Avete mai visto un incontro di pugilato (o incontro di box)?
Avete mai sentito dei ragazzi adolescenti litigare fino a venire alle mani?
In occasioni come queste è facile che qualcuno possa dire la frase “fatti sotto!”.
È una esclamazione, una frase di sfida, con cui una persona invita l’altra a provare, a venire avanti, a rischiare. Nel caso in questione si invita a prendere l’iniziativa senza paura, per affrontarsi fisicamente.
Un pugile ad esempio invita l’altro pugile a prendere l’iniziativa, a farsi coraggio e provare a colpire l’avversario senza paura.
“Fatti sotto” non è una frase volgare, solo più colloquiale, ma analoga a fatti avanti, fatti coraggio, fatti forza, vieni avanti, prova senza aver paura, eccetera.
Generalmente si usa in contesti come quelli di cui ho parlato, ma “fatti sotto” e “fatevi sotto” , al plurale, possono essere usati anche senza necessariamente usare le mani o senza parlare di paura di essere sconfitti.
Posso anche dirlo io ad esempio quando voglio invitare degli studenti a parlare italiano senza paura di sbagliare.
Adesso tocca a voi, fatevi sotto con gli esempi con questa espressione!
Oppure, se non avete ancora capito bene:
Dai, fatevi sotto con le domande!
Farsi sotto, state attenti, potrebbe essere confusa con “farsela sotto” che ha sempre a che fare con la paura, ma significa avere molta paura.
Farsela sotto, o farsela addosso, è un’espressione idiomatica che ha il senso proprio di farsi la pipi o la popò addosso, cioè nelle mutande.
In pratica significa farsi la caccaaddosso o urinarsi addosso.
Vediamo comunque la differenza tra le due espressioni di oggi con un esempio concreto.
C’è uno studente universitario che dice:
Oggi ho l’esame più difficile. Me la sto letteralmente facendosotto dalla paura!
Un amico gli risponde:
Dai, non fare il bambino. Sei preparatissimo. Vedrai che andrà bene. Ti hanno appena chiamato. Adesso fatti sotto che tocca a te!
Dunque “farsela sotto” è cosa molto diversa da “farsi sotto”.
La prima si usa spesso con la preposizione articolata dalla, dalle, dallo, dalle o dagli e “la”, alla fine di “farsela” (verbo pronominale) si riferisce alla cacca o alla pipi:
Io me la faccio sotto
Tu te la fai sotto
Lui se la fa sotto
Noi ce la facciamo sotto
Voi ve la fate sotto
Loro se la fanno sotto
Es:
Me la sto facendo sotto dalla paura
Me la sono fatta sotto dalle risate
Avete sentito bene: questa espressione si usa anche quando si ride molto. Si ride talmente tanto che la pipi non si riesce a trattenere. Questa tra l’altro è una cosa che può accadere veramente!
“Farsi sotto” invece si usa a volte con la preposizione “con”:
Fatevi sotto con gli esempi!
Questa settimana mi devo far sotto col lavoro!
Fatti sotto con le ragazze, non aver paura di un rifiuto!
A seconda della circostanza, può voler dire anche “impegnarsi molto” , oltre a “non tirarsi indietro”, dunque molto similmente a “farsi coraggio”, “affrontare un impegno senza paura”, “farsi avanti”.
Può capitare a un non madrelingua di usare queste espressioni nel modo sbagliato anche perché la frase spesso è quasi identica:
Mi sono fatto sotto e l’ho affrontato!
Me la sono fatta sotto quando l’ho affrontato!
Adesso ripassiamo con la nostra Peggy che come al solito si è fatta sotto con delle ottime frasi senza paura di sbagliare. Altre persone al suo posto se la sarebbero fatta sotto!
Peggy:
L’altro giorno ho assistito insieme a un gruppetto di amici allo spettacolo di una nostra amica. Il tema verteva sulle “ANTENATE”. Lo spettacolo è stato realizzato da una ventina di donne provenienti da diversi angoli di Napoli, e un di cui è dello stesso quartiere, ivi inclusa* la nostra amica.
