La paura fa novanta, pezzo da novanta

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Membri della famiglia Italiano Semplicemente, un saluto da Giovanni, e vi do il benvenuto in questo nuovo episodio, in questo nuovo podcast di ItalianoSemplicemente.com. Ringrazio tutti del vostro interesse e dei vostri commenti sulla pagina Facebook, spero da parte mia, di esservi utile e di aiutarvi concretamente nell’apprendimento della lingua italiana. Scusate se a volte non riesco a rispondere personalmente ai messaggi su Facebook ma non sempre riesco a trovare il tempo. Ad ogni modo credo sia più produttivo sottolineare due cose, prima di iniziare la spiegazione di oggi.

La prima cosa è che queste espressioni, conoscere le espressioni idiomatiche Italiane è importante per conoscere la cultura Italiana, e difficilmente troverete queste espressioni in un corso di italiano convenzionale, dove lo studio della grammatica è al centro e non c’è spazio per le espressioni tipiche italiane. La seconda cosa, ancora più importante, a mio modo di vedere, è che per ogni espressione tipica italiana bisogna sapere come utilizzarla, in quali occasioni, se è informale o formale, se la potete usare in famiglia o in ufficio o col vostro professore di italiano. È bene sapere quindi anche in quali altri modi esprimere lo stesso concetto, per essere sicuri che stiamo usando bene l’espressione, altrimenti c’è il rischio di fare brutte figure, ed allora è meglio non conoscerla quell’espressione. Sul web ci sono altri siti o canali YouTube, anche molto interessanti,  in cui si spiegano le espressioni italiane, ma tutti questi siti spiegano solo una versione della frase, e si tratta sempre di espressioni familiari, che potete usare e tra amici e non con persone diverse o che non conoscete bene. È per questo, è anche per questo che nelle mie spiegazioni cerco sempre di specificare il contesto di riferimento. Ed è anche per questo che ho deciso di sviluppare il corso di italiano professionale, che potete trovare sul sito e in cui vengono spiegate,  tra l’altro, tutte le frasi che si riferiscono al mondo del lavoro, dalle riunioni, alle conferenze, al colloquio di lavoro,  a come trattare eccetera. Ma torniamo all’espressione di oggi.

L’espressione che ho scelto di spiegarvi oggi, anzi le espressioni di cui ho deciso di parlarvi oggi sono due. Si tratta di “pezzo da novanta” e di “la paura fa novanta”. Credo siano due espressioni interessanti da spiegare e da comprendere.

Queste due espressioni sono state proposte da Leonardo, che saluto. Leonardo mi ha inviato una mail attraverso il link che ho inserito nella pagina delle frasi idiomatiche, e ha scelto due espressioni che contengono la parola “novanta”, che è un numero, come sapete. Novanta è il numero che sta dopo l’ottantanove e prima del novantuno. Ma in Italia il novanta è un numero particolare; non è un numero qualunque.  Sapete infatti,  o forse non lo sapete, che esiste un gioco in Italia che si chiama “Tombola”, un gioco molto famoso.  Ora vi spiego come funziona il gioco della Tombola.

Ecco quindi che per spiegare queste due semplici espressioni contenenti la parola 90, il numero 90, occorre fare una premessa. Occorre spiegare il significato del numero novanta, cioè quello che rappresenta il numero novanta. Questo, inevitabilmente, ci fa entrare nella cultura italiana. Vediamo come quindi.

La tombola, dicevo, è un gioco, un tradizionale gioco da tavolo nato nella città di Napoli nel XVIII secolo, secolo che inizia nell’anno 1701 e termina nell’anno 1800 incluso. Il gioco della Tombola è un gioco in cui vengono sorteggiati dei numeri, vengono estratti dei numeri che vanno da 1 a 90, numeri compresi tra 1 e 90. La Tombola è la versione casalinga del gioco del lotto.

Probabilmente molti di voi conoscono il gioco del lotto ma non conoscono la Tombola.

Ebbene, questo gioco, famosissimo in Italia, è un gioco diffuso a livello familiare, infatti ogni Natale, durante le feste del Natale (che cade il 25 dicembre di ogni anno)  in quasi tutte e famiglie, soprattutto se ci sono dei bambini, si gioca a Tombola: ci si mette tutti attorno ad un tavolo e si gioca tutti assieme a Tombola.  Questo avviene anche nelle feste di paese, dove si gioca a Tombola nella piazza del paese, di molti paesi almeno,  soprattutto al centro-sud. Dicevo che vengono sorteggiati, vengono estratti dei numeri, che stanno dentro ad un contenitore, all’interno di alcune palline. Nelle piazze dei paesi i numeri vengono sorteggiati e vengono urlati con l’aiuto di un megafono, in modo che tutti possano ascoltare.

tombola

Ogni persona, per partecipare al gioco, acquista una “cartella”, cioè un foglio, un foglietto, sul quale sono scritti 15 numeri, in tre file di 5 numeri. C’è poi una persona che estrae un numero alla volta dall’urna, dalla scatola, dal contenitore. Quindi man mano che escono i numeri, uno alla volta, questi numeri vengono detti ad alta voce: “cinque, ventidue, ottantasei” eccetera. Le persone che hanno acquistato una cartella controllano se la loro cartella, il loro foglio contiene il numero di volta in volta estratto. Quando una cartella contiene, su una delle tre file, il numero estratto, normalmente si appoggia un fagiolo sopra quel numero, oppure si fa un buchino sulla cartella con uno stuzzicadenti: diciamo che ci sono vari modi di segnare i punteggi. E quando si vede, quando si verifica, si constata, si appura che avete quel numero nella cartella si dice: “ce l’ho”, e mettete, appoggiate il fagiolo sul numero della vostra cartella di carta.

Quando si vince? Si vince quando qualcuno nella sua cartella riesce per primo, prima degli altri, ad avere due o più numeri in fila, cioè sulla stessa fila, su una delle tre file di ogni cartella: si fa quindi “ambo” (con due numeri), si fa terno con tre numeri, quaterno con quattro e chi ne azzecca cinque, tutti i cinque numeri di una delle tre file fa quella che si chiama “cinquina”.

Chi è poi molto fortunato riesce anche a “fare Tombola”. Fare tombola vuol dire utilizzare tutti i fagioli, tutti e 15 i fagioli, quindi vuol dire che tutti e 15 i numeri della cartella sono stati estratti. Ovviamente chi riesca a fare tombola lo strilla, lo dice a voce alta davanti a tutti non appena viene pronunciato l’ultimo numero: “tombola, ho fatto tombola!”

Chi fa tombola vince generalmente dei soldi, ma a prescindere dai soldi o dal premio che si vince, è un gioco molto divertente.

Questo gioco nasce a Napoli, come ho detto prima, ed a Napoli si danno molta importanza ai numeri ed al loro significato. Cosa significa? Significa che i napoletani hanno attribuito, hanno assegnato ad ogni numero, ad ogni numero da 1 a 90, uno specifico significato.

Quindi esiste un sistema di associazione tra numeri e significati, di solito umoristici. Ogni numero ha un suo significato. Per chi fosse interessato esiste anche un libro, che si chiama “La Smorfia”, che da secoli, da molti anni quindi, associa i sogni ai 90 numeri. Ogni numero ha un suo significato, ed ogni avvenimento, ogni sogno particolare, va tradotto in uno o più numeri.

Ebbene, il numero 90 (novanta) è associato alla paura. Allo stesso modo possiamo dire che la paura è rappresentata dal numero 90. Tutta questa lunga spiegazione per arrivare a questo dunque.

Dunque la paura è il numero 90, e la paura fa 90. Questo è il senso proprio dell’espressione “la paura fa 90”. Inoltre vediamo che si usa il verbo “fare”: “la paura fa 90”.

Allo stesso modo infatti possiamo dire che 47 fa “morto che parla”, oppure che 42 fa caffè.

Quanto fa 40? Vediamo un po’… ah 40 fa noia!

Quindi questo significa che se sognate, se fate un sogno e sognate che il vostro caro nonno, morto tanti anni fa, si beve un caffè e vi racconta delle storie, allora dovete giocare al lotto i numeri 47 (morto che parla) e il numero 40 (caffè). Infatti 40 fa caffè e 47 fa morto che parla. Semplice vero?

“La paura invece fa 90”, ora avete capito che significa, letteralmente, che la paura è rappresentata dal numero 90. Tutto qui. Ma questo è il senso proprio, quello letterale.

La paura fa 90 è però una espressione idiomatica, e questa espressione significa invece che con la paura si possono fare cose incredibili. Sotto lo stimolo della paura si fanno cose che sembrerebbero impensabili in condizioni normali.

Se quindi, ad esempio, siete rincorsi da un cane che vuole mordervi, riuscirete a correre molto velocemente, molto più velocemente del normale: la paura fa 90!

Potete usare questa espressione quindi ogni volta che verificate che con la paura si fanno coe incredibili.

Spero Leonardo sia chiaro il senso della prima frase: la paura da novanta!

Ora vediamo la seconda frase che contiene il numero novanta: “pezzo da novanta”.

Stavolta la tombola non c’entra nulla. Stavolta il numero 90 rappresenta la dimensione, cioè la grandezza, di un cannone. Il cannone è l’arma da fuoco che si usava per sparare sulle navi, un’arma normalmente molto grande (lunga circa 2 metri o giù di lì). Sembra che la larghezza della bocca del cannone, da dove cioè esce la palla di cannone, cioè il proiettile del cannone, si misuri in calibri, e il calibro di un cannone può variare: Nella seconda guerra mondiale esistevano i cannoni a calibro 88 che avevano i tedeschi, e pare che gli italiani possedessero, avessero anche una trentina di cannoni a calibro 90, cioè più potenti.

Esistevano quindi solamente trenta cannoni, trenta cannoni che avevano un calibro pari a 90.

Esistevano quindi solamente 30 pezzi da 90.

