Oggi parliamo dei Bronzi di Riace, che sono due statue di bronzo (lo dice anche il nome) che sono state ritrovate in mare nel 1972 nei pressi di Riace, un piccolo comune in provincia di Reggio Calabria, quindi nella regione Calabria, nel sud dello stivale.
Nonostante le due statue abbiano la faccia di bronzo (ed anche il resto del corpo) esse hanno un fascino particolare. Se non avete mai ascoltato l’episodio legato all’espressione “averela faccia di bronzo” andate a dare un’occhiata.
Il bronzo è una lega composta da rame e stagno. Il bronzo è anche il nome di un colore molto particolare, un mix tra il marrone scuro e il colore arancione.
Questi Bronzi di Riace sono probabilmente di provenienza greca o anche magnogreca e risalgono al V secolo a.C..
Avete notato che parliamo ancora della Grecia antica? Anche parlando della via appia abbiamo se ricordate parlato dei greci.
La cosa che colpisce di queste statue di bronzo, bellissime e altissime (circa 2 metri) è che sono in eccezionale stato di conservazione. Attualmente sono conservate al Museo nazionale di Reggio Calabria.
Sono statue bellissime, rappresentano due uomini dalle fattezze straordinarie, a grandezza naturale, ma sono due fisici scultorei, quindi rappresentano due uomini dal fisico eccezionale, giovani e forti; probabilmente dei guerrieri.
Ho parlato di “fattezze“. é un termine che si usa quando si vuole indicare le forme di qualcosa o qualcuno; ci si riferisce generalmente all’aspetto fisico.
La fattezza è il modo come uno “è fatto”, quindi indica le forme, le proporzioni, o anche i lineamenti del viso.
Posso dire che la controfigura di un attore, che generalmente è una persona che prende il posto dell’attore nelle scene pericolose, deve avere le stesse fattezze dell’attore, altrimenti non è una controfigura e gli spettatori noterebbero la differenza.
Posso anche dire che una ragazza ha delle fattezze delicate, o anche che gli atleti son spesso persone molto belle fisicamente e dalle fattezze perfette.
Ebbene anche i bronzi di Riace rappresentano alla perfezione le fattezze perfette di un uomo: hanno un fisico slanciato, dei muscoli perfetti, uno sguardo fiero, una postura eretta.
Sono considerati dei veri capolavori della scultura, tra i più significativi dell’arte greca. Non si sa esattamente chi sia stato l’autore. Ci sono diverse ipotesi a riguardo.
Le due figure maschili sono nude, e questo esalta ancor di più la loro bellezza. Una di loro ha una barba fluente, a riccioli, tiene le braccia aperte.
L’altra statua ha invece sul braccio sinistro uno scudo. Questo conferma che si trattasse di guerrieri, nelle intenzioni dello sconosciuto autore.
Le statue sono state analizzate nel dettaglio e pare che non siano fatte solo di bronzo. È stato usato argento, avorio e rame.
Il fatto che avessero lo scudo e forse anche una lancia sulle mani sembrerebbe escludere si trattasse di atleti, ma un archeologo italiano avanza una originale ipotesi.
Notate che avanzare un’ipotesi significa proporre un’ipotesi, e il significato è diverso da ventilare un’ipotesi, che abbiamo spiegato sulle pagine di Italiano Semplicemente. L’archeologo avanza dunque l’ipotesi che i due bronzi raffigurino degli atleti vincitori nella specialità della corsa oplitica (corsa con le armi).
La statua “A” – così si chiamano le due statue: A e B (brutto nome , lo so, potevamo fare di meglio – la statua A, dicevo, sarebbe opera di un artista, (notate che ho usato il condizionale perché non è sicuro) nel 460 a.C., mentre la statua B di un altro artista, eseguita intorno al 430 a.C. Questa ipotesi comunque non sembra suscitare molta credibilità.