Nelle scene, ognuna di loro raccontava in modo drammatico una storiella di una parente anziana scomparsa, che so, la nonna, la prozia, la bisnonna, e portava nelle mani anche un ricordo lasciato dalla protagonista.
I loro racconti mi hanno colmato di emozioni, tra cose divertenti e non, nonostante la non piena comprensione, per via delle voci dialettali, ma alcontempo, grazie ai ricchi gesti delle narratrici *me la sono cavata abbastanza bene, afferrando la sostanza dei racconti.
Tra l’altro, lo spettacolo si teneva presso.
L’Archivio di Stato, dove si conserva e si sorveglia il patrimonio archivistico statale. Laprerogativa di questo luogo magico è che offre a ogni cittadino la possibilità di risalire alle proprie origini per poi *avere contezza* di chi siano i suoi antenati e da dove provenissero. Intanto, immaginate! Queste donne raccontavano le vere storie delle loro care al cospetto di un’immensa quantità di libri antichi e significativi in uno spazio mastodontico, come fare a *tenere a bada* la propria commozione?
Sebbene questa sia stata un’esperienza singolare,edificantenonchécolma di virtù, purtroppo però, oggigiorno il grosso della popolazione non è memore di quanto i nostri antenati ci hanno lasciato e insegnato e dunque non ne fa tesoro.
“Voi l’avete fatto ben presente in un modo più che reale, affermando dei valori di grande portata. Vi ringrazio di cuore.”
Così ho scritto alla nostra amica non appena il loro spettacolo è terminato.
Il primo utilizzo indica l’essere arrabbiati con una persona, o, più precisamente, provare rancore verso una persona.
Si usa in questo caso anche “prendersela con“, anche se è leggermente diverso usare questo verbo. Sono due verbi pronominali ma ognuno ha le sue carattetistiche.
Vediamo poi perché.
Avercela con una persona significa dunque serbare rancore verso questa persona per qualche cosa; qualcosa che è accaduto, qualcosa che questa persona ha fatto o che ha detto, e per questo motivo ci si sente offesi.
E allora posso dire che io ce l’ho con questa persona, o che io me la prendo con questa persona.
Perché ce l’hai con me?
Ce l’ho con te perché mi hai offeso. Mi hai detto stupido.
Cosa? Non puoi avercela con me per questo. Io scherzavo!
Quando ce l’hai con una persona, normalmente questo si dimostra attraverso un atteggiamento rancoroso, un atteggiamento pieno di rancore. Ma cos’è il rancore?
Tutto ha origine con un torto o un’offesa subita.
Il rancore è chiamato anche risentimento.
Come tutti i sentimenti è qualcosa che si prova, ma il verbo più adatto per il rancore è “serbare“, simile a “nascondere” dentro di noi.
Si può dire anche covare rancore. Il rancore è qualcosa che viene nascosto ma che può anche crescere, ed è per questo che si usa anche il verbo “covare“. Proprio come fa la gallina 🐔 quando cova il suo uovo 🥚. Lo nasconde e lo fa crescere.
Il rancore è dunque un’avversione, spesso profonda, covata nell’animo, dentro di noi, in seguito a un’offesa o a un torto ricevuto.
Bisogna dire che avercela con qualcuno è, comunque, un’espressione colloquiale, ed esprime in genere un sentimento più leggero, meno importante del rancore. Si usa dire anche “essererisentiti” con una persona. In questo caso si prova risentimento. Anche il risentimento in genere si usa per cose più importanti rispetto a “avercela con” qualcuno.
Spesso, quando ce l’hai con una persona, questo si manifesta attraverso il mostrarsi offesi, quindi semplicemente stando in silenzio, altre volte invece attraverso atti, conportamenti diversi, come una voce arrabbiata, parolacce, accuse, e a volte anche l’uso della violenza.
