Bentornati nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al linguaggio della politica.
Oggi vediamo il termine malcostume.
Questo termine deriva chiaramente da male (cattivo, negativo) + costume.
Il termine “costume” non si riferisce in questo caso al costume da bagno.
Sappiamo che il termine costume indica infatti anche un capo d’abbigliamento. Il costume si indossa al mare, al lago o in piscina.
Il termine costume però si usa anche per indicare gli usi, le tradizioni o le prassi di un popolo una comunità oppure all’interno di un sistema politico o di una determinata istituzione.
Il “malcostume” (si scrive tutto attaccato) si riferisce a un comportamento o una pratica (o condotta) socialmente inaccettabile, considerata volgare, indecente o immorale. Non si usa solamente parlando di società e politica.
Può anche indicare un abbigliamento o uno stile inappropriato, che viola i canoni culturali o di buon gusto.
Il malcostume può però variare a seconda del contesto culturale, delle norme sociali e delle convenzioni di una determinata comunità.
Ad esempio, ciò che potrebbe essere considerato un malcostume in un certo paese o in un ambiente lavorativo, potrebbe essere accettabile in un ambiente informale o durante certe occasioni sociali o in altri paesi.
L’uso del termine “malcostume” può variare anche a seconda del contesto specifico. La politca è appunto uno di questi.
In particolare in questo contesto il malcostume viene “denunciato” o “condannato“.
Ad ogni modo può essere utilizzato per riferirsi a comportamenti o abbigliamenti provocatori, volgari o di cattivo gusto.
Può essere impiegato per criticare l’eccessiva esibizione del corpo, l’uso di un linguaggio volgare o osceno, la mancanza di rispetto per le norme sociali o l’abbigliamento inappropriato per un determinato evento.
In generale viene utilizzato per sottolineare la non conformità alle aspettative sociali riguardanti il comportamento e l’abbigliamento.
Spesso viene associato a un giudizio negativo sulla condotta delle persone coinvolte. Per condotta si intende il comportamento abituale di un individuo nei suoi rapporti sociali. Anche a scuola esiste la condotta. In particolare esiste il “voto in condotta” che è un giudizio dato sul comportamento sociale dello studente.
In contesti politici, il malcostume può essere utilizzato per riferirsi a comportamenti o pratiche ritenute moralmente o eticamente inappropriati da parte di politici o figure pubbliche. Si denuncia nel senso che si dichiara pubblicamente che c’è un comportamento negativo che va condannato, che non va bene perché nuoce, va male alla società.
Parliamo del “costumepolitico“, che in particolare riguarda le norme non scritte o le convenzioni che governano il comportamento dei politici, i processi decisionali e le dinamiche delle istituzioni politiche.
Ad esempio, il “costumepolitico” può riguardare l’etica nella politica, come il rispetto delle regole di trasparenza e l’onestà.
Quando si parla di “malcostume” in un contesto politico, ci si riferisce pertanto a comportamenti o pratiche che violano (attenzione all’accento) o sono contrari a queste norme non scritte.
Ad esempio la corruzione, l’uso abusivo del potere, la violazione delle regole etiche o la mancanza di rispetto per il processo democratico possono essere considerati forme di “malcostume” politico.
Il nepotismo, la tangente (ne abbiamo già parlato, ricordate?) o l’abuso di potere per ottenere benefici personali o finanziari illeciti.
Ogni comportamento sleale può comunque essere condannato e segnalato come malcostume. Il termine potrebbe essere infatti utilizzato per condannare azioni sleali o scorrette durante le campagne elettorali, come la diffusione di informazioni false o calunniose sugli avversari politici.
Un abuso di autorità ad esempio. Il malcostume potrebbe essere menzionato per indicare l’uso improprio del potere o l’abuso di autorità da parte di politici, ad esempio nel caso di violazioni dei diritti umani o della libertà di stampa.
Il termine potrebbe essere impiegato anche per criticare politici che non rispettano le regole etiche o le norme di comportamento attese, come l’utilizzo di informazioni riservate a proprio vantaggio o la mancanza di trasparenza nelle attività politiche.
