L’abbiamo trattata qualche giorno fa ma per chiarire maggiormente il concetto di connubioparliamo oggi del coacervo. Termine simile ma fino ad un certo punto.
“Coacervo” e “connubio” infatti non sono parole direttamente legate etimologicamente, ma hanno un collegamento concettuale nel senso di unione o fusione di elementi.
Coacervo deriva dal latino coacervus, formato da co- (insieme) e acervus (mucchio, ammasso, accozzaglia), che significa ammassare, accumulare, mettere insieme cose diverse. È un termine letterario e poco usato oggi, quantomeno nel linguaggio quotidiano, ma può indicare un’accumulazione disordinata o un insieme di elementi diversi raccolti insieme. La parola accozzaglia, che come ho detto, somiglia molto a coacervo, l’abbiamo già trattata, e direi che è decisamente più informale e si usa solo in senso dispregiativo.
Connubioinvece, come abbiamo visto indica un’unione armoniosa, spesso riferita a matrimoni, ma anche a combinazioni tra idee, elementi culturali, artistici, ecc.
Entrambe le parole esprimono l’idea di unire o mettere insieme qualcosa, ma coacervo evidenzia più l’aspetto quantitativo e caotico dell’accumulo.
Connubio sottolinea invece un’unione equilibrata e armoniosa.
Ecco un esempio per distinguere i due concetti:
La sua opera è un coacervo di influenze letterarie di epoche diverse” (fusione forse disordinata).
Il romanzo è un perfetto connubio tra realismo e fantasia” (unione armoniosa).
Altri esempi con coacervo:
Il romanzo stimola un coacervo di emozioni contrastanti, in cui la gioia si mescola continuamente alla malinconia.
La mostra d’arte sembrava un coacervo di stili e tecniche, senza un filo conduttore evidente.
Quel saggio filosofico è un coacervo di citazioni dotte, riflessioni personali e teorie poco connesse tra loro.
Il mercato rionale è un coacervo di colori, profumi e suoni che affascinano chiunque vi passeggi.
Il discorso del politico era un coacervo di promesse vaghe e dichiarazioni contraddittorie.
In tutti questi casi, “coacervo” indica un insieme eterogeneo e spesso confuso di elementi diversi, proprio come i membri dell’associazione Italiano Semplicemente, che rappresentano un coacervo di culture e di intelligenze diverse da tutto il mondo, con una passione comune però: l’Italia.
Marcelo: Ciao amici, come state! Vorrei conoscere la vostra opinione sulla nuova rubrica “accadde il”, che fin dal primo giorno dell’anno ci fa compagnia.
Estelle: molto interessante! È un connubio perfetto tra storia e lingua.
Camille: Sono d’accordo, ma per me è un imperativo categoricoleggere e fare subito pratica con le nuove parole. Devo tenere duro per stare al passo. Quando non ci riesco mi sento frustrato.
Julien: Devo dire la mia! Fare tutti i giorni episodi per gli associati non è facile! Gianni deve metterci tutto se stesso per farlo, e noi non possiamo fare altro che ringraziarlo e spronarlo a continuare così!
Estelle: su questo tutti siamo d’accordo. I nostri pensieri combacianoalla perfezione!
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Oggi parliamo del connubio, parola molto elegante direi!
Nel mondo delle relazioni, del gusto e dello stile, questa parola eleva ogni accostamento a un livello superiore: connubio.
Elegante e raffinata, descrive un’unione così ben riuscita da sembrare quasi inevitabile. In un episodio abbiamo parlato, proprio adesso mi viene in mente, dell’espressione “la morte sua“. Questa è un’espressione molto informale, ma rappresenta un connubio perfetto, circoscritta prevalentemente al mondo dei sapori però. Se usiamo il termine connubio possiamo allargare il campo.
Pensiamo a una coppia iconica: Sinner e il tennis, un connubio di classe ed eleganza in movimento. Non pensavo solo al “campo” da tennis però.
Pensiamo alla moda, dove il connubio tra il nero e il bianco è da sempre simbolo di stile senza tempo.
E che dire del connubio perfetto tra caffè e cornetto, il rituale irrinunciabile delle mattine italiane?
