Prima di cominciare, vale la pena ricordare brevemente un episodio chiave della storia politica italiana: il governo Tambroni, nato nel 1960 come esecutivo di transizione, ma che suscitò un’enorme crisi istituzionale. Tambroni, esponente della Democrazia Cristiana, ottenne la fiducia in Parlamento con il decisivo sostegno del Movimento Sociale Italiano, un fatto senza precedenti che fece esplodere proteste in tutto il Paese. In fondo erano solo 15 anni che era terminata la Seconda guerra mondiale.
Ci furono delle manifestazioni represse nel sangue in città come Genova e Reggio Emilia, che segnarono profondamente la coscienza democratica nazionale.
Il governo comunque cadde dopo poco più di tre mesi, ma la ferita lasciata da quell’alleanza innaturale restò aperta a lungo.
Eccoci allora all’episodio del 7 luglio del 1960, quello di Reggio Emilia, quando cinque operai furono uccisi dalla polizia durante una manifestazione sindacale contro il governo Tambroni.
La repressione fu brutale, e la giornata passò alla storia come la Strage di Reggio Emilia.
Gli operai scesero in piazza per protestare contro il governo che come detto era appoggiato dal Movimento Sociale Italiano, il partito erede del fascismo. Non dimentichiamolo.
La tensione era altissima. E quello che avvenne fu – a detta di molti – unvero regolamento di conti di tipo politico.
Siamo arrivati all’espressione del giorno.
Cos’è un regolamento di conti? Attenzione, “di” conti e non “dei” conti, altrimenti sembrerebbe che l’oggetto siano dei numeri.
Qui però parliamo dei conti in senso figurato. Parliamo dei conti da regolare, da saldare.
“Regolamento di conti” si usa quando due o più parti — spesso in contrasto da tempo — decidono di chiudere (di regolare) una questione in modo violento o definitivo.
È un’espressione che si sente spesso nei contesti di mafia o criminalità organizzata, ma può essere usata anche in senso figurato o politico.
Nel caso della strage di Reggio Emilia, si può dire che lo Stato e le forze dell’ordine “regolarono i conti” con i manifestanti, punendo duramente chi metteva in discussione l’ordine costituito, specialmente in un periodo turbolento della Repubblica.
Es:
Dopo anni di silenzi e sospetti, quel congresso di partito è stato un regolamento di conti tra le due anime storiche della sinistra.
Si può usare anche così, ma certamente l’espressione è forte e fa subito pensare a omicidi e criminalità organizzata.
Esempio concreto e molto più comune:
Quel delitto sembrava proprio un regolamento di conti tra clan rivali.
L’espressione contiene il verbo regolare, che in questo caso indica il mettere in ordine i conti, una sorta di “fare giustizia” o “chiudere una questione rimasta in sospeso”, ma materialmente anche “vendicarsi di qualcosa”.
I conti in che senso? Come ho detto, in questo caso non si tratta di calcolatrice e ricevute: i conti si chiudono a colpi di pistola, o di manganello, o di repressione.
Quindi, quando ascoltate questa espressione, fate attenzione: non si parla mai di pace, ma quasi sempre di vendette, ritorsioni o atti punitivi.
Il termine regolamento, è bene chiarirlo, non indica una norma, una regola da seguire, tipo il regolamento di condominio.
L’espressione è infatti simile anche a “fare i conti“, che però è molto più ingenua in genere. Fare i conti si può usare in matematica ma anche ad esempio con i propri figli.
Es:
Quando rientri a casa facciamo i conti!
Ora, definire questo specifico esempio un “regolamento di conti” appare effettivamente esagerato…
Fate attenzione quindi quando usate questa espressione.
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Di sicuro hai tante occasioni per utilizzarla nella vita di tutti i giorni e chissà quante volte anche tu hai avuto un fare circospetto.
Iniziamo proprio da questo.
Circospetto è un aggettivo che descrive una persona prudente, attenta, misurata nei comportamenti e nelle parole, che agisce con cautela, cercando di non esporsi troppo o di non creare problemi. Solitamente ad essere circospetto, nel linguaggio, è il comportamento, l’atteggiamento, il fare, il modo di fare; ma anche una persona può essere definita circospetta.
In altre parole, una persona circospetta valuta bene ogni cosa prima di agire o parlare, spesso per non offendere, non compromettere sé stessa, o non attirare attenzioni indesiderate.
