Stigmatizzare e biasimare (ep. 964)

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Trascrizione

Un verbo molto simile a “condannare” è stigmatizzare.

Stigmatizzare” significa, più precisamente, disapprovare con fermezza, con decisione, con determinazione.

Si riferisce al processo di etichettare, giudicare o persino emarginare qualcuno o qualcosa sulla base di caratteristiche percepite come negative.

Quasi sempre si stigmatizza un atto, un comportamento. Anche un’idea però si può stigmatizzare. In genere non è la persona ad essere stigmatizzata.

I lavoratori hanno stigmatizzato l’idea del presidente di lavorare anche la domenica.

Evidentemente i lavoratori erano niente affatto d’accordo col loro presidente, disapprovavano fortemente la sua idea.

È molto simile anche al verbo biasimare, che però è più un’accusa alla persona che al comportamento. Biasimare è più diretto, meno distaccato, tende più a colpevolizzare la persona biasimata per aver fatto qualcosa.

Esprimere biasimo, quindi biasimare, è anche questo un verbo vicino a giudicare negativamente, disapprovare, condannare, ma più frequentemente l’oggetto del biasimo è la persona stessa e non la cosa che fa o che dice, cioè il suo comportamento.

Questa è la principale differenza.

Stigmatizzare deriva dal termine “stimmate”.

Nel linguaggio ecclesiastico, cioè della chiesa, delle istituzioni religiose, le stimmate sono le piaghe sul corpo di Cristo in conseguenza della Crocifissione, specie quelle sulle mani, come conseguenza dei chiodi usati per la crocefissione.

In generale si tratta di una sorta di marchio, di impronta permanente. Somiglia anche a “stemma”.

Allora, stigmatizzare sta per imprimere un marchio, chiaramente in senso figurato, quindi marchiare un comportamento, etichettarlo in modo negativo. Anche “bollare” è abbastanza simile.

Il cosiddetto “marchio” generalmente si imprime sulla persona, che per tutta la vita avrà questa etichetta indelebile che dovrà portarsi appresso e che nessuno dimenticherà. Nel caso di stigmatizzare però il marchio, l’etichetta, il giudizio, è in genere associato al comportamento.

Posso anche dire che stigmatizzare significa:

Bollare con parole di biasimo

Bollare è molto simile a marchiare.

Es:

Stigmatizzare un comportamento, stigmatizzare le decisioni di qualcuno, stigmatizzare un’idea. Persino un’ipotesi ventilata da qualcuno può essere stigmatizzata.

Ad ogni modo la cosa che più comunemente viene stigmatizzata è un comportamento.

Non è un verbo che tutti usano e soprattutto non fa parte del linguaggio familiare. D’altronde la stessa cosa accade per biasimare.

Si usano spesso però nei giornali, si ascoltano di frequente nei telegiornali e i politici li usano quando vogliono esprimere un forte disaccordo.

Il biasimo è l’atto di incolpare o criticare qualcuno per un errore o un comportamento sbagliato.

Allora il verbo biasimare significa attribuire la colpa, dare la responsabilità di un errore o un comportamento sbagliato a qualcuno e criticarlo per questo.

Non è neanche questo un verbo informale, ma possiamo usarlo senza problemi. Vediamo qualche esempio:

Non ti biasimo per come ti sei comportato (cioè non ti giudico, non ti considero colpevole)

la disonestà è sempre da biasimare

Come faccio a non biasimarti per ciò che hai fatto?

La condotta dello studente è stata biasimata da tutti i professori.

Hanno macchiato un’opera d’arte con la vernice. Un episodio da stigmatizzare.

Allo stadio hanno esposto degli striscioni razzisti. Ovviamente stigmatizziamo questo tipo di comportamenti.

La violenza è una cosa che è sempre da stigmatizzare.

È doveroso stigmatizzare comportamenti di questo tipo.

Parlare di sesso a scuola? C’è chi dice che questo è sempre da stigmatizzare.

Adesso ripassiamo.

Estelle, membro dell’associazione Italiano semplicemente, ha voluto condividere una sua esperienza avuta in Italia con noi. Ascoltiamola dalla sua voce e da quella di altri membri.

Marcelo: già da qualche tempo c’eravamo prefissi di visitare l’isola di Capri, è così lo abbiamo fatto durante le nostre vacanze a Napoli.