L’aggettivo “scostumato” è interessante perché questo aggettivo viene utilizzato per descrivere generalmente una singola persona o un comportamento che è considerato volgare, indecente o moralmente inaccettabile.
Il malcostume indica invece, in genere, un comportamento non di un singolo, ma di un gruppo, di una parte di una comunità: una abitudine diffusa.
Scostumato si usa per un individuo che si comporta in modo contrario alle norme sociali, anche in maniera provocatoria o offensiva: l’uso di un linguaggio volgare, gesti osceni o abbigliamento provocante, uno stile inappropriato, che viola (notate sempre l’accento. Il verbo è violare) i canoni culturali o di buon gusto. Un aggettivo, questo, che non si usa in genere parlando di politica.
Se una persona va in giro nuda si può dire che è una persona scostumata.
È un sinonimo di “volgare” e sintomo di cattiva educazione. È però un aggettivo abbastanza formale. Gli adolescenti e i giovani non lo usano. In tv si sente a volte ma è pronunciato da persone educate che non vogliono essere volgari.
Vediamo qualche esempio di come usare il termine malcostume:
Bisogna colpire il malcostume diffuso attraverso la vigilanza e il controllo.
È necessario prevenire il malcostume all’interno della magistratura.
Troppe persone non fanno correttamente la raccolta differenziata dei rifiuti. Questo malcostume è irrispettoso nei confronti della legge.
Dilaga (verbo dilagare, che indica una diffusione nella società) il malcostume tra i dipendenti pubblici nel comune, troppo facilmente corrompibili dalla malavita organizzata.
Avrete capito che il malcostume va combattuto, va condannato, va demonizzato, perseguito e prevenuto in ogni ambito perché è un male di una società e potrebbe dilagare. Ho usato anche il verbo perseguire. Meglio se lo spieghiamo nel prossimo episodio dedicato al linguaggio della politica.
Alla prossima.
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Giovanni: Oggi ci occupiamo del termine “politica“, ma non siamo all’interno della rubrica “politica italiana” dove trattiamo squisitamentetermini che si usano in ambito politico, quindi parlando di partiti politici e più in generale dell’attività relativa al governo.
Il termine “politica”, al femminile, si usa anche in ambiti diversi, alcuni comunque molto legati all’attività di governo ma non tutti. In economia basti ricordare alla politica economica, la politica dei prezzi, la politica dei redditi, la politica fiscale e quella industriale o la politica monetaria.
La politica in questi casi è sempre un insieme di strumenti, di provvedimenti, di iniziative, ma in senso figurato la politica è anche una sorta di prassi, cioè un modo di operare, un modo di comportarsi. Ci siamo già occupati della prassi, e se volete potete dare un’occhiata all’episodio in questione. La politica allora è una prassi conforme a determinati principi o direttive nell’esercizio di un’attività o di un potere decisionale.
La stessa politica dei prezzi – siamo sempre in ambito economico – è proprio una prassi. Questa particolare politica esprime la volontà di perseguire un obiettivo legato ai prezzi. Non solo rappresenta l’insieme delle decisioni che influenzano i prezzi, ma è anche il nome della strategia usata per raggiungere l’obiettivo desiderato.
Dunque non solamente la BCE (la Banca Centrale Europea) ha una politica dei prezzi, in quanto ha l’obiettivo di giungere a una inflazione pari al 2 percento (e di conseguenza prende decisioni affinché questo risultato sia raggiunto) ma tutte le attività economiche hanno una personale politica dei prezzi, che è la loro strategia, il loro modo di fissare i prezzi eccetera.
In quest’ultimo caso, si tratta quindi di scelte, di decisioni, di strategie che si usano per raggiungere un obiettivo (fare profitto in questo caso):
Ad esempio:
La nostra politica dei prezzi è quella di non aumentarli quando aumenta il prezzo del carburante.
Quando ci sono i saldi, la politica dei prezzi del nostro negozio, è quella di applicare un ulteriore sconto a tutti i nostri clienti.
