Accadde il 1° ottobre 1860: il ginepraio

Il ginepraio (scarica audio)

Trascrizione

Il 1° ottobre 1860 è stato il giorno della battaglia del Volturno, combattuta dalle truppe di Garibaldi contro l’esercito borbonico: un episodio centrale del Risorgimento italiano.La battaglia del Volturno fu un vero ginepraio militare e politico.Garibaldi si trovava in una posizione difficile:aveva un esercito formato in gran parte da volontari, poco addestrati e male equipaggiati;si scontrava con truppe borboniche più organizzate e ben armate;il terreno, lungo il fiume Volturno, era accidentato e paludoso — un ginepraio anche in senso quasi letterale;e soprattutto, la situazione politica era confusa: Cavour e Vittorio Emanuele II osservavano con prudenza, pronti a intervenire ma senza esporsi troppo.Garibaldi, insomma, si era cacciato in un bel ginepraio: rischiava di perdere tutto ciò che aveva conquistato in pochi mesi.Ma grazie alla sua tenacia e alla fedeltà dei suoi uomini, riuscì a districarsi (un verbo legato all’immagine del groviglio) e a vincere la battaglia, aprendo la strada all’unificazione del Regno d’Italia.
Comunque sia avete capito che la parola del giorno è ginepraio.
La parola ginepraio deriva da ginepro, una pianta spinosa che cresce in cespugli fitti e aggrovigliati.Un ginepraio, in senso proprio, è dunque una macchia di ginepri, cioè un terreno pieno di cespugli e rami intrecciati, difficili da attraversare senza graffiarsi o restare impigliati.Il sinonimo più comune è sterpaio, un luogo ingombro di rami secchi e vegetazione intricata.In senso figurato, cacciarsi in un ginepraio significa entrare in una faccenda complicata, piena di ostacoli o di difficoltà, dove ogni mossa può peggiorare la situazione invece di risolverla.È una metafora perfetta per quelle situazioni in cui tutto si intreccia e sembra impossibile trovare una via d’uscita chiara.Vediamo altri esempi di uso di “ginepraio”.

Ho provato a chiedere un rimborso al Comune, ma tra moduli, firme, e richieste diverse… mi sono cacciato in un ginepraio!Marco voleva aiutare due colleghi a chiarirsi, ma ora si ritrova nel mezzo di una discussione infinita: si è cacciato in un ginepraio pazzesco!Avevo solo aggiornato un programma, ma ora non mi funziona più niente… un vero ginepraio informatico!

L’espressione “cacciarsi in un ginepraio” è vivacemente figurativa: ci fa immaginare una persona che entra in una boscaglia di spine e rami aggrovigliati, dove ogni passo può complicare la situazione.Proprio come Garibaldi sul Volturno, chi riesce a uscirne dimostra coraggio, intelligenza e determinazione.Notate che si usa quasi sempre il verbo cacciarsi. Perché?Si dice quasi sempre “cacciarsi in un ginepraio” perché il verbo cacciarsi sottolinea l’idea di entrare da soli, spesso per errore, in una situazione spiacevole o complicata.È un verbo riflessivo che implica una certa responsabilità personale:
chi “si caccia” in un ginepraio, non ci finisce per caso — ci si mette da sé, magari per imprudenza, curiosità o eccesso di fiducia.Si può usare in modi simili:Cacciarsi nei guaiCacciarsi in un pasticcioCacciarsi in una brutta situazioneIn tutti questi casi, il verbo suggerisce movimento e coinvolgimento diretto, come se la persona entrasse fisicamente dentro un groviglio di problemi da cui poi è difficile uscire.

Essere in alto mare (ep. 1076)

audio mp3

Trascrizione

landscape photograph of body of water
Photo by Kellie Churchman on Pexels.com

Quando siamo molto lontani dal trovare una soluzione o dal raggiungere un obiettivo possiamo usare una bella espressione: essere in alto mare.

L’espressione “essere in alto mare” ha chiaramente un senso letterale. Significa trovarsi lontano dalla costa, lontano dalla terra. Quando una nave ad esempio si trova in alto mare, la terra è molto lontana e non si vede neanche.Il fatto di usare l’aggettivo “alto” non si riferisce quindi alla profondità dell’acqua, ma alla distanza dalla terra. E’ pur vero però che, normalmente, più siamo in “mare aperto” (altra modalità per indicare una notevole distanza da terra) e più il mare è profondo.

Il fatto di usare l’aggettivo “alto” non si riferisce quindi alla profondità dell’acqua, ma alla distanza dalla terra. E’ pur vero però che, normalmente, più siamo in “mare aperto” (altra modalità per indicare una notevole distanza da terra) e più il mare è profondo.

Vediamo qualche esempio in senso proprio:

La nave da crociera ha avuto un guasto al motore ed è rimasta in alto mare per giorni.

I pirati hanno assalito il mercantile in alto mare.

A parte il senso proprio, decisamente più utilizzato è l’uso figurato, per indicare il trovarsi in una situazione difficile e incerta, senza una chiara via d’uscita.

Esempi:

I negoziati per il nuovo contratto di lavoro sono ancora in alto mare.

Non so quando uscirò stasera. Devo terminare il mio lavoro ma sto ancora in alto mare

Il progetto è ancora in alto mare perché mancano i finanziamenti.