Ulrike: In questo periodo è una sfida con tutta la folla nella nave e poi nella funicolare dell’isola. Vi risparmio i dettagli.

Paul: Lo sapevamo, ma che volete, abbiamo colto l’opportunità di scoprire Capri appena possibile.

Khaled: Dopo una passeggiata nei meandri di Capri, è arrivata l’ora di pranzare.

Mary: avevamo una fame da lupo!

Estelle: Nostro malgrado, abbiamo scelto un dannato ristorante! Tutto liscio come l’olio all’inizio. Un bel posto, con una meravigliosa vista, dei tavoli ben apparecchiati, e c’era anche un non so che di affascinante!

Edita: E qui casca l’asino! Quando siamo arrivati, non c’era anima viva.
Eravamo i primi clienti! La cameriera ha preso l’ordine. Era poco affabile, ma che volete!

Estelle: Allora, pian piano il ristorante si è riempito di clienti, la maggior parte dei quali erano italiani. Chissà perché, avevano la priorità su di noi, così ci ha bellamente ignorato per parecchio tempo! Siamo stati serviti per ultimi.

Rauno: Dopo esserci armati di pazienza, è arrivata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: Nessun proposta di dolce e manco il caffè!

Sofie: Ci siamo alzati per pagare e finalmente le ho spiattellato tutto ciò che avevo sul cuore.
Mi sono preso il ghiribizzo di spiegargli che non era un atteggiamento giusto, che siamo noi turisti a farla vivere.

Irina: Per tutta risposta, mi ha detto che era colpa della mancanza di personale.
Ammesso e non concesso che tre persone a servire siano poche, potevamo attenderci un servizio lungo, ma con un minimo di rispetto!

Komi: Il suo viso è rimasto di marmo (direi più una faccia di bronzo piuttosto). Evidentemente non si attendeva rimproveri in italiano da parte mia.
Nel frattempo un altro cameriere ha confermato che questa donna si comportava spesso in modo veramente scorretto.

Peggy: Non vorrei passare per scortese, ma non sia mai detto che mi faccio trattare male da chicchessia.

Carmen: A prescindere da questa disavventura, comunque, la visita valeva veramente la pena. Capri è un’isola meravigliosa con tanti luoghi incantevoli.
Ci tornerò sicuramente.

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Nota: per partecipare al ripassi diventa anche tu un membro dell’associazione Italiano semplicemente.

Il malcostume – POLITICA ITALIANA (Ep. n. 38)

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Trascrizione

Bentornati nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al linguaggio della politica.

Oggi vediamo il termine malcostume.

Questo termine deriva chiaramente da male (cattivo, negativo) + costume.

Il termine “costume” non si riferisce in questo caso al costume da bagno.

Sappiamo che il termine costume indica infatti anche un capo d’abbigliamento. Il costume si indossa al mare, al lago o in piscina.

Il termine costume però si usa anche per indicare gli usi, le tradizioni o le prassi di un popolo una comunità oppure all’interno di un sistema politico o di una determinata istituzione.

Il “malcostume” (si scrive tutto attaccato) si riferisce a un comportamento o una pratica (o condotta) socialmente inaccettabile, considerata volgare, indecente o immorale. Non si usa solamente parlando di società e politica.

Può anche indicare un abbigliamento o uno stile inappropriato, che viola i canoni culturali o di buon gusto.

Il malcostume può però variare a seconda del contesto culturale, delle norme sociali e delle convenzioni di una determinata comunità.

Ad esempio, ciò che potrebbe essere considerato un malcostume in un certo paese o in un ambiente lavorativo, potrebbe essere accettabile in un ambiente informale o durante certe occasioni sociali o in altri paesi.

L’uso del termine “malcostume” può variare anche a seconda del contesto specifico. La politca è appunto uno di questi.

In particolare in questo contesto il malcostume viene “denunciato” o “condannato“.

Ad ogni modo può essere utilizzato per riferirsi a comportamenti o abbigliamenti provocatori, volgari o di cattivo gusto.

Può essere impiegato per criticare l’eccessiva esibizione del corpo, l’uso di un linguaggio volgare o osceno, la mancanza di rispetto per le norme sociali o l’abbigliamento inappropriato per un determinato evento.

In generale viene utilizzato per sottolineare la non conformità alle aspettative sociali riguardanti il comportamento e l’abbigliamento.