Gli stranieri generalmente spesso usano parole più semplici per esprimere un concetto simile: unione o combinazione o anche fusione.
Ma nessuna di queste parole ha il fascino e la musicalità del nostro “connubio“.
D’altronde, l’Italia è la patria dell’armonia, e quando due elementi si incontrano alla perfezione, non è mai un semplice accostamento… è un vero e proprio connubio da sogno!
Proviamo allora ad articolare dei ragionamenti usando parole simili. Magari così facendo vi resta più in mente questa bella parola che non vorrei dimenticaste.
Ad esempio, il connubio tra tradizione e innovazione è spesso alla base dei grandi cambiamenti nella storia dell’umanità.
Pensiamo, ad esempio, a come l’unione tra arte e tecnologia abbia dato vita a capolavori senza tempo, o a come la fusione di culture diverse abbia arricchito intere civiltà.
Questo legame tra elementi apparentemente distanti, come passato e futuro, può creare un’alleanza potente, capace di superare ogni barriera.
In natura, la simbiosi tra specie diverse ci insegna che la collaborazione è spesso la chiave per la sopravvivenza.
Allo stesso modo, nella vita di ogni giorno, la congiunzione di idee e punti di vista diversi può portare a soluzioni inaspettate e rivoluzionarie.
Anche il matrimonio tra opposti, quando ben equilibrato, è sempre una fonte di crescita e progresso.
E così, sottolineo ancora una volta come il connubio sia molto più di una semplice combinazione, miscela, unione, matrimonio, legame, congiunzione, simbiosi, fusione: è un’armonia perfetta, un legame così naturale da sembrare scritto nel destino.
E se venite in Italia, approfittatene per usare questa parola nei contesti giusti!
Ad esempio, quando assaporate una pizza con mozzarella di bufala e pomodoro San Marzano, potreste dire: “Che connubio perfetto di sapori!”.
Il cameriere rimarrà senza fiato!
Oppure, davanti a un tramonto su Ponte Vecchio a Firenze, potreste esclamare: “Il connubio tra arte e paesaggio qui è qualcosa di unico!”.
E non dimenticate di osservare il connubio tra storia e modernità nelle nostre città: il connubio tra bellezza, cultura e gusto è qualcosa che si respira ovunque: passeggiare tra i vicoli di Roma, Milano o Napoli significa vedere il passato e il presente intrecciarsi in un equilibrio affascinante.
Notate che si preferisce usare la preposizione “tra” o “fra” quando si parla di connubio. Si preferisce rispetto alla preposizione “di” come si fa più facilmente invece usando le parole “unione” o “fusione“. Perché?
“Connubio” deriva dal latino connubium, che deriva dal matrimonio, un’unione legittima. Si riferisce quindi a un legame tra due elementi distinti che si combinano in modo armonioso. L’armonia è la parola chiave.
Per questo motivo, quando si usa connubio, si deve evidenziare il rapporto tra due entità diverse, di diversa natura, e la preposizione tra/fra è quella che meglio esprime questa relazione. Vale lo stesso per il matrimonio.
Quindi, parliamo ad esempio di unione di acqua e farina per fare la pizza, e acqua e farina sono mescolate per creare un impasto. Oppure parliamo di fusione di due comuni italiani o della fusione di due unità immobiliari, dove le entità originarie si fondono in una sola. ma, nel caso del connubio, ad esempio l tra tradizione e modernità, questo è un mix armonioso tra due elementi distinti. Si mantiene l’identità di entrambe, creando però un’armonia tra loro.
In definitiva, possiamo dire che connubio si usa quando i due elementi restano distinti ma si esaltano a vicenda, mentre unione e fusione indicano più un’aggregazione o una trasformazione in qualcosa di nuovo.
Adesso parlatemi di un connubio particolare che caratterizza il vostro paese.
Marcelo: La mia Argentina è nata da un connubio tra le culture europee e quelle sudamericane, e questo si manifesta nell’arte, nella musica, nella danza, negli sport e nella lingua, così come si riflette nel Lunfardo (per la cronaca, il Lunfardo è un gergo originario di Buenos Aires) e nel particolare modo di parlare lo spagnolo, diverso da quello che si parla nel resto dell’America! Sfidochicchessiaa mettere in dubbio che questo connubio abbia arricchito la nostra società e dato origine a un’identità nuova e accattivante!
