Chiamarsi fuori e dare forfait: significato e differenze

Chiamarsi fuori e dare forfait

(ep. 1160)

Trascrizione

Chiamarsi fuori e dare forfait

Sapete cosa significa “chiamarsi fuori”?

Chiamarsi fuori” è un’espressione italiana che si usa per indicare che una persona decide di non partecipare a qualcosa, tirandosi indietro o escludendosi da una situazione.

Ad esempio, se un gruppo di amici decide di organizzare una partita di calcio, ma una persona non vuole partecipare, potrebbe dire:

“Io mi chiamo fuori, non fa per me.”

Significa quindi che questa persona non vuole essere coinvolta, che si tira indietro e non prende parte all’attività.

Ma attenzione: “chiamarsi fuori” può essere usato anche in situazioni più serie, come un dibattito, una decisione importante o un conflitto. Immaginate una discussione accesa tra colleghi sul lavoro. Uno di loro, stanco della situazione, potrebbe dire:

Mi chiamo fuori, non voglio avere niente a che fare con questa discussione.

Non puoi chiamarti fuori, dobbiamo raggiungere la maggioranza

Chi si chiama fuori non potrà chiedere aiuto quando ne avrà bisogno

L’espressione trasmette il desiderio di non essere coinvolti, spesso per evitare conflitti o responsabilità.

Se ad esempio in un team qualcuno chiede: “Chi vuole occuparsi di questo progetto?”, una persona può rispondere:

Mi chiamo fuori, non posso occuparmene ora.

Qui la persona si sottrae alla responsabilità di un compito.

“Chiamarsi fuori” può anche indicare la volontà di evitare una situazione rischiosa o potenzialmente problematica. Ad esempio:

In una discussione, se il tono di una conversazione si fa acceso, qualcuno può dire:

Mi chiamo fuori, non voglio litigare.

Qui la persona sceglie di non esporsi al rischio di un conflitto.

A volte non ci sono né rischi né responsabilità, ma semplicemente una scelta personale di non partecipare. Ad esempio:

Se un gruppo di amici organizza un’uscita, ma una persona non è interessata, può dire:

Mi chiamo fuori, stasera preferisco restare a casa.

Il contesto e il tono in cui viene usato aiutano a capire il motivo dell’auto-esclusione.

L’espressione è simile a “dare forfait“. Il termine forfait, di chiara origine francese, lo abbiamo già incontrato in un passato episodio di italiano commerciale dedicato ai pagamenti forfettari. Dare forfait però non ha niente a che fare coi pagamenti.

Le due espressioni *dare forfait” e “chiamarsi fuori” hanno significati simili perché in entrambi i casi si tratta di non partecipare a qualcosa, ma ci sono differenze nel contesto e nell’uso.

Chiamarsi fuori” implica una scelta volontaria, spesso fatta prima di iniziare un’attività o una discussione. È una decisione che si prende per evitare un coinvolgimento attivo, sia per responsabilità, sia per disinteresse o altro.

La motivazione può essere disinteresse, mancanza di tempo o evitare problemi.

Dare forfait” si usa invece quando qualcuno rinuncia a partecipare dopo aver inizialmente accettato. Spesso è dovuto a motivi personali, come malessere, imprevisti o difficoltà. Infatti un forfait in questo caso è un abbandono, un ritiro. Non parliamo quindi di un accordo o di una somma fissa, predeterminata, come nel caso di “pagare un forfait“.

Vediamo un esempio col senso di abbandono:

Avrei dovuto venire alla partita, ma devo dare forfait perché non sto bene.

Qui c’è un senso di ritiro per una causa specifica, spesso imprevista.

Inoltre, “chiamarsi fuori”: di solito si manifesta come una presa di posizione chiara e anticipata.

“Dare forfait” invece, come ho detto, è un ritiro, spesso all’ultimo momento.
Inoltre “dare forfait” si usa in contesti più specifici, come eventi, incontri, partite sportive o appuntamenti, e spesso ha un tono di rammarico.

Il tennista ha dato forfait a causa di un infortunio.

Mi spiace, devo dare forfait per la cena di stasera.

Oggi faremo un ripasso che è un augurio per il nuovo anno. Lo faremo usando 4 versioni diverse, ognuna delle quali usa parole che appartengono a categorie diverse. Usiamo le 4 categorie usate da Dante Alighieri nell’opera “de vulgari éloquentia“.

Le categorie individuate sono le seguenti: lisce, aspre, piane e scivolose.

Le parole lisce (levia) hanno un suono dolce, fluido e armonioso. Sono usate per dare eleganza e grazia al discorso.

Le parole aspre (aspera) hanno un suono ruvido o duro, che trasmettono forza o asprezza.

Le parole piane (plania) hanno un ritmo regolare e stabile, senza particolari asperità o dolcezze.

Infine, le parole scivolose (volubilia) sembrano fluide e veloci, capaci di scivolare nella pronuncia.

Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente

_Parole asperae (aspre):_

Marcelo: Che il nuovo anno spezzi ogni catena, squarci le ombre e sortisca il trionfo di una volontà capace di resistere e corroborare le imprese più ardue.

_Parole planæ (piane):_

Ulrike: Che l’anno nuovo porti pace, serenità e dolcezza, ristabilendo l’armonia e concorrendo a costruire un mondo più giusto.

_Parole scivolose (lèvitas):_

Hartmut: Fluisca il tempo come un ruscello limpido, glissando sulle difficoltà, sortendo leggerezza e recando solo gioia nei cuori.

_Parole lenes (liscie):_

Edita: Che ogni alba del nuovo anno sorga dolcemente, accreditando speranze nuove, perfezionando i nostri desideri e diramando pace nell’animo.