Qui occorre spiegare però anche il termine “pezzo”, che normalmente si usa per indicare una piccola quantità, una porzione di qualcosa, come un pezzo di pizza eccetera. Soprattutto nel mondo del commercio la parola pezzo non indica una porzione di qualcosa, ma il termine “pezzo” viene usato in questo caso per indicare una singola unità: un pezzo. Questo vale per qualsiasi cosa: Se voi acquistate un qualsiasi oggetto, e ne acquistate alcune unità, potete dire anche che avete acquistato “alcuni pezzi”. Il termine pezzo quindi non significa solamente “una porzione”, “un pezzo” come quando qualcosa si rompe e “va in pezzi”, cioè si distrugge in piccole porzioni più piccole. Il termine pezzo al singolare significa quindi una singola unità. Al plurale, se voglio acquistare sei bicchieri uguali posso dire alla commessa: scusi, vorrei sei pezzi di questo bicchiere! Cioè vorrei sei bicchieri di questo tipo, sei bicchieri uguali. Quindi quei trenta cannoni speciali, quei trenta cannoni che avevano un calibro 90, erano dei pezzi speciali, dei pezzi quasi unici, perché ne esistevano solamente trenta pezzi: esistevano pochissimi pezzi da 90.

Da allora la frase “pezzo da novanta” ha anche un senso figurato, e viene usata per indicare una persona importante: un pezzo da novanta è un personaggio importantissimo, come ce ne sono pochi al mondo.

Allora ad esempio se conosco il vice presidente di un’importante azienda, posso dire che quello è un pezzo da novanta di quell’azienda, cioè un uomo importante, che svolge un ruolo importante. Non si tratta di un uomo qualsiasi, ma di un vero pezzo da novanta.

Qualcuno di noi, credo, potrebbe conoscere alcuni pezzi da novanta, in qualsiasi ambito. Io, fatemi pensare… dunque, non ho mai conosciuto pezzi da novanta della politica italiana, ad esempio, e non ho neanche mai conosciuto pezzi da novanta dello sport. Totti ad esempio è un pezzo da novanta del calcio italiano e mondiale, e mi piacerebbe molto conoscerlo. Nel mio caso non mi vengono in mente pezzi da novanta che io abbia mai incontrato o conosciuto personalmente.

Avete quindi capito che un pezzo da novanta è una persona importante, molto importante. Non per forza la più importante nel suo settore, ma una delle persone più importanti.

Quindi se ad esempio devo indicare una persona che ricopre un ruolo importante in una azienda ma non ricordo il suo ruolo, cioè non ricordo ad esempio se si tratta del direttore, del vicedirettore, del presidente o del vicepresidente, ma ricordo solamente che è uno importante, posso dire che è un pezzo da novanta, che questa persona è uno dei pezzi da novanta.

Pezzo da novanta è una espressione molto usata in Italia, usata soprattutto nella forma orale e quindi non molto raffinata come espressione. Si dice anche “essere qualcuno”. Se dico che mio padre è qualcuno nel tennis, ad esempio, vuol dire che gioca bene a tennis, che è una persona conosciuta. Essere qualcuno, se detta nel modo giusto, significa quindi essere una persona conosciuta, importante perché conosciuta, una persona rispettata perché importante. Anche questa espressione però è abbastanza familiare.

Se vogliamo esprimerci in modo leggermente meno informale possiamo usare la parola “calibro”, oppure, ancora meglio, possiamo usare la parola “spessore”: allora possiamo dire che una persona importante è un pezzo da novanta, se parliamo con amici, ma possiamo anche dire che questa persona è una persona di grosso calibro, o di un certo calibro, che vuol dire ugualmente un calibro elevato, un livello elevato; questo se parliamo con persone di cui abbiamo molto rispetto, o che non conosciamo abbastanza bene. Il senso è lo stesso però. Esistono persone di grosso calibro, ed anche persone dello stesso calibro, cioè dello stesso valore, della stessa importanza. Esistono poi delle persone che hanno un “elevato calibro morale”, persone cioè che han dimostrato nella loro vita di avere una forte moralità, un forte senso del dovere ad esempio, o elevato senso civico. Se quindi volete fare un complimento ad una persona che stimate molto per la sua correttezza ed onestà, che vi ha dimostrato in molte occasioni, potete dirgli che secondo voi è una persona di un elevato calibro morale.

La parola spessore, infine, può essere usata allo stesso modo: “Quella persona ha un elevato spessore morale”, oppure quella persona ricopre un ruolo di un certo spessore, perché magari è il direttore, o il vicedirettore, o il responsabile di una qualche attività.

Bene, sperando che anche voi un giorno possiate diventare persone di elevato calibro morale, se non lo siete già ovviamente, spero di essere riuscito a farvi capire bene il significato di queste due frasi “pezzo da novanta” e “la paura fa novanta”: se ci sono riuscito posso dire di essere un professore di un certo spessore, anche se questo non è esattamente il mio mestiere. Siamo dovuti un po’ entrare nella cultura italiana per capire bene, ed in effetti è questo il significato profondo di imparare una lingua: se imparate la cultura, imparare la lingua vi risulterà più facile. Spero di non avervi annoiato, ringrazio Leonardo per la domanda e tutti gli altri di essere così numerosi a seguire ItalianoSemplicemente.com.

Ora rispondete a voce alta ad alcune facili domande. Aspettate la domanda e provate a rispondere, così vi esercitate nella pronuncia: saranno delle domandine facili-facili.

La paura fa ottantanove?

No, la paura non fa ottantanove, la paura fa novanta!

La paura fa novantuno?

No, la paura non fa novantuno, la paura fa novanta!

Quanto fa la paura?

La paura fa novanta!

Ripetete ora:

Pezzo da novanta.

Quell’uomo è un pezzo da novanta!

Rispondete:

Ma chi è quell’uomo? Una persona di spessore?

Altroché! Quello è un pezzo da novanta!

Quel tizio è qualcuno nell’azienda?

Sì, lui è un pezzo da novanta! È uno di grosso calibro!

Ciao a tutti, e ricordatevi che tutti i fan di italiano semplicemente sono pezzi da novanta, almeno per me.

L’undicesimo comandamento: fatti i fatti tuoi!

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Descrizione 

Tanti modi diversi per dire la stessa cosa. Agli amici, ai colleghi,  in famiglia. 

– fatti gli affari tuoi

– non ficcare il naso 

– la cosa non la riguarda 

– non ti inpicciare 

– non ti immischiare 

– fatti i fatti tuoi 

– non amo le interferenze 

– non sia inopportuno 

Trascizione

Buongiorno a tutti, e benvenuti su un nuovo episodio di Italiano Semplicemente.

Oggi siamo qui per spiegare il significato di alcune espressioni molto usate in Italia. In particolare spiegheremo a tutti cos’è l’undicesimo comandamento.

Il comandamento, o meglio, i comandamenti, sono le regole, scritte sulle tavole della legge che, secondo la Bibbia, furono date da Dio a Mosè sul monte Sinai.

Ci sarebbe molto da dire in proposito, ma qui mi limito a dire che  per chi non conosce molto bene la religione cattolica, i dieci comandamenti sono le dieci fondamentali regole che ogni cattolico deve rispettare. Ci sono varie versioni dei dieci comandamenti, e nella versione cattolica questi comandamenti sono ben noti a tutti gli italiani.

Questi comandamenti, sono appunto dieci. Il loro numero è dieci:

  1. Non avrai altro Dio all’infuori di me.
  2. Non nominare il nome di Dio invano.
  3. Ricordati di santificare le feste.
  4. Onora il padre e la madre.
  5. Non uccidere.
  6. Non commettere atti impuri.
  7. Non rubare.
  8. Non dire falsa testimonianza.
  9. Non desiderare la donna d’altri.
  10. Non desiderare la roba d’altri.

Questi sono i dieci comandamenti che ci insegnano a tutti da piccoli, diciamo dai 6 ai 10 anni, quando si frequentano le scuole elementari e durante l’attività di formazione, diciamo così, durante il catechismo (o catechesi) che si fa ai bambini prima di fare la prima comunione, uno dei principali sacramenti cristiani.

Ma prima avevo parlato dell’undicesimo comandamento! 

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Ebbene, sebbene l’undicesimo comandamento non esista ufficialmente, almeno non esiste nella religione cristiana, ebbene è una usanza nota a tutti gli italiani che l’undicesimo comandamento sia un’altra regola che tutti dovremmo rispettare. La regola che tutti dovremmo rispettare è la seguente: Pensa ai fatti tuoi! “I fatti tuoi”, o in generale “i fatti propri” sono le cose che ci riguardano personalmente, le cose che riguardano noi stessi. Quindi “i fatti miei” sono le cose che mi riguardano, mentre “i fatti tuoi” sono le cose che riguardano te. Allo stesso modo “i fatti suoi” sono le cose che riguardano lui o lei, cioè una terza persona. La stessa cosa vale per “i fatti nostri”, che riguardano noi,  “i fatti vostri” che riguardano voi ed infine “i fatti loro”, che riguardano loro, cioè delle terze persone.

“Pensa ai fatti tuoi,” significa quindi non pensare alle cose che non ti riguardano, non entrare, non interessarti delle cose che non ti riguardano, che cioè non riguardante, te stesso, ma invece riguardano qualcun altro, un’altra persona. Questo è quello che scherzosamente è indicato come l’undicesimo comandamento.

Ovviamente non si tratta di una regola religiosa, ma semplicemente di un modo di dire italiano.

Quando vogliamo dire a qualcuno che non deve pensare alle cose che riguardano gli altri, possiamo farlo appellandoci all’undicesimo comandamento, che recita appunto: pensa ai fatti tuoi!

Appellandoci vuol dire “fare appello”, cioè “richiamando”, “ricordare che esiste”, e dicendo “mi appello all’undicesimo comandamento” si vuole dire, scherzosamente, che esiste una regola, una legge, un comandamento (quindi una legge divina), esiste una legge alla quale mi appello, cioè una legge che va rispettata e quindi te la ricordo, come se fosse una vera legge; e questa legge alla quale mi appello dice che non devi pensare alle mie cose, ma devi pensare alle tue cose e basta: “mi appello all’undicesimo comandamento significa semplicemente: “fatti i fatti tuoi

Ci sono però  altri modi di dirlo. Ci sono altri modi simili per dire la stessa frase, per dire questa semplice frase. Ed è proprio questo l’argomento di oggi.