Solitamente, il termine “politica“, lo avrete capito, si usa in ambito politico-economico, ma possiamo anche usare la politica, intesa come comportamenti e prassi, anche in altri ambiti.
Riguardo al mio metodo di insegnamento, ad esempio, posso tranquillamente dire che partire dall’uso della grammatica non fa parte della mia politica, perché prediligo un metodo basato sul piacere e sull’ascolto.
Dunque la mia politica di insegnamento non prevede l’uso esclusivo né principale della grammatica.
La mia politica è questa. C’è a chi piace e a chi non piace.
La politica quindi, usata in questo modo, esprime un modo di operare, un metodo, ma più in generale deriva da un modo di pensare.
Tutti noi, abbiamo una politica comportamentale in tutti gli ambiti.
Vediamo altri esempi. Parlando di calcio, un allenatore potrebbe dire, dopo una sconfitta:
Sono veramente amareggiato dopo questa sconfitta ma continuo a non guardare la classifica, perché non fa parte della mia politica di tecnico. Preferisco pensare al prossimo avversario.
Non appartiene alla politica di Mario lamentarsi, anche se ultimamente gli sono accadute un sacco di disgrazie
La mia politica in cucina è quella di pulire subito dopo che ho usato ogni ingrediente
La mia politica è di contare sempre fino a cinque quando qualcuno mi fa arrabbiare
Vedete allora che possiamo usare questo “ingrediente” – passatemi il termine – per arricchire la nostra conversazione in ogni aspetto, quando parliamo del nostro personale modo di fare, del nostro abituale comportamento. Spesso c’è, alla base, un convincimento (ad esempio, l’ordine e la pulizia sono importanti per me se la mia politica in cucina è di pulire subito), un’idea, di una regola, dunque si tratta sempre di un insieme di comportamenti tutti conformi a un’idea di base che guida le azioni.
La nostra politica a tavola è che “non si butta niente”, quindi ognuno deve finire il proprio piatto
La giusta politica da adottare per un uomo politico dovrebbe essere quella dell’onestà sempre e ad ogni costo.
Qual è la giusta politica da mettere in atto per gestire il riscaldamento globale?
La politica da perseguire è quella della riduzione dell’inquinamento e della salvaguardia delle risorse.
Ai miei figli dico sempre: non vi è consentito rientrare a casa dopo mezzanotte. Questa è la politica personale mia e di mia moglie e ed è applicata rigorosamente.
Bene, adesso vediamo il ripasso, perché come sapete la politica adottata all’interno degli episodi di “due minuti con Italiano Semplicemente” è questa: imparare qualcosa di nuovo e ripassare qualche episodio passato.
Ulrike: sai, con la politica italiana vi è qualcosa che non mi torna, anzi mi va proprio di traverso. Sembra che la politica sia come un gioco di carte truccato. Ed è possibile mai, che tutti sappiano che le carte sono false, ma continuino a giocare lo stesso?
Danielle: Ma sapete cosa mi manda ai matti? Che gli italiani sono sempre di diverso avvisosu tutto! Come se fossero tifosi di due squadre di calciorivali.
E’ possibile leggere ed ascoltare e/o scaricare il file audio di questo episodio in formato MP3 tramitel’audiolibro (+Kindle) in vendita su Amazon, che contiene in tutto 54 espressioni italiane e 24 ore di ascolto.
Trascizione
Buongiorno ragazzi, amici appassionati ed entusiasti della lingua italiana.
Immagino che tutti voi abbiate l’abitudine di ascoltare o leggere gli episodi di Italiano Semplicemente; bene, allora se ne parlate con qualcuno, dovreste essere in grado di saper comunicare, esprimere questo fatto.
Come potreste fare?
Come fare per dire a qualcuno, ad un amico ad esempio che voi avete questa abitudine?
Questa puntata di Italiano Semplicemente è dedicata proprio a questo: le abitudini.
Cosa sono le abitudini e quanti modi esistono di esprimere una abitudine?