Il processo di digitalizzazione della Pubblica amministrazione è in alto mare. Ci vorranno anni

In questi casi, l’espressione “essere in alto mare” evoca un senso di instabilità, incertezza e difficoltà. Spesso c’è anche un senso di scoraggiamento derivante dal fatto che non si riesce a “vedere la fine”, come si dice. Lo scoraggiamento è uno stato mentale negativo caratterizzato da una sensazione di svogliatezza, demotivazione e pessimismo.

C’è un’espressione simile che abbiamo già incontrato: essere a carissimo amico“, che esprime lo stesso concetto, solo in modo più simpatico.

Adesso ripassiamo. Parlatemi di quando vi siete trovati in alto mare.

Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente

Marcelo: Non occorre fare mente locale per ricordare tutte le volte che mi sono trovato in situazioni scoraggianti, demoralizzato e pessimista, dunque quando mi sono sentito in alto mare. Però tranquilli, con tutto che me ne sono capitate di cotte e di crude, essendo un ottimista per natura e uomo dalle mille risorse, dico sempre che, presto o tardi, tutto passa!

Ulrike: Essendo ancora a carissimo amico con l’apprendimento della lingua inglese, sarebbe un bel passo in avanti se un giorno speriamo non troppo lontano, riuscissi a raggiungere lo stesso livello del mio l’italiano. Ad oggi però non la vedo così facile.

Marguerite: Da parte mia devo dirvi che mi vedo costretta ad imparare un po’ d’informatica, diciamo almeno il minimo sindacale. Lungi da me infatti l’idea di diventare una smanettona! In merito a quest’impegno sono decisamente in alto mare!

 

L’insorgenza – IL LINGUAGGIO DELLA SALUTE (Ep. n. 7)

L’insorgenza

audio mp3

– – – – – –

Trascrizione

Bentornati nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al linguaggio della salute.

Oggi un episodio dedicato ad un semplice termine: insorgenza.

Non voglio dire che quando si usa questo termine si parli solo di salute, ma quasi.

Vediamo come si usa.

Innanzitutto l’origine del termine.

Il termine “insorgenza” deriva dal verbo “insorgere“, che a sua volta ha origine dal latino “insurgere”, composto da “in” e “surgere” (che significa sorgere, alzarsi). Quindi, letteralmente, “insorgenza” indica l’atto di sorgere o alzarsi all’interno di qualcosa. Nel contesto della salute si riferisce ad esempio al sorgere di sintomi o di una malattia.

Infatti quando si parla di “insorgenza” in campo medico, ci si riferisce al momento in cui una malattia o un disturbo inizia a manifestarsi o a svilupparsi nel corpo di una persona. Ad esempio, si potrebbe dire:

L’insorgenza dei sintomi dell’influenza è avvenuta improvvisamente dopo che la persona è stata esposta al virus.

La parola “insorgenza” può anche essere utilizzata in contesti più generali per indicare l’inizio o l’origine di qualcosa, ma nell’ambito della salute è comunemente associata al manifestarsi di una condizione patologica.

Il verbo insorgere come vedremo ha più significati, e in questo senso significa manifestarsi improvvisamente, per lo più di fatti spiacevoli o dannosi, non solo malattie quindi.

Es:

Si spera che non insorgano nuove difficoltà.

Si usa anche in questo modo:

Es:

L’insorgere di complicazioni.

Che è proprio come l’insorgenza di complicazioni.

Es

Bisogna assolutamente evitare l’insorgere di complicazioni.

Insorgere è quindi molto simile a nascere, emergere, sorgere, nel senso che tutti questi verbi possono usarsi per descrivere un’azione di venire fuori o di manifestarsi.

Nascere” ha un uso più specifico che si riferisce al momento in cui un essere vivente viene alla vita. Comunque sia nascere che sorgere si possono usare anche con i problemi, le complicazioni, o le complicanze, termine quest’ultimo molto usato in ambito medico quando si aggrava una malattia o quando insorgono problemi di salute.

Le complicanze, come le complicazioni, si riferiscono a eventi o circostanze che rendono una situazione più difficile o problematica.

Vediamo qualche esempio di utilizzo del termine insorgenza e del verbo insorgere in ambito medico.

L’Insorgenza di sintomi si riferisce al momento in cui i sintomi di una malattia o di un disturbo iniziano a manifestarsi. Ad esempio:

L’insorgenza improvvisa di febbre alta potrebbe indicare un’infezione virale.

L’Insorgenza di complicazioni si riferisce al momento in cui compaiono complicazioni in seguito a una malattia o a un intervento medico.

Ad esempio:

L’insorgenza di complicazioni dopo l’intervento chirurgico ha reso necessario un trattamento aggiuntivo.

LInsorgenza di una patologia si riferisce al momento in cui una malattia o un disturbo comincia a manifestarsi o a essere diagnosticato.

Ad esempio:

L’insorgenza precoce della malattia di Alzheimer può essere difficile da diagnosticare.

L’insorgenza di reazioni avverse si riferisce al momento in cui si verificano reazioni indesiderate a farmaci o trattamenti medici.

Ad esempio:

L’insorgenza di reazioni avverse alla chemioterapia può richiedere una modifica del piano di trattamento.

Anche la febbre può insorgere. È il momento in cui la temperatura corporea di una persona aumenta, indicando la possibile presenza di un’infezione o di un’altra condizione medica. Ad esempio:

La febbre è insorta improvvisamente dopo che il paziente è stato esposto a una fonte di infezione.

Questa è l’insorgenza della febbre.

