Intento (ep. 991)

Intento (scarica audio)

Giovanni: Leggendo il titolo di questo episodio, che è “intento” molte persone non madrelingua forse diranno di sapere cosa significa. Però io non mi fido e ho chiesto ai membri dell’Associazione Italiano Semplicemente di fare qualche esempio. Ascoltiamo:

Natalia: Buongiorno a tutti, mi metto alla prova. Questa parola l’ho sentita ma mai usata.
“ieri ero in cucina, decisa a fare una roba che da tempo mi ero prefissata in mente: pulire il filtro della lavatrice. Mi sono rimboccata le maniche ed ero intenta a toglierlo, quando all’improvviso un getto d’acqua ha praticamente allagato la cucina. Aiuto che disastro!

Ulrike: Gianni, devo dirti una cosa. Nel mio ripasso hai cambiato quasi tutte le frasi, ora non lo riconosco più. Mi sa che non hai capito il mio intento. Se vuoi te lo spiego.

Marguerite: Studiare una lingua, quale che sia, nell’intento di poter parlare con la gente del paese.

Marcelo: Buongiorno. Piacerebbe anche a me fare l’intento di usare la parola “intento” nel modo giusto. Ci riuscirò?

Giovanni: bene, grazie a tutti per gli esempi. Allora, intanto vi spiego: “Intento” si può usare in due modi abbastanza simili. Può indicare una persona impegnata, concentrata al massimo in un’azione, oppure si usa per indicare un fine, uno scopo, soprattutto nelle forme seguenti: “con l’intento di” e “nell’intento di”, che posso sostituire con “al fine di“, “allo scopo di“, “per“. Si legge abitualmente anche “l’intento”, “il mio intento”, “il tuo intento”, eccetera. C’è qualche domanda?

Rafaela: Mi chiedo se ci sia una differenza fra i termini intento e intenzione. Sempre perseguo uno scopo no?

Giovanni: bella domanda Rafaela. “Intento” somiglia in effetti anche ad altri termini come finalità, fine, intendimento, mira, obiettivo, progetto, proponimento, proposito e anche intenzione. Quindi per rispondere alla domanda di Rafaela: sì, intenzione è un sinonimo di Intento. In fondo l’intenzione indica lo scopo da perseguire, l’obiettivo da raggiungere, come hai immaginato.

Dovete stare attenti solamente a non confondere “intento” con alcuni utilizzi del termine “tentativo“, come ha fatto Marcelo prima nella sua frase.

Questo episodio, non a caso, nasce proprio dalla sua abitudine a usare impropriamente, nelle conversazioni sul gruppo WhatsApp dell’associazione, la parola intento come sinonimo di tentativo.

Ho sopportato questo errore una volta, l’ho fatto altre due o tre volte in religioso silenzio, ma a un certo punto mi sono detto: adesso basta Marcelo! E’ giusto che tu adesso debba pagare per i tuoi reiterati errori!!

Scherzi a parte, adesso voglio commentare tutti gli esempi fatti dai membri.

Natalia ha detto di essersi rimboccata le maniche, intenta a togliere il filtro della lavatrice.

Bene, quindi Natalia era intenta a togliere il filtro per pulirlo, quindi Natalia era impegnata, era concentrata, con l’obiettivo di pulire il filtro. Vedete che i due significati di cui vi parlavo prima sono simili perché “essere intenti” significa che ci si propone di raggiungere un obiettivo, quindi si sta indicando l’intenzione, lo scopo a cui tende l’azione e il desiderio. Lo stesso scopo può chiamarsi “intento”, proprio come fa Ulrike nella sua frase.

Ulrike partecipa spesso, come avrete notato, alla composizione e registrazione di ripassi degli episodi precedenti e nella sua frase afferma che io, nel tentativo di correggere un suo ripasso, l’avrei modificato quasi completamente, tanto che ora non lo riconosce più. Ulrike ha il dubbio che io non abbia ben compreso il suo intento, cioè il suo scopo, il suo obiettivo. Evidentemente l’intento di Ulrike era esprimere un concetto diverso da quello espresso nella mia correzione. Ulrike dunque usa correttamente il termine intento, nel senso di scopo da raggiungere.

Bene, passiamo allora alla frase di Marguerite, secondo cui si studia una lingua nell’intento di poter parlare con la gente del paese.