Spesso viene associato a un giudizio negativo sulla condotta delle persone coinvolte. Per condotta si intende il comportamento abituale di un individuo nei suoi rapporti sociali. Anche a scuola esiste la condotta. In particolare esiste il “voto in condotta” che è un giudizio dato sul comportamento sociale dello studente.

In contesti politici, il malcostume può essere utilizzato per riferirsi a comportamenti o pratiche ritenute moralmente o eticamente inappropriati da parte di politici o figure pubbliche. Si denuncia nel senso che si dichiara pubblicamente che c’è un comportamento negativo che va condannato, che non va bene perché nuoce, va male alla società.

Parliamo del “costume politico“, che in particolare riguarda le norme non scritte o le convenzioni che governano il comportamento dei politici, i processi decisionali e le dinamiche delle istituzioni politiche.

Ad esempio, il “costume politico” può riguardare l’etica nella politica, come il rispetto delle regole di trasparenza e l’onestà.

Quando si parla di “malcostume” in un contesto politico, ci si riferisce pertanto a comportamenti o pratiche che violano (attenzione all’accento) o sono contrari a queste norme non scritte.

Ad esempio la corruzione, l’uso abusivo del potere, la violazione delle regole etiche o la mancanza di rispetto per il processo democratico possono essere considerati forme di “malcostume” politico.

Il nepotismo, la tangente (ne abbiamo già parlato, ricordate?) o l’abuso di potere per ottenere benefici personali o finanziari illeciti.

Ogni comportamento sleale può comunque essere condannato e segnalato come malcostume. Il termine potrebbe essere infatti utilizzato per condannare azioni sleali o scorrette durante le campagne elettorali, come la diffusione di informazioni false o calunniose sugli avversari politici.

Un abuso di autorità ad esempio. Il malcostume potrebbe essere menzionato per indicare l’uso improprio del potere o l’abuso di autorità da parte di politici, ad esempio nel caso di violazioni dei diritti umani o della libertà di stampa.

Il termine potrebbe essere impiegato anche per criticare politici che non rispettano le regole etiche o le norme di comportamento attese, come l’utilizzo di informazioni riservate a proprio vantaggio o la mancanza di trasparenza nelle attività politiche.

L’aggettivo “scostumato” è interessante perché questo aggettivo viene utilizzato per descrivere generalmente una singola persona o un comportamento che è considerato volgare, indecente o moralmente inaccettabile.

Il malcostume indica invece, in genere, un comportamento non di un singolo, ma di un gruppo, di una parte di una comunità: una abitudine diffusa.

Scostumato si usa per un individuo che si comporta in modo contrario alle norme sociali, anche in maniera provocatoria o offensiva: l’uso di un linguaggio volgare, gesti osceni o abbigliamento provocante, uno stile inappropriato, che viola (notate sempre l’accento. Il verbo è violare) i canoni culturali o di buon gusto. Un aggettivo, questo, che non si usa in genere parlando di politica.

Se una persona va in giro nuda si può dire che è una persona scostumata.

È un sinonimo di “volgare” e sintomo di cattiva educazione. È però un aggettivo abbastanza formale. Gli adolescenti e i giovani non lo usano. In tv si sente a volte ma è pronunciato da persone educate che non vogliono essere volgari.

Vediamo qualche esempio di come usare il termine malcostume:

Bisogna colpire il malcostume diffuso attraverso la vigilanza e il controllo.

È necessario prevenire il malcostume all’interno della magistratura.

Troppe persone non fanno correttamente la raccolta differenziata dei rifiuti. Questo malcostume è irrispettoso nei confronti della legge.

Dilaga (verbo dilagare, che indica una diffusione nella società) il malcostume tra i dipendenti pubblici nel comune, troppo facilmente corrompibili dalla malavita organizzata.

Avrete capito che il malcostume va combattuto, va condannato, va demonizzato, perseguito e prevenuto in ogni ambito perché è un male di una società e potrebbe dilagare. Ho usato anche il verbo perseguire. Meglio se lo spieghiamo nel prossimo episodio dedicato al linguaggio della politica.

Alla prossima.

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912 Condannare e demonizzare

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Trascrizione

Giovanni: Oggi parliamo del diavolo, anzi del demonio.

Non abbiate paura, perché l’obiettivo di questo episodio è solamente quello di farvi capire il verbo demonizzare.