Se una persona si comporta in modo circospetto, allora è prudente, cauta, riservata, accorta, avvenuta. Si guarda attorno. Non a caso “circo” indica proprio l’intorno, ciò che circonda la persona.
Al contrario sarebbe una persona impulsiva, avventata, spavalda, sconsiderata addirittura.
Si usa spesso quando si nota in una persona qualcosa che insospettisce, che suscita sospetto. Il sospetto ci porta alla seconda parte della parola circospetto.
Es:
Giovanni ha risposto con tono circospetto, evitando di dire troppo.
Era molto circospetto quando gli ho chiesto della sua vita privata.
Il diplomatico si mostrava circospetto durante l’intervista.
È questa la circospezione. Indica il modo di comportarsi proprio di una persona circospetta, cioè la prudenza, la cautela, la delicatezza e l’attenzione nel parlare o nell’agire.
Es:
Ha agito con grande circospezione, sapendo che ogni parola poteva essere fraintesa.
In questi casi ci vuole circospezione, non impulsività.
La sua circospezione era evidente: si guardava continuamente attorno prima di parlare.
Parlando di circospezione possiamo facilmente usare l’espressione “avere un fare“, che, come si è visto in un episodio passato, può indicare un atteggiamento di qualsiasi tipo. Dipende dall’aggettivo che segue.
Avere un fare circospetto, quindi, significa chiaramente comportarsi in modo prudente, cauto, riservato.
“Fare”, come abbiamo visto, in questo caso, indica l’atteggiamento, il modo di porsi, l’impressione che si dà, il modo di fare.
Quindi, un fare circospetto è un atteggiamento visibilmente attento e guardingo (un altro bell’aggettivo): chi si comporta così appare misurato nei gesti e nelle parole, spesso con un tono basso, lo sguardo attento, i movimenti controllati.
Entrò nella stanza con un fare circospetto, come se temesse di disturbare.
Aveva un fare circospetto e parlava sottovoce, guardandosi intorno.
Con quel suo fare circospetto, dava l’idea di sapere qualcosa che non voleva dire.
Tanto per usare qualche altra definizione, possiamo dire che in genere si usa per descrivere una persona che non vuole esporsi, oppure che teme qualcosa, o semplicemente è molto attenta e riservata.
Adesso ripassiamo.
Immaginate di stare in un bar italiano e di fare una domanda al barista. La domanda può riguardare il bar, un ordine particolare oppure una informazione qualunque. Potete immaginare anche la risposta.
Ulrike: Scusi, volevo chiederle una cosa: qui al bar siete avvezzia servire anche caffè d’orzo freddo, oppure è un’abitudine più rara? E il barista, magari con un sorriso affabile, potrebbe rispondere: “Beh, in realtà siamo avvezzi a preparare un po’ di tutto, ma il caffè d’orzo freddo non è tra le richieste più comuni.
Estelle:
Allora, siete pronti a preparare un caffè su un letto di ghiaccio? Poi si potrebbe mettere il tutto su una torta con un po’ di liquore di mandorle. Con questo caldodellaMadonna è lo strettoindispensabile per sopravvivere! Come ciliegina sulla torta ci mancava solo che si rompesse il condizionatore!
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Oggi vediamo insieme un’espressione molto usata dagli italiani, specialmente quando vogliono sottolineare una quantità rilevante, o un livello elevato di qualcosa. In generale si può usare per evidenziare qualsiasi cosa di esagerato.
Parliamo dell’uso di “ce ne”.
Ne abbiamo parlato altre volte, ad esempio nell’episodio dedicato a “ce ne vuole” e anche in quello dedicato a “ce ne fossero“. Riguardo alla singola particella “ce”, non dimentichiamo poi l’episodio dedicato, che risale al 2017.
L’episodio di oggi è vicino al primo di questi tre episodi.
Vediamo cosa intendo per utilizzo nel caso di esagerazione e quantità:
Es:
Ce ne manca ancora di tempo alla riunione dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente!
Qui l’idea è che “ce ne” anticipa una quantità non specificata ma rilevante, grande. In questo caso parliamo di tempo che manca alla riunione dei membri, che sarà a settembre e si terrà in Umbria.
Ce ne manca di tempo! = manca ancora tanto tempo!
Versione neutra o meno enfatizzata:
Manca ancora molto tempo.
Altro esempio:
Ce ne sono di ragazze da queste parti!
