Ci tengo a te

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Descrizione

Vediamo le espressioni usate per esprimere un sentimento di amore o affetto.

Trascrizione

Buongiorno ragazzi. Oggi vediamo tutti i modi per dire “ti voglio bene”. Quanti modi ci sono in italiano? Vedremo che la fantasia non manca agli italiani, in questo caso, soprattutto in campo amoroso direi!

Ho provato a sottoporre la questione su Facebook, ed ho avuto un riscontro molto positivo.

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Tutto è nato da un messaggio che mi è arrivato, su Messenger, dove un amico di Facebook mi chiedeva: cosa significa “ci tengo a te”. Cominciamo quindi a spiegare questa frase. Poi vediamo la fantasia di coloro che hanno risposto alla mia domanda fino a che punto si è spinta.

Una cosa a cui non avevo pensato, in effetti, è che non è facile, non è immediato almeno, comprendere questa brevissima espressione. “Ci tengo a te”.

“Ci tengo a te” è uno dei tanti modi di dire “ti voglio bene”. “Ci tengo a te” è l’abbreviazione di “io ci tengo a te”. Quindi il soggetto, colui che compie l’azione è il sottoscritto, io, cioè chi parla, e chi parla “ci tiene” alla persona che ha di fronte, che sta davanti. “Io ci tengo a te”.

Tenere è il verbo utilizzato: tenere significa trattenere, “to keep” in inglese, o anche “to have”, dipende. Tenere significa avere in mano oppure avere tra le mani; stringere qualcuno o qualcosa con le mani, avere tra le braccia o in altro modo perché non cada, perché non si muova, perché non fugga dalla presa. Questo è tenere.

Ma tenere ha molti altri significati. “Tenere a qualcuno” vuol dire voler bene a questa persona, tanto da, avere difficoltà a lasciarla andare. Se una persona ci tiene ad un’altra persona, vuol dire che la vuole con se, le vuole bene, ci tiene.

La stessa frase “ci tengo”, senza aggiungere altro, ma solo “ci tengo”, significa che per me è importante, senza specificare cosa è importante.

Al lavoro potrei dire: “Mi fai questo lavoro per favore? Ci tengo molto!

E quindi posso anche “tenere a qualcuno”. Attenzione perché l’uso della preposizione semplice “a” è molto importante. Vediamo un esempio di come usare la frase “tenerci a qualcuno”:

Io ci tengo a te!

Tu ci tieni a me!

Lui ci tiene a te!

Noi ci teniamo a te!

Voi ci tenete a lui!

Loro ci tengono a te!

Vedete quindi che è sempre presente, oltre alla preposizione semplice “a”, la parolina “ci”.

“Ci” è un avverbio, si chiama così, ma non ce ne frega niente, poiché quello che interessa è come si usa.

“ci” si usa in moltissime circostanze diverse in realtà, ed in questo caso la sua funzione è quella di rafforzare la frase, dare più forza alla frase, infatti potrei anche togliere l’avverbio “ci” in questo caso: potrei anche dire “io tengo a te”, “tu tieni a me” eccetera. In questo caso il significato non cambia ma è meno forte. Questa forma, senza “ci” si usa maggiormente in ambito formale, al lavoro ad esempio: “se tenessi al tuo lavoro, arriveresti puntuale!”, solo per fare un esempio.

Potete quindi dire “io tengo a te”, o anche “tengo molto a te”, senza “ci”, ma attenzione, perché se togliete il “ci” dovete specificare cosa: non potete dire “io tengo”, perché il “ci” ci deve stare, perché serve a sostituire la cosa di cui state parlando: cioè “te”, la persona alla quale si tiene, ad esempio.

Tengo molto a te” è quindi un bel modo di dire “ti voglio bene”. Si può dire anche ad un amico, quindi è più universale di “ti amo”, che invece si applica solamente all’amore romantico, quello per il proprio partner.

È comunque meno usato di “ti voglio bene”, che si usa sempre, con qualunque persona sia importante per te.

“Ci tengo” invece si applica anche alle cose: posso tenere al mio lavoro, posso tenere al mio orologio, alla mia automobile eccetera.

Voler bene si usa solamente con le persone, quindi amanti, figli, genitori, amici, al limite si può voler bene agli animali domestici, ma non si usa con altre cose: non si usa dire “voglio bene al mio lavoro”, se non in circostanze particolari.

Vediamo altri modi diffusi in Italia per dire: “Ti voglio bene”.