Marcelo: Yo me encargo! Podría chamuyar un cacho en lunfa, pero capaz que no entienden un joraca. (traduzione: ci penso io! Potrei certamente parlare un po’ il lunfardo, ma voi capace che non capireste niente)
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Parliamo delle espressioni idiomatiche che riguardano la condivisione e l’unione
Hablamos de expresiones idiomáticas referentes a Compartir y fusionar
Abordons les expressions idiomatiques concernant le partage et l’union
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نحن نتحدث عن العبارات الإصطلاحية التي تتعلق بالتقاسم و الإتحاد
Мы говорим о идиоматических выражений, которые касаются совместного использования и объединения
Wir sprechen über Redewendungen betreffend Verbindungen und Gemeinsamkeiten in der Arbeitswelt.
Μιλάμε για ιδιωματικές εκφράσεις που σχετίζονται με την ανταλλαγή και την ένωση
Vi vil tale om sproglige udtryk der handler om enighed og organisering.
Trascrizione
Prima parte – Introduzione
Benvenuti alla lezione numero 12, dedicata alla condivisione ed all’unione.
In questa lezione, importantissima in ambito lavorativo, vediamo le espressioni più utilizzate, in ogni tipologia di lavoro, dal più umile al più professionale, che riguardano il gruppo. In particolare vediamo le espressioni che si riferiscono all’unione di persone, di interessi, di attività ma anche all’unione di sogni ed emozioni, tutti aspetti che occupano un posto di primo piano in ambito lavorativo.
Come diceva il poeta latino Omero, “Lieve è l’oprar se in molti è condiviso”, vale a dire che operare, cioè lavorare, pesa meno, è meno pesante, cioè è lieve, è leggero, se tale lavoro è condiviso, se cioè il lavoro è frutto di un lavoro di gruppo, se lo condividiamo con qualcun altro.
Fino ad ora, dalla corso della sezione n.1, la prima del corso di Italiano Professionale, abbiamo esplorato quasi tutti gli aspetti che riguardano la vita professionale, da come esprimere le proprie professionalità (nel corso della prima lezione), alla sintesi, dall’approssimazione alla puntualità, la sincerità, il controllo, il denaro, i risultati ed i problemi, per finire con i rischi e le opportunità, argomento quest’ultimo che è stato oggetto della scorsa lezione, la numero 11.
Questa lezione, dedicata all’unione ed alla condivisione, è probabilmente quella che più delle altre affronta un argomento trasversale a tutti i lavori, vale a dire un aspetto talmente importante che è veramente difficile trovare, ammesso che esista, una attività lavorativa che non abbia bisogno di contatti umani e relazioni sociali.
Gli ambiti lavorativi ai quali la lezione si riferisce, in particolare, sono quelli della trattativa d’affari e quello delle relazioni interne.
Ci occuperemo più avanti nel corso, nei capitoli che seguiranno, dei singoli aspetti. Ad esempio nella sezione numero tre del corso, dedicata alle riunioni ed agli incontri di lavoro faremo un approfondimento su tutti i termini che si possono utilizzare per indicare un gruppo di persone. Ci sono dei termini che danno un’immagine positiva ed altri che ne danno una negativa, a volte anche molto negativa, di un gruppo di persone. Vedremo quindi il “gruppo di lavoro”, la “compagine”, la “società”, eccetera. Si tratta della prima lezione della terza sezione, che si preannuncia molto interessante.
Ma entriamo subito nel vivo di questa lezione numero dodici. Anche questa sarà suddivisa in tre parti, come la precedente, per facilitare al massimo l’ascolto e la lettura.
Nel corso della prima parte tratteremo tutte le espressioni “negative”, vale a dire quelle che non danno una immagine positiva di un gruppo, che non aiutano la condivisione e che danno quindi un’immagine negativa di un’azienda o comunque di un gruppo di persone che lavorano insieme.