Se leggiamo il dizionario italiano, si parla di tendenza alla continuazione o ripetizione di un determinato comportamento, collegabile a fattori naturali o acquisiti e riconducibile al concetto di consuetudine o di assuefazione.
Una frase non immediatamente comprensibile, almeno non per tutti gli stranieri.
Allora spieghiamo bene:
Quindi l’abitudine è una tendenza alla continuazione o alla ripetizione di un comportamento.
Voi avete l’abitudine di studiare italiano, quindi studiate l’italiano con continuazione, con una certa continuità, costantemente, posso anche dire. Fare una cosa con continuità o costantemente o con continuazione significa non fare interruzioni significative. Un’abitudine quindi è qualcosa che fate tutti i giorni o quasi, qualcosa a cui siete abituati. Spesso si tratta di qualcosa a cui non fate più troppa attenzione, perché ormai è diventata un’abitudine. Attenzione perché la preposizione che usate qui è importante:
“con continuazione” è diverso da “in continuazione”. In continuazione infatti si utilizza spesso in frasi dove non si è d’accordo.
Ad esempio:
Giovanni rompe le scatole in continuazione!
Francesca mi chiama in continuazione al telefono!
Marco fa errori in continuazione con l’italiano!
Ho detto quasi sempre perché possiamo anche usare “in continuazione” per sottolineare la costanza:
mio figlio studia in continuazione, mia madre ci aiuta in continuazione
Eccetera.
“In continuazione” equivale a “continuamente“.
Invece “con continuazione” si utilizza in contesti positivi, neutri e in ambito lavorativo:
La polizia controlla il quartiere con continuazione
Poi esiste anche “in continuità“. In continuità si utilizza quando qualcosa, spesso si tratta di una attività, prosegue nello spazio e nel tempo. Si tratta anche in questo caso di una abitudine, ma si usa in contesti più formali, per indicare il proseguimento di una attività, spesso di un gruppo di persone. Altre volte di una tendenza. Si usa molto nella politica anche:
In continuità con lo scorso trimestre, le vendite sono aumentate.
Questo significa che le vendite continuano ad aumentare, aumentano in questo trimestre così come erano aumentate lo scorso trimestre.
Il nuovo Governo gestirà la politica economica in continuità col passato.
Questo vuol dire che c’è continuità di azione politica nell’economia nonostante il governo sia cambiato. C’è continuità nella direzione. Non si tratta di una vera abitudine, perché sono soggetti diversi che agiscono.
Quindi attenzione perché “con continuità” è diverso da “in continuazione”, “continuamente” e “in continuità”.
Quindi questi primi esempi ci fanno notare che non è detto che un’abitudine sia una nostra azione; potrei ad esempio essere abituato a vedere elefanti in giardino.
Per chi non è abituato può essere una cosa scioccante, ma per chi ormai ci ha fatto l’abitudine non ci fa più neanche caso. E’ diventato normale ormai vedere proboscidi ed impronte giganti nel vostro giardino, è normale veder giocare il cane con un elefante.
Fare l’abitudine a qualcosa è il modo che si utilizza solitamente quando ci abituiamo a qualcosa. Abituarsi equivale quindi a farci l’abitudine:
Mi sono abituato a vedere elefanti in giardino: ho fatto l’abitudine a vedere elefanti in giardino.
Vediamo altri termini:
L’abitudine è, come abbiamo detto prima, una consuetudine, inoltre abbiamo anche nominato l’assuefazione. Due termini particolari: consuetudine ed assuefazione (ripeti).
Cominciamo dalla consuetudine: è un sinonimo di abitudine?
Possiamo dire di sì, ma si usa in modo diverso e spesso in contesti diversi:
La consuetudine è un modo costante di procedere o di operare. Vedete che sembra che la parola sia più legata a cose operative, a procedimenti, procedure. Si tratta di un linguaggio quindi anche poco legato alla singola persona, non tanto legato a dei comportamenti individuali, ma a delle modalità di procedere, delle modalità generiche, che magari riguardano il modo di fare in una azienda, al lavoro, svincolate quindi dalla singola persona.