Dovete sapere che ci sono molti misteri intono ai bronzi. Come hanno provato a raccontare in un servizio televisivo, forse esiste anche una terza statua, un terzo bronzo. E poi dove sono finiti questo scudo, le lance ed anche gli elmi (i copricapo).
Difficile ricostruire tutto, infatti potrebbe darsi che la nave che portava le due statue si liberò delle stesse, le gettò in mare, dunque se ne sbarazzò.
Sbarazzarsi di qualcosa significa liberarsi di qualcosa, qualcosa che non serve più, qualcosa che ci dà persino fastidio magari. Magari per alleggerire la nave hanno sacrificato i bronzi perché erano molto pesanti.
Dovete sapere che c’è anche una leggenda su una presunta maledizione legata ai bronzi.
Anni fa iniziò a girare la voce che le due statue portassero sfortuna. Infatti ci furono degli incidenti, delle morti di persone coinvolte nel ritrovamento delle statue. Il luogo in cui sono state ritrovare le statue sarebbe un luogo sacro, un luogo che è stato profanato e questa profonazione pare abbia provocato la vendetta degli due santi che erano venerati dal popolo locale.
Profanare è un verbo che si usa solamente per le cose sacre. Significa offendere una religione, i suoi luoghi, i suoi oggetti, ma anche entrare in una tomba, violare questa tomba. Quindi la profanazione è una violenza che si fa ad una religione, un grave torto relativo alle cose sacre. Si può profanare anche la memoria di una persona morta, e per fare questo basta gettare del fango su questa persona.
Questi santi dunque si sarebbero arrabbiati e avrebbero provocato incidenti e morti a seguito di questa offesa, di questa profanazione.
La stessa parola profano è esattamente il contrario di sacro. Hanno un significato opposto.
Trattasi comunque di una leggenda appunto, affascinante per alcuni, solo sciocchezze per altri.
Di sicuro vale la pena andare a trovare i due bronzi non appena la pandemia si sarà placata.
Ad ogni modo la prossima volta che Notate un ragazzo dal fisico perfetto, con i muscoli tutti al loro posto, potete tranquillamente dire che sembra un Bronzo di Riace. È il miglior complimento che possiate fargli.
La via Appia era la più famosa e antica tra le strade romane. Parlo degli antichi romani. Una strada romana che collegava Roma a Brindisi, una città della Puglia, che si trova sul mare e che quindi era importante per via del suo porto, che lo collegava via mare con la Grecia e con l’Oriente.
Nell’episodio si coglie l’occasione anche per ripassare qualche espressione già vista insieme e per fare qualche approfondimento sulla lingua italiana.
L’episodio fa parte di una delle lezioni del venerdì dedicate alle bellezze italiane. Per maggiori informazioni visita la pagina dell’associazione.
Trascrizione
Quando si parla di balconi, in Italia, lo si può fare in tre modi diversi.
Il primo modo è affacciarsi dal balcone.
Il balcone in fondo serve a questo: ad affacciarsi. Strano verbo “affacciarsi”
Lo dovremo vedere insieme perché ha diversi utilizzi. Comunque affacciarsi in questo caso è “mettere la faccia fuori”. Vabbè, lo vediamo un’altra volta…
Il secondo modo per usare un balcone è accusare qualcuno di essere pazzo.
Uno dei modi per fare questo è infatti dire:
Sei fuori come un balcone!
Ci sono molti modi per esprimere lo stesso concetto, ma questo è sicuramente il più simpatico.
In effetti non c’è dubbio che ogni balcone si trovi “fuori”, cioè non dentro.
Si trova fuori anche il balcone più famoso d’Italia, cioè, diciamo uno dei balconi più famosi d’Italia.
Uno di questi balconi lo abbiamo incontrato in un episodio dedicato a Palazzo Venezia, ricordate?
Da quel balcone si è affacciava il Papa e dopo di lui il Duce ai tempi del fascismo.
Ma loro malgrado, il balcone più famoso d’Italia a dire il vero si trova a Verona, una città italiana famosa per l’Arena di Verona e per, appunto, il balcone di Giulietta.