Vediamo adesso la differenza tra avercela con una persona e prendersela con una persona.
Quando ce l’hai con una persona, stai incolpando questa persona di qualcosa, ma si vuole indicare soprattutto il tuo rancore, il tuo sentimento verso di lei.
Se invece io me la prendo con questa persona, sto indicando la mia reazione.
Spesso si usano i due verbi indifferentemente, ma di solito “avercela con” indica il sentimento e “prendersela con” indica la reazione, e somiglia molto a “accusare“, “incolpare”.
Perché ce l’hai con me?
Ce l’ho con te perché mi hai detto che sono brutto e mi sono offeso. Sono un po’ risentito nei tuoi confronti
Non devi prendertelacon me, ma con madre natura, che ti ha fatto così brutto!
Per capire bene la differenza, basti pensare che ce la si può prendere anche con cose diverse dalle persone.
Ad esempio potrei prendermela con la sfortuna, cioè incolpare la sfortuna, imputare alla sfortuna dei fatti negativi, ma non si usa dire “avercela con la sfortuna”, perché sarebbe come offendersi con la sfortuna, che non ha senso.
Casomai si usa dire che la sfortuna ce l’ha con me, quindi il contrario, come se la sfortuna mi avesse preso di mira, ma sappiamo bene che la sfortuna è cieca.
Così almeno si dice per indicare la sua imparzialità.
A volte però sembra veramente che ce l’abbia con noi.
Adesso vediamo il secondo uso di “avercela con“, che si può usare nel senso di rivolgersi ad una persona, parlare con una persona e non con un’altra.
Si usa in modo colloquiale quando ci può essere un dubbio riguardo alla persona con cui sto parlando.
Es:
“Adesso vai a fare i compiti”, dice il papà ad uno dei suoi figli.
Ma sono presenti due figli nella stanza. Marco e Paolo. Con chi sta parlando il papà?
Marco domanda allora:
Con chi ce l’hai papà?
Ce l’ho con Paolo, non con te.
Che significa:
Con chi stai parlando papà?
Sto parlando con Paolo, non con te.
Oppure:
A chi ti stai rivolgendo papà?
Mi sto rivolgendo a Paolo, non a te.
C’è da dire che a volte questa modalità si usa anche quando si è un po’ alterati, arrabbiati e può sicuramente apparire un po’ sgarbato, ma dipende anche dal tono che si usa, specie se si tratta di un sollecito:
Ehi, Paolo, ce l’ho con te, vuoi venire o no?
Comunque, che siate irritati o no, in questo caso non potete usare “prendersela con”.
Notate infine che “avercela con” ha questi due significati che vi ho detto solamente quando c’è la preposizione “con”.
Lo stesso vale per “prendersela“. In questo caso però se non usate alcuna preposizione, si tratta semplicemente di essere offesi:
Perché fai l’offeso?
Me la sono presa.
Perché te la sei presa così tanto? Dai, non fare l’offeso.
Me la sono presa perché non sei venuto alla mia festa di compleanno.
Quindi, ricapitoliamo: “avercelacon” è una locuzione informale per indicare che una persona prova del rancore verso un’altra.
Io ce l’ho con te
Tu ce l’hai con me
Lui ce l’ha con tutti
Lei ce l’ha con la sorte
Noi ce l’abbiamo con l’arbitro
Voi ce l’avete con i professori
Loro ce l’hanno con tutti
“Prendersela con” è abbastanza simile, ma indica più il colpevole e meno l’emozione verso questa persona.
“Avercela con“, poi, si usa anche nel senso di parlare con una persona, rivolgersi e a lei, e spesso con un tono scocciato e sgarbato.
Infine, la preposizione “con” è importante e non si può togliere, altrimenti cambia il significato.
Ce l’ho fatta a finire l’episodio, e avercela fatta per me è molto importante.