Un’altra cosa che può insorgere sono le allergie: è quando il corpo reagisce in modo eccessivo a sostanze normalmente innocue, scatenando una risposta allergica che può causare sintomi come prurito, gonfiore o difficoltà respiratorie. Ad esempio:

Dopo aver consumato un nuovo cibo, il bambino ha manifestato improvvisamente una reazione allergica che è insorta in pochi minuti.

In generale, “insorgenza” e “insorgere” vengono utilizzati in ambito medico per descrivere il momento in cui qualcosa inizia a verificarsi o a manifestarsi, come sintomi, complicazioni, patologie o reazioni avverse.

Come detto si usano anche fuori dall’ambito medico. Infatti anche i dubbi possono insorgere, ma più spesso si usa il verbo sorgere o nascere o venire, in caso di dubbi. Nel caso di problemi o complicazioni qualsiasi, ugualmente l’uso di insorgere va bene ma sembra troppo formale. Anche in questo caso è più frequente l’uso di sorgere, nascere, arrivare.

Quanto al verbo insorgere, fuori dall’ambito medico è spessissimo usato nel senso di intraprendere azioni violente. Parliamo spesso di insurrezioni popolari. In questo caso spesso è il popolo che insorge contro qualche decisione del governo.

Le insurrezioni hanno però spesso a che fare con la violenza, non si parla in genere di insurrezioni come manifestazioni pacifiche a meno che non si voglia dare più enfasi ad una notizia.

Una insurrezione quindi è spesso (non sempre però) un moto violento e deciso di protesta o di ribellione.

Insorgere quindi sta, in questo caso, per ribellarsi contro qualcuno o qualcosa.

Es:

Gli imprenditori italiani insorgono contro le decisioni del governo.

I membri dell’associazione Italiano Semplicemente insorgono contro la decisione del presidente di raddoppiare la quota di iscrizione.

Nonostante il verbo insorgere si usi anche in questo modo, c’è da dire che il termine insorgenza non si usa mai parlando di insurrezioni e quindi di reazioni violente della gente. L’insorgenza fa subito venire in mente ai sintomi di una malattia, a delle reazioni ad un farmaco, all’insorgenza di lividi, all’insorgenza di fibrillazione, di una patologia, di tumori, di brufoli, di carie ai denti, di ictus, di anemia, di depressione, di febbre e di allergie.

È chiaro che non si tratta mai di belle notizie quando c’è di mezzo l’insorgenza.

È tutto per oggi. Al prossimo episodio di italiano semplicemente dedicato al linguaggio della salute.

Ci voleva o non ci voleva? (Ep. 937)

Ci voleva o non ci voleva? (scarica audio)

non ci voleva

Trascrizione

L’espressione “Non ci voleva” è interessante perché è usata spessissimo nel linguaggio di tutti i giorni. Si usa quando accade un problema, ma non un grande problema. parliamo di un inconveniente, un contrattempo, un ostacolo che può provocare un disagio. Spesso la conseguenza è un ritardo in una attività. Nell’espressione “non ci voleva” si utilizza l’imperfetto del verbo volere. Questo perché stiamo commentando un evento già accaduto.

Non ci voleva” è dunque un’esclamazione che viene utilizzata per esprimere un senso di irritazione o frustrazione quando si verifica qualche cosa che si temeva potesse accadere oppure che arriva del tutto inaspettata.

Di solito, considerata la bassa portata del problema, viene usata in modo scherzoso o ironico per commentare una situazione spiacevole o sfortunata che si è manifestata.

Ecco alcuni esempi di come puoi utilizzare l’espressione “Non ci voleva“:

  1. Immagina che tu stia guidando in macchina e, improvvisamente, una ruota inizia a sgonfiarsi. Potresti dire: Oh no, non ci voleva! Proprio quando dovevo arrivare in tempo alla riunione!
  2. Se stai lavorando col computer e, ad un certo punto, il PC si impalla. Potresti esclamare: Ecco, non ci voleva! Ora come faccio a finire il lavoro?
  3. Se stai organizzando una festa all’aperto e improvvisamente inizia a piovere, potresti dire: No! Non ci voleva proprio questa pioggia! Avevamo preparato tutto per un giorno di sole.

In sostanza, l’espressione “Non ci voleva” viene utilizzata per sottolineare che la situazione indesiderata o sfortunata che si è verificata era qualcosa che sarebbe stato meglio evitare o di cui non si aveva bisogno in quel momento. Le conseguenze non sono gravi ma comunque la cosa ci provoca un certo malumore.

E’ importante sottolineare che in caso di grossi problemi o grossi eventi negativi, anche se improvvisi, non ha senso usare “non ci voleva“. Se facciamo un incidente stradale, se una persona si sente male, se c’è una guerra, un terremoto o accadono altri eventi molto gravi, è ridicolo commentare con “non ci voleva”. In tali casi, se proprio dobbiamo commentare, sarebbe opportuno qualcosa come “è una tragedia”, “si tratta di un evento drammatico”, “è un disastro” eccetera.

Chiaramente esiste anche “ci voleva” (senza negazione) che si utilizza in situazioni opposte, cioè positive. In questi casi si aggiunge solitamente “proprio“. L’uso di “proprio” in questa frase serve ad aumentare la propria soddisfazione, quindi l’intensità dell’affermazione, enfatizzando l’importanza di ciò che si sta dicendo.

Ci voleva proprio questa bella giornata di sole!

Mi ci voleva proprio questa bella notizia!

Ironicamente si potrebbe comunque dire:

Ecco, piove ancora! Ci voleva proprio!