Il modo più diffuso è: “fatti i fatti tuoi“. Fatti i fatti tuoi significa “pensa ai fatti tuoi”, ed anche a “occupati dei fatti tuoi”, il verbo quindi può variare: fare, pensare, occuparsi.

Ma perché si dice “i fatti”? 

I fatti sono le cose che accadono. I fatti, cioè: ciò che accade, ciò che succede. Quindi i fatti tuoi sono le cose che accadono a te, le tue vicende: i fatti tuoi.

Comunque non solo può cambiare il verbo: fare, pensare, occuparsi: A cambiare può anche essere la seconda parte della frase. “I fatti” possono diventare “gli affari”.

Quindi la frase diventa:

Fatti gli affari tuoi, pensa agli affari tuoi, occupati degli affari tuoi.

Di queste versioni viste finora la meno offensiva è “occupati degli affari tuoi”, semplicemente perché “occuparsi” è un verbo un po’ più formale, meno usato di fare o pensare.

Se invece non vogliamo essere affatto delicati con la persona  cui ci rivolgiamo, e quindi vogliamo proprio offendere questa persona, colpevole di non essersi occupata degli affari propri, possiamo essere decisamente più offensivi.

Quindi possiamo dirgli di “farsi i cazzi suoi“.

“Fatti i cazzi tuoi” è la versione più offensiva, sicuramente. Può capitare a tutti di ascoltarla molto spesso, e quando la ascolterete la persona che parla, e che dice questa frase a qualcun altro, avrà probabilmente un tono di voce molto alto, perché la frase è una frase di sfogo, una frase con la quale ci si sfoga, si urla quasi, una frase con la quale si accusa la persona con la quale si parla di non aver rispettato l’altra persona. Se lo dico a mia sorella, le sto dicendo che mi ha mancato di rispetto.

Si usa molto in ambito familiare, o con gli amici, con le persone alle quali si vuole più bene quindi… essendo le persone più importanti per noi, sono quelle con le quali le nostre emozioni sono più forti, e quindi ci dispiace di più litigare con familiari e amici che con sconosciuti.

Infatti è molto offensivo anche

Con uno sconosciuto basta dire: “non sono cose che la riguardano“, oppure “non sono cose che ti riguardano“, a seconda che state dando del lei o del tu a questa persona.

Ci sono però anche altri modi di dire questa cosa. Ad esempio c’è: “non ti immischiare” oppure “non ti impicciare” e anche “non ti intromettere

Immischiarsi, impicciarsi ed intromettersi sono i tre verbi utilizzati in questo caso. Questi tre verbi hanno lo stesso identico significato. Quello che cambia è il contesto: intromettersi è più educato. Impicciarsi è il più familiare dei tre.

Ad esempio: “non ti intromettere in ciò che non ti riguarda”. intromettersi significa mettersi in, cioè entrare, quindi “non entrare in ciò che non ti riguarda”: è la stessa cosa. Volendo si può usare anche il verbo entrare.

La stessa cosa vale per immischiarsi e impicciarsi. immischiarsi viene da “mischia”, e la mischia indica se vogliamo un gruppo di persone coinvolte in una attività. Chi si immischia (doppia m)  si sta facendo gli affari di qualcun altro, non si sta facendo i fatti suoi. Il verbo immischiarsi si usa solamente in questo modo in italiano, cioè per indicare che qualcuno si sta occupando di affari che non lo riguardano, sta entrando in una mischia che non gli compete.

Il verbo impicciarsi è uguale? Ha lo stesso significato di immischiarsi? 

La risposta è sì, ha lo stesso significato, ma diciamo che impicciarsi è indicato maggiormente per sottolineare che questa persona sta dando fastidio, sta entrando in questioni che non la riguardano e facendo questo crea fastidio, crea intralcio: “Non ti impicciare!” è come dire: “fatti gli affari tuoi, sei fastidioso!”.

Quindi voglio sottolineare questo aspetto, quello del fastidio, del disturbo creato, dell’intralcio. Ma più o meno il verbo è equivalente a immischiarsi.

Quello che si deve ricordare è che esistono situazioni diverse in cui usare espressioni diverse, e quindi se non conoscete la persona è meglio che al massimo  diciamo qualcosa come “non ti intromettere”. Non possiamo esagerare con la confidenza,  ed evitate di dire “fatti i fatti tuoi”, o ancora peggio “non ti impicciare” o “non ti immischiare” che sono più familiari.

“Fatti i cazzi tuoi”  è invece da evitare sempre, ma è bene sapere cosa significhi perché capita spesso di ascoltare questa frase, anche in film polizieschi o commedie italiane.

Se vogliamo poi essere ancora più formali  possiamo usare varie forme, dando però  del lei (questo è importante se non conoscete la persona). Posso dire ad esempio:

La cosa non credo che la riguardi!

oppure

non credo che la cosa debba essere di suo interesse!

o anche

non vedo,  non capisco come l’argomento possa interessarle!

In tutti questi casi si sta dando del lei all’interlocutore, e non del tu. In alternativa, sempre in modo formale, potete esprimere i vostri sentimenti, ciò che provate e quindi potete manifestare che i vostri sentimenti sono stati offesi: come farlo?

Gradirei moltissimo se lei non si interessasse della questione!“: In questo modo state comunicando un vostro disagio. Ma lo state facendo in modo formale, distaccato.

Si può  anche dire: “non amo le interferenze!“, o, ancora più deciso, potete dire: “la cosa non la deve interessare!” o ancora più forte: “non sia inopportuno!“.

Inopportuno significa non opportuno. Ed opportuno significa appropriato, adatto, adatto ad una certa circostanza. Quindi voi non siete opportuni,  cioè se siete inopportuni, allora vuol dire che non state nel posto giusto, quindi è come dire, è come invitare la persona ad andare in un luogo più opportuno, ad occuparsi di cose più opportune.

“Non sia inopportuno” quindi è un invito a non essere inopportuno: “non sia” cioè “non essere”, ma non dimenticate che state dando del lei alla persona, quindi “tu non essere” diventa “lei non sia” inopportuno.

Inopportuno è molto usato nella lingua italiana ma ha più utilizzi diversi: una persona può essere inopportuna, ma anche un intervento, cioè ciò che viene fatto o detto da qualcuno può essere inopportuno. Se qualcosa o qualcuno è inopportuno, in poche parole, c’è qualcosa che non va, e la cosa a cui ci si riferisce sarebbe stato meglio non fosse accaduta, perché ha creato disagio, ha creato dei problemi.

Se quindi vi siete chiesti il significato della parola inopportuno,  la vostra domanda non è stata inopportuna!

L’ultima espressione di oggi è “ficcare il naso“. Ficcare vuol dire mettere, inserire, mentre il naso come sapete è la parte del corpo che serve per odorare. “Ficcare il naso” è lo stesso che impicciarsi, immischiarsi: è al stessa cosa. “Ficcare il naso” dà più l’idea di chi si sporge, di chi si intromette, come se una persona dovesse entrare in una stanza e inserisce la testa di nascosto nella stanza con la porta appena aperta. Quindi mette la testa, ficca la testa dentro, ma la prima cosa che entra è in realtà il naso, come per annusare, o per vedere cose che non dovrebbe vedere. Quindi l’espressione “non ficcare il naso in queste cose” ad esempio, vuol dire “non immischiarti”, “non impicciarti. Il naso è utilizzato in molte espressioni italiane.

Bene ragazzi,  possiamo dire che è opportuno fare un esercizio di ripetizione ora? Ebbene sì, possiamo dirlo! È molto opportuno,  ed infatti lo facciamo subito.

Ripetete dopo di me e, state attenti alla vostra pronuncia. Non saltate questo esercizio, mi raccomando, sarebbe veramente inopportuno.

Io mi faccio i fatti miei!

Tu ti fai gli affari tuoi!

Lui si fa i fatti suoi

Lei si fa i fatti suoi.

Noi ci facciamo gli affari nostri.

Voi fatevi i fatti vostri!

Loro si fanno i fatti loro!

La cosa non ti riguarda! 

Pensa ai fatti tuoi!

Occupati degli affari tuoi!

La cosa non ti riguarda!

Non ti immischiare!

Noi non ci impicciamo!

Non ficcare il naso nelle mie cose!

Credo sia abbastanza per oggi. Se volete ascoltate questo episodio più volte e venite a trovarci su italianosemplicemente.com.

Fatevi pure i fatti nostri, noi non ci offendiamo!

Ps: grazie di cuore per le vostre donazioni


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In zona Cesarini

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Video con sottotitoli

Trascrizione

Buongiorno ragazzi. Buongiorno a tutti. Una frase veramente curiosa quella di oggi: “in zona Cesarini”. Sicuramente è una di quelle espressioni che non troverete mai in un libro di grammatica italiana, né troverete l’equivalente esatto in lingua inglese, francese eccetera. Credo che anche all’università, durante le lezioni è impossibile che possiate ascoltare o leggere questa frase.

L’espressione di oggi, che mi accingo a spiegare è una di quelle espressioni che racchiudono un pezzo d’Italia. Una di quelle espressioni che, se pronunciate da uno straniero, da una persona non nata e cresciuta in Italia, suscita sicuramente molto stupore, ed un italiano, ascoltando uno straniero che pronuncia questa espressione rimane sicuramente molto stupito, sicuramente molto meravigliato: Penserà: Com’è possibile che questa persona, straniera, conosca l’espressione “in zona Cesarini”? Evidentemente ha vissuto in Italia. Evidentemente ha passato del tempo in Italia. Questo penserà un italiano. Alla fine dell’episodio di oggi, dopo avervi spiegato il significato di questa espressione italianissima, vi farò alcuni esempi di utilizzo, vi suggerirò alcuni contesti in cui potreste utilizzare l’espressione “in zona cesarini”, anche come semplice turista.