Questo è un esempio di ciò che può accadere senza “con”.
Ce l’avete con me perché non vi faccio fare un esercizio di ripetizione?
Allora facciamolo, così poi se non riuscite a memorizzare non potete prendervela con me.
Ripeti anche tu:
Con chi ce l’hai?
Ce l’ho con Maria perché non mi chiama più.
Maria invece ce l’ha con suo fratello perché non le presta l’automobile.
Tu non dovresti prendertela con me. Io non c’entro coi tuoi problemi.
Non puoi prendertela per cosi poco.
Tutti se la prendono con me perché urlo sempre.
Se abbiamo problemi personali non è giusto prendersela con gli amici.
Perché quella faccia? Sembri risentito!
Il perdono è la chiave che sblocca la porta del risentimento
Allora, io adesso vi dico una cosa: sto per terminare l’episodio…… Ehi, ce l’ho con voi!
C’è differenza fra “dimenticarsi” e “dimenticare”? Ed analogamente, si distingue tra “ricordare” e “ricordarsi”?
Questa è la domanda che mi ha posto una ragazza per email. Ha un nome cinese quindi non mi azzardo a pronunciare (Xiaoheng).
Allora che differenza c’è?
Faccio abbastanza fatica a spiegare questa differenza. dimenticare o dimenticarsi, ricordare o ricordarsi.
Mi viene in mente, così, di primo acchitto, che dimenticarsi è più familiare. Lo stesso vale per ricordarsi.
Poi se ci penso ancora un po’ penso che dimenticarsi si usa quando si parla di cose personali, di cose da fare o da dire.
Ti sei ricordato di fare la spesa? O ti sei dimenticato?
Qui sto usando dimenticarsi e ricordarsi.
In teoria si potrebbe anche dire:
Hai ricordato di fare la spesa? Oppure lo hai dimenticato?
Ma questa frase suona veramente male. Usare ricordarsi significa riferirsi ad una persona, quindi il mio primo pensiero era giusto.
In effetti quando la questione riguarda una persona a volte si fa fatica a usare ricordare e non ricordarsi che viene più naturale.
Ad esempio
Ti ricordi di me?
Come si fa in questi casi ad usare ricordare?
“Ricordi me?” Non va bene per niente. Non esiste proprio!
Come si fa a dimenticarsi di te?
Questo è un altro esempio in cui non si può usare l’altra forma.
A volte usare ricordarsi e dimenticarsi aumenta la componente emotiva, e aiuta a rendere bene l’idea:
Di questa epidemia ce ne ricorderemo a lungo.
Mi ricorderò per sempre di te
Ci sono occasioni in cui possiamo usare entrambe le forme.
Ad esempio:
Ricordati di andare a trovare nonna.
Ricorda di andare a trovare nonna.
Vanno bene entrambe ma la prima è sicuramente più usata e anche più naturale perché ci si rivolge più direttamente alla persona con cui si parla.
Mi ricorderò del tuo sorriso
Ricorderò il tuo sorriso.
Come prima: meglio la prima forma, meno distante, più confidenziale, più diretta.
Si ok, la frase si costruisce in modo diverso, è vero…
Ricordarsi di… Bisogna aggiungere “di” o del, della, eccetera. Ma non sempre:
Non riesco a ricordarmi del suo nome.
Si può anche dire:
Non riesco a ricordarmi il suo nome
Non riesco a ricordarmi come si chiama.
In questo caso meglio non mettere “di”, ma non è sbagliato dire “ricordarmi di come si chiama”
Ci sono poi occasioni in cui è meglio usare ricordare e non ricordarsi. Meglio, ma non obbligatorio. Quando?
Questo accade quando il tono è più “solenne” diciamo, spesso non si parla di una persona specifica. O quando si è nell’ambito dell’insegnamento, quindi parliamo di concetti e di nozioni:
Bisogna sempre ricordare cosa significa la guerra.