Sapete chi è Giulietta? Magari non vi dice nulla questo nome ma se aggiungo il nome di Romeo probabilmente vi torna in mente l’amore tra i due, l’amore romantico per eccellenza.
Il balcone di Giulietta Capuleti (questo era il suo cognome) è famoso in tutto il mondo perché Giulietta ci si affacciava.
Che c’è di strano allora? Semplicemente che Giulietta potrebbe non essere mai esistita… a quanto pare!
Il balcone più famoso del mondo è dedicato ad una ragazza che è il personaggio protagonista di un’opera letteraria scritta da Shakespeare, che si chiama proprio “Romeo e Giulietta” e non solo Giulietta (forse) non è mai esistita, ma l’autore non ha mai messo piede a Verona nella sua vita.
Il balcone si affaccia su un piccolo cortile interno che normalmente è stracolmo (o ricolmo, o pienissimo, o strapieno) di migliaia di turisti.
Non di questi tempi ovviamente.
In effetti questo sarebbe un assembramento di conseguenza non sarebbe possibile.
Ho detto che il balcone si affaccia su un piccolo cortile.
Sì, anche i balconi si affacciano, pur non avendo una faccia.
Lo stesso si può dire di una di una finestra che si affaccia su un lago, o qualcos’altro.
Ah già… avevamo detto che il verbo affacciarsi lo vediamo un’altra volta…
E Romeo? Chi sarebbe questo Romeo e che c’entra col balcone?
C’entra eccome, perché Giulietta si affacciava dal balcone per vedere Romeo, che stava sotto e parlavano di loro due, del loro amore difficile, impossibile direi!
Pare che neanche il balcone sia mai esistito, non solo Giulietta e Romeo!
Pare infatti sia stato realizzato solo per dare vita alla scenografia pensata dall’autore.
L’edificio da cui si affaccia il balcone rappresentare una ricostruzione molto fedele delle tipiche dimore signorili venete del XIV secolo.
Ma la casa di Giulietta in realtà si chiama Casa di Dal Cappello.
Questa era la casa di alcuni mercanti di spezie (vendevano spezie) in realtà, e da questi mercanti deriva il vero nome della casa di Giulietta.
Insomma, prima del novecento sicuramente questo balcone non esisteva. È stato realizzato solamente più tardi, in fase di ristrutturazione dell’edificio.
Quando Romeo entrò nel cortile dove si affaccia il balcone, si legge nel dramma di William Shakespeare. Giulietta avverte Romeo che sta rischiando la vita se qualcuno si accorge che si trova qui.
Ma Romeo risponde:
tutto che Amor può tentare, Amor l’osa.
Vale a dire: l’amore è talmente forte che ti fa fare qualunque cosa sia possibile fare.
A quei tempi c’erano due famiglie che si odiavano, quella dei Montecchi e quella dei Capuleti.
E Indovinate un po’?
Giulietta era della famiglia dei Capuleti e Romeo, suo malgrado, era un Montecchi.
Capite bene che era impossibile sposarsi se le rispettive famiglie sono acerrime nemiche.
Anche acerrime è un termine interessante.
Si usa solo per i nemici. Se i nemici si odiano molto, si dicono acerrimi nemici.
Insomma, Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti non potevano amarsi. Un po’ come Renzo e Lucia de “I promessi Sposi”.
Ma a Romeo e Giulietta è toccata la sorte peggiore.
Infatti Giulietta, per volere della sua famiglia, doveva sposarsi con un conte.
Lei ovviamente non voleva, così sapete cosa fece?
Giulietta pensò di bere un narcotico, una sostanza che l’avrebbe fatta sembrare morta, il giorno precedente delle nozze col conte. In questo modo Giulietta avrebbe evitato il matrimonio semplicemente perché era morta! E così fece. Bevve questo narcotico. Giulietta era d’accordo con Fra Lorenzo, che avrebbe dovuto avvisare Romeo di questo loro piano. Ma Fra Lorenzo non riuscì ad avvisarlo, perché ci fu un inconveniente.
