Accadde il 9 aprile: e quindi uscimmo a riveder le stelle

E quindi uscimmo a riveder le stelle (scarica audio)

Trascrizione

Buongiorno e benvenuti in questo nuovo episodio di Italiano Semplicemente della rubrica “accadde il”. Oggi però dovrei togliere una “d” perché l’episodio si riferisce alla giornata Odierna: 9 aprile 2025.

Oggi, 9 aprile 2025, Re Carlo d’Inghilterra entra nel parlamento italiano (è la prima volta per un re/regina d’Inghilterra). Ha fatto anche un bel discorso, in parte proprio in lingua italiana, e ha pronunciato, in chiusura, questa frase: E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Com’è da interpretare? Perché l’ha pronunciata? Per fare bella figura? Per omaggiare l’Italia? Vediamo.

La frase “E quindi uscimmo a riveder le stelle” è uno dei versi più celebri della Divina Commedia di Dante Alighieri, esattamente l’ultimo verso dell’Inferno (Canto XXXIV, verso 139).

È un momento di grande potenza simbolica: dopo un lungo e oscuro viaggio attraverso l’inferno (ricordate la selva oscura?), Dante e Virgilio risalgono faticosamente fino a tornare alla luce del cielo stellato.

Quel “riveder le stelle” è il segno della speranza, della rinascita, della salvezza dopo le tenebre. L’aggettivo “oscuro“, è importante dirlo, viene spesso usato per descrivere un periodo storico negativo, ed oggi ne stiamo vivendo uno direi abbastanza oscuro.

Allora oggi, re Carlo III d’Inghilterra, durante il suo storico discorso al Parlamento italiano, quando ha citato questo verso, lo ha fatto anche per sottolineare la speranza e la forza del legame tra Regno Unito e Italia, e soprattutto direi per dare un messaggio di fiducia verso il futuro, evocando l’immagine di un’uscita comune dalle difficoltà, da questo periodo oscuro, verso una nuova luce.

È stato anche un richiamo colto e potente alla cultura italiana; anche un omaggio naturalmente, ma anche un modo elegante per connettere passato e presente, letteratura e politica, emozione e diplomazia.

Quel “quindi” è molto adatto a dare una linea di separazione più netta tra passato e futuro, tra prima e dopo, tra l’oscurità e la luce. Molto di più rispetto alla sola “e” (e uscimmo a riveder le stelle) oppure a “e così uscimmo a riveder le stelle” (ci sarebbe il senso di qualcosa di ovvio, di normale) e anche rispetto a “e poi uscimmo a riveder le stelle”. In quest’ultimo caso si trasmette un senso di continuità, cioè l’esatto opposto rispetto a “quindi“, che porta con sé un senso di conclusione inevitabile di quanto è accaduto prima, e di passaggio quasi solenne alla fase successiva.

Il verbo “rivedere” è molto interessante, soprattutto in questo contesto poetico.
Non significa semplicemente “vedere di nuovo”, (es: quando ci rivediamo? Ci rivediamo domani), in senso meccanico, ma può avere, come in questo caso, una sfumatura più profonda: è il tornare a godere della vista di qualcosa che ci era mancato.

Nel caso di Dante, “riveder le stelle” non è solo un’azione visiva: è un’esperienza emotiva, un ritrovare la speranza dopo l’oscurità.

La scelta di non scrivere “vedere” ma “rivedere“, per Dante, è importantissima, perché sottolinea la separazione temporanea dalla luce e il gioioso ritorno.

Allo stesso modo, re Carlo III ha citato questa frase proprio per evocare questa idea: non solo vedere la luce, ma rivederla, tornare a vederla dopo un periodo difficile, di incertezze o di distanza, e farlo insieme (noi uscimmo).

È un invito alla speranza condivisa, a una nuova fase luminosa nelle relazioni fra i popoli.

Inoltre, vi faccio notare anche la costruzione “a riveder le stelle” — con la e finale mancante (tipico della poesia), che rende il ritmo più fluido e immediato. Anche questo contribuisce alla musicalità e alla forza evocativa del verso.

Poi Dante usa il passato remoto: uscimmo. “Uscimmo” è la forma del verbo “uscire” al passato remoto, coniugato alla prima persona plurale (noi). Significa, come detto, “noi uscimmo”, cioè “noi siamo usciti” o “noi fummo fuori”.

Il passato remoto, usato nella letteratura italiana classica, è spesso impiegato per eventi che si riferiscono a un passato che è remoto, appunto, cioè passato da molto tempo, o per dare un tono più solenne al racconto, come nel caso della “Divina Commedia”.

Infine, l’uso della preposizione “a” come lo vedete?

Dante avrebbe anche potuto usare “per” (per riveder le stelle) ma indubbiamente con “a” la frase suona meglio, e inoltre, potrei aggiungere che l’uso di “per” avrebbe enfatizzato troppo l’idea di scopo o finalità (ossia, l’uscita dall’Inferno sarebbe stata motivata dal desiderio di vedere di nuovo le stelle, con una connotazione di scopo un po’ troppo pratico e diretto). Allora meglio usare “a”, che in questo caso conferisce una dinamicità e un senso di movimento verso un luogo che è tanto fisico quanto metafisico, come se l’uscita dall’Inferno fosse anche un viaggio verso una rivelazione o una meta più alta.

Insomma, considerando la brutta situazione che il mondo sta vivendo in questo momento, speriamo che un giorno, parlando di questo periodo oscuro che stiamo vivendo, potremmo anche noi dire “e quindi uscimmo a riveder le stelle”.