In effetti non c’è bisogno di viverla in prima persona, la guerra, come hanno fatto i nostri nonni ad esempio.
Ecco, i nostri nonni avrebbero detto:
Dobbiamo ricordarci cosa significa la guerra.
Per loro che l’hanno vissuta veramente ha molto più senso.
Analogamente, anche un professore, un insegnante, probabilmente userà ricordare e dimenticare.
Non bisogna dimenticare il teorema di Pitagora.
In effetti il teorema di Pitagora come tutte le cose che si imparano a scuola non sono esperienze di vita. Meglio usare ricordare e dimenticare in questi casi.
Avete visto che ragionando insieme abbiamo capito qualche differenza in più.
Ci sono dei casi però in cui ricordarsi non va bene.
Ti ricordo che oggi è il mio compleanno!
Queste giornate ricordano quelle vissute durante la guerra. Nessuno poteva uscire di casa.
Vorrei ricordare un episodio accaduto tanto tempo fa.
In questo caso si parla di ricordare ad altri, non a se stessi, e spesso neanche ad una persona specifica. Quindi ricordarsi non ha senso.
Anche “le giornate ricordano” significa “le giornate fanno pensare”, “portano alla memoria” . Alla nostra memoria quindi.
Quindi il ricordo viene anche in questo caso stimolato dall’esterno.
Lo stesso se dico:
Il concerto è stato organizzato per ricordare un grande artista scomparso tanti anni fa.
Per dimenticare e dimenticarsi non vale però. Dimenticare e dimenticarsi sono sempre riferiti a se stessi o a tutti. Mi sono dimenticato, ti sei dimenticato, hai dimenticato, dimenticare è sbagliato, eccetera.
Bene, se non ho dimenticato nulla, l’episodio può finire qui.
Se volete potete date un’occhiata all’episodio sui verbi pronominali, che vi chiarirà ulteriormente le idee. Non ve lo ricordavate questo episodio vero? Allora vi metto un collegamento così fate prima.
Alla prossima. Grazie alla ragazza cinese della domanda.
Grazie a tutti per le vostre donazioni e se avete dubbi anche voi, non dimenticatevi che esiste Italiano Semplicemente.
Oggi vediamo, come vi avevo promesso, i verbi pronominali.
Tranquilli, non spaventatevi, perché questa non sarà una noiosa lezione di grammatica. Renato, che saluto, mi ha chiesto di dire qualcosa sui verbi pronominali, ed io voglio aiutarlo. Non lo aiuterò però iniziando a parlare dei verbi pronominali spiegando le regole, le tipologie eccetera, perché ci sono centinaia di siti e pagine web in cui si fa questo. Quello che farò è utilizzare il mio solito metodo, quello delle sette regole d’oro. Non verrò meno ai miei principi quindi. Venire meno a dei principi significa cambiare il proprio comportamento, non applicare le regole che secondo me sono importanti. I principi sono generalmente le regole morali, ciò che guida il comportamento, quindi i principi riflettono il proprio pensiero; riguardo alla lingua italiana io dico sempre che i principi sono quelli descritti nelle sette regole d’orodi Italiano Semplicemente. Dico sempre che studiare la grammatica non serve per comunicare in italiano, non serve almeno all’inizio, è noioso e richiede tempo. Se vi spiegassi i verbi pronominali nel classico modo che tutti utilizzano, finirei per annoiarvi e la lezione verrà dimenticata in due o tre giorni. Invece se sarò divertente e piacevole avrete voglia di ascoltarla ancora.
Dunque caro Renato, spero che la cosa non ti dispiaccia e come hai detto tu, utilizzando proprio un verbo pronominale, spero che te la spasserai ascoltando la mia spiegazione. Spassarsela significa divertirsi, ed entrambi sono appunto due verbi pronominali. Io mi diverto è uguale a io me la spasso.