Possiamo parlare di una abitudine, certo, ma non posso usare la parola consuetudine in contesti molto informali:
Ho l’abitudine di accompagnare mio figlio a scuola tutte le mattine.
Hai la cattiva abitudine di disturbarmi mentre dormo
Come buona abitudine Marco va a correre tutti i santi giorni
Ecco, in queste circostanze, di esempi personali, la parola consuetudine non si usa. Avere una abitudine, buona o cattiva che sia, è una cosa personale, benché la parola abitudine si possa usare anche in modo generale, tipo:
Come abitudine è bene non mangiare mai troppo (ripeti)
La parola consuetudine si usa invece come una specie di procedimento rituale, come quasi una tradizione. Ad esempio potete dire che:
In Italia è consuetudine addobbare l’albero di Natale qualche giorno prima di Natale
Vedete? Ho usato “è consuetudine“. Non c’è nessuno in particolare che ha una consuetudine, ma parliamo degli italiani in generale. Non posso dire “ho una consuetudine“, perché si usa il verbo essere ma alla terza persona, in modo che il riferimento sia spersonalizzato: è consuetudine, che equivale a “è abitudine” o “d’abitudine”.
D’abitudine l’albero di Natale si addobba qualche giorno prima
E’ abitudine mangiare l’uovo di Pasqua durante le festività pasquali
Domanda: Mangiate spesso la pasta in famiglia in Italia?
Risposta: Sì, per noi è una abitudine, lo facciamo d’abitudine, è consuetudine mangiare pasta quasi tutti i giorni per tutti gli italiani.
Si parla spesso di una abitudine consolidata, o di una consuetudine consolidata:
Come consuetudine consolidata, da quando sono nato, amo vedere i campionati di calcio alla TV.
Un’abitudine o una consuetudine consolidata è quindi una specie di rituale, una cosa che si ripete ogni anno, ogni mese, oppure in certe occasioni che si ripetono ogni determinato periodo di tempo.
Posso anche dire: “come di consueto” (ripeti)
Come di consueto, ogni anno la scuola in Italia inizia intorno alla metà del mese di settembre.
Dal lunedì al venerdì, come di consueto, mi alzo alle sette per andare al lavoro.
La frase “come di consueto” si usa quindi anche in modo informale per indicare delle attività quotidiane o ripetitive, che avvengono sempre nello stesso modo, a differenza della consuetudine, che più frequentemente indica, come detto, delle procedure generali.
Potete comunque usare “come consuetudine“, o “come abitudine” al posto di “come di consueto”, benché le abitudini siano più personali e di uso quotidiano.
Ho parlato anche di assuefazione all’inizio.
Assuefazione: questa parola è simile all’abitudine, ma ne sottolinea un aspetto particolare. Infatti l’assuefazione è sì, una abitudine, ma nel senso di un adattamento a qualcosa. Adattarsi, assuefarsi a qualcosa è diverso da abituarsi. Adattarsi a condizioni di vita particolari ad esempio, proprie di un dato ambiente. Posso quindi parlare di assuefazione quando c’è una situazione che perdura per tanto tempo, tanto tempo che sembra sia sempre esistita e non ci fa più provare le emozioni iniziali, positive o negative che siano.
Non si tratta quindi di qualcosa che si ripete, ma di una condizione che dura molto tempo, alla quale facciamo l’abitudine, alla quale ci si abitua. Questa è l’assuefazione: qualcosa a cui ci si assuefà, ci si abitua.
Posso dire ad esempio:
Alla bellezza ci si assuefà, alle ingiustizie meno
Questo vuol dire che quando una persona è bella, all’inizio è eccitante; è sempre comunque bello, intendiamoci, ma col passare del tempo lo consideriamo normale. Invece alle ingiustizie viene sempre una certa rabbia, difficile assuefarsi, abituarsi alle ingiustizie. Infatti l’assuefazione implica una diminuzione delle sensazioni associate.