Allora, avrete notato, se avete letto o state leggendo in questo momento la trascrizione di questo episodio, che “Cesarini” si scrive con la lettera “C” maiuscola: con la lettera iniziale maiuscola. Avrete anche notato che se provate a cercare su un dizionario italiano online, la parola “Cesarini” i dizionario vi riporta non ad una parola comune, ma ad una persona, al cognome di una persona.

Ebbene sì. “Cesarini”, con la “C” maiuscola è una persona. In particolare è un calciatore. Troverete più persone che si chiamano Cesarini di cognome su internet, ma quando si parla di “zona Cesarini” si sta parlando di Renato Cesarini, un calciatore, cioè giocatore di calcio, che giocava in Italia nel secolo scorso.

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Renato Cesarini

Renato Cesarini è il suo nome e cognome, e questo giocatore giocava con la squadra della Juventus. La conoscete tutti la Juventus, detta anche “Juve”. Ebbene questo calciatore nel 1931, in una partita tra Italia ed Ungheria, precisamente il 13 dicembre 1931, segnò, realizzò un gol, fece un gol, al minuto numero novanta, al novantesimo minuto, cioè all’ultimo minuto della partita.

Questo giocatore, a dire il vero, molto spesso segnava nei minuti finali di una partita: gli era successo più volte di realizzare diversi gol nei minuti finali di partita, anche se si trattava sempre di gol decisivi ai fini del risultato, cioè non tutti questi gol sono stati importanti, importanti nel senso che la partita è stata vinta grazie al gol di Renato Cesarini. Questo fatto, il fatto di segnare negli ultimi minuti, gli era successo molte volte quindi, anche contro avversari di rango, cioè molto forti, come Napoli e Torino ad esempio. Nel calcio, come in tutti gli sport, gli avversari “di rango” sono gli avversari più forti, sono gli avversari più “blasonati”, più difficili da battere. Si dice anche così: blasonati, cioè che hanno un blasone. Il blasone è simbolo di nobiltà. Questa è l’origine del termine blasone. Ma nello sport chi ha un blasone, chi è blasonato, o la squadra blasonata, è la squadra che ha vinto molti titoli. Il Barcellona e la Juventus sono due squadre blasonate quindi, e sono due squadre di rango.

Quindi tornando a Cesarini, a Renato Cesarini, dopo quel gol realizzato contro l’Ungheria, nel 1931, divenne famoso per essere un calciatore che segna sempre nei minuti finali, che fa sempre gol nei minuti finali di una partita. Ebbene? Allora? Cosa c’entra con l’espressione “in zona Cesarini?”

Cos’è la “zona Cesarini”?

Succede molto spesso che una espressione, anche se nasce in uno specifico contesto, può finire per essere applicata anche ad altri contesti, e così l’espressione “zona Cesarini” finì per essere applicata anche ad altri sport, per indicare fatti, avvenuti, o situazioni avvenute all’ultimo momento, in extremis.

Si parla di “zona” perché col termine zona si vuole indicare un periodo temporale, un arco di tempo, si vuole indicare “l’ultimo momento possibile”. Si dice anche “area Cesarini”.

Quindi la zona Cesarini, o l’area Cesarini, è l’ultimo momento; l’ultimo momento utile per fare qualcosa, ed in particolare per porre rimedi, per rimediare, cioè per risolvere una questione, un problema. Solitamente la parola zona invece si riferisce allo spazio: una zona è solitamente un’area di terreno, e si misura in metri quadri, non in tempo. In tal caso invece si indica una porzione di tempo, un preciso periodo, e precisamente la fine di un periodo di tempo.

Normalmente si dice “in extremis”, per esprimere lo stesso concetto, come ho detto anche prima. È la stessa cosa. In zona Cesarini significa esattamente “in extremis”, “all’ultimo momento”.

Quel gol di Renato Cesarini fece sì che l’Italia vincesse tre reti contro due contro l’Ungheria, in una partita valida per la Coppa Internazionale, una competizione che ora non si svolge più. Si è svolta per sei volte nel passato e queste sei edizioni si disputarono dal 1927 al 1960. La Coppa Internazionale È stata la prima competizione per squadre nazionali di calcio disputata in Europa. Ora ci sono, come sapete, i campionati Europei di Calcio.

Vediamo qualche esempio di utilizzo dell’espressione “zona Cesarini”. Potete usare queste espressione in qualsiasi contesto, ma fondamentalmente solo nella forma orale. Non viene usata, se non in articoli giornalistici, nella forma scritta.

Immaginiamo che siate un turista, un turista che viene in Italia e che viene a Roma ad esempio. A Roma ad esempio andate a visitare il Colosseo, e scoprite scopre che l’orario di visita del Colosseo, l’orario in cui è possibile visitare il Colosseo, vederlo cioè dal suo interno, sta per terminare. Siete l’ultima persona del giorno che entra nel Colosseo. Siete molto fortunato, e quindi potreste dire quindi alla persona che gli dà il biglietto “meno male, ce l’ho fatta in zona Cesarini!”.

Vedrete la reazione della persona che sta di fronte a voi: come minimo sgranerà gli occhi: cioè allargherà gli occhi in segno di stupore; sarà stupita, sarà meravigliata, perché avete utilizzato l’espressione “in zona Cesarini”. Penserà forse che siete italiana, o che avete vissuto in Italia per un po’ di tempo.

La stessa cosa la potete usate al ristorante. Se decidete di cenare molto tardi, ad esempio alle 10.30 di sera, magari perché avete visitato Roma o avete passeggiato per le vie del centro, troverete sicuramente dei ristoranti aperti, ma alcuni ristoranti a quell’ora stanno per chiudere. È tardi per cenare, e probabilmente a quell’ora, alle 10.30 di sera,  è più facile che troviate aperti pub, birrerie, che vi possono comunque preparare delle cose da mangiare. Se entrate in un classico ristorante e chiedete: “ è possibile cenare?”. Il proprietario, o il cameriere, potrebbe rispondervi: “stiamo quasi per chiudere, ma entrate pure siete arrivati in zona Cesarini”. Se si accorge che siete degli stranieri sicuramente non userà questa espressione. Anche voi però potreste usare questa espressione: potreste chiedere: “si può entrare in zona Cesarini?”, “cioè “si può entrare anche se siamo arrivati all’ultimo momento?” “anche se siamo arrivati in extremis?”.

Avete capito quindi che la zona cesarini non è una zona fisica, un’area, ma è un periodo di tempo.

“in zona cesarini” è una espressione usata in tutta Italia, assolutamente innocua, usata da tutti. Non abbiate paura quindi di utilizzarla. Per memorizzarla velocemente il trucco lo sapete: dovete ripetere e dovete collegarla a delle emozioni.

Ora faremo un esercizio di ripetizione, mentre riguardo alle emozioni potete provare ad andare su facebook, e scrivere una frase che contiene questa espressione. Magari avrete delle reazioni, dei commenti che agiranno sulle vostre emozioni facendovi ricordare meglio questa frase.

Facciamo ora l’esercizio di ripetizione. Repetita iuvant.

Zona Cesarini

Zona Cesarini

In zona Cesarini

In zona Cesarini

Sono arrivato in zona Cesarini

….

Scusate se arrivo in zona Cesarini

Mi sono salvato in zona Cesarini.

Bene ragazzi, spero che tutto sia chiaro, spero di essere riuscito a spiegare per bene questa espressione. Per conoscere la spiegazione di altre frasi idiomatiche basta andare sulla home page del sito Italianosemplicemente.com e cliccare su “livello intermedio”, lì troverete molte espressioni italiane di suo comune che in nessun libro però riuscirete a trovare né un suo utilizzo, tantomeno una spiegazione.

Vi lascio alla sigla finale, anche perché devo andare a fare la spesa al supermercato e spero di riuscire ad arrivare in tempo prima della chiusura. Se ce la farò, arriverò sicuramente in zona Cesarini, altrimenti, niente cena…

……..

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Fare i conti senza l’oste

tutte le espressioni idiomatiche spiegate

Audio

La domanda:


La spiegazione:

Trascrizione

La domanda di Manal (Algeria): ciao Gianni, vorrei sapere il significato dell’espressione: “fare i conti senza l’oste”. Non sono riuscita a trovare nulla su internet

La spiegazione

Buongiorno ragazzi. Oggi vediamo l’espressione idiomatica italiana “fare i conti senza l’oste”, e ringrazio Manal, una ragazza algerina, e più precisamente della città di Shief. Manal studia italiano nell’università di Blida. Spero di aver pronunciato bene tutti i nomi. Manal ha detto di non aver trovato su internet la spiegazione di questa frase.

Bene allora vediamo un po’ se ce la faccio a farvi capire il significato dell’espressione.

Fare i conti senza l’oste. Dunque cos’è “fare i conti”? Per capire occorre spiegare cosa sono i conti. I conti si fanno in matematica. Si prende una calcolatrice, oppure si scrive su un foglio di carta. Quanto fa due virgola tre più tre virgola uno? Facciamo i conti e vediamo quanto fa, vediamo il risultato di questa operazione facendo i conti. I conti è un termine, una parola generica; nello specifico esistono le operazioni matematiche: addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione. In generale si dice: fare delle operazioni, oppure ancora più in generale, si dice fare i conti. In senso matematico quindi, questa espressione si usa al ristorante, in pizzeria, ad esempio: mi fa il conto per favore? In questo caso si usa al singolare: il conto. Per “fare il conto”, il proprietario del ristorante deve fare i conti, deve vedere quello che si è mangiato, fare le singole addizioni e vedere il risultato. Il risultato è il conto, il conto del tavolo.

La cameriera, che serve ai tavoli, potrebbe chiedere al proprietario: “mi fai il conto del tavolo numero due per favore?