Oppure quando si fa presente che sarebbe stato necessario qualcosa:

Ci voleva più coraggio per affrontare questa situazione

Si tratta sempre di qualcosa che è già accaduto

Si può usare quindi quando ci si rammarica, ci si dispiace per una situazione che poteva essere salvata o che poteva andare diversamente. In questi casi in genere non si usa “proprio“.

Forse è il caso di fare un chiarimento sull’uso della particella “ci”.

“Ci voleva” e “non ci voleva”, di cui vi sto parlando in questo episodio non si riferiscono a “noi”, tipo:

Lei (non) ci voleva offendere!

Lui (non) ci voleva dire questo

Quindi la particella “ci” non fa riferimento a “noi” ma alla situazione, al contrattempo, alla cosa positiva o negativa che è accaduta. Il “ci” si riferisce a questo.

Infine, non ci sono modalità del tutto equivalenti che possono usarsi in sostituzione di “ci voleva” e “non ci voleva” ed è proprio questa caratteristica che la rende così utilizzata. Si tratta di una sintesi informale che se non utilizzassimo saremmo costretti a pronunciare una frase spesso molto più lunga e articolata, tipo, nel caso di “non ci voleva“:

Anthony: Accidenti, questo inconveniente rischia di crearmi un sacco di problemi! Avrei preferito evitarlo! Vabbè, vorrà dire che ricomincerò daccapo!

Ulrike: Noooo! Lo sapevo che sarebbe potuto accadere questo! Un bel problema che avrei volentieri evitato! Senza contare che adesso dovrò passare la notte in ufficio per rimediare!

Marcelo: Mi spiace per questo inconveniente! Anche se si poteva immaginare potesse accadere, sarebbe stato meglio non fosse accaduto! Adesso dovrai fare appello a tutta la tua professionalità per recuperare il tempo perso.

Insomma, in tutti questi casi si fa prima a dire “non ci voleva“.

Negli esempi appena visti abbiamo inserito anche delle espressioni di ripasso, quindi per oggi ci possiamo ritenere soddisfatti.

– – – – –

Sai che puoi ascoltare gli episodi anche su Spotify? Puoi abbonarti se vuoi e avrai accesso a tutti gli episodi pubblicati!

Gli esercizi su questo episodio (con soluzione) sono disponibili per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente

ISCRIVITIENTRA

851 Elucubrazioni e pippe mentali

Elucubrazioni e pippe mentali (scarica audio)




Trascrizione

Vi capitano mai persone che fanno ragionamenti pieni di domande e ipotesi?

È perché lui mi ha detto così?

Forse voleva dire questo?

O forse il motivo è un altro?

Non è che ha qualcosa da nascondere?

Ha detto sì, ma se invece voleva dire no?

Molte volte mi capita di dire a questo tipo di persone, amici, parenti o colleghi, io che sono un tipo abbastanza semplice, una frase particolare:

Non fare troppe elucubrazioni mentali!

Perché fai così tante elucubrazioni?

Elucubrazioni è una parola che tutti gli italiani conoscono. Ha un uso abbastanza frequente in contesti familiari.

Si tratta di una “elaborazione condotta con meticolosità“.

Questo dice il dizionario.

Detto in altri termini, se una persona fa delle elucubrazioni (si usa il verbo fare), allora significa che sta pensando troppo, sta facendo pensieri molto, troppo elaborati su una questione.

Chi invece non fa elucubrazioni, prende decisioni senza elaborare troppo i pensieri, senza fare troppe ipotesi, senza aggiungere cose e appesantire una questione con domande inutili.

Inutili ovviamente per chi crede che fare il contrario sarebbe elucubrare eccessivamente sulla questione.

Eh già, esiste anche il verbo elucubrare: riflettere in modo inutilmente elaborato.

Quasi sempre si parla di “elucubrazioni mentali”.

Se andiamo a vedere l’origine del termine, elucubrare significa “comporre alla luce di una lanterna”.

La cosa non ci aiuta a capire più di tanto.

Per usare correttamente il termine elucubrazione, dovete porvi nei panni di una persona semplice, pragmatica, o che ha le idee molto chiare e dunque non ha mai né voglia né tempo per pensare troppo.

Es:

Con tutte queste elucubrazioni stai complicando troppo il problema.

Perché fai tutte queste elucubrazioni mentali?

A dire la verità, ci sono dei modi ancora più familiari e confidenziali per esprimere lo stesso concetto.

Mai sentito parlare delle pippe mentali?

C’è chi le chiama masturbazioni mentali, chi pippe mentali, chi seghe mentali.

Sono espressioni idiomatiche e siamo anche al limite della volgarità perché pippe e seghe non sono altro che due termini volgari che indicano la masturbazione maschile.

Farsi le pippe mentali e farsi le seghe mentali sono dunque due modalità familiari per esprimere il concetto di elucubrazione mentale.

C’è da dire però che quando parliamo di seghe o pippe mentali, aumenta l’intensità e anche la negatività verso di sé di questi pensieri, che diventano ossessivi e ricorrenti.

Si parla di immagini delle più negative che una persona crea nella propria mente. Queste sono le seghe mentali.

Questa negatività è esagerata e porta a tormenti e angoscia.

Pensieri ricorrenti: significa che questi pensieri si manifestano o si ripetono periodicamente nel tempo: ricorrono nel tempo, cioè si ripetono nel tempo.

Una pippa mentale è pertanto una serie di elucubrazioni ossessive, ricorrenti e negative.