Nella seconda parte vediamo invece le frasi cosiddette “positive” e poi quelle che possiamo definire “neutre”, la cui valenza e significato dipendono molto dal contesto e dal tono con cui vengono pronunciate. Nella seconda parte vedremo anche i rischi nella pronuncia e nell’utilizzo di queste frasi.
Infine nella terza ed ultima parte faremo un esercizio di ripetizione, con domande e risposte. Io farò delle domande e voi potete provare a rispondere. Poi ascolterete una delle possibili risposte. Ovviamente le domande avranno come oggetto le espressioni spiegate nel corso della lezione.
2. L’armata Brancaleone e l’Attrazione Fatale
Abbiamo detto che iniziamo dalle espressioni negative.
Quali sono dunque le caratteristiche negative di un gruppo? Di primo acchitto verrebbe da pensare a problemi di organizzazione ed efficienza. Insomma, se un gruppo è un cattivo gruppo allora vuol dire che funziona male, vuol dire che il gruppo non funziona come dovrebbe perché manca una organizzazione e c’è un problema di efficienza; poi possiamo aggiungere che le persone che ne fanno parte sono male assortite.
Ebbene, quando un gruppo di persone ha queste caratteristiche negative possiamo chiamarlo l’armata Brancaleone.
L’espressione viene dal titolo di un grande film italiano, un film comico del 1966. Un film di Mario Monicelli, che è quindi il regista.
Protagonista di questo film, ambientato nel Medioevo è appunto, un gruppo, un gruppo di briganti, il cui capo era un certo Brancaleone da Norcia interpretato da Vittorio Gassman, grande attore italiano.
Ebbene, questo gruppo di briganti, cioè di banditi, di disonesti, di persone fuorilegge, era un gruppo di persone completamente disorganizzato, che hanno moltissimi problemi, disorganizzati e che non hanno molte cose in comune tra loro.
Questa tipologia di gruppo, con queste caratteristiche la potete sempre chiamare l’Armata Brancaleone. Si chiama armata perché questo è il nome che si dà ad un gruppo armato di persone, generalmente in un esercito. È una frase molto usata in Italia ed è ovviamente molto negativa.
Se il vostro gruppo viene etichettato con questo nome, non è sicuramente un bel segnale! L’Armata Brancaleone non è però l’unica espressione che deriva da un film in senso negativo.
Considerato che stiamo parlando di espressioni negative, ce n’è un’altra altrettanto negativa: “Attrazione fatale”, che viene dal film del 1987 dal titolo Fatal Attraction. Se usiamo questa espressione vogliamo rappresentare una situazione in cui, in ambito sentimentale o anche in ambito lavorativo, una iniziale attrazione si è alla fine dimostrata “fatale”. Un’attrazione iniziale, che può essere quell’attrazione che ha portato più persone a formare un gruppo, alla fine è risultata negativa, anzi, fatale, il che significa che c’era di mezzo il fato. Il fato è il destino, e ciò che è fatale è prescritto dal destino; inevitabile, ineluttabile.
Un’attrazione fatale però ha un significato negativo, infatti fatale significa anche mortale, che porta alla morte, o comunque disastrosa. Se un’attrazione è fatale allora significa che l’unione di più persone si è dimostrata molto negativa, fatale, ha cioè portato conseguenze drammatiche per il membri del gruppo.
3. Meglio soli che male accompagnati
Passiamo alla terza espressione della lezione. Eravamo rimasti ai gruppi che non funzionano, alle Armate Brancaleone ad esempio. Ebbene, se si è dell’opinione che un gruppo sia un’Armata Brancaleone, allora si potrebbe pensare: meglio non formare un gruppo. In tali casi si dice spesso: “meglio soli che male accompagnati”.
È questa una frase che è più un proverbio che una frase idiomatica. Il senso è chiaro: meglio soli, cioè meglio non fare nessun gruppo, meglio non unirsi con nessuno piuttosto che accompagnarsi male.
Essere accompagnati significa avere compagnia, cioè avere qualcuno vicino. Essere “male accompagnati” quindi vuol dire essere “accompagnati male”, cioè avere una cattiva compagnia. Quindi meglio essere soli in questo caso: meglio soli che male accompagnati, frase utilizzata dappertutto e da chiunque in Italia, in ogni contesto in cui ci sia un gruppo che non funzioni bene.