Quindi i conti si fanno per calcolare un risultato. Ma in realtà “fare i conti”, l’espressione “fare i conti” è usata in senso più ampio; si può utilizzare non solo al ristorante, in pizzeria eccetera, ma anche quando ci sono delle questioni da chiarire tra due persone. Se ci sono due persone ad esempio che devono ancora concludere una discussione, o hanno avuto una trattativa, ed una delle due persone crede che ancora questa discussione, questa trattativa non sia terminata, perché crede magari che finora non si sia detto tutto e occorre, bisogna terminare la discussione per ristabilire un equilibrio, allora questa persona che si sente in credito, che crede di averci rimesso finora, vuole fare i conti, vuole ristabilire il giusto, un giusto equilibrio, come è giusto che sia, secondo lui.

Se ad esempio un bambino fa un capriccio, fa una cosa che non deve fare, una cosa grave che fa arrabbiare la mamma, la mamma potrebbe dire al telefono a suo figlio:

“appena torno a casa facciamo i conti!”

Ed il bambino probabilmente avrà paura del ritorno della mamma, che vuole fare i conti con lui.

Bene, spero sia chiaro finora. Questo è uno dei significati di “fare i conti”.

osteria

A noi interessa di più però il primo significato, quello di fare i conti al ristorante. Perché “l’oste” è la persona proprietaria non di un ristorante, ma di una osteria. L’oste è il proprietario, oppure colui che gestisce l’osteria. L’osteria è un locale simile al ristorante, ma si serve prevalentemente, cioè quasi esclusivamente, del vino. È quasi come una enoteca, ma si tratta di vino normale, di vino spesso prodotto dallo stesso proprietario, cioè dallo stesso oste, mentre nell’enoteca si vendono diversi tipi di vino. Nell’osteria quindi si beve il vino dell’oste e spesso si può anche mangiare qualcosina, si può fare qualche piccolo spuntino. Lo spuntino è qualcosa di leggero da mangiare velocemente, come uno snack.

Ok quindi l’oste, il gestore dell’osteria vi porta il vino, e normalmente è anche colui al quale si paga dopo aver bevuto il vino. Ebbene è lui che fa i conti; è lui che scrive su un pezzo di carta quanto va pagato alla fine dal cliente. Non si possono fare i “conti senza l’oste”.

Quindi il cliente non può fare i conti da solo, ma li deve fare l’oste.

Chi fa i conti senza l’oste rischia di sbagliarli. Avrete certamente intuito che “fare i conti senza l’oste”, questa locuzione, questa frase idiomatica viene detta a un soggetto che è abituato a prendere decisioni affrettate, che non tengono conto delle volontà altrui e anche di un eventuale rifiuto.

Quindi non è una frase che si utilizza solamente in osteria, ma in tutte le situazioni in cui qualcuno prende decisioni senza tener conto di tutto, soprattutto della volontà di altre persone, del parere di altre persone coinvolte nella decisione. È quindi una frase che si utilizza anche in ambito lavorativo: non è una frase volgare, niente affatto! Si tratta di una espressione molto utilizzata anche in ambienti importanti. Infatti è chiara, fa subito capire cosa si vuole dire, perché se si pronuncia è scontato, si dà per scontato chi sia l’oste in questione.

Se ad esempio sono in una azienda e decido, come presidente, di spostare il luogo di lavoro di alcuni miei dipendenti, senza particolari motivi e soprattutto senza consultare i sindacati dei lavoratori, allora posso dire che sto facendo i conti senza l’oste, perché avrei dovuto consultate l’oste, che in questo caso sono i sindacati, che potrebbero impedire che senza le giuste motivazioni si trasferiscano, si spostino le sedi di lavoro dei lavoratori.

Analogamente se sono l’allenatore di una squadra di serie A italiana e decido di acquistare Lionel Messi, perché credo che sia una giocatore fondamentale per vincere lo scudetto in Italia, allora telefono a Messi, oppure chiamo il suo procuratore, e preso dall’entusiasmo avverto anche i giornali sportivi italiani del prossimo acquisto, di acquistare Messi.

Ma come allenatore ho dimenticato di avvertire l’oste, che in questo caso è il presidente della mia squadra, colui che presumibilmente dovrà pagare l’acquisto di Messi. Ho preso una decisione affrettata. Ho fatto i conti senza l’oste.

Spero, cara Manal, di averti chiarito il dubbio e di averlo chiarito a tutti gli ascoltatori. Non abbiate paura di usare questa espressione perché è assolutamente innocua. È universale e sempre utilizzabile, anche, come ho detto, nel lavoro. A proposito di lavoro, questa è una delle frasi che verrà utilizzata anche nel corso di Italiano Professionale, in preparazione, corso al quale potete già iscrivervi per richiedere di essere avvisati non appena sarà disponibile. Basta cliccare sul link che inserisco all’interno del podcast. In alternativa potete andare sul sito italianosemplicemente.com e cercare “italiano professionale”. Troverete lì il link per richiedere di essere avvisati non appena inizierà il corso.

Ora vediamo di esercitare la pronuncia. Ripetete dopo di me, è importante, anche qualcuno se non ha ben capito tutte le frasi all’interno di questo episodio. La ripetizione è importante perché parlare è parte della comunicazione, ed è anche una delle regole che usiamo in Italiano Semplicemente: la settima ed ultima regola.

Ripetete dopo di me e state attenti alla vostra pronuncia:

Fare i conti senza l’oste

—–

L’oste

Fare i conti

—–

Fare i conti senza l’oste

—–

Fare i conti senza l’oste

—–

Fare i conti senza l’oste

—–

Un ultima volta:

Fare i conti senza l’oste

—–

Bene, è tutto per oggi. Ascoltate questo episodio più volte per esercitarvi, fatelo senza stress, con calma, fatelo molte volte e vedrete che riuscirete a farlo in modo sempre più facile. Non dimenticate la fase di ripetizione, e se andate al ristorante, mi raccomando, non fate i conti senza l’oste!

Grazie Manal, ciao a tutti.


tutte le espressioni idiomatiche spiegate

Ci tengo a te

Audio

Descrizione

Vediamo le espressioni usate per esprimere un sentimento di amore o affetto.

Trascrizione

Buongiorno ragazzi. Oggi vediamo tutti i modi per dire “ti voglio bene”. Quanti modi ci sono in italiano? Vedremo che la fantasia non manca agli italiani, in questo caso, soprattutto in campo amoroso direi!

Ho provato a sottoporre la questione su Facebook, ed ho avuto un riscontro molto positivo.

ci_tengo_a_te

Tutto è nato da un messaggio che mi è arrivato, su Messenger, dove un amico di Facebook mi chiedeva: cosa significa “ci tengo a te”. Cominciamo quindi a spiegare questa frase. Poi vediamo la fantasia di coloro che hanno risposto alla mia domanda fino a che punto si è spinta.

Una cosa a cui non avevo pensato, in effetti, è che non è facile, non è immediato almeno, comprendere questa brevissima espressione. “Ci tengo a te”.

“Ci tengo a te” è uno dei tanti modi di dire “ti voglio bene”. “Ci tengo a te” è l’abbreviazione di “io ci tengo a te”. Quindi il soggetto, colui che compie l’azione è il sottoscritto, io, cioè chi parla, e chi parla “ci tiene” alla persona che ha di fronte, che sta davanti. “Io ci tengo a te”.

Tenere è il verbo utilizzato: tenere significa trattenere, “to keep” in inglese, o anche “to have”, dipende. Tenere significa avere in mano oppure avere tra le mani; stringere qualcuno o qualcosa con le mani, avere tra le braccia o in altro modo perché non cada, perché non si muova, perché non fugga dalla presa. Questo è tenere.

Ma tenere ha molti altri significati. “Tenere a qualcuno” vuol dire voler bene a questa persona, tanto da, avere difficoltà a lasciarla andare. Se una persona ci tiene ad un’altra persona, vuol dire che la vuole con se, le vuole bene, ci tiene.

La stessa frase “ci tengo”, senza aggiungere altro, ma solo “ci tengo”, significa che per me è importante, senza specificare cosa è importante.

Al lavoro potrei dire: “Mi fai questo lavoro per favore? Ci tengo molto!

E quindi posso anche “tenere a qualcuno”. Attenzione perché l’uso della preposizione semplice “a” è molto importante. Vediamo un esempio di come usare la frase “tenerci a qualcuno”:

Io ci tengo a te!

Tu ci tieni a me!

Lui ci tiene a te!

Noi ci teniamo a te!

Voi ci tenete a lui!

Loro ci tengono a te!

Vedete quindi che è sempre presente, oltre alla preposizione semplice “a”, la parolina “ci”.

“Ci” è un avverbio, si chiama così, ma non ce ne frega niente, poiché quello che interessa è come si usa.

“ci” si usa in moltissime circostanze diverse in realtà, ed in questo caso la sua funzione è quella di rafforzare la frase, dare più forza alla frase, infatti potrei anche togliere l’avverbio “ci” in questo caso: potrei anche dire “io tengo a te”, “tu tieni a me” eccetera. In questo caso il significato non cambia ma è meno forte. Questa forma, senza “ci” si usa maggiormente in ambito formale, al lavoro ad esempio: “se tenessi al tuo lavoro, arriveresti puntuale!”, solo per fare un esempio.

Potete quindi dire “io tengo a te”, o anche “tengo molto a te”, senza “ci”, ma attenzione, perché se togliete il “ci” dovete specificare cosa: non potete dire “io tengo”, perché il “ci” ci deve stare, perché serve a sostituire la cosa di cui state parlando: cioè “te”, la persona alla quale si tiene, ad esempio.

Tengo molto a te” è quindi un bel modo di dire “ti voglio bene”. Si può dire anche ad un amico, quindi è più universale di “ti amo”, che invece si applica solamente all’amore romantico, quello per il proprio partner.

È comunque meno usato di “ti voglio bene”, che si usa sempre, con qualunque persona sia importante per te.

“Ci tengo” invece si applica anche alle cose: posso tenere al mio lavoro, posso tenere al mio orologio, alla mia automobile eccetera.