Nell’intento di poter parlare con la gente, cioè con l’intento di riuscire a parlare con la gente, con lo scopo di comunicare con la gente, con l’obiettivo di poter parlare con la gente, per poter parlare con la gente, al fine di parlare con la gente.

Quindi anche Marguerite usa bene il termine intento, indicando l’obiettivo da raggiungere.

Fin qui tutto perfetto.

La nota dolente arriva con la frase di Marcelo, che è caduto miseramente nel mio tranello!

Vi faccio ascoltare nuovamente la frase di Marcelo:

Marcelo: Buongiorno. Piacerebbe anche a me fare l’intento di usare la parola “intento” nel modo giusto. Ci riuscirò?

Giovanni: avete sentito? Marcelo dice che gli piacerebbe fare l’intento di usare questa parola. Lui non sa che ciò che ha fatto è solamente un tentativo, vale a dire che lui ha provato a usare la parola “intento”, ma nel fare questo tentativo l’ha usata al posto di “tentativo”. Questo non si può fare se non in un caso: solo nella locuzione “nel tentativo di“. Infatti quando dico “nel tentativo di fare qualcosa”, sto indicando l’obiettivo, lo scopo. In tal caso allora posso dire “nell’intento di”, “con l’intento di”, forme che come già detto sono equivalenti a “al fine di”, “allo scopo di”, “con l’obiettivo di”.

Con l’occasione oggi abbiamo anche ripassato qualche episodio passato, quindi i membri sono esonerati da questo ulteriore compito. Ci vediamo al prossimo episodio. Non me ne voglia Marcelo per averlo preso in giro. Non era certamente questo il mio intento! Ero solo intento a non farvi annoiare!

848 Dulcis in fundo

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Ma questo latino ce lo ritroviamo dappertutto?

Dal titolo avrete già capito che anche la locuzione di oggi ha a che fare col latino. Oppure no?

Veramente “dulcis in fundo” viene dalla lingua latina? Pare invece proprio di no (mi sono informato perché ero proprio convinto del contrario!).

Comunque sia, sta di fatto che “dulcis in fundo” è una locuzione che si usa abbastanza di frequente nella lingua italiana e dunque questo per me è sufficiente per spiegarvene il significato.

Letteralmente, “dulcis in fundo” significa “il dolce viene in fondo”.

Si fa riferimento al fatto che il dolce, in un pasto, si mangia alla fine, cioè in fondo al pasto, alla conclusione del pasto.

Il dolce dunque conclude il pasto. La conclusione è la parola più importante di questo episodio.

Questa locuzione si usa però solamente in senso figurato.

In senso figurato “il dolce” può infatti rappresentare un evento, un avvenimento, un fatto che si conclude positivamente.

Quindi “dulcis in fundo” può far parte di una frase in cui si commenta la conclusione di qualcosa. Può indicare ad esempio la positiva (cioè felice) conclusione di un evento che già di per sé è qualcosa di positivo.

Es:

Giovanni ha organizzato la prossima riunione dei membri in Toscana, in una splendida villa in cui tutti i membri potranno condividere bei momenti insieme. Passeremo i primi tre giorni facendo varie attività e dulcis in fundo, ogni membro avrà un libro in regalo.

Dunque alla fine, alla conclusione di un bell’incontro, i partecipanti avranno un libro in regalo. Questa è una sorta di “ciliegina sulla torta”.

Anche questa espressione si usa abbastanza di frequente con significato simile.

La ciliegina sulla torta è ciò che completa un’opera in senso positivo. Pensate a una bella torta in cui una ciliegina alla fine, appoggiata sopra, fa sembrare la torta ancora più bella e a quel punto non c’è bisogno di aggiungere altro. La torta è adesso completa e perfetta.

Si usa anche “per concludere in bellezza”, un’altra espressione con un senso pressoché identico. Es:

Dopo tre anni caratterizzati da virus, guerre e crisi economiche, per concludere in bellezza ci vorrebbe l’arrivo degli alieni. Sarebbe veramente la ciliegina sulla torta.

Questo ovviamente è un utilizzo ironico.

Vabbé, vi faccio un esempio serio:

Vorrei concludere in bellezza questo episodio con un bel ripasso degli esercizi precedenti.

Prima della ciliegina sulla torta però voglio farvi un esempio ironico di dulcis in fundo.