Qui “ce ne sono” mette l’accento sulla quantità. È come dire: “altroché se ce ne sono!”.
Versione meno enfatica:
Ci sono molte ragazze qui.
Quella con “ce ne” spesso può assumere la forma di una domanda retorica quasi a chiedere una conferma a qualcuno.
Es:
Certo che ce ne vuole di pazienza per sopportarti! No?
Cioè: ne serve davvero tanta!
Versioni neutra:
Serve molta pazienza.
Ce n’è di gente al mare oggi!
Cioè: c’è tantissima gente!
Versione neutra: c’è tanta gente al mare!
Insieme, “ce ne” si usa quindi per introdurre con forza la quantità di qualcosa, prima del verbo.
Ce ne sono di problemi in quella famiglia!
Sottintende: molti e seri!
Versione neutra: Ci sono molti problemi in quella famiglia.
Ce ne vuole di coraggio per fare una cosa del genere!
Cioè: ci vuole tantissimo coraggio.
Versione neutra: Serve molto coraggio per fare una cosa del genere.
Ce n’è di traffico oggi!
Cioè: ce n’è tantissimo, troppo!
Versione neutra: C’è molto traffico oggi.
Ce ne metti di tempo a rispondere ai messaggi, eh!
Allude ironicamente al fatto che ci metti tanto tempo.
Versione neutra: Impieghi molto tempo a rispondere ai messaggi.
Vediamo adesso:
Eh sì, ne hai di fantasia!
Ne hai tanta, magari anche troppa!
Non vi sarà sfuggito che stavolta manca la particella “ce”.
“Ne” a volte da sola può bastare, dipende dal verbo che segue e se si parla in modo impersonale o meno. Ci sono casi in cui si usano entrambe le forme, anche se non ci sarebbe bisogno di “ce”.
Es:
Ce ne metti di tempo a rispondere ai messaggi, eh!
Ne impieghi di tempo a rispondere ai messaggi, eh!
Ce ne vuole di tempo!
Ne serve di tempo!
Ne occorre di tempo!
Ce ne manca di tempo ancora!
Ne manca di tempo ancora!
Ne hai di coraggio, eh!
(ce) ne metti di parmigiano sulla pasta tu! Non ti farà male?
Certo che ne mangi di carne tu!
Avrete notato anche che spesso la frase inizia con “certo che…“.
Questo serve a rafforzare ulteriormente il tono, dando un tocco di sorpresa, ammirazione, incredulità o anche rimprovero.
Oppure serve per far suonare l’esclamazione più viva.
Certo che ce ne vuole di pazienza con te!
Certo che ne hai di fantasia!
Certo che ce ne sono di persone strane al mondo!
“Certo che…” qui non significa davvero “è sicuro che…”, ma è più un modo per introdurre un commento colpito, ironico, a volte anche un po’ critico.
Quindi, la prossima volta che vuoi dire che qualcosa abbonda o che scarseggia, puoi farlo usando questa forma, con “ne” o “ce ne” , a seconda del caso. Provateci, fa molto italiano!
Marcelo: Sapete che tra due giorni inizia il conclave per eleggere il nuovo pontefice? Speriamo che esca presto la fumata bianca! Comunque io so chi vincerà!
Anne Marie: Facciamoci il segno della croce comunque, perché ci manca poco. I politici cominciano già a esprimere preferenze e questo non è un buon segno per niente.
Julien: infatti, non dico che da qualche parte vorrebbero eleggere un papa guerrafondaio ma poco ci manca!
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Trascrizione
Giovanni: buongiorno, vi presento una nuova puntata della rubrica: Le specialità italiane, curata da mia madre Giuseppina. State ascoltando un nuovo episodio di italianosemplicemente.com ed io sono Giovanni.
Mia madre Giuseppina vi parla oggi delle ciambelle di Carnevale. Il carnevale è una festa che si celebra nei Paesi di tradizione cattolica, e non ha una data fissa. Si tratta di un periodo di tempo compreso tra la festa dell’Epifania (la Befana, cioè il 6 gennaio) e l’inizio della Quaresima. Una festa religiosa quindi, cattolica. Il Carnevale è famoso perché bambini e adulti posso mascherarsi, cioè indossare delle maschere – le maschere di carnevale appunto. Famosissimo il carnevale di Venezia e di Viareggio in merito, o anche il Carnevale di Putignano, un comune della regione Puglia.