Bene, allora i verbi pronominali: brutta parola. Sembra quasi qualcosa che può spaventarci. No problem comunque. I verbi pronominali sono come i verbi normali, ed infatti ciò che cambia è solamente una cosa. La regola generale da ricordare, facilissima, è che un verbo normale diventa pronominale quando il verbo è rivolto a se stessi. Tutto qui. Quasi tutti i verbi possono diventare pronominali, ma ci sono anche dei verbi che si usano solamente nella forma pronominale, ma l’uso di tutti questi verbi pronominali, caro Renato, si impara solamente parlando, ascoltando e parlando. Il nostro cervello lavora da solo, non ha bisogno di essere riempito di nozioni, la comunicazione è automatica, perché serve alla sopravvivenza.
Capisco che i maniaci della grammatica possono a questo punto dire: non è possibile, non si insegna italiano in questo modo! Ma io sono tutto d’un pezzo perché il metodo ha funzionato su di me e so quindi che funziona. Ho appena detto che sono tutto d’un pezzo, e quindi devo spiegare che Essere tutto d’un pezzo significa essere sicuri e non farsi venire dubbi.
Vediamo alcuni esempi: dicevo che un verbo diventa pronominale quando si riferisce a se stessi. Quasi tutti sono così. Cosa significa? significa che fare, cioè il verbo “fare”, diventa il verbo “farsi”. Ad esempio, vediamo la frase: “fare del male”, è una frase normalissima, e fare del male significa compiere del male. Non c’è nessun verbo pronominale qui. Il verbo fare è utilizzatissimo in italiano, sia nelle frasi normali che in quelle idiomatiche.
Ma io posso anche dire che io “mi faccio del male“. Io mi faccio del male vuol dire che io faccio del male a me stesso.
Quindi io vi dico ad esempio che studiare la grammatica serve a “farsi del male”. Se voi studiate la grammatica fate male a voi stessi. ecco: non ho usato un verbo pronominale ora.
Ma posso ugualmente dire che se studio la grammatica anziché ascoltare io mi faccio del male: “faccio del male a me stesso” è uguale a “mi faccio del male”.
In generale si dice “farsi del male”. Studiare la grammatica è farsi del male. Questo è sicuro.
Io mi faccio del male se studio la grammatica
Tu ti fai del male se studi la grammatica
Lui si fa del male se studia la grammatica
Noi ci facciamo del male se studiamo la grammatica
Voi vi fate del male se studiate la grammatica
Essi (o loro) si fanno del male se studiano la grammatica.
Molto facile quindi non farsi del male, basta non studiare la grammatica.
Così come fare del male diventa farsi del male, allo stesso modo funzionano anche molti altri verbi, quasi tutti direi.
Ci sono però alcuni verbi che si usano solo nella loro forma pronominale. Io vi dico questo solamente perché l’ho letto su alcuni siti web. Non sapevo neanche che questi verbi si chiamassero in questo modo: pronominali, perché davanti c’è il pronome: mi faccio, ti fai, mi lavo, ti lavi, si lava, ci laviamo eccetera. Comunque Renato tu nel tuo esempio mi facevi alcuni esempi di verbi pronominali: svignarsela, battersela, filarsela, darsela, bersela, aspettarsela ecc.
Hai citato quasi tutti verbi che si usano solamente nella loro forma pronominale. Perché svignare non esiste, battere invece esiste, ma esiste anche battersi e appunto battersela, che ha tutto un altro significato, lo stesso vale per filare, che esiste ma non c’entra con filarsela , così come dare e darsela sono verbi diversi. Riguardo a bersela invece esiste bere, e bersela è la versione idiomatica , dal senso figurato. Lo stesso vale per aspettarselo, o aspettarselo, versione pronominale di aspettare.
Mi hai in particolare chiesto di spiegare il significato di questi verbi e il loro uso nei diversi tempi verbali.