Voler bene si usa solamente con le persone, quindi amanti, figli, genitori, amici, al limite si può voler bene agli animali domestici, ma non si usa con altre cose: non si usa dire “voglio bene al mio lavoro”, se non in circostanze particolari.

Vediamo altri modi diffusi in Italia per dire: “Ti voglio bene”.

Renato ne suggerisce qualcuno: “Abiti dentro del mio cuore” scrive Renato per primo. In realtà si dovrebbe dire “abiti dentro il mio cuore”. Non credo di averla mai sentita utilizzare caro Renato, ma potrebbe sicuramente far effetto a chi ascolta la frase, senza dubbio.

“Senza te, non sono niente”: questa è la seconda frase di Renato. Si può dire, bravo Renato! E di sicuro non può lasciare indifferente. Tra le frasi proposte in realtà non ci sono frasi normalmente utilizzate, ma di indubbia fantasia: “Sei l’aria che respiro”, “Sei l’ossigeno per me”, “Sei il sangue che corre sulle mie vene”, “Sei la mia allegria di vivere”.

Probabilmente la più utilizzata tra quelle proposte da Renato è “Sei la mia fonte di ispirazione”, ma questa frase possono pronunciarla prevalentemente gli artisti e coloro che vivono di ispirazione.

Comunque poi c’è Anna Maria propone “sei il caffè della mia colazione”. Ed Anna Maria ha tenuto a specificare che il caffè è vita per lei.

Nabil propone invece una frase più sobria: “Sei la mia vita, Sei il mio tesoro”. Sicuramente sono entrambe molto utilizzate perché brevi e, diciamo, molto intense.

Lidia invece propone la frase: “IO TI VOGLIO BENE DAVVERO” scritta in caratteri maiuscoli. In effetti la frase “ti voglio bene” è talmente tanto utilizzata che è facile ascoltarla; tutti la possono pronunciare. Quindi dicendo “io ti voglio bene”, ed aggiungendo “davvero!” vuol dire: io non sono come gli altri, io sì che ti voglio bene, io sto dicendo la verità, il mio è un vero sentimento.

Sono stupito che nessuno mi abbia detto la frase “sono pazzo di te”, utilizzatissima come frase in ambito amoroso.

Credo che ci siano anche altre frasi veramente molto utilizzate, vale la pena citare anche delle forme più attenuate, nel senso che ci sono diversi livelli di amore, diverse intensità. Posso amare intensamente o posso anche essere semplicemente interessato ad una persona.

Mi viene in mente la frase “mi interessi!”, o anche “sono interessato a quella ragazza” che manifesta l’intenzione di chi parla nel voler conoscere meglio quella persona, perché attraente, bella, o intelligente.

Se un ragazzo o una ragazza vi dice “mi interessi” vuol dire che gli piaci, o che le piaci: anche se non ti conosce molto bene questa persona è interessata a te. Non è ovviamente ancora amore.

Mi piaci” è generale, si usa spessissimo, ed è un po’ di più di “mi interessi”. Se piaci ad una persona generalmente questa persona ti conosce.

Si usa spesso dire “mi piaci un sacco”, più diffuso di “mi piaci molto”, perché il “mi piace molto” è più adatto agli oggetti, o anche alle vacanze (Roma mi piace molto, l’Italia mi piace molto) ma in realtà si usano entrambi i modi verso una persona: diciamo che “un sacco” è più giovanile.

Comunque anche il “mi piaci” non è vero amore, solamente un po’ di più di un semplice interesse.

Ancora più intenso di “mi piaci” è “ti adoro”. Però per poter dire “ti adoro” ad una persona dovete conoscere molto bene questa persona, non potete certo dirlo ad una persona sconosciuta o che avete conosciuto da poco tempo: dovete conoscerla bene, a fondo, e dovete aver avuto modo di apprezzarne le qualità.

Ti adoro, tra l’altro si dice in occasioni particolari, quando questa qualità che voi apprezzate viene fuori, quando questa qualità emerge con chiarezza e per l’ennesima volta.

Se il vostro fidanzato vi porta sempre i fiori, sapendo che a te piace molto, dopo tre o quattro volte potete dirgli: “ti adoro”, che vuol dire “amo questo tuo atteggiamento”, “amo questa tua attenzione verso di me”, “mi piace questo tuo modo di fare”.

Delle frasi simili a “ti adoro” sono: “mi fai impazzire!”, oppure “mi fai morire!” o anche “sei speciale”, “sei meravigliosa!”

Poi c’è tutto un insieme di frasi che più che amore esprimono attaccamento. La frase più semplice di questo tipo è “mi manchi” (I miss you), ma se volete esagerare, ma state attenti perché rischiate di attaccarvi troppo e di far anche impaurire la persona a cui vi rivolgete, potete dire ad esempio “non riesco a fare a meno di te!”, che non è esattamente come “mi manchi”, più romantica come frase. A chi ama l’amore esclusivo e molto passionale farà sicuramente piacere, ma in generale chi non riesce a fare a meno di un’altra persona ha un attaccamento che ha a che fare con l’egoismo più che con l’amore. Chi ama veramente non dovrebbe dipendere: “l’amore non è dipendenza ma libertà”, dicono gli psicologi.

Meglio che la finiamo qui per oggi. Grazie a tutti coloro che hanno dato il loro contributo. Un saluto da Giovanni.


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Sbarcare il lunario

Audio

Video con sottotitoli

a cura di Yasmine Arkun

Trascrizione

Musiche di Emanuele Coletta (7 anni) – al Pianoforte

Lunario2
Un esempio di LUNARIO. fonte: umbriatouring.it

Gianni: ciao a tutti e benvenuti nel nuovo episodio di italiano semplicemente. Oggi,  amici di italianosemplicemente.com non è uno dei giorni migliori a Roma, la giornata non è un granché. infatti il cielo della capitale d’Italia è molto nuvoloso.

Per fortuna il programma di oggi è un argomento molto divertente, ma non solo per la frase che spiegheremo, ma anche perché non lo farò da solo.

Con me infatti c’è Ramona dal Libano,  e precisamente da Beirut

Ramona: ciao ragazzi, sono qui!!

Gianni: Ramona è l’antidoto giusto ad una giornata nuvolosa, e col suo spirito allegro ci farà sentire meglio.
Ramona: sì Gianni,. anche perché qui in Libano il cielo è nuvoloso ed il tempo è abbastanza freddo.

Gianni:  Ramona cosa fai nella vita, oltre a collaborare con Italiano semplicemente.

Ramona: io vado all’Università,  studio e lavoro anche come professoressa di chimica

Gianni: ah molto bene, quindi ti diverti con gli esperimenti in laboratorio!
Ramona: si ma anche perché devo lavorare, altrimenti non riesco a sbarcare il lunario.

Gianni: ah certo capisco, ed è proprio questa la frase idiomatica di oggi: “sbarcare il lunario”.

Ramona: si proprio questa: sbarcare il lunario.
Gianni: Sembra difficile, ma non lo è molto. È una frase molto usata dagli italiani, ma non dai libanesi come Ramona.  Vero Ramona?

Ramona: verissimo Gianni, ma mi piace questa espressione sai? Mi piace anche perché sto partecipando alla spiegazione.

Gianni: quello di oggi infatti  è il primo podcast in coppia. Io e Ramona, due voci, due anime a confronto. E’ un esperimento, per rendere il podcast più divertente e più piacevole da ascoltare. Ed è un esperimento che ripeteremo anche con gli altri membri dello staff di Italianosemplicemente.com.

Ramona: è un’ottima idea Gianni,  credo sia utile a tutti, per imparare l’italiano, ascoltare più voci contemporaneamente, nello stesso tempo.

Gianni: già, una voce maschile,  la mia.

Ramona: ed una femminile. Bene Gianni, cominciamo: “sbarcare il lunario”. Cosa significa Gianni? Io l’ho usata prima ma non lo so,  forse ho capito il senso ma non sono molto  sicura. Non so neanche se l’ho pronunciata bene a dire il vero.

Gianni: in effetti Ramona, tu l’hai usata in una frase,  all’interno di una frase  quindi forse hai compreso il significato grazie al contesto.  Ricordate la regola numero quattro? Le emozioni ed il contesto vi aiutano a capire il significato delle parole o delle espressioni che non conosciamo. Quindi Ramona adesso spieghiamo il significato di questa espressione idiomatica,  cominciando dalle singole parole,  poi spieghiamo il senso della frase e poi…

Ramona: poi alla fine facciamo degli esempi e poi vediamo la pronuncia della frase.  Allora,  le parole sono: “sbarcare”  e “lunario” . Due parole difficili Gianni. Cominciamo dal lunario? C’entra qualcosa la luna Gianni?

Gianni: sì in qualche modo c’entra la luna, perché la luna è utilizzata spesso quando si parla del tempo che passa,  e infatti “lunario” significa” anno.

Ramona: anno? Ma sei sicuro Gianni? Non ho mai sentito un italiano dire lunario al posto di anno, voglio dire  come sinonimo di anno. Mai. Nessuno dice mai: io ho 18 lunari invece che 18 anni, no?

Gianni: beh infatti no, neanche io veramente sapevo che un lunario fosse un anno. Ed infatti ho dovuto cercare il significato di lunario su un vocabolario di internet.

Ho sempre usato questa espressione senza sapere che il lunario è il nome di un almanacco popolare. Un almanacco che riporta i giorni ed i mesi dell’anno, una specie di calendario. Un calendario dove ci sono scritti,  dove sono riportati anche proverbi e poesie. È una parola antica,  che oggi non si usa più,  il lunario.

Ramona: Il lunario! Capisco… E sbarcare? Sbarcare non significa scendere dalla barca? Scendere da una nave 🚢?

Gianni: si infatti! Sbarcare significa, nel suo senso proprio, trasferire a terra delle persone oppure dei materiali trasportati da una barca,  insomma in generale da un’imbarcazione o anche da un aereo; è come “scaricare”.  Quindi ad esempio posso dire che i passeggeri sbarcano dalla nave,  cioè scendono dalla nave.

