati, cioè la fate per questi bambini, a loro favore.

In questi casi comunque è molto più comune usare “a favore di” e “in favore di”.

Fare una donazione a favore di Italiano Semplicemente

Quando invece usiamo la locuzione “a che pro“, in una domanda, non si parla propriamente di benefici, ma di ragioni, motivi.

A che pro la usiamo soprattutto quando non capiamo per niente il motivo, l’obiettivo di un’azione.

Spessissimo c’è anche una nota polemica quando usiamo “a che pro“. In realtà crediamo che non ci sia un motivo valido e che quella scelta abbia soltanto conseguenze negative.

Senza questa nota polemica si potrebbe anche dire “per avere quali benefici?”

Altrettanto usate sono:

A che scopo

A quale scopo

Ma si usano anche:

Qual è il motivo per cui…

Per quale ragione…

Vediamo qualche utilizzo dell’espressione “a che pro” dalle notizie di oggi.

Continuiamo a produrre infinite quantità di plastica, ma a che pro lo facciamo? Non abbiamo un pianeta di riserva in cui andare.

Alcuni virologi, cioè esperti di virus, hanno in questi giorni realizzato una canzoncina a favore dei vaccini. Ma molti si chiedono: a che pro rovinarsi la reputazione? Studiosi seri, medici affermati, che si sono prestati a fare una canzoncina da bambini. A che pro l’hanno fatto?

Per chi è interessato, la canzone si chiama “Sì sì vax”. La trovate su YouTube.

Ovviamente i virologi sono pro-vaccino, e avranno sicuramente valutato pro e contro quando hanno preso questa decisione.

Adesso ripassiamo.

Mariana: bene. Io sono decisamente pro-ripasso. Ne va della memorizzazione delle espressioni precedenti.

Marcelo: io invece sono contro. È vero che coi ripassi si memorizza di più, ma in compenso senza ripassi ho più tempo libero

Peggy: sarà! Io intanto, vuoi per restare sul pezzo, vuoi perché sono molto curiosa, per non saper né leggere né scrivere, mi vado a ripassare la lezione che verte sulla locuzione “ne va“.

Ulrike: Il che significa che anche tu Peggy dovevi prendere contezza che l’espressione “ne va dicorreva il rischio di passare in cavalleria? Non sarebbe niente di trascendentale, dato che dal momento della pubblicazione dell’episodio a questa parte, Gianni ci ha offerto una caterva di altre espressioni. Non dobbiamo abbatterci, tantomeno però dobbiamo sgarrare con i ripassi, anzi, secondo me diventano sempre più importanti.

683 Tutto il cucuzzaro

Tutto il cucuzzaro

File audio MP3 disponibile solo per i membri del’associazione Italiano Semplicemente (EntraRegistrati)

Trascrizione

Giuseppina: può capitare che un termine specifico che si usa in un gioco trovi il modo di entrare nel vocabolario per essere usato in situazioni particolari.

È il caso del termine cucuzzaro, che deriva da cocuzza, che in dialetto calabrese e siciliano significa zucca.

Nel “gioco del cucuzzaro” si pronuncia appunto la frase “tutto il cucuzzaro”, e il cucuzzaro in quel gioco è la persona che conduce il gioco, ma si rappresenta la persona che vende le zucche.

Dunque il cucuzzaro è una persona, nel gioco del cucuzzaro.

Nel linguaggio informale invece, quando si dice questa frase: tutto il cucuzzaro, si intende “tutto quanto” o “tutti quanti” in riferimento a persone o anche a cose.

Ovviamente è una modalità scherzosa, quindi è simile ad altri termini più o meno simili che si usano in queste occasioni, come combriccola e banda, riferito a persone e armamentario e ambaradan (riferito a cose).

Anziché dire tutta la famiglia al completo, o tutti quanti i figli, si potrebbe così usare “tutto il cucuzzaro”.

Vediamo qualche esempio:

Siete invitati a cena stasera.

Dobbiamo venire soli o portare tutti e 5 i figli?

Portate pure tutto il cucuzzaro, c’è da mangiare in abbondanza!

Quindi l’espressione si usa per estendere a tutti o a tutto, cioè a una collettività o un gruppo, un invito o qualunque altra cosa.

Altro esempio:

Stanotte nel quartiere la polizia ha arrestato una ventina di persone per traffico di stupefacenti.

Chissà se hanno arrestato anche il dott. Bianchi o qualcuno della sua famiglia.

Si, altroché, non solo lui, ma pare abbiano preso tutto il cucuzzaro, altro che qualcuno!

Un ultimo esempio, che sottolinea ancora una volta il senso di estendere qualcosa a più persone (quasi sempre) o cose:

Io alle prossime elezioni non vado a votare, perché non c’è alcuna differenza secondo me tra destra, sinistra, centro e tutto il cucuzzaro. Sono tutti uguali!

In questo caso sto estendendo il mio pensiero a tutte le forze politiche, nessuna esclusa.

In questa occasione come in altre è un po’ come dire “anche tutto il resto”, “e tutti gli altri“. Si tratta appunto di un’estensione fatta con senso dispregiativo o semplicemente con un tono ironico.

Anche stavolta le zucche, anzi le cocuzze non c’entrano niente!

Adesso ripassiamo.

Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente

Irina: vi propongo un argomento che darà luogo a accese discussioni: secondo voi, può essere giustificabile una avventura extraconiugale?

Marcelo: mi prendi in contropiede, perché non ho mai pensato neanche a sposarmi, figuriamoci al tradimento.

Karin: scusate ma l’espressionedare luogo, usata da Irina, non mi risulta sia mai stata oggetto di un episodio.

Hartmut: non sbagli, ma non vorrai mica eludere la sua domanda. Vero? In merito all’espressione dare luogo, evidentemente un motivo ci sarà perché è stata utilizzata.

Karin: va bene, allora per non dare adito a polemiche, rispondo che per me, l’unico caso in cui si possa tradire il proprio partner è che lui ne sia a conoscenza e che sia d’accordo.

Sofie: beh, sicuramente questo non sarebbe qualificabile come tradimento a tutti gli effetti, sicuramente però, per sgombrare il campo da ogni dubbio sul mio pensiero, non accetto il tradimento per ripicca. E poi, scusate l’inciso, ma ci sarebbe anche un’altra espressione che non è mai stata spiegata prima: dare adito. E mi fa specie che sia stata proprio Karin a farlo, che prima si lamentava tanto per l’espressione “dare luogo” .

Marguerite: non è che stiamo mettendo troppa carne al fuoco? Oh no, l’ho fatto anch’io!!

André: va beh ragazzi, ma la domanda di Irina sui tradimenti mi sembrava interessante. Nessun altro vuole raccogliere la sfida? Io dico che il tradimento non si giustifica mai, fatto salvo se sono io a farlo.

Ulrike: ah, André, se tanto mi dà tanto, questo significa che l’hai già fatto! Vero?

André: sì! No, no! Beh... hai una domanda di riserva?

Peggy: Personalmente, se mi venisse chiesto non sarei mai accondiscendente. In caso contrario non so se sarei mai disposta a tollerare una cosa simile, in quanto credo che uno se lo fa una volta, poi lo farà anche una seconda, una terza e cosi via. Spesso e volentieri, tale comportamento avviene per via dell’insoddisfazione che, col tempo, deriva dal rapporto di coppia, che come sappiamo esclude rapporti extra-coniugali. Quando due persone hanno deciso essere fedeli e prendersi cura amorevolmente l’uno dell’altro e poi accade questo, allora, a questo punto, ritengo sia meglio trasformare la relazione coniugale in una di amicizia.