Allora per fare questo vi racconterò una storia, una storia che mi riguarda, quindi una storia vera e userò, nel raccontare questa storia, tanti verbi pronominali, cercando di includere proprio i verbi che mi hai chiesto tu ed anche qualcun altro, sempre pronominale. Sentirete un piccolo suono ogni volta che pronuncio un verbo pronominale, in qualsiasi forma. Prima il suono, poi il verbo pronominale. Tutto ciò che sentirete è realmente accaduto proprio al sottoscritto.
Pronti? via!
Una volta, ai tempi dell’università, mi piaceva farmi del male.
Infatti spesso (io ho fatto l’università a Roma) andavo a fare gli esami e, non so perché, mi attraeva l’idea di non andare preparatissimo agli esami. Studiavo un po’, e non appena mi sentivo pronto, non appena sentivo che avevo delle possibilità di potermela cavare, mi buttavo! Provavo a fare l’esame, pur sapendo che avrei potuto farmi molto del male. Qualora infatti il professore mi avesse trovato impreparato avrebbe pensato: questo ragazzo adesso me lo mangio vivo! Io diciamo che sono sempre stato una persona ottimista, mi ritengo un ottimista di natura, quindi mi dicevo (dicevo a me stesso): rischio, o la va, o la spacca (ps: frase idiomatica).
E mi trovavo così a fare l’esame, di fronte al professore che si aspettava sicuramente uno studente preparato, e non si aspettava di certo uno studente che amava farsi del male come me. Dico questo perché qualche volta mi sono fatto veramente del male: una volta un professore mi ha tenuto mezz’ora in più, dopo l’esame, per farmi una bella ramanzina, mi ha sgridato spiegandomi che non si andava a fare gli esami nella speranza che poteva andarmi bene, ma quando si fa un esame si deve essere preparati, altrimenti poi viene voglia di svignarsela.
Se il professore scopre che non sei preparato potrebbe sempre scapparci una brutta figura e il primo pensiero che viene in mente è battersela il prima possibile! Scappare, darsela a gambe levate! Certo, filarsela non è una cosa positiva, ed è anche una cosa che non si può fare, ma io non pensavo a questa eventualità. Ma succede, e quando succede occorre starci. Io ero ottimista e mi aspettavo sempre che tutto andasse bene.
Di fatto, due volte in particolare mi è andata male. La prima volta il secondo anno di università: il professore mi fece delle domande ed io non sapevo assolutamente la risposta. Io allora mi aggiustavo la cravatta, cominciavo cioè ad innervosirmi, e non aspettandomi una domanda che non sapessi, dicevo semplicemente: non lo so!
Non lo so! Questa è veramente una cosa che ci si deve guardar bene dal dire, che cioè non si deve mai dire all’università, ma questo l’ho imparato col tempo: credo che bisogna cascarci almeno una volta nella vita. Guardatevi bene dal dire “non lo so” se il professore vi fa una domanda e voi non sapete come rispondere.
Un’altra volta invece oltre a non essermi preparato abbastanza, non mi ero neanche vestito in modo elegante, e vestirsi in modo elegante spesso è apprezzato dai professori.
Il professore in questo caso non mi ha neanche interrogato. Ha iniziato a prendersela con me e mi ha detto che io non rispettavo l’università, che non rispettavo l’istituzione dell’università. Io non mi aspettavo ovviamente una reazione del genere da parte sua. Prima mi ha detto che dovevo tagliarmi la barba, poi che è necessario vestirsi bene. Insomma ci ha dato dentro di brutto! Non è stato facile uscirne!
Io speravo la piantasse con questa storia dei vestiti e della barba, ma lui continuava: “io ci tengo molto alla forma” – diceva – “lei non me ne voglia per questo ma anche lei deve rendersi conto che non basta prepararsi, è importante anche la forma, come ci si presenta”. Insomma, per farla breve, mi ha bocciato senza neanche farmi una domanda.
Insomma, immaginatevi come io sia rimasto sconvolto da questa esperienza. E immaginatevi anche come io fossi vestito quando poi sono tornato a fare l’esame, che ho poi superato anche con un bel voto.