A Romeo giunse notizia della morte di Giulietta, che in realtà però non era affatto morta, ma lui non lo sapeva!
Così Romeo, andò a verificare di persona, vide coi suoi occhi che Giulietta sembrava effettivamente morta, e sopraffatto dal dolore, dopo un ultimo bacio si uccise bevendo un veleno.
E Giulietta? Giulietta si svegliò come da programma, vide che Romeo era morto e si uccise anche lei pugnalandosi al cuore.
Una fine tragica che però fece riconciliare le due famiglie, accomunate da una tragedia d’amore.
Giovanni: quello di oggi è un episodio dedicato al, termine “ridosso“.
Si usa molto spesso nella lingua italiana, e quando si usa, si trova quasi sempre accompagnato dalla preposizione “a”: a ridosso.
Intanto vi faccio notare che ridosso somiglia ad un altro termine: addosso, che significa molto vicino, o anche sopra.
Non mi stare così addosso!
Questa frase significa non mi stare così vicino. C’è un senso di fastidio anche, di vicinanza fastidiosa dunque. Quando una persona sta addosso ad un’altra, può significare diverse cose: che sta sulle spalle di questa persona, o che gli sta molto vicino, tanto da dar fastidio, o che lo sta incalzando continuamente per ottenere qualcosa. Anche qui c’è il senso di fastidio.
Possa anche usare addosso al posto di indossare (simile anche nella pronuncia), con i vestiti o con uno zaino:
Il ragazzo ha addosso un paio di pantaloni e una maglietta bianca
Aveva uno zaino addosso
In questi casi si usa anche indosso:
Il ragazzo ha indosso solo pochi stracci.
Comunque parlavamo di ridosso, simile a addosso, nel senso che anche ridosso si usa per indicare una vicinanza, e la cosa curiosa è che spessissimo si usa per indicare una vicinanza temporale. Non c’è il senso del peso materiale.
Quindi una vicinanza temporale ma anche semplicemente una vicinanza.
Vediamo come si usa:
Quando ero all’università io iniziavo a studiare solo a ridosso del giorno dell’esame.
Quindi “a ridosso di” significa che siamo molto vicino, che manca poco tempo.
Quando ero all’università io iniziavo a studiare solo qualche giorno prima del giorno dell’esame.
Questa è una frase assolutamente equivalente, ma meno elegante.
Sta iniziando a fare freddo, ormai l’inverno è a ridosso
Quindi l’inverno è vicino.
Notate che c’è ancora un senso di fastidio, qualcosa che sta arrivando e che potrebbe dare fastidio, qualcosa di inevitabile e incombente:
Il ladro aveva tutti i poliziotti a ridosso.
Qui c’è chiaramente il senso di qualcosa di incombente, che sta per accadere, vicino e inevitabile.
Non sempre però c’è fastidio:
Il mio giardino si trova a ridosso di un precipizio.
In questo caso c’è solo la vicinanza, e questa vicinanza in questo caso è spaziale, non temporale. In effetti “addosso” si usa più con le persone che danno fastidio o incalzano.
Comunque a volte si usa ugualmente quando si ha ansia per un giorno che sta arrivando.
Stiamo a ridosso del Natale non abbiamo ancora fatto i regali!
Esiste per dirla tutta, anche il verbo addossare, che si usa solo con le colpe, è analogo a “dare” o “attribuire“:
Non mi addossare la colpa, non sono stato io, capito?
Qualche secondo fa stavamo a ridosso dei due minuti, ora direi che li abbiamo ampiamente superati.
Ma non addossate la colpa a me, la colpa è del termine “ridosso”, che necessita di essere spiegata bene.
Adesso ripassiamo:
Doris (Austria): Me la sono pigliata con me stessa stamattina, più di quanto poteste immaginarvi, tutto solo perché mi sono svegliata troppo tardi. Per giunta non sono riuscita a guadagnare tempo. Avrei fatto di tutto pur di riuscire a prendere l’autobus. Anche perché pioveva a dirotto!