In effetti si usa spesso anche in questo modo, quando si vuole ironizzare su una conclusione negativa che aggrava ulteriormente una situazione già negativa. Siamo quindi nel caso opposto di quello già descritto.

Es:

Lo scorso anno la mia squadra del cuore non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi. Abbiamo perso la Champions league, siamo arrivati ultimi in classifica e, dulcis in fundo, metà dei giocatori si sono infortunati.

Adesso il ripasso (dulcis in fundo, come al solito):

Irina: ricordo che un giorno non mi girava bene o il mio umore non era dei migliori, che dir si voglia. Pertanto ho deciso di fare due passi per cambiare aria. Così, mi sono incamminata verso il bosco. C’erano delle vie veramente tortuose. Senza rendermene conto mi ha colto la notte. Dal momento che non ci vedevo, mi sono presa una storta che mi ha lasciato degli strascichi fino a oggi. Mamma mia che dolore!

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837 Fine a sé stesso

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Ciao a tutti.

Oggi parliamo di utilità. Veramente non è neanche la prima volta, perché che io ricordi, ne abbiamo parlato almeno una volta, nell’episodio dedicato all’espressione “lascia il tempo che trova“.

La locuzione di oggi è abbastanza simile, ma ha una particolarità: parlo di “essere fine a sé stesso”.

Si parla innanzitutto solamente di azioni, quindi si sta valutando l’utilità di una azione o un’attività o anche una qualità, una virtù.

Quando si dice che un’azione è fine a sé stessa, o un’attività è fine a sé stessa, si vuole dire che non c’è una utilità o una motivazione particolare, o uno scopo preciso in questa azione, se non quello che deriva ad esempio dal semplice piacere nel farla.

Non ci sono quindi altri scopi, dunque non si vede una utilità aggiuntiva, una motivazione aggiuntiva, o una vera utilità.

In altre parole, si sta parlando di questa azione la cui utilità (spesso si parla di utilità, ma non sempre) finisce lì, potremmo dire, dunque non è adatta per altri scopi o non è stata fatta per conseguire un fine determinato.

In questa spiegazione sto cercando di usare parole diverse anche al fine di aumentare il vostro vocabolario. Non è dunque qualcosa fine a sé stesso.

È proprio la finalità la cosa sulla quale ci dobbiamo concentrare.

Potremmo anche dire che ciò che facciamo, se è fine a sé stesso, non è un mezzo per ottenere uno scopo aggiuntivo.

Si può comunque usare più in generale per indicare qualcosa che ha una scarsa utilità, non una vera e concreta utilità o motivazione.

Vediamo qualche esempio.

Un professore di italiano trova, uscendo dalla scuola, una ruota della sua auto bucata. Il professore non crede si tratti di un semplice atto vandalico fine a sé stesso, ma crede ci siano dietro altre motivazioni. Forse uno studente arrabbiato, che non aveva digerito una bocciatura…

Un altro esempio:

Ho iniziato a studiare il latino, così, per diletto, e ho scoperto che mi sta aiutando molto anche a capire il tedesco e l’inglese. Credevo fosse un piacere fine a sé stesso ma con mia sorpresa si è rivelata tutt’altro che fine a sé stessa.

“Il fine” è la finalità, l’obiettivo. Attenzione perché il fine e la fine hanno due significati diversi.

Un altro esempio in ambito sportivo:

Una squadra vince una partita 10-0, quindi fa una grandissima partita, dominando l’avversario. Quella grande vittoria però risulterà fine a sé stessa perché non porterà a vincere nessuna competizione.

In quest’ultimo caso avrei potuto anche parlare di una vittoria “inutile“, una vittoria che non è servita purtroppo a vincere nulla di importante.

Molto spesso sono anche i piaceri di qualsiasi tipo (vale anche per le virtù e le qualità), ad essere valutati fine a sé stessi se non se ne vede una utilità tangibile.

Anche cose come l’ansia o la sofferenza, si dice che non siano, o almeno che non debbano essere fine a sé stesse.

L’ansia e le preoccupazioni sono strumenti che ci preparano per i pericoli futuri, quindi ci consentono di prevedere eventuali problemi o di reagire con prontezza in caso di necessità.

L’ansia non è affatto fine a sé stessa, anzi!

Lo stesso si può dire della sofferenza, che ci aiuta a conoscerci e a diventare più forti. Quindi entro certi limiti anche la sofferenza non è affatto fine a sé stessa.