Ma il carnevale è famoso anche per i dolci di carnevale. Giuseppina ci racconta qualcosa sulle ciambelline di Carnevale.
Giuseppina: Quando ero bambina, la guerra era finita da poco e nelle nostre famiglie c’era poco, però ci piaceva festeggiare insieme il carnevale che inizia a metà gennaio.
Allora mia madre, con i pochi ingredienti che avevamo in casa, faceva queste ciambelle che vi assicuro sono buonissime e facili da fare. Io le ho fatte oggi. Iniziamo, facciamo bollire 2 patate medie.
Quando sono ben cotte, le sbucciamo e schiacciamo bene bene.
Sbattiamo 2 uova con 200 grammi di zucchero, aggiungiamo la buccia grattugiata di un’arancia e metà del suo succo, mezzo bicchiere di olio, un pochino di cannella e un quadretto di lievito di birra fresco (sono 25 grammi), sciolto in mezzo bicchiere di latte tiepido. Impastiamo queste uova insieme alle patate, con circa 300 grammi di farina.
Facciamo un impasto morbido con cui formiamo un cordone largo come un dito, lo dividiamo in pezzetti di circa 10 cm.A me sono venute 18 ciambelline, con cui formiamo delle ciambelle.
Le lasciamo riposare una mezz’ora poi le friggiamo in olio bollente.Dopo cotte, ci versiamo sopra un pochino di zucchero.
Eccole qua, le volete provare?
Facciamo un impasto morbido con cui formiamo un cordone largo come un dito, lo dividiamo in pezzetti di circa 10 cm.
A me sono venute 18 ciambelline, con cui formiamo delle ciambelle.
Le lasciamo riposare una mezz’ora poi le friggiamo in olio bollente.Dopo cotte, ci versiamo sopra un pochino di zucchero.
Eccole qua, le volete provare?
Giovanni: grazie mamma, allora patate, farina, uova, zucchero, arance, latte, olio (mi raccomando extravergine d’oliva), cannella (è una spezia) e lievito di birra. Sono questi gli ingredienti.
Un e-book quindi, con trascrizioneintegrale degli episodi più istruttivi e divertenti di Italiano Semplicemente. Un libro molto economico da leggere con il vostro dispositivo kindle e ascoltare quando volete, anche mentre vi mangiate le vostre ciambelle di Carnevale appena fatte.
Benvenuti nel corso di Italiano Professionale. Oggi vediamo il verbo RENDERE.
Anche questo è un verbo che è quasi sempre utilizzato nel lavoro.
Vediamo quanti sono i significati del verbo rendere e quando si usa. Facciamo ovviamente degli esempi di utilizzo ed infine un esercizio di ripetizione, seguendo quindi il metodo di Italiano Semplicemente che tutti voi sicuramente conoscete. Per chi non ne sa nulla vi invito a leggere le sette regole d’oro di Italiano Semplicemente.
Dunque rendere ha un utilizzo, come dicevamo, prevalentemente professionale, ma il primo significato che trovate sul dizionario è quello di dare indietro qualcosa che si era preso o ricevuto, cioè rendere è un sinonimo di restituire. Posso quindi dire “devo rendere a Giovanni il libro che mi ha prestato”.
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Il file MP3 da scaricare e la trascrizione integrale in PDF di questo episodio è disponibile per chi ha aderito all’associazione Italiano Semplicemente
Vediamo le espressioni usate per allontanare un pericolo, sia in modo serio che scherzoso.
Scongiurare un pericolo
Dio ce ne scampi e liberi
Per carità
Dio ce ne guardi
Per l’amor di Dio
Trascrizione
Buongiorno amici. Buona giornata a tutti gli amici di Italiano Semplicemente.
Oggi per la sezione frasi idiomatiche, spieghiamo un’espressione idiomatica italiana. L’espressione è “Scongiurare un pericolo”. Non è in realtà una vera espressione idiomatica, perché il verbo scongiurare si applica praticamente soltanto al “pericolo”. Quindi l’espressione ha soltanto un senso proprio. Spiegare la frase di oggi, in realtà equivale a spiegare il verbo “scongiurare”. Con l’occasione però vedremo una frase idiomatica, oggi, collegata al verbo scongiurare, quindi collegata alla frase “scongiurare un pericolo”. La frase idiomatica che vediamo e che è collegata alla frase “scongiurare un pericolo” è la seguente: “Dio ce ne scampi e liberi”.