Insomma vi ho raccontato questa storia perché volevo dirvi che quando si rischia può capitare di spuntarla, spesso la si può fare franca, cioè può capitare che tutto vada bene, ma può capitare di non farla franca, di non riuscire a spuntarla, di non farcela, ma quello che conta è che alla fine l’obiettivo venga raggiunto e di coraggio ce ne vuole per sopportare fino alla fine prima di farcela.
Bene, credo che in questo racconto sono riuscito ad utilizzare tutte le forme possibili dei verbi pronominali, ce ne sono molte. Ho evidenziato i verbi utilizzati quindi chi legge ed ascolta nello stesso tempo può ascoltare il suono che segnala il verbo pronominale e nello stesso tempo può vedere che il verbo pronominale è stato messo in grassetto, cioè è più scuro; si nota perché è più scuro del resto del testo.
Spero Renato che sia riuscito oggi a suscitare il tuo interesse e quello degli altri membri della famiglia, e nello stesso tempo che io sia riuscito a farvi capire cosa siano i verbi pronominali. Ora potete anche dimenticare che esistono! La cosa importante invece è che ripetiate l’ascolto di questo file audio. Più volte (Repetita Iuvant: prima regola d’oro di Italiano Semplicemente). Ripetendo vedrete che non avrete bisogno di studiare le regole per saper esprimervi in italiano. Anche “esprimersi” è un altro verbo pronominale, e quindi se siete capaci di comprendere e di dire correttamente la frase: “io riesco ad esprimermi in italiano” senza problemi vuol dire che avete capito e che non avete bisogno di studiare la grammatica dei verbi pronominali. Se poi siete appassionati di grammatica me ne farò una ragione. Anche qui ho usato un verbo pronominale: il verbo “farsene“.
Prima di completare l’episodio con l’esercizio di ripetizione voglio però ringraziare di cuore tutti coloro che hanno utilizzato lo strumento Donazione, e quindi che mi hanno aiutato con una loro donazione e questo mi rende molto felice perché significa in qualche modo che è apprezzato quello che faccio, e questo mi dà anche molta motivazione per andare avanti e fare nuovi episodi. Grazie quindi a Lya dalla Danimarca a Ulrike dalla Germania, che sono gli ultimissimi, ma mille grazie anche a Leyla, ad Anastasia ed agli altri che si uniranno in futuro. Mi rendo conto del vostro sforzo e spero di continuare anche in futuro a meritarlo.
Ora per concludere vi propongo il consueto esercizio di ripetizione (settima regola). Vi propongo di provare 3 verbi pronominali: i verbi fregarsene, infischiarsene e curarsene. Fregarsene, infischiarsene e curarsene sono tre verbi pronominali molto simili tra loro, e si usano tutti e tre per dire se siete o non siete interessati a qualcosa o a qualcuno.
Fregarsene di qualcosa vuol dire non essere interessati a questa cosa. Infischiarsene è la stessa cosa: non vi interessa, non vi importa nulla. Questi due verbi esistono solamente nella forma pronominale. Se dite al vostro fidanzato o fidanzata ad esempio la frase: “me ne infischio di te!“, vuol dire che a voi non interessa nulla di lui o di lei. Voi non siete interessati a lui: ve ne fregate, ve ne infischiate, non ve ne curate. Non curarsi di qualcosa quindi equivale a fregarsene, infischiarsene, ma occorre mettere il “non” davanti. Infatti non curarsi è una conseguenza di non essere interessati. Se qualcosa non vi interessa come conseguenza non ve ne curate di questa cosa, non prestate attenzione a questa cosa.
Ok, iniziamo, non pensate alla grammatica ma limitatevi a ripetete: ascoltarsi (cioè ascoltare se stessi) fa bene al vostro italiano:
Io me ne sono sempre infischiato della grammatica!