Oppure: “la valigia verrà sbarcata dall’aereo” “cioè verrà fatta scendere dall’aereo.

Ramona: va bene Gianni,  ma cosa c’entra sbarcare col lunario? È un calendario,  o un almanacco che scende dall’aereo?

Gianni: non c’entra nulla Ramona,  proprio nulla. Ma le frasi idiomatiche sono così, del resto come ti ho detto neanche io sapevo cosa fosse il lunario prima,  e come me nessun italiano probabilmente, a meno che è un esperto del settore.

Ramona: ho capito,  allora spiegaci meglio Gianni.

Gianni: infatti Ramona,  in questo caso “sbarcare”, in questa frase, vuol dire “sopravvivere”.

Ramona: sopravvivere? Ah quindi sbarcare nel senso di…  riuscire ad arrivare a destinazione,  riuscire a fare qualcosa di importante.

Gianni: sopravvivere… infatti,  quando ci sono le navi ed i porti, nella lingua italiana, c’è sempre di mezzo un obiettivo da raggiungere.  Posso dire ad esempio la frase “andare in porto” che vuol dire riuscire a raggiungere un obiettivo, quindi il porto rappresenta un punto di arrivo  dove arriva la nave. Allora quando si scende da una nave, cioè si sbarca dalla nave, vuol dire che si è arrivati a destinazione. In questo caso sbarcare il lunario è raggiungere l’obiettivo.

Ramona: l’obiettivo? Qualsiasi obiettivo?

Gianni: in questo caso l’obiettivo della sopravvivenza. Infatti il lunario è un calendario, quindi rappresenta il tempo che passa. Sbarcare quindi è raggiungere un obiettivo e il  lunario è il tempo che passa, quindi sbarcare il lunario è raggiungere l’obiettivo di far passare il tempo, cioè semplicemente di sopravvivere! Di non morire. Riuscire a non morire di fame.

Però Ramona significa sì  riuscire a sopravvivere,  ma niente di più. Sopravvivere senza chiedere aiuto ad altri, ma senza guadagnare molto soldi.
Ramona : quindi un uomo ricco,  con molti  soldi non può dire che sbarca il lunario col suo lavoro  perché tutti si metterebbero a ridere. Giusto?

Gianni: si esatto è invece posso invece  dire  ad esempio che con la rendita di un orto si può sbarcare il lunario,  cioè che se hai un orto, cioè un giardino dove coltivare delle verdure,  riesci Facilmente a sbarcare il lunario.
Ramona : Si ma non è un lavoro questo. No?

Gianni: si però puoi riuscire a sopravvivere se mangi le verdure.

Ramona : ah si vero,  è poi puoi anche venderle no? Così guadagni qualche euro giusto?

Gianni: si giusto,  pochi soldi ma qualcosa sì. Insomma riesci a sbarcare il lunario,  a sopravvivere con le verdure dell’orto.

Ramona: ma scusa Gianni non è che gli italiani si mettono a ridere se dico che con la mia palestra riesco a sbarcare il lunario?

Gianni: stai scherzando? Farai un figurone invece, tutti penseranno che sai benissimo l’italiano. Se ad esempio un tuo professore di italiano all’Università ti chiede cosa fai nella vita ti consiglio di usare questa espressione,  sarai promossa sicuramente.

Ramona: wow Gianni al prossimo esame allora,  non vedo l’ora di usare questa frase.

Ma scusa Gianni è l’unico modo questo che posso usare per dire che riesco a sopravvivere?

Gianni: no fortunatamente in italiano ci sono molte espressioni di questo tipo,  ci sono molti modi per dire questa cosa.

Posso ad esempio dire: “Tirare avanti la baracca” oppure “tirare a campare“,  oppure ma è più grave, si può dire   “vivere di stenti“,  riuscire a “sopravvivere a stento“. Si può dire anche “vivere stentatamente“, ma ognuna di queste espressioni ha delle piccole differenze,  e non sempre puoi sostituire ed usare una espressione al posto di un’altra.  Dipende da con chi stai parlando ad esempio.

sbarco
Lo “sbarco” in Normandia del 6 giugno 1944

Al tuo professore ad esempio  non potrai dire che vivi di stenti o che sopravvivi a stento grazie al tuo lavoro  perché è esagerato,  non è così grave,  non stai quasi morendo di fame, e il tuo professore probabilmente penserà che non conosci bene l’italiano.

Ramona: bene allora facciamo l’esercizio di ripetizione? Credo sia tutto chiaro.
Gianni: ok,  allora ripetete dopo di me e dopo Ramona,  se volete mettete in pausa il vostro smartphone. Mi raccomando non pensate alla grammatica.

Gianni: io sbarco il lunario
Ramona : io sbarco il lunario

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Gianni: tu sbarchi il lunario
Ramona : tu sbarchi il lunario

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Gianni: Ramona sbarca il lunario
Ramona : Gianni sbarca il lunario

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Gianni: noi sbarchiamo il lunario
Ramona : noi sbarchiamo il lunario

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Gianni: voi sbarcate il lunario
Ramona: voi sbarcate il lunario

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Gianni: loro sbarcano il lunario
Ramona: loro sbarcano il lunario

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Ramona : ragazzi allora voi cosa fate per sbarcare il lunario?

Gianni: siete invitati a commentare, a dire la vostra opinione,  così potete esercitarvi con la frase di oggi. Per chi vuole conoscere anche altre espressioni di questo tipo,  che riguardano il lavoro,  siete invitati al corso di Italiano Professionale che inizierà nel 2018. Per chi vuole conoscere tutte le espressioni italiane che riguardano le professioni e il lavoro e chi non si accontenta di conoscere l’italiano di base ma vuole approfondire la lingua in profondità. Chi vuole può prenotare anche oggi il corso cliccando sul link che inserisco sull’articolo.
Gianni: vi consiglio di ripetere l’ascolto del podcast più volte,come al solito.

Ramona: e poi un salutone  dal libano
Gianni: e uno dall’Italia.

Ramona : non mi prendere in giro Gianni… Me ne sono accorta sai!!

————-

FINE

Attaccare il pippone ed attaccare bottone

Audio

Trascrizione

trascrizione a cura di Shrouk H. Helmi – musiche di Emanuele Coletta

Video su Youtube (con sottotitoli)

Allora buonasera amici, oggi vi parlerò di un espressione molto utilizzata tra i giovani. È una espressione molto utilizzata prevalentemente tra i giovani e prevalentemente al centro Italia, anche se vi comprenderanno in tutta Italia. Questa frase è una frase che tutti possono comprendere; tutti gli italiani voglio dire, e ha a che fare con il mondo della comunicazione. Perché dico questo? Perché come sapete, essendo il creatore di italianosemplicemente.com so che la comunicazione è importante ed il messaggio che c’è sul sito di italianosemplicemente.com è che se seguite le regole di Italiano Semplicemente imparerete a comunicare in italiano in sei mesi.

Dunque questa frase idiomatica é una frase che soltanto se conoscete il significato potete comprendere, potete capire cosa significa e sarete in grado di utilizzarla. Dunque la frase è “attaccare il pippone” è una frase che mi è venuta in mente ieri pomeriggio perché ho ascoltato un podcast in inglese e ascoltando questo podcast mi è venuto in mente che c’erano delle espressioni in inglese che tradotte in italiano si potevano tradurre in questo modo “attaccare il pippone”.

Dunque: come al solito prima di spiegare il significato di quest’espressione, spieghiamo le parole, le singole parole che compongono l’espressione; dopodiché vi spiegherò il significato e farò qualche esempio come al solito. Alla fine proveremo un esercizio di ripetizione.

Questa é un espressione, vi avviso subito, un po’ dedicata perché si rischia di fare delle gaffe; si rischia di fare delle brutte figure perché contiene una parola che è una parola pericolosa.

Vediamo dunque il significato della parole così scoprirete qual è questa parola pericolosa. Dunque, “attaccare il pippone”: vediamo la parola “attaccare“. È  la prima parola. Attaccare è il contrario di staccare. La parola attaccare è un verbo e significa prendere qualcosa, attaccarla su una superficie ad esempio, prendere della colla: la colla è quella sostanza chimica che viene utilizzata per unire le parti di due oggetti, per attaccarle, dopo che avete attaccato le due parti non si staccheranno più, saranno attaccate perché avete applicato (messo) la colla sulla parte che è in comune, dunque attaccare significa questo, quindi è il contrario di staccare. La seconda parola è l’articolo “il“, che conoscerete sicuramente e la terza parola è il pippone,.

Pippone è appunto la parola pericolosa, la parola molto pericolosa. Prima di utilizzarla state molto attenti perché ha più significati. In questo caso non è un significato negativo perché “pippone” in questo caso significa soltanto una cosa, il pippone in questo caso è un discorso, una frase, diciamo un discorso che una persona inizia, nei confronti di un altra persona e non la finisce più. Un discorso che non finisce più.  Attaccare il pippone quindi significa niente che si deve attaccare, evidentemente, quindi non dovete guardare al significato proprio dell’espressione.

Il pippone non è una cosa che si attacca ma attaccare il pippone significa iniziare un discorso molto lungo, coinvolgere una persona, costringerla ad ascoltare un discorso molto lungo anche contro la sua volontà; questo è il significato dell’espressione attaccare il pippone, quindi in questa frase il senso del verbo attaccare è evidentemente quello di iniziare. Attaccare significa “iniziare” in questo caso.

Però non potete dire “iniziare il pippone” perché se dite iniziare il pippone non verrete compresi e rischiate che la parola “pippone” venga interpretata nel suo senso negativo, che ancora non ho spiegato. Qual è? Dunque, attaccare il pippone significa appunto iniziare un discorso lungo e che l’altra persona non è detto sia disponibile ad ascoltare. Il podcast in inglese che stavo ascoltando qualche giorno fa appunto è relativo ad un barista, una persona che di mestiere, di lavoro faceva il barista cioè la persona che serve al bar, la persona alla quale si ordina il caffé, la persona che quindi lavora in un bar.