A stizzirmi ancora di più ci ha pensato una mia amica, che non capiva il motivo della mia arrabbiatura.
Meno male che non mi sono presa la febbre ma la mia faccia aveva comunque talmente tanto rossore che mi sono vista costretta a tuffarla in un vaso zeppo di acqua fredda per provare un certo sollievo e rimettermi in sesto
Dopo cotanto stress, per consolarmi, ho chiamato la mia cara madrina. La mia madrina di Parigi per essere più precisa. Lei è sempre disposta a sorbirsi le mie lamentele… All’inizio come scusa le ho detto che mi sono bagnata per un temporale imprevisto questa mattina. Non so se se l’è bevuta, me lo sono chiesto per un minuto, quando non si è sentita volare una mosca ma alla fine ho sputato il rospo.
Giovanni: come promesso, eccoci a parlare di persino e perfino, che si usano in circostanze simili a “per giunta”, per di più”, o “come se non bastasse” che come abbiamo visto si usano per indicare una esagerazione che ci coinvolge personalmente, almeno a livello emotivo.
Il termine “oltretutto” invece non richiede un coinvolgimento emotivo, ma resta l’idea dell’esagerazione, come anche in “addirittura“, che è anche una esclamazione.
Ma andiamo per gradi:
Perfino contiene la parola “fino” che si usa per indicare un limite:
Sono arrivato fino a Roma
Devo studiare fino a quando non avrò imparato tutto
Ti amerò fino a quando sarò in vita.
Possono fare lo stesso con “sino”, equivalente a “fino”.
La differenza è che “sino” è meno diffuso, ma ha più senso usarlo per indicare una lontananza o per dare più enfasi alla frase:
Sono arrivato sino a Roma
dà l’idea di una maggiore lontananza rispetto all’uso di “fino a Roma”.
Lo stesso accade con perfino e persino, che indicano entrambi qualcosa di estremo, esagerato, che va subito indicato nella frase.
Nessuno mi vuole bene veramente, perfino tu che dici di amarmi!
Addirittura è un altro termine molto simile, ma persino e perfino non si usano come esclamazione.
Ieri ho avuto mal di pancia. Ho mangiato troppo: antipasti, 3 primi, 3 secondi, 2 contorni e persino 2 dolci.
Risposta: Addirittura!
Sì, anche i dolci. Persino quelli!
Quindi persino e perfino significano “anche” ma c’è una esagerazione, un limite estremo che è stato toccato.
Si dice anche “nientemeno che”. Però non c’è il senso di “anche” , di qualcosa che si aggiunge.
In questo caso c’è solo voglia di stupire.
Alla mia festa di compleanno ha partecipato nientemeno che Sofia Loren.
Abbiamo già visto “nientepopodimeno che”, ancora più esagerata ed anche più informale come espressione.
Siamo arrivati nientepopodimeno che all’episodio n. 367 e persino io sono stupito di questo traguardo.
Notate che il limite di cui si parla può essere superiore, nel senso di troppo, ma può anche essere inferiore, cioè nel senso di soltanto. Quindi può significare “anche soltanto”.
Es: davvero hai mangiato così tanto? Non me lo dire, mi sento male persino a pensarci!!
Hartmut Con italiano semplicemente, persino coloro che lavorano tutto il giorno possono imparare l’italiano.
Emma: vero. Se ci riesco persino io che rientro a casa tardi tutte le sere può farlo chicchessia. Bravo Giovanni!
Giovanni: una delle tante cose che i libri di grammatica non insegnano e probabilmente solo italiano semplicemente ritiene importante, è l’utilizzo di “per giunta“, che è un’alternativa a “inoltre“.
Per giunta si usa normalmente però quando questa cosa che si aggiunge, quando questa cosa che viene aggiunta, è irritante, quando ci fa un po’ arrabbiare, quando è almeno fastidiosa, quando è una esagerazione, quando non la sopportiamo.