4. Fare di tutta l’erba un fascio
Chi è che può dire la frase meglio soli che male accompagnati?
Ad esempio lo può dire una persona che ha capito che le persone che lo circondano non sono persone affidabili secondo lui, persone delle quali quindi lui non si fida.
Qualcuno potrebbe obiettare e dire: non fare di tutta l’erba un fascio! Non devi fare di tutta l’erba un fascio! Il che significa semplicemente: non tutte le persone sono uguali.
Anche questa è una frase fatta usata da tutti in Italia. Ma cosa vuol dire? Da dove viene questa frase?
Questa frase parla di erba, che cresce nel prato, e del fascio, che è un mazzo, un gruppo di erbe raccolte. L’origine è legata evidentemente al mondo contadino. A terra, come sapete, crescono piante buone e piante meno buone, e durante la raccolta nei campi, si poteva scegliere di raccogliere tutta l’erba assieme, oppure raccogliere solamente quella buona, lasciando le erbacce.
Era evidente che non conveniva, non era conveniente, raccogliere tutte le erbe in un unico mazzo, tutte assieme, senza fare una selezione tra quelle buone e quelle cattive. Col termine fascio si indica quindi un mazzo, un insieme di erbe, un gruppo di erbe, raccolte tutte assieme, senza fare attenzione se le erbe raccolte siano buone o cattive.
La stessa cosa può avvenire con le persone: in ogni gruppo ci sono persone positive, persone in gamba, adatte a lavorare insieme ad altre, e persone che invece non sono adatte, sono persone diciamo “negative”, professionalmente poco valide, non adatte a lavorare in gruppo. Ebbene, chi dice: no, non voglio lavorare con queste persone, non voglio lavorare con questo gruppo, sta facendo di tutta l’erba un fascio. Questa persona non sta distinguendo le persone positive da quelle negative, ma le considera tutte uguali, dicendo; meglio soli che male accompagnati. Questa persona fa di tutta l’erba un fascio, cioè fa un solo fascio, un solo mazzo, non distingue, fa un solo fascio di tutte queste persone, le considera come tutte uguali, come un unico fascio d’erba.
5. Chi c’è c’è (e chi non c’è non c’è)
Vediamo la quinta espressione della lezione, che è poi l’ultima espressione della prima parte della lezione.
Quando si decide di far parte di un gruppo, non è detto che tutti siano d’accordo. Solitamente diverse persone hanno diversi gradi di entusiasmo. Qualcuno allora potrebbe dire: ok, d’accordo, formiamo il gruppo, sono contento. Qualcun altro invece potrebbe non essere d’accordo: “beh, un momento, fatemici pensare, non so se voglio appartenere a questo gruppo, ho bisogno ancora di tempo”.
A questo punto, se il gruppo nasce per qualche motivo specifico e non c’è più tempo da perdere, allora una persona del gruppo, una di quelle persone che è entusiasta di formare il gruppo potrebbe dire:
Sapete cosa vi dico? “Chi c’è c’è e chi non c’è non c’è”.
Si tratta di un’espressione chiaramente colloquiale, adatta al linguaggio parlato ma non a quello scritto. Chi c’è c’è e chi non c’è non c’è significa: “basta, non c’è più tempo, chi ha deciso di appartenere al gruppo fa parte del gruppo, e chi invece non ha deciso ancora sta fuori dal gruppo. Più brevemente: Chi c’è c’è e chi non c’è non c’è.
Perché questa è un’espressione negativa? La risposta è che si tratta di una delle espressioni che non evidenziano sicuramente un aspetto positivo del gruppo, ma piuttosto il fatto che esistono due diverse opinioni, due gruppi che non si uniscono tra loro, perché hanno idee diverse. Il meglio sarebbe essere tutti d’accordo, e se siamo in un’azienda e non tutti condividono gli obiettivi aziendali, questo è un bel problema. Diversa è la situazione di un gruppo di persone che si mettono insieme per formare un gruppo motivato e unito. In questo caso è bene e giusto fare una selezione e escludere sin dall’inizio chi non è abbastanza convinto.