Accusare una persona di farsi troppe pippe mentali (si aggiunge spesso “troppe” ma non ce ne sarebbe neanche bisogno) non è comunque necessariamente da interpretare come un insulto o un’accusa.

Può anche essere un consiglio di un amico.

Si tratta comunque di una espressione informale, quindi non la usate con persone con le quali non avete la necessaria confidenza.

In tali casi sempre meglio, se proprio dovete, usare il termine elucubrazioni, che comunque ha il senso di “pensieri inutili e troppo elaborati” e pertanto può ugualmente risultare troppo confidenziale.

Allora più sicuro dire frasi tipo:

Perché farla così complicata?

Non è che rischiamo di complicare inutilmente la situazione?

Secondo me non è il caso di fare troppe ipotesi e farsi troppe domande.

Ma non facciamo prima a chiedere anziché avere tutti questi pensieri?

Un’altra differenza tra le elucubrazioni e le masturbazioni mentali è che con le elucubrazioni si usa come abbiamo visto il verbo “fare”, mentre con le pippe mentali si usa “farsi”, quindi il verbo fare nella forma riflessiva (d’altronde le masturbazioni sono una cosa personale, no?).

Adesso ripassiamo.

Mary: sapete cosa mi fa sempre bene? Leggere i ripassi dei nostri amici qui nell’associazione Italiano Semplicemente. Non sono mica il professore qua, ma quando assisto ai miglioramenti degli altri provo un certo non so che di appagante.

Anthony: non mi fa specie affatto il tuo sentimento di soddisfazione, perché ciascuno di noi, attraverso la nostra partecipazione, apporta benefici al gruppo.

Irina: Quindi stai dicendo proprio tu, lo studente di italiano per eccellenza che noi ti diamo manforte pure noi con la nostra partecipazione? Ma ti pare!

Marcelo: ma, dico io, è possibile mai che non passa un giorno in cui non fai il ruffiano con Irina? Uno che è uno!

_ _ _ _ _

Gli esercizi per questo episodio sono disponibili per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente (LOGIN)

Se non sei membro puoi registrarti qui

richiesta adesione

789 Accavallare

Accavallare

(scarica audio)

Trascrizione

Gianni: tra i verbi che hanno origine dal mondo animale, uno dei più utilizzati è sicuramente accavallare.

Ovviamente l’animale di riferimento è il cavallo.

Molti di voi ad esempio in questo preciso momento hanno le gambe accavallate.

Avere/tenere le gambe accavallate è molto semplice. Indica la posizione che si assume quando si mette una gamba sull’altra, o la destra sulla sinistra o la sinistra sulla destra.

Ovviamente per tenere le gambe accavallate bisogna essere seduti e generalmente si è in attesa di qualcosa.

Magari si sta assistendo ad una lezione o ci si trova in uno studio medico in attesa del nostro turno. È anche una posizione ritenuta sexy per le donne. Generalmente davanti al pc non si sta però con le gambe accavallate.

Accavallare le gambe, detto in altri termini, è sovrapporre le gambe, incrociando. Si può fare lo stesso con due dita, ad esempio con l’indice e il medio quando si fanno gli scongiuri. Però in quel caso si dice: incrociamo le dita.

La sovrapposizione è la chiave per capire tutti gli usi del verbo accavallare. Sovrapporre significa mettere una cosa sull’altra: porre sopra, mettere sopra.

Si parla dunque sempre di una sovrapposizione, ma per usare questo verbo non basta avere una cosa sopra un’altra. Ci vuole qualche ingrediente in più.

Ad esempio, anche le onde del mare possono accavallarsi una sull’altra. Si vuole dare l’idea di un mare agitato, dove le onde si susseguono talmente velocemente che si sovrappongono una sull’altra.

Somiglia anche a sussuguirsi, ma è un rapido susseguirsi, talmente rapido che ciò che arriva dopo non aspetta il suo turno.

Prima che un’onda sia tornata indietro ne arriva subito un’altra. C’è la sensazione della velocità e della confusione.

Quando sono i ricordi o i pensieri ad accavallarsi, prevale il senso della confusione, della mancanza di ordine e lucidità. Non si riesce a capire quale ricordo è più datato, più vecchio dell’altro perché nella nostra memoria sembrano sovrapporsi, accavallarsi, persino accumularsi in modo disordinato, uno sopra l’altro.

Si dice che poco prima di morire mille ricordi si accavallino nella nostra mente in pochissimi secondi.

Quando sono i giorni ad accavallarsi, o le ore o persino gli anni, evidentemente la confusione è nella percezione, nel nostro cervello, forse perché credo che passino troppo velocemente o magari perché sembrano tutti uguali.

Se si accavallano le paure c’è un’ansia e una paura crescente.

In senso figurato si possono accavallare anche delle persone che parlano senza un ordine preciso, anche parlando nello stesso momento. Generalmente non ci si riferisce quindi al sovrapporsi fisicamente, ma nelle parole, nelle voci di persone diverse.

Per favore, non vi accavallate, parlate uno alla volta, altrimenti non capisco nulla.

Spesso anche le domande dei giornalisti ad un politico (ad esempio) si accavallano una sull’altra.

C’è confusione anche in questo caso, sovrapposizione, scompiglio, disordine.

Anche due o più appuntamenti possono accavallarsi se sbaglio la programmazione.

Possiamo usare il verbo in questione anche per i problemi, le difficoltà:

In questo periodo ho troppi problemi che mi si accavallano in testa!