L’assuefazione è un termine che si usa molto in medicina: si dice che una medicina, un farmaco, può creare assuefazione. Questo significa che l’assuefazione è uno stato che viene raggiunto dall’organismo quando la somministrazione continua di un farmaco ne diminuisce, o addirittura ne annulla, l’efficacia. In pratica l’organismo, il corpo umano si assuefà al farmaco. Si parla di assuefazione dell’organismo alla droga ad esempio. Ma anche al di fuori della Medicina ci si può assuefare a qualcosa. Ovviamente rimane nel termine quel senso di abituarsi a qualcosa con delle conseguenze negative.
Ci si può assuefare ad un lavoro squallido, un po’ meno ci si assuefà ad una vita senza soddisfazioni. Ci si può assuefare a vivere o a lavorare con una persona antipatica, che all’inizio non riuscivamo a sopportare. Ci si assuefà generalmente ai problemi quindi, o alle medicine, e talvolta si usa anche con le cose positive come la bellezza: difficilmente l’assuefazione riguarda le cose belle e piacevoli in generale, resta comunque un termine più simile all’adattamento che all’abitudine.
Vediamo un altro termine: tradizione.
Il termine “tradizione” è abbastanza simile all’abitudine. Ugualmente la parola “costume” e “usanza“.
Cominciamo dalla tradizione. Questa parola deriva dal latino e significa “trasmissione”, “consegna”. Strano…
Questo però ci aiuta molto a capire che qui c’è di mezzo la storia e le generazioni che si susseguono una dopo l’altra. Si tratta quindi di un tipo di abitudine, ma le tradizioni sono le abitudini che vengono trasmesse, consegnate, da una generazione all’altra, da padre in figlio. Ecco l’origine latina di trasmissione e consegna. Una tradizione si consegna ai figli, alle generazioni future, si trasmette. Non solo le malattie si trasmettono, e non solo i segnali o le informazioni si trasmettono. Anche le tradizioni si possono trasmettere, consegnare, quasi fossero un pacco di Amazon…
In questo caso possiamo parlare anche di “costumi“, intesi non come vestiti da indossare a Carnevale ma comportamenti, usanze, abitudini, appunto, di un popolo però.
“L’insieme degli usi e costumi che sono trasmessi da una generazione all’altra”. Queste sono le tradizioni. Quei modi di fare che diventano poi regole.
Ad esempio:
E’ tradizione nella mia famiglia mangiare il panettone a Natale (ripeti)
Era tradizione nel popolo dei Greci considerare come eroi i morti in battaglia (ripeti)
Le tradizioni quindi sono un’abitudine che si tramanda da generazione in generazione. Tramandare è in effetti più adatto come verbo di trasmettere e consegnare, perché l’idea è che ci sia un passaggio continuo, mai interrotto da padre in figlio. Sono poche le cose che si possono tramandare: le tradizioni e i costumi si possono tramandare, trasmettere nel tempo, attraverso le generazioni.
Si può tramandare la memoria di un fatto avvenuto nel passato; le usanze che si tramandano da secoli.
Per tornare alle tradizioni, una cosa tradizionale quindi non è esattamente un’abitudine, perché riguarda il costume di un popolo o di una famiglia. Le tradizioni sono qualcosa da rispettare, qualcosa a cui ci si attiene. Qualcosa cui attenersi, cioè che bisogna rispettare.
Anche il verbo attenersi è interessante.
Ci si attiene normalmente alle regole, ad una guida, alla legge: quindi, se si usa anche con le tradizioni questo ci fa capire quanto siano importanti le tradizioni, quanto sia importante distinguere una tradizione da una semplice abitudine.
Se poi una abitudine si perde, una tradizione si rompe. Quando non c’è più una abitudine si usa il verbo “perdere“:
Ho perso l’abitudine di correre tutte le mattine (ripeti)
Invece con le tradizioni si usa il verbo “rompere” (a volte interrompere)
La tradizione di famiglia di battezzare i propri figli è stata rotta (o interrotta)
Si usano verbi diversi proprio per sottolineare la differenza tra le parole.