Non sempre quindi dividere è sbagliato e negativo.
Bene, finisce qui la prima parte della lezione n. 12. Nella seconda parte vedremo le espressioni neutre e quelle positive, tra cui alcune idiomatiche, come ad esempio “spezzare una lancia a favore di qualcuno”, “chi fa da se fa per tre“, ma anche molte altre espressioni più professionali e meno colloquiali.
Parliamo delle espressioni idiomatiche che riguardano la condivisione e l’unione
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نحن نتحدث عن العبارات الإصطلاحية التي تتعلق بالتقاسم و الإتحاد
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Trascrizione
Prima parte – Introduzione
Benvenuti alla lezione numero 12, dedicata alla condivisione ed all’unione.
In questa lezione, importantissima in ambito lavorativo, vediamo le espressioni più utilizzate, in ogni tipologia di lavoro, dal più umile al più professionale, che riguardano il gruppo. In particolare vediamo le espressioni che si riferiscono all’unione di persone, di interessi, di attività ma anche all’unione di sogni ed emozioni, tutti aspetti che occupano un posto di primo piano in ambito lavorativo.
Come diceva il poeta greco Omero, “Lieve è l’oprar se in molti è condiviso”, vale a dire che operare, cioè lavorare, pesa meno, è meno pesante, cioè è lieve, è leggero, se tale lavoro è condiviso, se cioè il lavoro è frutto di un lavoro di gruppo, se lo condividiamo con qualcun altro.
Fino ad ora, dalla corso della sezione n.1, la prima del corso di Italiano Professionale, abbiamo esplorato quasi tutti gli aspetti che riguardano la vita professionale, da come esprimere le proprie professionalità (nel corso della prima lezione), alla sintesi, dall’approssimazione alla puntualità, la sincerità, il controllo, il denaro, i risultati ed i problemi, per finire con i rischi e le opportunità, argomento quest’ultimo che è stato oggetto della scorsa lezione, la numero 11.
Questa lezione, dedicata all’unione ed alla condivisione, è probabilmente quella che più delle altre affronta un argomento trasversale a tutti i lavori, vale a dire un aspetto talmente importante che è veramente difficile trovare, ammesso che esista, una attività lavorativa che non abbia bisogno di contatti umani e relazioni sociali.
Gli ambiti lavorativi ai quali la lezione si riferisce, in particolare, sono quelli della trattativa d’affari e quello delle relazioni interne.
Ci occuperemo più avanti nel corso, nei capitoli che seguiranno, dei singoli aspetti. Ad esempio nella sezione numero tre del corso, dedicata alle riunioni ed agli incontri di lavoro faremo un approfondimento su tutti i termini che si possono utilizzare per indicare un gruppo di persone. Ci sono dei termini che danno un’immagine positiva ed altri che ne danno una negativa, a volte anche molto negativa, di un gruppo di persone. Vedremo quindi il “gruppo di lavoro”, la “compagine”, la “società”, eccetera. Si tratta della prima lezione della terza sezione, che si preannuncia molto interessante.
Ma entriamo subito nel vivo di questa lezione numero dodici. Anche questa sarà suddivisa in tre parti, come la precedente, per facilitare al massimo l’ascolto e la lettura.
Nel corso della prima parte tratteremo tutte le espressioni “negative”, vale a dire quelle che non danno una immagine positiva di un gruppo, che non aiutano la condivisione e che danno quindi un’immagine negativa di un’azienda o comunque di un gruppo di persone che lavorano insieme.
Nella seconda parte vediamo invece le frasi cosiddette “positive” e poi quelle che possiamo definire “neutre”, la cui valenza e significato dipendono molto dal contesto e dal tono con cui vengono pronunciate. Nella seconda parte vedremo anche i rischi nella pronuncia e nell’utilizzo di queste frasi.
Infine nella terza ed ultima parte faremo un esercizio di ripetizione, con domande e risposte. Io farò delle domande e voi potete provare a rispondere. Poi ascolterete una delle possibili risposte. Ovviamente le domande avranno come oggetto le espressioni spiegate nel corso della lezione.