Lo stesso può valere per gli impegni lavorativi, che possono accavallarsi, così da renderne più difficile la programmazione.

In senso fisico, sebbene si usi meno, potrei dire che delle persone che stanno in fila, nel momento in cui si crea disordine e qualcuno tenta di passare avanti agli altri, si accavallano:

Vi prego, rispettate la fila, non vi accavallate alle casse!

Questi sono i modi più usati per usare il verbo accavallare.

Adesso, senza accavallarsi per favore, facciamo un bel ripasso insieme.

Nel ripasso di oggi potremo parlare di sogni. Che ne pensate?

Ulrike: Un mio sogno ricorrente che al contempo si rivela un incubo a tutti gli effetti è quello di non giungere in tempo ad un appuntamento importante. Il percorso per raggiungere il traguardo è un continuo crescendo di intoppi di qualsiasi tipo. Fortuna vuole che mi sveglio sempre prima di andare in tilt.

Fila liscio come l’olio

Fila liscio come l’olio

Video

Trascrizione

Giovanni: Una delle specialità italiane è l’olio extravergine d’oliva. Questo è abbastanza noto. ma l’olio, più in generale, e non solo quello derivato dalle olive, viene usato anche per lubrificare, per fare in modo che due corpi scivolino tra loro, per quindi ridurre l’attrito tra due corpi.

Ma l’olio si usa anche in alcune espressioni idiomatiche italiane, tra cui “liscio come l’olio“.
Filare liscio come l’olio“, in particolare, è una espressione che si usa quando non si incontrano problemi.

Come va il viaggio? c’è traffico?

Fortunatamente no. Finora fila tutto liscio come l’olio.

Cioè: va tutto bene, non abbiamo incontrato problemi.

Si usa spessissimo parlando del traffico, ma si usa in generale in qualunque attività in cui c’è la possibilità di incontrare dei problemi, qualcosa che ci faccia rallentare, che ostacoli il nostro lavoro o il normale andamento delle cose. Se tutto va bene, possiamo dire semplicemente che “tutto fila liscio”, e possiamo aggiungere “come l’olio”.

Si usa il verbo filare, che è un verbo che ha molti utilizzi diversi, ma quanto “tutto fila“, o quando “tutto fila liscio“, c’è un’attività che procede con regolarità, che va avanti senza problemi, senza intoppi, soprattutto quando questi eventuali intoppi sono fonte di preoccupazione.

Se poi tutto fila liscio come l’olio, si vuole trasmettere l’assenza di attrito. Tra l’altro il verbo filare trasmette anche un senso di moto rettilineo, senza curve, quindi qualcosa di diritto, e anche questo trasmette l’assenza di un rallentamento e quindi di eventuali difficoltà e possibili deviazioni rispetto a quanto previsto.

Filare trasmette anche un senso di ordine e coerenza. Pensate all’espressione “un discorso che fila“, che è un discorso logico, coerente, che non ha contraddizioni. Quando una persona fa un discorso che fila è un discorso convincente e efficace.

Filare trasmette l’assenza di difficoltà anche quando parliamo di un “ragazzo che fila dritto“, con riferimento al suo comportamento corretto e maturo, senza deviazioni e senza stupidaggini. Parliamo in questo caso della sua condotta sul piano morale o disciplinare.

Allora, anziché dire “tutto ok”, “va tutto bene”, “finora tutto bene“, la prossima volta provate anche a dire che  “tutto fila liscio come l’olio“.

Al prossimo video di Italiano Semplicemente

727 Trovare la quadra

Trovare la quadra (scarica file audio)

Trascrizione

Giovanni: Ricordate l’espressione fare quadrato? Non crederete spero di aver finito con questa figura geometrica! Infatti oggi continuiamo a parlare di quadrati, o meglio, di termini simili.
Prendiamola alla larga partendo dal verbo venire:

Quando si ha un problema matematico da risolvere e avete già la soluzione, si deve svolgere il problema e vedere se alla fine il risultato torna. Ma tornare lo abbiamo già spiegato vero? Il verbo che ho appena usato (tornare) possiamo volendo sostituirlo col verbo “venire“.

Il risultato viene

Mi viene!

A te cosa ti viene? Ti viene il mio stesso risultato?

Oppure con la negazione.

Non mi viene il risultato

Non mi viene mai!

Oggi non mi viene niente!

A volte, nelle stesse occasioni, si usa anche il verbo quadrare, specie con la negazione:

Il risultato non quadra.

Evidentemente abbiamo sbagliato qualcosa, altrimenti quadrerebbe/tornerebbe/verrebbe.

Il verbo “quadrare” conviene approfondirlo perché quando qualcosa non “non quadra“, vuol dire molto spesso che abbiamo notato che c’è qualcosa che non va. Potremmo tranquillamente usare il verbo tornare anche in questi casi:

C’è qualcosa che non torna/quadra

Questa cosa non mi torna/quadra

C’è una questione di logica legata alla questione che non torna o che non quadra e questo lo abbiamo visto anche nell’episodio dedicato all’espressione “non mi torna”.

Il verbo quadrare è però anche legato alla fiducia, al convincimento, al dubbio.

Non siamo convinti di qualcosa, abbiamo un dubbio, forse ci potrebbe essere un problema. Stiamo cercando di capire per arrivare a una soluzione convincente oltre che logica.

Allora, anche al di fuori della matematica spesso si dice:

Qualcosa non mi quadra!