Quindi vedremo due frasi oggi: “scongiurare un pericolo” e “Dio ce ne scampi e liberi”.
Dunque, cosa significa “scongiurare un pericolo”? Sapete tutti cos’è un pericolo? Un pericolo è una cosa pericolosa! Un pericolo è una cosa che può accadere, e che ci potrebbe far male, ci potrebbe procurare un danno, ci potrebbe procurare un dolore, ci potrebbe nuocere. Questo è un pericolo: se una cosa porta del pericolo, vuol dire che questa cosa è pericolosa. Una cosa pericolosa è una cosa che può procurarci del male, che può procurarci qualcosa di negativo. Questo è il pericolo. Scongiurare un pericolo: come dicevo prima il verbo “scongiurare” si applica praticamente soltanto con il pericolo.
Scongiurare è un verbo. Vi ho detto che il pericolo che si riferisce a delle cose che possono accadere, ma queste cose posso anche non accadere. Quindi una circostanza negativa può verificarsi oppure può non verificarsi. Se si verifica questa circostanza negativa, questo pericolo diventa un fatto negativo, se invece non si verifica abbiamo scongiurato un pericolo. Quindi scongiurare un pericolo significa semplicemente fare in modo che una cosa negativa non si verifica.
Ad esempio l’altro ieri c’è stata la partita Italia-Germania, vinta dalla Germania ai calci di rigore. Sto parlando dei quarti di finale dei campionati europei di calcio 2016, Italia e Germania sono due squadre molti forti. Quindi la Germania rappresentava un pericolo per l’Italia, così come l’Italia rappresentava un pericolo per la Germania. Ebbene l’Italia non è riuscita a scongiurare il pericolo Germania. La Germania, dal canto suo, invece, è riuscita a scongiurare il pericolo Italia. L’Italia quindi non è riuscita a scongiurare il pericolo Germania, la Germania invece è riuscita a scongiurare il pericolo Italia.
Quindi scongiurare è il verbo che si usa in questi casi, quando si vuole evitare che qualcosa di negativo diventi un pericolo. Scongiurare è molto simile al verbo “giurare”, ma non ha niente a che vedere col verbo giurare. Infatti giurare significa promettere, promettere solennemente, cioè promettere con forza. Giurare è un verbo che si applica soprattutto alle cose a cui teniamo molto: ad esempio si dice “giuro sui miei figli”. Vuol dire che sto dicendo la verità, prometto che sto dicendo la verità: giuro sui miei affetti più cari, giuro sulle cose a cui tengo di più, giuro sui miei figli, cioè prometto solennemente che sto dicendo la verità, vi prometto che non sto dicendo una bugia, vi prometto che non sto mentendo: “giuro sui miei figli”. Quindi giurare significa promettere, scongiurare invece ha a che fare con i pericoli: non c’entra nulla col verbo “giurare”.
La frase idiomatica collegata all’espressione “scongiurare un pericolo” è invece, come vi avevo accennato prima, la frase “Dio ce ne scampi e liberi”.
“Dio ce ne scampi e liberi” è un’espressione idiomatica, una frase cioè una cosa che si dice quando si è in pericolo. Quindi “Dio ce ne scampi e liberi” contiene la parola “Dio”, di conseguenza è una richiesta di aiuto a Dio. Si chiede a Dio di liberarci di qualcosa: di liberarci dal pericolo, di liberarci da questa circostanza negativa che vogliamo scongiurare. Un evento può verificarsi oppure no: è per questo che è pericoloso; noi non vogliamo che si verifichi, di conseguenza invochiamo Dio: chiediamo a Dio che ci liberi da questa cosa, che non la faccia verificare: “Dio ce ne scampi e liberi”. Cosa significa “ce ne scampi”?