Una rottura è più drastica, indica qualcosa di sbagliato e una situazione da cui non si torna indietro. Ciò che si perde invece, come le abitudini, sottolinea di più un cambiamento di comportamento, senza troppa negatività; in fondo si può perdere anche una cattiva abitudine, come quella di fumare. A volte comunque potete anche ascoltare rompere o interrompere un’abitudine.
Le consuetudini invece sono più legate ai processi come ho detto prima; è un termine che si usa anche al lavoro, ma non è legato alle emozioni ed ai popoli, come le tradizioni.
Usanza è un altro termine interessante. Difficile spiegare la differenza rispetto a “tradizione”. Tradizione probabilmente è più solenne, più importante come termine. Una usanza, lo dice anche la parola, è qualcosa che si “usa” fare. Una usanza è però in genere una cosa che accade periodicamente, un avvenimento abituale di vita pubblica o privata. Una usanza è un avvenimento che avviene “solitamente” in certe occasioni. Qualcosa che avviene “di solito” in certi periodi di tempo. Molto spesso si tratta di avvenimenti periodici, ma non è detto.
E’ una usanza del nostro paese dare il benvenuto ai nuovi cittadini
E’ una usanza della nostra famiglia festeggiare due volte ogni compleanno
E’ una usanza tipicamente italiana darsi due baci ogni volta che ci si saluta, uno per ogni guancia, una volta a destra e una volta a sinistra.
Non sempre però si tratta di usanze periodiche o nazionali: Esistono infatti le “usanze primitive”, le “usanze barbariche”, per indicare ciò che è in uso (o che era in uso) in certi periodi o in certi paesi
Paese che vai usanza che trovi
Questo è un proverbio che ci dice che in ogni luogo o paese ci sono delle usanze tipiche, delle abitudini, delle tradizioni popolari: Paese che vai usanza che trovi.
In ogni paese in cui si va si trovano delle usanze caratteristiche.
Se cambiamo ambiente adesso e passiamo al lavoro, l’usanza diventa la “prassi“, una parola che al lavoro si usa moltissimo. La prassi è una abitudine, una linea di comportamento nell’ambito di una consuetudine amministrativa, giudiziaria, professionale. La vediamo meglio in una prossima lezione di Italiano Professionale, dedicata ai membri dell’Associazione Italiano Semplicemente.
Bene ragazzi, ora che siamo alla fine di questa puntata vorrei dirvi parole più semplici, che probabilmente sapete già utilizzare.
Per esprimere una abitudine infatti, nel linguaggio quotidiano, si usano alcune frasi come:
Spesso, molto spesso, di sovente, soventemente, di frequente, frequentemente, molto frequentemente, ripetutamente, con una certa frequenza.
Questi avverbi si usano tutti allo stesso modo; alcuni sono più formali e ricercati, altri si usano in contesti particolari.
Vi faccio quindi alcuni esempi significativi che vi aiuteranno a capire e che vi invito a ripetere, poi terminiamo l’episodio di oggi.
Spesso mi dimentico di telefonare a mia moglie
Mi capita molto spesso di parlare in inglese
Il governo del mio paese prende di sovente decisioni sbagliate
Soventemente ricevo messaggi su Facebook
Chi beve molto fa la pipi frequentemente
Mi collego ad internet molto frequentemente
La ragazza è stata insultata ripetutamente
Gli incidenti sul lavoro in Italia si verificano con una certa frequenza
Ciao ragazzi, vi saluto e mi auguro continuiate ad ascoltare gli episodi di Italiano Semplicemente con una certa continuità, in questo modo migliorerete il vostro livello di italiano senza studiare soltanto la grammatica (come avviene molto spesso tra gli studenti).
Per chi non ascolta soventemente l’apprendimento sarà più lento. Vi consiglio pertanto di fare dell’ascolto un’abitudine, una routine quotidiana, una consuetudineconsuetudine.
Routine, questo è un altro termine interessante: è una abitudine lentamente acquisita per mezzo della pratica e della esperienza.