Si fanno spesso discorsi sospettosi quando si usa questo verbo:

Ma se i ladri hanno rotto il vetro, ci dovevano essere in pezzi di vetro in camera. Invece era tutto pulito. Qualcosa non quadra!

Quando qualcosa non quadra bisogna ragionare per capire bene le cose.

Ma questo uso di quadrare è molto simile a quello di tornare dell’episodio di cui sopra.

Se torniamo alla matematica, col verbo quadrare si usa anche l’espressione “quadrare i conti“.

In realtà quando si usa il termine conti, la questione è più un problema contabile: numeri che riguardano soldi.

Si parla di contabilità, quindi di conteggi matematici che riguardano delle spese e delle entrate.

Se a fine mese non possiamo spendere più di quanto guadagniamo, c’è evidentemente la necessità di far quadrare i conti. Lo stesso problema si presenta quando le entrate e le uscite di un bilancio devono essere le stesse.

Ugualmente, in senso più generale possiamo usare questa espressione quando ci aspettiamo un certo risultato contabile e questo invece non si verifica.

I conti non quadrano.

Quando i conti non quadrano dunque il problema è generalmente contabile e quando i conti non vengono c’è invece un errore nei conti matematici, anche non contabili.

In contabilità si parla anche di quadratura dei conti. Non è altro che il pareggio fra entrate e uscite in un bilancio. Le entrate sono uguali alle uscite: abbiamo quadrato i conti.

Quando invece, più genericamente, cerchiamo una soluzione ad un problema – quindi usciamo nuovamente dalla matematica – si usa anche un’altra espressione:

Trovare la quadra

Non si tratta di un problema qualunque, ma di qualcosa di complesso, cioè quando ci sono molte questioni coinvolte, anche in contrasto tra di loro.

Si può usare anche in contabilità, ma spessissimo si tratta di trovare un compromesso tra posizioni discordanti. La soluzione che stiamo cercando è qualcosa che sia accettabile per tutti.

In quel caso abbiamo trovato la quadra.

Si usa spesso in politica, quando bisogna mettere d’accordo diverse persone o partiti politici cercando una soluzione che vada bene a tutti.

Vediamo qualche esempio:

Sono in corso le elezioni per eleggere il presidente della Repubblica Italiana. I partiti stanno cercando di trovare la quadra attraverso incontri di gruppo, telefonate e messaggi WhatsApp.

Si può usare il verbo trovare, come avviene più spesso, oppure, più raramente il verbo cercare.

Trovare la quadra

Cercare la quadra

Es:

Un certo calciatore non vuole lasciare la sua squadra della Roma, nonostante il suo rendimento nell’ultimo anno non sia stato elevato. La dirigenza dovrà cercare un’altra squadra che sia accettata dal calciatore (che non vuole una squadra di livello più basso) ma che accontenti anche la moglie del calciatore, a cui piace troppo la città di Roma e non vuole lasciarla. Per trovare la quadra, la dirigenza sta cercando un’altra collocazione in un’altra grande città del centro sud.

Finalmente abbiamo trovato la quadra: il Napoli ha presentato un’offerta per il calciatore e la moglie sembra molto soddisfatta. Finalmente!

Certo, a volte il problema è talmente complesso che è impossibile o quasi trovare la quadra. In questi casi si parla della cosiddetta “quadratura del cerchio“, una espressione che deriva da un  problema geometrico irrisolvibile.

Anche questa si usa spesso, per dire che si sta cercando una soluzione, un compromesso tra persone ad esempio, o quando in realtà gli interessi coinvolti sono troppo distanti tra loro. È impossibile trovare la quadra. Allora si sta cercando la quadratura del cerchio. Meglio lasciar perdere in questi casi.

Es: si può fare un programma di governo con l’estrema destra e l’estrema sinistra? Oppure è come cercare la quadratura del cerchio?

Ricapitoliamo

Ricapitolando: se confrontiamo due soluzioni, per verificare la correttezza di un risultato, possiamo usare informalmente il verbo venire (l’esercizio non mi viene). Possiamo usare anche il verbo tornare, ma in questo caso spesso si parla di problemi logici e di coerenza.

Il verbo quadrare possiamo anch’esso usarlo in questi casi, ma è più adatto parlando di contabilità. Ad ogni modo quando qualcosa non quadra c’è ugualmente un problema di logica e coerenza, come col verbo tornare.

Cercare e trovare la quadra si usano invece con problemi complessi, specie (ma non solo) se si tratta di trovare una soluzione con interessi contrapposti, similmente al termine compromesso.

Quando il problema da risolvere ha una complessità tale da ritenersi impossibile o quasi, si parla di quadratura del cerchio.

Se qualcosa non vi quadra tornate indietro e ripetere la lettura, altrimenti ascoltiamo il ripasso degli episodi precedenti.

Peggy: c’è un proverbio napoletano che fa così:

Dio è lungariéllo, ma nun è scurdariéllo.

Vale a dire che Dio può essere lento ad intervenire, ma non è smemorato.

Leonardo: il napoletano mi va a genio ma non mi riesce bene, allora vi faccio sentire un proverbio che origina nella zona centrale del Brasile:

Passarinho que anda com morcego acorda de cabeça para baixo.

In italiano: Uccellino che vuol fare il pipistrello si sveglia capovolto. In pratica si potrebbe dire che è un proverbio che invita a essere sempre se stessi, della serie non provare a essere diverso dalla tua natura, perché se ci provi andrà male.