E’ perfettamente analoga a “per di più” e anche a “come se non bastasse“. Quest’ultima espressione ci fa capire perfettamente che siamo andati oltre, nel senso che c’è stata una esagerazione di qualcuno. Questo qualcuno non siamo noi ovviamente, poiché stiamo dando un giudizio negativo quando diciamo “per giunta”.
Es:
La mia ragazza mi ha lasciato per telefono lo sai? E per giunta mi ha anche mandato a quel paese!
Quindi questa ragazza ha un po’ esagerato. Passi che vengo lasciato, passi pure che lo fai per telefono, ma non mi sembra il caso che mi insulti anche!
II Covid in questi giorni sta facendo molte vittime, e per giunta l’età media dei contagiati si sta anche alzando.
Quindi come se non bastasse il numero elevato delle vittime, c’è anche l’innalzamento dell’età media dei contagiati.
Giovanni non è venuto neanche oggi in ufficio, e per giunta non ha neanche avvisato stavolta! E’ imperdonabile.
Un’avvertenza: Non è il caso di usare “per giunta” al posto di inoltre in ogni circostanza. In “inoltre” non c’è emozione, non c’è tensione, inoltre non neanche c’è rabbia. E’ solo un qualcosa in più.
Bene, ho nuovamente sforato con i due minuti, e per di più (vi ricordo che “per di più” è equivalente a “per giunta”) ne sono anche perfettamente consapevole.
Questa si chiama autoironia. Sì, potete usare queste modalità anche per fare ironia.
Oggi voglio esagerare: Vi dirò che anche i termini perfino e persino si possono usare nelle stesse circostanze. Ma di questi due termini parleremo nel prossimo episodio di due minuti con Italiano Semplicemente.
Ecco, adesso ho persino allungato ulteriormente questo episodio.
Ma io voglio essere esaustivo, ricordatevelo, e non solo conciso. L’esaustività viene sempre prima della….concisione. Il termine è concisione.
Adesso c’è persino un bel ripasso:
Rafaela (Spagna): Se non sbaglio, anche “oltretutto” è molto simile a “per giunta” Olga(Saint Kitts e Nevis): certo, ma questo lo abbiamo lasciato alla fine, come l’ammazza-caffè! Xin(Cina):del resto, non possiamo mica lasciar spiegare tutto a Giovanni. Irina (California): adesso lui chioserà: Solo io posso spiegare, micai membri!
Lezione 29 del corso di Italiano Professionale. Ci troviamo sempre nella sezione n. 3, dedicata alle riunioni e agli incontri.
L’argomento è come parlare delle possibilità.
Analizziamo tutti gli avverbi utilizzabili a seconda della bassa, media e alta probabilità. La lezione appartiene alla sezione 3 del corso, dedicata alle riunioni e agli incontri.
Giovanni: il verbo regolare probabilmente molti di voi lo conoscono: ha molti utilizzi diversi: può significare:
ordinare:
Le leggi regolano la vita dei cittadini, ed anche i regolamenti. Il nome non è casuale
Significa anche limitare, controllare, o cambiare, modificare:
Occorre regolare le spese perché spendiamo troppo!
Oppure sistemare, risolvere:
Devo regolare una faccenda complicata!
Si usa anche con gli strumenti e le cose meccaniche:
Regolare l’orologio, la temperatura eccetera. Come se dovessimo girare una manopola per cambiare la temperatura. tenete a mente quest’immagine. Questa è la regolazione, diverso da un regolamento.
Anche mantenere costante qualcosa:
Regolare il flusso dell’acqua
Invece “regolarsi”, la forma riflessiva, è più facile da spiegare e da capire.
Regolarsi si usa parlando di sé stessi, e regolare sé stessi è molto simile a controllarsi. Si parla del comportamento da tenere in certe situazioni.
In particolare si parla di esagerazioni, quindi si parla di tenere il controllo di qualcosa che dipende dal proprio comportamento, che deve essere più corretto, più giusto, più moderato, forse la moderazione è ciò a cui si ambisce maggiormente.