2. L’armata Brancaleone e l’Attrazione Fatale
Abbiamo detto che iniziamo dalle espressioni negative.
Quali sono dunque le caratteristiche negative di un gruppo? Di primo acchitto verrebbe da pensare a problemi di organizzazione ed efficienza. Insomma, se un gruppo è un cattivo gruppo allora vuol dire che funziona male, vuol dire che il gruppo non funziona come dovrebbe perché manca una organizzazione e c’è un problema di efficienza; poi possiamo aggiungere che le persone che ne fanno parte sono male assortite.
Ebbene, quando un gruppo di persone ha queste caratteristiche negative possiamo chiamarlo l’armata Brancaleone.
L’espressione viene dal titolo di un grande film italiano, un film comico del 1966. Un film di Mario Monicelli, che è quindi il regista.
Protagonista di questo film, ambientato nel Medioevo è appunto, un gruppo, un gruppo di briganti, il cui capo era un certo Brancaleone da Norcia interpretato da Vittorio Gassman, grande attore italiano.
Ebbene, questo gruppo di briganti, cioè di banditi, di disonesti, di persone fuorilegge, era un gruppo di persone completamente disorganizzato, che hanno moltissimi problemi, disorganizzati e che non hanno molte cose in comune tra loro.
Questa tipologia di gruppo, con queste caratteristiche la potete sempre chiamare l’Armata Brancaleone. Si chiama armata perché questo è il nome che si dà ad un gruppo armato di persone, generalmente in un esercito. È una frase molto usata in Italia ed è ovviamente molto negativa.
Se il vostro gruppo viene etichettato con questo nome, non è sicuramente un bel segnale! L’Armata Brancaleone non è però l’unica espressione che deriva da un film in senso negativo.
Considerato che stiamo parlando di espressioni negative, ce n’è un’altra altrettanto negativa: “Attrazione fatale”, che viene dal film del 1987 dal titolo Fatal Attraction. Se usiamo questa espressione vogliamo rappresentare una situazione in cui, in ambito sentimentale o anche in ambito lavorativo, una iniziale attrazione si è alla fine dimostrata “fatale”. Un’attrazione iniziale, che può essere quell’attrazione che ha portato più persone a formare un gruppo, alla fine è risultata negativa, anzi, fatale, il che significa che c’era di mezzo il fato. Il fato è il destino, e ciò che è fatale è prescritto dal destino; inevitabile, ineluttabile.
Un’attrazione fatale però ha un significato negativo, infatti fatale significa anche mortale, che porta alla morte, o comunque disastrosa. Se un’attrazione è fatale allora significa che l’unione di più persone si è dimostrata molto negativa, fatale, ha cioè portato conseguenze drammatiche per il membri del gruppo.
3. Meglio soli che male accompagnati
Passiamo alla terza espressione della lezione. Eravamo rimasti ai gruppi che non funzionano, alle Armate Brancaleone ad esempio. Ebbene, se si è dell’opinione che un gruppo sia un’Armata Brancaleone, allora si potrebbe pensare: meglio non formare un gruppo. In tali casi si dice spesso: “meglio soli che male accompagnati”.
È questa una frase che è più un proverbio che una frase idiomatica. Il senso è chiaro: meglio soli, cioè meglio non fare nessun gruppo, meglio non unirsi con nessuno piuttosto che accompagnarsi male.
Essere accompagnati significa avere compagnia, cioè avere qualcuno vicino. Essere “male accompagnati” quindi vuol dire essere “accompagnati male”, cioè avere una cattiva compagnia. Quindi meglio essere soli in questo caso: meglio soli che male accompagnati, frase utilizzata dappertutto e da chiunque in Italia, in ogni contesto in cui ci sia un gruppo che non funzioni bene.
4. Fare di tutta l’erba un fascio
Chi è che può dire la frase meglio soli che male accompagnati?
Ad esempio lo può dire una persona che ha capito che le persone che lo circondano non sono persone affidabili secondo lui, persone delle quali quindi lui non si fida.