“Scampi” viene da “scampare”, e scampare è un verbo. È un verbo che, anche questo, si applica solamente ai pericoli, come scongiurare. Infatti si dice anche: “scampare da un pericolo”, che è analoga alla frase “scongiurare un pericolo”. Non è esattamente uguale però. Adesso vi spiego le differenze. Scampare significa “evitare” un pericolo. Scampare un pericolo significa evitare qualcosa che si è verificato, oppure significa evitare qualcosa che si potrebbe verificare, quindi potrebbe essere sostituita alla frase “scongiurare un pericolo”, ma la frase “scampare un pericolo” si applica anche quando qualcosa si è già verificato. Ad esempio se c’è stato un terremoto da qualche parte, ed io sono riuscito a sopravvivere, sono riuscito a scappare, quindi non ho subito le conseguenze negative del terremoto, posso dire: “sono riuscito a scampare dal pericolo terremoto”, “sono riuscito a scampare dal terremoto”: quindi il terremoto si è verificato, c’è stato il terremoto, ma io sono scampato dal terremoto, invece se il terremoto c’è stato vuol dire che non si è riusciti a scongiurare il pericolo terremoto, perché il terremoto si è effettivamente verificato, di conseguenza non siamo riusciti a scongiurare il pericolo terremoto, però io sono riuscito a scampare dal terremoto.
Quindi queste sono le differenze. Invece “scampi” viene appunto da scampare. “Dio ce ne scampi” vuol dire “Dio ci liberi”, “Dio ci faccia sopravvivere”, “Dio faccia in modo che non si verifichi questa cosa negativa”. Posso dire “Dio ci liberi dal terremoto”, oppure “Dio ci faccia scampare dal terremoto”, cioè “Dio ci faccia sopravvivere dal terremoto”. Quindi “Dio ce ne scampi e liberi”. In questo caso “liberi” è un rafforzativo di “scampare”: cioè “Dio ce ne scampi, dal terremoto”, “Dio ci liberi dal terremoto”. Significano entrambi la stessa cosa. Dio ce ne scampi e liberi vuol dire “spero che Dio faccia in modo che questo terremoto non avvenga”, cioè “ce ne liberi”. “Dio faccia in modo di sopravvivere al terremoto”, cioè “Dio ce ne scampi”.
Quindi “Dio ce ne scampi e liberi” è una frase collegata all’espressione “scongiurare un pericolo” perché ogniqualvolta c’è qualcosa di pericoloso che vogliamo scongiurare, che non vogliamo cioè che si verifichi, possiamo dire questa frase: “Dio ce ne scampi e liberi”.
Questa è una frase che possiamo usare tra amici, tra familiari, tra conoscenti, ma è una frase che si pronuncia ogniqualvolta c’è una circostanza pericolosa, ogniqualvolta c’è un pericolo imminente, c’è qualcosa di pericoloso che sta per accadere, e noi vogliamo manifestare il nostro desiderio di allontanarci da questo pericolo, di scongiurare questo pericolo, quindi possiamo dire “Dio ce ne scampi e liberi”. Quindi ad esempio se ci sono due persone che parlano, e la prima persona dice: “ho sentito il telegiornale e dicono che domani potrebbe esserci una grande scossa di terremoto”. L’altra persona potrebbe dire: “per carità!, Dio ce ne scampi e liberi!”
Quindi si dice anche “per carità!”. Per carità è un altro modo di scongiurare un pericolo: “per carità!, Dio ce ne scampi e liberi!”. Sia “per carità”, sia “Dio ce ne scampi e liberi” sono due espressioni colloquiali, sono due espressioni di tutti i giorni, due espressioni familiari, che hanno tutte lo stesso significato. Il modo più normale diciamo, più diffuso, di esprimere questo “sentimento”, di esprimere la volontà di scongiurare un pericolo è “Dio ce ne guardi”, o “Per l’amor di Dio”. Per l’amor di Dio significa “per l’amore di Dio”. Anche in questo caso si sta chiedendo l’aiuto di Dio. “Per carità” invece è una frase un po’ più corta, che però si usa anche in senso scherzoso, ogni volta che vogliamo scongiurare un pericolo. Una frase che si dice in qualsiasi circostanza, anche non necessariamente pericolosa, proprio perché vogliamo ironizzare su un fatto, su una cosa divertente che vogliamo far apparire come pericolosa. Quindi ogniqualvolta c’è una cosa anche brutta da vedere, e noi non la vogliamo vedere, possiamo dire “per carità”. Anche se c’è una cosa cattiva da mangiare, che non è buona, possiamo dire “per carità!”. Ad esempio se io amo il caffè senza lo zucchero, se una persona mi dice:
“Giovanni, vuoi un po’ di zucchero nel caffè?”, io posso dire “per carità! Per carità il caffè con lo zucchero”. Cioè: “non voglio il caffè con lo zucchero, non mi mettere lo zucchero nel caffè; non voglio il caffè con lo zucchero”; “per carità”, “per l’amor di Dio”, “Dio ce ne scampi e liberi”.