Lo farò con l’aiuto di quattro membri dell’associazione Italiano Semplicemente: Peggy, Ulrike, Irina e Hartmut, che interverranno nel corso della spiegazione. Quando lo faranno utilizzeranno qualcosa che abbiamo spiegato in un episodio precedente. Io poi farò un commento su questo utilizzo e continuerò la spiegazione.

Allora, l’origine di demonizzare l’avete già capita: il demonio, cioè il diavolo.

Il demonio è una figura presente nella cultura e nella religione cristiana.

Rappresenta un essere malvagio, oscuro e, appunto, demoniaco.

Peggy: Secondo la tradizione cristiana, il demonio o Satana (è il suo nome), è un Angelo che si è ribellato contro Dio e al contempo ha cercato di diventare eguale a lui.

Ulrike: Dio lo ha quindi espulso dal cielo nonché lo ha condannato all’eterna dannazione.

Va comunque sottolineato che il concetto di demonio e la sua rappresentazione variano a seconda delle culture e delle religioni, e non tutte le religioni credono in un’entità malvagia simile al demonio cristiano.

Il verbo “demonizzare” significa dipingere qualcosa o qualcuno come malvagio, pericoloso o negativo, e può essere usato sia in contesti formali che colloquiali.

Irina: Il verbo “demonizzare” viene spesso e volentieri utilizzato in riferimento a un fenomeno, un’idea, un gruppo o una persona, che viene presentata come dannosa o immorale.

Molto simile a “condannare” ma condannare si usa quando si giudica negativamente una persona o un fatto per qualcosa che ha fatto senza possibilità di scuse. Si tratta spesso di una colpevolezza morale, di una “sentenza” di colpevolezza ma non parliamo solamente delle sentenze di un giudice. Il giudice condanna nel senso che infligge una vera pena da scontare, tipo 10 anni di prigione o 1000 euro da pagare per scontare la condanna.

Il senso di condannare in questo caso è più generale: considerare colpevole una persona o sbagliato un comportamento.

Condannare è quindi simile a disapprovare o criticare, più leggeri da questo punto di vista rispetto a demonizzare, perché il demonio è il male in persona!

Poi per condannare c’è spesso bisogno di un fatto, un qualcosa che si disapprova, si condanna, si critica.

Ciò che si demonifica invece può essere una figura, un’idea, un fenomeno, un gruppo sociale, un mestiere, per ciò che rappresenta, per le conseguenze che comporta.

Vediamo esempi di condannare:

Non puoi condannarmi per averti tradito una sola volta!

Non condannarmi solo perché la penso diversamente da te.

Condanniamo chiunque usi la violenza.

Condannare l’operato di un arbitro per aver assegnato un rigore dubbio mi sembra esagerato.

Non basta condannare il comportamento di Giovanni; occorre anche impedirgli di fare del male alle persone.

Demonizzare” ha quindi un’accezione più forte e spesso viene usato in situazioni in cui si vuole enfatizzare la malvagità o la pericolosità di ciò che si sta descrivendo.

Ecco alcuni esempi:

La Guerra va demonizzata sempre e comunque. Senza se e senza ma.

La stampa ha demonizzato la figura del politico, presentandolo come un mostro. Non sempre è così però.

La società ha demonizzato la figura del tossicodipendente, senza considerare i suoi problemi di salute mentale.

In questo periodo storico, molti gruppi sociali sono stati demonizzati e perseguitati.

Nella campagna elettorale, la figura del candidato è stata demonizzata dai media.

Hartmut: In alcuni Paesi, malgrado il progresso raggiunto, l’omosessualità viene ancora demonizzata da alcune fazioni conservatrici.

Il conflitto tra le due nazioni ha portato alla demonizzazione reciproca delle rispettive culture.

Per iscriversi alla facoltà di medicina bisogna superare un test. C’è chi demonizza questo test ma c’è anche chi è d’accordo.

Rispetto a condannare, demonizzare ha dunque un tono più forte e negativo, è meno legato a singoli fatti e comportamenti singoli e si usa per considerare qualcosa in modo estremamente negativo e pericoloso, senza possibilità di redenzione. Dall’inferno non si torna!

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Gli esercizi su questo episodio (con soluzione) sono disponibili per i membri dell’associazione Italiano Semplicemente

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