Sergio: sono d’accordo, perché

La mona aunque se vista de seda, mona se queda

cioè: la scimmia, anche se si veste di seta, pur sempre scimmia rimane

Marcelo: Parlando di scimmie, mi viene in mente un proverbio:

a papà scimmia con dare banane verdi

Che vuol dire? Vuol dire che al papà scimmia non lo freghi! Questo proverbio lo ricordo sempre a mio figlio, che ogni due per tre torna alla carica chiedendomi soldi in prestito, giurando di restituirmeli presto! Io però, che sarei la scimmia vecchia di cui sopra, io gli rispondo: a papà scimmia non dare banane verdipassi che una volta ti dimentichi, passi anche la seconda volta, ma se faccio mente locale, saranno tre volte e passa che mi ripeti la stessa pappardella. Benedetto figlio mio, hai voluto la bicicletta?…e sai come segue!…allora datti una regolata!

Incorrere – VERBI PROFESSIONALI (n.71)

613 Dare del filo da torcere

Dare del filo da torcere

File audio disponibile per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente (ENTRA)

Se non sei membro ma ami la lingua italiana puoi registrarti qui

richiesta adesione

Trascrizione

Giuseppina: oggi ci aspetta un episodio che prevedo sarà molto usato nei ripassi.

Infatti l’episodio è dedicato all’espressione “dare del filo da torcere“.

Un’espressione che è molto usata dagli italiani ed infatti proprio ieri è stata usata durante una visita guidata presso il teatro di Pietrabbondante, nel Molise, quindi in Italia, durante un incontro dei membri del l’associazione Italiano Semplicemente.

La guida turistica ha infatti affermato che il popolo dei sanniti, più di duemila anni fa, ha dato del filo da torcere ai romani prima che i romani riuscissero a batterli.

Ma cosa significa?

Vediamo prima qualche esempio e poi ci spiego il significato.

La guida ha detto dunque che i Sanniti hanno dato del filo da torcere ai romani. Questo significa che per i romani non è stato facile battere i sanniti, che hanno creato ai romani parecchi problemi.

Questo è il senso della frase. Se non è chiaro vi faccio un altro esempio:

Molti studenti danno del filo da torcere ai professori prima che questi riescano a insegnare loro la disciplina.

Quindi i professori hanno dovuto faticare molto per insegnare la disciplina agli studenti.

I problemi di matematica e geometria mi hanno dato molto filo da torcere quando ero uno studente.

D’altronde esiste qualcuno che ha avuto vita facile con i problemi di geometria? Questi problemi danno a tutti filo da torcere!

Il filo di cui si sta parlando è il filo delle macchine per la tessitura, per fabbricare le maglie ad esempio.

Il filo doveva ruotare su sé stesso, cioè doveva torcersi per aumentare la resistenza.

Questa evidentemente è un’operazione talmente complicata da dar origine a questa espressione.

Dare del filo da torcere non va pertanto Interpretata nel suo senso proprio: “tieni, questo filo è da torcere. Ecco del filo che dovresti torcere. Pensaci tu!”.

Il senso è invece figurato.

Dunque chi dà del filo da torcere (“del” si può anche omettere) crea dei problemi, pone degli ostacoli, procura difficoltà difficili da gestire.

C’è dunque qualcuno o qualcosa che crea problemi e qualcun altro che deve cercare di risolverli.

Si usa spessissimo anche in ambito sportivo:

Daremo filo da torcere ai nostri avversari.

Vale a dire che creeremo loro parecchi problemi, e non sarà facile per loro batterci.

Sapete che anche le espressioni che vengono spiegate nel sito di italiano semplicemente possono dare parecchio filo da torcere ai non madrelingua.

Fortunatamente però ci sono i ripassi, proprio come quello che state per ascoltare:

Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente

Doris: Con l’inverno quasi a ridosso, le temperature si abbassano gradualmente, ragion
per cui, volenti o nolenti, occorre ricorrere ad indumenti più pesanti.

Komi: Quest’anno i giorni
caldi cominciano a filarsela troppo in fretta, sicché abbiamo una certa nostalgia rammentandoci delle notti tiepide più gradevoli.

Marta: A ragion veduta le persone non si muovono nella stessa misura quando prevale il
maltempo.

Hartmut: Le stagioni seguono senza troppi scrupoli il loro solito corso, infischiandosene del nostro eventuale disappunto.

Harjit (India): Per alcuni l’adattamento può essere tutt’altro che facile, considerando che la stagione incombente porta con sé tra l’altro qualche incertezza ed un rallentamento generale che rappresenta un cambiamento non sempre ben accetto.

Ulrike: i fiori incominciano ad appassire, qualche animale se ne va in letargo e tutti i colori svaniscono, in quanto passeggeri come noi tutti.
I paesaggi appaiono grigi,quasi fossero in lutto.

Edita (Repubblica Ceca): Quando si sentono i primi fiocchi di neve sulla pelle magari si pensa: quanto dura l’inverno quest’anno? Le lamentele si esauriscono inascoltate e si
dissolvono nel vuoto. Così col tempo si capisce: pigliarsela non è cosa; meglio prenderla
con filosofia e apprezzare la varietà dell’atmosfera visto che non abbiamo il potere di
cambiarla e non potrei mai comprenderla in toto.

Rauno: E come si suol dire: la gioia dell’attesa è la gioia più intensa.
Facciamo allora il dovuto secondo scienza e coscienza, pur di cavarcela nei periodi poco accoglienti, e limiamo la nostra resilienza.