Avrete notato che “fine“, come l’ho usato io, non cambia, né cambiando il genere, né al plurale. Ad ogni modo al plurale abbastanza spesso si legge “fini“. Un italiano non ci fa molto caso in realtà, quindi possiamo considerare le due forme entrambe corrette.

Fine a sé stesso

Fine a sé stessi

Fine a sé stessa

Fine a sé stesse.

Dimenticavo quasi di dire che (l’accento su in questo caso non sarebbe obbligatorio, ma è preferibile mettercelo.

E adesso vediamo un bel ripasso. Parliamo di viaggi, che proprio come i ripassi, sono ben lontani dall’essere fine a sé stessi:

Irina: ogni volta che vengo in Italia per un paio di giorni, non riesco mai a portarmi solo lo stretto indispensabile.

Marcelo: anche per me è sempre difficile ridurre la valigia ai minimi termini, perché poi non si sa mai!

Albèric: Io però sono incline a consigliare di portare il minimo indispensabile! Assumo una posizione chiara riguardo a questo, e dico se ti manca qualcosa, la compri!

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620 La finezza

La finezza (scarica l’audio)

Trascrizione

Giovanni:

Provate ad indovinare la parola misteriosa partendo da 10 indizi, cioè dieci suggerimenti utili

1-può esserlo una spiaggia
2-eseguito con attenzione
3-di ottima qualità o fattura
4-può essere usato come pretesto per giustificare un comportamento
5-può esserlo un ragionamento
6-un intenditore si potrebbe vantare di essere così
7-si legge al cinema
8- è maschile e femminile
9 – alla propria ci si arriva sempre
10-può essere lieto se vincono i buoni o l’amore

La parola misteriosa è “fine”.

Infatti vediamo gli indizi uno ad uno.

Può esserlo una spiaggia perché fine è un aggettivo che significa, tra le altre cose, qualcosa di uno spessore o diametro notevolmente ridotti o limitati. Quindi esistono ad esempio capelli fini come la seta. Allo stesso modo ci sono dei materiali con una grana molto piccola, ed ecco allora che esiste la sabbia fine e quindi la spiaggia fine, che si distingue dalle spiagge con una sabbia più grossa. Anche la polvere è fine.

Ma l’aggettivo fine ha anche altri utilizzi.

Infatti quando un lavoro, inteso non come attività lavorativa ma come singola operazione, viene definito fine si vuole dire che è stato fatto o eseguito con gusto, cura, con precisione, stando attenti anche ai piccoli particolari.

Questo lavoro svolto in modo fine è dunque un lavoro che ha richiesto molta attenzione e professionalità.

Quindi è anche qualcosa di ottima qualità o fattura.

Si pensi anche all’oro fine o finissimo ad esempio.

Quest’anello è in oro finissimo

Si dice anche che un prodotto è di finissima qualità per le ottime materie prime che sono state impiegate.

Una finissima qualità è una altissima qualità.

La finezza quindi è sintomo di qualità, che si tratti di oro, argento, un prodotto o un lavoro, per non parlare delle persone fini, o delle persone dai modi molto fini.

Una persona fine è l’opposto di una persona rozza e maleducata, quindi in questo caso la finezza indica educazione, gentilezza, indica modi raffinati, una persona con dei gusti molto fini.

Si tratta fondamentalmente di persone che appartengono alla cosiddetta buona società, che spesso abitano nei quartieri bene.

Con un senso simile, un ragionamento fine è un ragionamento acuto, perspicace, sagace, o, detto più semplicemente: intelligente. La stessa intelligenza può dirsi fine intelligenza.

Non confondete fine con fina o fino, un aggettivo diverso che sta per sottile, quindi la seta può essere fina, una tela o anche la pelle. Fina è il contrario di spessa. Si parla di spessore.

Quindi la finezza è sempre qualcosa di positivo.

È anche il caso di un fine intenditore, di qualunque cosa si tratti.

Chi si intende di qualcosa, chi ne capisce di qualcosa, chi è esperto di qualcosa, può essere definito così e questo è un gran complimento perché significa che sa distinguere le qualità e le caratteristiche di quel prodotto nei minimi dettagli, piccoli dettagli, come i granelli di sabbia fine.