Qualcuno potrebbe obiettare e dire: non fare di tutta l’erba un fascio! Non devi fare di tutta l’erba un fascio! Il che significa semplicemente: non tutte le persone sono uguali.
Anche questa è una frase fatta usata da tutti in Italia. Ma cosa vuol dire? Da dove viene questa frase?
Questa frase parla di erba, che cresce nel prato, e del fascio, che è un mazzo, un gruppo di erbe raccolte. L’origine è legata evidentemente al mondo contadino. A terra, come sapete, crescono piante buone e piante meno buone, e durante la raccolta nei campi, si poteva scegliere di raccogliere tutta l’erba assieme, oppure raccogliere solamente quella buona, lasciando le erbacce.
Era evidente che non conveniva, non era conveniente, raccogliere tutte le erbe in un unico mazzo, tutte assieme, senza fare una selezione tra quelle buone e quelle cattive. Col termine fascio si indica quindi un mazzo, un insieme di erbe, un gruppo di erbe, raccolte tutte assieme, senza fare attenzione se le erbe raccolte siano buone o cattive.
La stessa cosa può avvenire con le persone: in ogni gruppo ci sono persone positive, persone in gamba, adatte a lavorare insieme ad altre, e persone che invece non sono adatte, sono persone diciamo “negative”, professionalmente poco valide, non adatte a lavorare in gruppo. Ebbene, chi dice: no, non voglio lavorare con queste persone, non voglio lavorare con questo gruppo, sta facendo di tutta l’erba un fascio. Questa persona non sta distinguendo le persone positive da quelle negative, ma le considera tutte uguali, dicendo; meglio soli che male accompagnati. Questa persona fa di tutta l’erba un fascio, cioè fa un solo fascio, un solo mazzo, non distingue, fa un solo fascio di tutte queste persone, le considera come tutte uguali, come un unico fascio d’erba.
5. Chi c’è c’è (e chi non c’è non c’è)
Vediamo la quinta espressione della lezione, che è poi l’ultima espressione della prima parte della lezione.
Quando si decide di far parte di un gruppo, non è detto che tutti siano d’accordo. Solitamente diverse persone hanno diversi gradi di entusiasmo. Qualcuno allora potrebbe dire: ok, d’accordo, formiamo il gruppo, sono contento. Qualcun altro invece potrebbe non essere d’accordo: “beh, un momento, fatemici pensare, non so se voglio appartenere a questo gruppo, ho bisogno ancora di tempo”.
A questo punto, se il gruppo nasce per qualche motivo specifico e non c’è più tempo da perdere, allora una persona del gruppo, una di quelle persone che è entusiasta di formare il gruppo potrebbe dire:
Sapete cosa vi dico? “Chi c’è c’è e chi non c’è non c’è”.
Si tratta di un’espressione chiaramente colloquiale, adatta al linguaggio parlato ma non a quello scritto. Chi c’è c’è e chi non c’è non c’è significa: “basta, non c’è più tempo, chi ha deciso di appartenere al gruppo fa parte del gruppo, e chi invece non ha deciso ancora sta fuori dal gruppo. Più brevemente: Chi c’è c’è e chi non c’è non c’è.
Perché questa è un’espressione negativa? La risposta è che si tratta di una delle espressioni che non evidenziano sicuramente un aspetto positivo del gruppo, ma piuttosto il fatto che esistono due diverse opinioni, due gruppi che non si uniscono tra loro, perché hanno idee diverse. Il meglio sarebbe essere tutti d’accordo, e se siamo in un’azienda e non tutti condividono gli obiettivi aziendali, questo è un bel problema. Diversa è la situazione di un gruppo di persone che si mettono insieme per formare un gruppo motivato e unito. In questo caso è bene e giusto fare una selezione e escludere sin dall’inizio chi non è abbastanza convinto.
Non sempre quindi dividere è sbagliato e negativo.
Bene, finisce qui la prima parte della lezione n. 12. Nella seconda parte vedremo le espressioni neutre e quelle positive, tra cui alcune idiomatiche, come ad esempio “spezzare una lancia a favore di qualcuno”, “chi fa da se fa per tre“, ma anche molte altre espressioni più professionali e meno colloquiali.