Il barista spesso é costretto ad ascoltare le persone che vengono al bar, magari nel bar non c’è nessuno, magari c’è soltanto il barista e arriva una persona, viene magari sola al bar e comincia a parlare: comincia a parlare di un discorso che il barista non è detto che trovi molto piacevole, di conseguenza il barista, essendo quello il suo lavoro, non lo dice, non lo comunica alla persona, al cliente che quel discorso non gli piace; non gli comunica, non gli dice che vorrebbe non ascoltare più. Non gli dice quindi: smettila! Perché è un cliente e magari non vuole perdere il cliente, di conseguenza quando questa persona va dal barista e comincia a parlargli di qualsiasi cosa per lungo tempo e lo costringe ad ascoltare, si dice “attaccare il pippone“: questa persona attacca il pippone al barista cioè attacca il pippone e non la finisce più. Questo quindi è il significato del espressione.

Vi ho già fatto un esempio molto calzante, i baristi, poverini, sono costretti molto spesso ad ascoltarsi il pippone delle persone che arrivano al bar e cominciano a parlare, magari sono persone sole che non hanno molto amici e vanno dal barista perché è l’unica persona che è disposta ad ascoltarli.

Di conseguenza attaccano il pippone al barista e lo fanno durare fin a che arriva il cliente successivo, questo quindi è un primo esempio che mi viene in mente.

Un secondo esempio che mi viene in mente… potrei fare un esempio anche in ambito affettivo, in ambito diciamo relazionale. Potremmo pensare ad esempio a due persone, un uomo e una donna. Se un uomo si innamora di una ragazza e vuole iniziare a parlare con questa ragazza, e allora che cosa fa? Comincia a parlare con questa ragazza perché le fa piacere parlare con lei e comincia ad attaccargli un pippone incredibile, comincia ad attaccare il pippone e non lo smette piú. Vuole parlare, vuole soltanto parlare, vuole parlare perché gli piace questa ragazza e la ragazza, per non offenderlo potrebbe non fargli notare che è una persona fastidiosa e quindi sopporta. Sopporta e sopporta fino a che potrebbe dirgli “basta adesso, ho altro da fare, devo uscire con una mia amica” ad esempio.

Quindi questo ragazzo attacca il pippone e non la finisce più. Lo fa durare troppo tempo e diventa fastidioso. In questo caso potremmo anche utilizzare un altra espressione, sempre con il verbo attaccare perché quando un ragazzo vuole conoscere una ragazza e comincia a parlare con lei, allora in questo caso si dice attaccare bottone, attaccare bottone significa semplicemente approcciare la ragazza, inizia a parlare. Attaccare bottone vuol dire che prima questa ragazza non la conosceva, e dopo la conosce. Se ha il coraggio di “farsi avanti”, se ha il coraggio di iniziare a parlare.

Invece attaccare il pippone è invece fare un discorso fastidioso, lungo, che una ragazza non ha voglia di ascoltare.

Quindi con l’occasione ho spiegato anche questa seconda frase idiomatica “attaccare bottone” sicuramente tutti i ragazzi che stanno ascoltando in questo momento questo podcast di Italiano Semplicemente hanno attaccato bottone nella loro vita moltissime volte. Spero per loro però che non abbiano attaccato il pippone a nessuno (ad una ragazza), e che questa ragazza non sia stata infastidita da loro.

Vi auguro di attaccare il bottone più spesso che potete ma vi auguro di non attaccare il pippone a nessuno.

Attaccare il pippone è una frase quindi che è relativa delle persone che non si rendono conto di essere fastidiose, non si rendono conto di infastidire le altre persone, evidentemente perché hanno una scarsa “intelligenza sociale” si dice; una scarsa intelligenza sociale, cioè non si accorgono dei sentimenti degli altri, sono poco empatici. L’empatia è una qualità, una dote, una virtù sociale molto importante che non ha niente a che vedere con l’intelligenza misurata col quoziente intellettivo perché l’intelligenza del quoziente intellettivo è un altro tipo di intelligenza.

Si è acceso un dibattito abbastanza intenso su quello che è l’intelligenza emotiva, sociale e sui vari tipi di intelligenza che non sono legate necessariamente all’intelligenza del  quoziente intellettivo. Molto interessanti sono dei libri su questo, di  Daniel Goleman che ha scritto due libri: l’intelligenza emotiva, che vi consiglio di leggere e “l’intelligenza sociale“. Ovviamente questi sono i titoli in italiano. Se volete imparare l’italiano vi consiglio, se avete un livello intermedio, ogni tanto di leggere qualche libro che vi interessa, assolutamente fondamentale è che il libro sia interessante affinché voi possiate imparare la forma scritta, ed aiutandovi con vocabolario online potrete scoprire molte parole diverse. Potreste quindi in questo modo allargare il vostro vocabolario in un modo molto produttivo. E’ quello che sto facendo con l’inglese, con la lingua inglese, e trovo che sia un esperimento interessante.

Quindi vi ho spiegato facendo due esempi cosa significa “attaccare il pippone”: non è una qualità sicuramente, ma è un difetto. Se vi è mai capitato di attaccare il pippone a qualcun altro probabilmente non ve ne siete accorti perché chi attacca il pippone lo fa pensando che l’altra persona sia attenta e concentrata su quello che state dicendo e molto spesso le persone che vi ascoltano fanno finta di essere interessanti, perché magari non vogliano offendervi, perché magari non vi vogliono comunicare che siete fastidiosi e che le state infastidendo. Di conseguenza vi consiglio, se siete delle persone che parlate molto, se siete delle persone logorroiche, che parlano molto quindi. Conoscono svariate (molte) persone logorroiche e tutte le persone logorroiche evidentemente sono persone che attaccano il pippone molto spesso alle altre persone. Cominciano a parlare di un argomento e non la finiscono più: bisogna “staccare la spina“, come si dice. Bisogna staccare la apina, bisogna trovare una scusa e interrompere il discorso. Spesso quando vedo queste persone logorroiche che parlano con un mio amico, mentre stanno parlano con questa persona logorroica io dico: “senti scusa, ti cercava Giuseppe” ad esempio. In questo modo lui ha una scusa per andarsene e la persona logorroica cioè la persona che ha attaccato il pippone, non si sarà offesa, non si offenderà. Questo, diciamo, è un modo delicato per interrompere le persone logorroiche mentre parlano con le persone a cui attaccano il pippone molto spesso.

Quindi oggi vi ho spiegato due espressione “attaccare bottone” e “attaccare il pippone”. Facciamo un esercizio di ripetizione coniugando attaccare il pippone prima al presente e poi al passato: pronti, via.

  • Io attacco il pippone
  • Tu attacchi il pippone
  • Lui attacca il pippone
  • Noi attacchiamo il pippone
  • Voi attaccate il pippone

Vediamo adesso al passato e dopo vi spiegerò per quale motivo la parola pippone é una parola pericolosa:

  • Io ho attaccato il pippone
  • Tu hai attaccato il pippone
  • Lui ha attaccato il pippone
  • Noi abbiamo attaccato il pippone
  • Voi avete attaccato il pippone
  • Loro hanno attaccato il pippone

Molto bene ragazzi, mi raccomando quando ripetete il pippone si dice con due “P”: pippone (non é pipone ma é pippone).

Okay, ripetete questo è esercizio più volte, ripetete l’ascolto di questo podcast più volte, vedrete che lentamente ma inesorabilmente  la grammatica presente nelle frasi di questo podcast entrerà automaticamente nella vostra testa e questo sicuramente è un esercizio più difficile e divertente rispetto allo studio di un libro di grammatica dove non troverete mai, tra l’altro, quest’espressione “attaccare il pippone” o “attaccare bottone”.

Dunque vi spiego adesso per quale motivo la parola pippone è pericolosa: la parola “pippone” significa anche un altra cosa, usata anche questa tra i giovani, (molto tra i giovani) ed è una parola che ha a che fare con il sesso. Che ha a che fare con il sesso, di conseguenza vi consiglio di utilizzarla quando soltanto avete certezza di quello che state dicendo. Quindi il pippone è una parola diciamo che ha che fare con il sesso… il pippone infatti deriva dalla parola “pippa” e la parola pippa é usata in vari modi nella lingua italiana.

Fondamentalmente la parola “pippa” significa due cose, per prima cosa pippa significa: se una persona “è una pippa” vuol dire che una persona non é capace, se sei una pippa a giocare a basket vuol dire che non sei capace a giocare a basket: è l’equavalente di “una schiappa“: se tu sei una schiappa vuol dire sei una pippa: non sei capace. E’ molto famigliare, quindi queste sono parole che si usano tra amici, tra conoscenti o in famiglia.

Il secondo significato della parola “pippa” invece é “masturbazione” quindi attenzione: pericolosissima!! Quindi anche in questo caso state attenti e non utilizzate questa parola se non siete sicuri di quello che dite. E il pippone, appunto deriva da “pippa” e anche in questo caso potrebbe essere interpretata male e essere collegata ad un significato sessuale. Quindi stati attenti: “attaccare il pippone”; quando dite la parola il “pippone” ricordatevi di attaccarci la parola “attaccare”, quindi “attaccare il pippone” significa parlare, parlare, parlare e dare fastidio, provocare fastidio nell’altra persona.

Bene ragazzi, siate numerosi, continuate a seguire italianosemplicemente.com che sta crescendo sempre di più: lo noto dei contatti su Facebook dalle persone che dicono che Italiano Semplicemente gli piace, dalle visite sul sito e di conseguenza sono molto felice di questo.

Ricevo molto e-mail, molti messaggi su Facebook e mi scuso se non riesco a rispondere a tutti. Faccio il possibile per rispondere, (anche io ho un lavoro), quindi devo cercare di ottimizzare i tempi e utilizzarli per registrare dei podcast per tutti.

Ciao amici, alla prossima!