Quando però fine è un sostantivo allora, l’inizio 4 ci dice che può essere usato come pretesto, cioè una scusa, un motivo che si ritiene valido per giustificare un comportamento.

C’è una frase che si sente spesso in merito: il fine giustifica i mezzi. secondo la quale qualsiasi azione è giustificata, scusata, quindi ritenuta possibile anche se in contrasto con le leggi, con la morale, con l’amicizia, con la lealtà e altri valori importanti. Il fine giustifica i mezzi è un’espressione che abbiamo già incontrato nella lezione n. 8 di italiano professionale, parlando delle espressioni che riguardano i risultati.

Avete un fine che ritenete valido? Se pensate che il fine giustifichi i mezzi allora potete usare qualsiasi mezzo per poterlo raggiungere. Non importa se qusto farà male a qualcuno o se è contro la legge o la morale.

Allora il fine stavolta rappresenta l’obiettivo da raggiungere, la finalità, ciò che vogliamo ottenere.

Qual è il tuo fine?

Cioè qual è l’obiettivo che vuoi raggiungere?

Si chiama così perché dovrebbe arrivare, se tutto va bene, alla fine dei nostri sforzi. La fine, al femminile, è la parte finale, come la fine di un film ad esempio, che arriva quando il film termina cioè finisce.

Per questo si legge la scritta FINE, sugli schermi della TV o al cinema per segnalare che non c’è altro da vedere e bisogna lasciare la sala o andare a letto perché il film è finito.

L’indizio 7 parlava esattamente della scritta FINE sugli schermi del cinema.

Esiste allora la fine al femminile, cioè il termine, e il fine al maschile, cioè l’obiettivo.

Questo per spiegare Lindizio numero 8.

Lindizio 9 ci segnala che alla propria ci si arriva sempre.

La propria fine è la propria morte, e siccome tutti dobbiamo morire, prima o poi, tutti allora arriviamo alla nostra fine.

Parlando sempre di film, ci sono film a lieto fine e film non a lieto fine.

I primi hanno un finale positivo che ci soddisfa. I film a lieto fine finiscono bene, quindi il protagonista ottiene ciò che voleva e in genere i film a lieto fine si concludono con i buoni che hanno la meglio sui cattivi. Oppure finisce con due persone che riescono a stare insieme tutta la vita superando mille difficoltà. L’amore trionfa sempre nei film a lieto fine.

Lieto significa positivo, che prova, esprime o suscita un sentimento di soddisfazione serena e gioiosa.

Lieto di conoscerla, io sono Giovanni.

Siamo lieti di averla nella nostra trasmissione

Ed io sono lieto di avervi spiegato tutti i significati del termine fine, ed infine, come al solito, ascoltiamo un bel ripasso.

Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente

Sergio: non ho nulla a che spartire con coloro secondo i quale il fine giustifica i mezzi. Il che significa ovviamente che mi ritengo una persona con una morale.

Hartmut: circa invece la finezza ? È una virtù? Come la vedete?

Irina (California): naturalmente. La signorilità e la raffinatezza sono sempre prerogative ad appannaggio di persone di classe. Lo stesso dicasi per le persone cosiddette distinte e affabili. A proposito sapete che si può anche fare una finezza?

Mary (Stati Uniti): Maradona ne faceva parecchie! Prevalentemente col piede sinistro, suo malgrado. Fermo restando che ha fatto gol anche col destro e di testa

Albéric (Francia): si ma a volte la finezza si usa in modo ironico. Se è vero come è vero che indica spesso una certa classe, proprio come la classe, può indicarne la mancanza
Con coloro che se ne fregano delle buone maniere viene talvolta spontaneo esclamare: che finezza!

Ulrike: a me viene invece voglia di prenderle a mali parole queste persone. Chi non si degna di rispettare gli altri non meriterebbe a sua volta rispetto.

418 – A monte e a valle

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Giovanni: Oggi vediamo due locuzioni che servono per indicare l’inizio e la fine di qualcosa.

Le locuzioni in questione sono “a monte” e “a valle” che rappresentano l’inizio e la fine rispettivamente.

“A monte”, sembra indicare un monte, cioè una montagna. La cosa non è casuale perché la montagna, o il monte è dove nasce un fiume.

Avete già capito che queste due locuzioni usano un’immagine figurata.

In realtà si possono usare sia in senso proprio che figurato.