Queste quindi sono tutte espressioni che vengono utilizzate nella lingua italiana per scongiurare un pericolo, come anche “Dio ce ne guardi”.
Ovviamente tutte queste espressioni non sono formali, che si possono usare in contesti più importanti, da un punto di vista professionale, ma soltanto da un punto di vista informale, quindi potete utilizzarle con gli amici, con i vostri conoscenti, con i vostri familiari. Da un punto di vista formale posso usare altre espressioni. Quindi se ad esempio sono il capo di una azienda che viene a conoscenza della possibilità di una crisi economica, per scongiurare il pericolo della crisi economica, potrei dire, anziché “per carità”, o anziché “Dio ce ne scampi e liberi”, o “Dio ce ne guardi”, potrei dire: “spero che questa circostanza non si verifichi, sarebbe molto negativo se questa crisi economica si verificasse”. Quindi non è una frase ironica, che fa ridere.
Quando si parla in modo professionale e si vuole scongiurare un pericolo non possiamo suscitare dell’ironia ma dobbiamo parlare seriamente, e questo significa dire esattamente le cose come stanno. Se c’è una crisi economica non possiamo dire “Dio ce ne scampi e liberi”, a meno che questi colleghi di lavoro siano dei conoscenti, degli amici. Possiamo quindi dire: speriamo non accada, sarebbe una evenienza molto negativa. La crisi economica sarebbe la fine della nostra azienda. Quindi amici spero di non avervi annoiato oggi. Abbiamo quindi visto all’inizio il significato del verbo scongiurare e la frase, l’espressione “scongiurare un pericolo”. Abbiamo visto che il verbo scongiurare si applica solamente ai pericoli. Poi abbiamo visti il significato dell’espressione “Dio ce ne scampi e liberi”, quindi abbiamo visto che “Dio ce ne scampi” e “Di0 ce ne liberi” vogliono più o meno dire la stessa cosa. Poi abbiamo visto che la stessa espressione si può dire anche in differenti modi: possiamo dire “dio ce ne scampi e liberi”, possiamo dire “per carità”, possiamo dire “Dio ce ne guardi”. Possiamo anche dire “Per l’amor di Dio”. Abbiamo infine detto che queste sono espressioni utilizzate sempre in un linguaggio informale, mentre non si possono utilizzare in occasioni importanti, in riunioni di lavoro, eccetera.
Facciamo adesso il solito esercizio di ripetizione: credo che questo sia un esercizio molto importante, lo dico sempre alla fine dei miei podcast. Esercitatevi anche a parlare, perché potreste anche conoscere tutte le regole grammaticali italiane, potreste anche comprendere perfettamente un qualsiasi libro di italiano, potreste leggere qualsiasi giornale italiano senza problemi, potreste anche aver frequentato l’università di Italianistica, ma se non vi esercitate a parlare, il vostro italiano non sarà mai molto buono: è importante esercitarsi, esercitarsi fin dall’inizio, ed è per questo che vi raccomando sempre alla fine dei miei podcast di ripetere delle frasi complicate. Vi invito a farlo dopo di me, a ripetere le frasi dopo di me. Non pensate alla grammatica ma soltanto a ripetere.
Dio ce ne scampi e liberi
……
Dio ce ne scampi e liberi
……
Dio ce ne scampi e liberi
……
Dio ce ne scampi e liberi
……
Dio ce ne scampi e liberi
……
Ce ne vuol dire “a noi”. “Ce” vuol dire “a noi”, “ne” vuol dire “di questa cosa”, “del pericolo”.
Per l’amor di Dio
…..
Per l’amor di Dio
…..
Per l’amor di Dio
…..
Per carità
…..
Per carità il caffè con lo zucchero
…..
Per carità il caffè con lo zucchero
…..
Per carità il caffè con lo zucchero
…..
Dio ce ne scampi e liberi
….
Dio ce ne guardi
…..
Dio ce ne guardi
…..
Dio ce ne guardi
…..
Per l’amor di Dio
….
Scusatemi se oggi c’erano un po’ di rumori perché ho registrato il podcast, quindi ogni tanto passavano delle macchine. Spero che dopo aver ascoltato questo podcast non pensiate “Dio ce ne scapi e liberi da Italiano Semplicemente!”.