Probabilmente però il verbo più adatto a sostituire regolarsi è contenersi, un altro verbo riflessivo.
Facciamo alcuni esempi:
Non bere così tanto! Ti devi regolare, altrimenti rischi di fare un incidente.
Quando siamo con gli amici cerca di regolarti e non parlare di sesso!
Dovrei fare piatti meno abbondanti, è vero. Non riesco mai a regolarmi
Poi c’è “darsi una regolata” che ha lo stesso significato, ma con un uso più informale: Il senso è quello di abbassare il livello, girare la manopola, come si fa con la temperatura ad esempio.
Mi devo dare una regolata perché ultimamente sto mangiando troppo
Datti una regolata con queste spese, altrimenti andiamo in rovina
Diamoci una regolata quando andiamo in discoteca, non beviamo troppo, altrimenti faremo un incidente.
Regolarsi, in realtà ha un uso ancora più ampio, perché si usa anche nel senso di “comportarsi“. Ad esempio posso chiedere:
Come mi devo regolare con questi ragazzi? Posso sgridarli se fanno confusione o se non studiano?
Quanto tempo ho per consegnare questo lavoro? Come devo regolarmi con i tempi?
Quindi è come dire: come devo comportarmi?
Regolati tu!
Questa potrebbe essere una risposta, simile a: vedi tu, fai come vuoi, cerca di capirlo da solo.
Allora usare il verbo “dare” nella espressione darsi una regolata serve proprio a evitare che si confondano questi due significati.
Darsi una regolata significa contenersi, non esagerare, controllarsi, moderare il proprio atteggiamento, e si usa verso sè stessi ma anche verso gli altri, come un invito o un ordine a contenersi, a moderarsi, a non esagerare. Può essere offensivo, attenzione al tono che usate.
Ora mi scuserete ma non sono riuscito neanche stavolta a regolarmi con la durata di questo episodio. Abbiate pazienza. Adesso ripassiamo un po’.
Carmen: ciao a tutti, oggi su quale argomento ci cimentiamo? Anne France: dacché mi sono iscritto/a all’associazione non ho mai parlato di politica Khaled: meglio così. Ancora ancora se parliamo di sport o di lingua italiana, ma di politica meglio stare zitti. Rauno: la politica in quanto tale rischia di farci litigare Sofie: e poi sarebbe un argomento appannaggio di esperti del settore, ed io proprio non me ne intendo di politica
Giovanni: oggi, pur di stare nei due minuti di durata, farò miracoli.
L’argomento del giorno è l’uso di “pur” nella locuzione “pur di”.
Gli italiani la usano moltissimo, e lo fanno per un motivo preciso: quando si vuole raggiungere un obiettivo con determinazione, quando si ha un desiderio e quando si vuole evitare una conseguenza con altrettanta determinazione.
Pur di farla finita, farei qualunque cosa
Vuol, dire che io voglio farla finita e sarei disposto a fare qualunque cosa al fine di raggiungere questo obiettivo.
Pur di imparare la lingua italiana studio 10 ore al giorno!
Pur di non andare a scuola, è disposto anche a rompersi un braccio!
Anche in questo caso c’è determinazione e l’obiettivo è evitare qualcosa (la scuola in questo caso).
Notate che dovete per forza usare la preposizione “di” e solamente questa preposizione se volete che la frase abbia questo senso.
Si scrive “pur di” poi l’obiettivo da raggiungere, poi si usa generalmente il condizionale.
Pur di andare in Italia, ci andrei anche a piedi.
Pur di mangiare qualcosa, sarei disposto a mettermi in ginocchio.
“Pur di” è simile a “purché”.
Purché si avveri il mio sogno sono disposto a fare molti sacrifici.
Direi che “purché” ha un uso più ampio rispetto a “pur di”. Casomai ne parliamo in un altro episodio.
Adesso, pur di ascoltare qualche membro con una frase di ripasso, sono disposto anche a sforare i due minuti.