In senso proprio, dicevo, “a monte” indica la parte più alta del corso di un fiume. Tutti i fiumi scendono dall’alto al basso ovviamente, per effetto della forza di gravità.

Quindi se vi trovate in un punto qualsiasi del fiume, per capire dove nasce il fiume dovrete andare a monte, dovrete cioè risalire il fiume fino a monte.

Si usa il verbo risalire i questi casi. E dove è diretto il fiume?

Tutti i fiumi dono diretti a valle.

Quando finiamo di scendere il monte significa che siamo arrivati a valle. In Italia ci sono tante valli perché ci sono anche tanti monti. Ogni valle ha un suo nome.

Quindi a monte e a valle in senso proprio indicano due direzioni opposte, una che rappresenta l’origine del fiume, l’altra dove il fiume termina, quindi è la parte più vicina alla foce, cioè dove il fiume entra in un mare, un lago o un altro corso d’acqua.

In senso figurato invece si vuole indicare non l’origine di un fiume, ma un altro tipo di origine, come l’origine di un problema, dove nasce un problema.

Non per forza un problema però. Diciamo che la cosa che conta è che ci sia una serie, breve o lunga che sia, di eventi, legati logicamente tra loro, che si susseguono l’un l’altro.

Ogni evento ne causa un altro, ne determina un altro. In genere c’è anche un ordine cronologico.

Vediamo qualche esempio:

Se vedo un uomo che vive per strada, che non ha una casa, probabilmente a monte ci sono stati dei problemi economici, o magari dei problemi psicologici o anche entrambi. Magari invece a monte c’è stato un problema familiare.

Voglio quindi indicare l’inizio del problema, il momento che ha dato origine alla situazione attuale.

Vediamo un esempio con ” a valle”.

Amazon è un’azienda di servizi grandissima, dove lavorano tantissime persone. A valle della catena dei servizi ci sono i cosiddetti corrieri amazon, che sono coloro che consegnano i pacchi ai clienti.

Vedere che in questo caso non parliamo di problemi, ma solo di una catena di passaggi successivi che termina con la consegna al cliente da parte di amazon.

Sono due locuzioni che si usano molto spesso in ambito lavorativo, dove i problemi e i processi non mancano mai.

A volte si preferisce semplicemente parlare di origine o di inizio o anche di causa.

Ad esempio:

In origine, questa casa era un albergo.

All’origine del problema dell’inquinamento c’è l’estrazione del petrolio.

L’origine dell’uomo è la scimmia.

Non si può certamente dire che a monte della casa c’era un albergo.

Non lo posso fare perché sono cose slegate tra loro. Il motivo per cui oggi c’è una casa normale non risiede nel fatto che prima fosse un albergo. Non c’è una causa e un effetto ma solo un evento precedente uno successivo.

Invece nel caso dell’inquinamento potrei dire che a monte dell’inquinamento c’è l’estrazione del petrolio. È un processo industriale.

Posso anche dire che la produzione della plastica avviene a valle dell’estrazione del petrolio. Quindi “a valle” si può spesso tradurre con successivamente, e “a monte” può diventare precedentemente, o in precedenza, ma deve esserci una catena causale (causale, non casuale).

Le due locuzioni si usano spesso anche in ambito economico e politico.

Ad esempio posso dire che a monte delle politiche nazionali in Europa ci sono spesso le decisioni prese dalla comunità europea. Ancora più a valle ci sono le politiche regionali e comunali.

Vedete quindi che spesso non si tratta semplicemente di un prima e di un dopo, ma c’è anche un legame logico oltre che cronologico.

L’episodio non finisce qui, perché come al solito, a valle di ogni spiegazione della rubrica due minuti con Italiano Semplicemente c’è sempre un breve ripasso delle puntate precedenti.

Ulrike:
Facciamo un breve ripasso di gruppo. Siete in vena?

Doris:
Domanda retorica. Vuoi che non abbiamo sempre presente la prima regola d’oro di italiano semplicemente, ossia l’importanza delle ripetizioni per il nostro apprendimento?

Bogusia :
Giusto, poi quali membri dell’associazione italiano semplicemente siamo votati alla sua causa.

Komi:
Il che non significa che tutto vada dritto, senza intoppi. Bisogna scervellarsi e ci dà di volta il cervello, di volta in volta, con questa caterva di espressioni a portata di mano. Anche oggi però ce l’abbiamo fatta 😀