Renato ne suggerisce qualcuno: “Abiti dentro del mio cuore” scrive Renato per primo. In realtà si dovrebbe dire “abiti dentro il mio cuore”. Non credo di averla mai sentita utilizzare caro Renato, ma potrebbe sicuramente far effetto a chi ascolta la frase, senza dubbio.

“Senza te, non sono niente”: questa è la seconda frase di Renato. Si può dire, bravo Renato! E di sicuro non può lasciare indifferente. Tra le frasi proposte in realtà non ci sono frasi normalmente utilizzate, ma di indubbia fantasia: “Sei l’aria che respiro”, “Sei l’ossigeno per me”, “Sei il sangue che corre sulle mie vene”, “Sei la mia allegria di vivere”.

Probabilmente la più utilizzata tra quelle proposte da Renato è “Sei la mia fonte di ispirazione”, ma questa frase possono pronunciarla prevalentemente gli artisti e coloro che vivono di ispirazione.

Comunque poi c’è Anna Maria propone “sei il caffè della mia colazione”. Ed Anna Maria ha tenuto a specificare che il caffè è vita per lei.

Nabil propone invece una frase più sobria: “Sei la mia vita, Sei il mio tesoro”. Sicuramente sono entrambe molto utilizzate perché brevi e, diciamo, molto intense.

Lidia invece propone la frase: “IO TI VOGLIO BENE DAVVERO” scritta in caratteri maiuscoli. In effetti la frase “ti voglio bene” è talmente tanto utilizzata che è facile ascoltarla; tutti la possono pronunciare. Quindi dicendo “io ti voglio bene”, ed aggiungendo “davvero!” vuol dire: io non sono come gli altri, io sì che ti voglio bene, io sto dicendo la verità, il mio è un vero sentimento.

Sono stupito che nessuno mi abbia detto la frase “sono pazzo di te”, utilizzatissima come frase in ambito amoroso.

Credo che ci siano anche altre frasi veramente molto utilizzate, vale la pena citare anche delle forme più attenuate, nel senso che ci sono diversi livelli di amore, diverse intensità. Posso amare intensamente o posso anche essere semplicemente interessato ad una persona.

Mi viene in mente la frase “mi interessi!”, o anche “sono interessato a quella ragazza” che manifesta l’intenzione di chi parla nel voler conoscere meglio quella persona, perché attraente, bella, o intelligente.

Se un ragazzo o una ragazza vi dice “mi interessi” vuol dire che gli piaci, o che le piaci: anche se non ti conosce molto bene questa persona è interessata a te. Non è ovviamente ancora amore.

Mi piaci” è generale, si usa spessissimo, ed è un po’ di più di “mi interessi”. Se piaci ad una persona generalmente questa persona ti conosce.

Si usa spesso dire “mi piaci un sacco”, più diffuso di “mi piaci molto”, perché il “mi piace molto” è più adatto agli oggetti, o anche alle vacanze (Roma mi piace molto, l’Italia mi piace molto) ma in realtà si usano entrambi i modi verso una persona: diciamo che “un sacco” è più giovanile.

Comunque anche il “mi piaci” non è vero amore, solamente un po’ di più di un semplice interesse.

Ancora più intenso di “mi piaci” è “ti adoro”. Però per poter dire “ti adoro” ad una persona dovete conoscere molto bene questa persona, non potete certo dirlo ad una persona sconosciuta o che avete conosciuto da poco tempo: dovete conoscerla bene, a fondo, e dovete aver avuto modo di apprezzarne le qualità.

Ti adoro, tra l’altro si dice in occasioni particolari, quando questa qualità che voi apprezzate viene fuori, quando questa qualità emerge con chiarezza e per l’ennesima volta.

Se il vostro fidanzato vi porta sempre i fiori, sapendo che a te piace molto, dopo tre o quattro volte potete dirgli: “ti adoro”, che vuol dire “amo questo tuo atteggiamento”, “amo questa tua attenzione verso di me”, “mi piace questo tuo modo di fare”.

Delle frasi simili a “ti adoro” sono: “mi fai impazzire!”, oppure “mi fai morire!” o anche “sei speciale”, “sei meravigliosa!”

Poi c’è tutto un insieme di frasi che più che amore esprimono attaccamento. La frase più semplice di questo tipo è “mi manchi” (I miss you), ma se volete esagerare, ma state attenti perché rischiate di attaccarvi troppo e di far anche impaurire la persona a cui vi rivolgete, potete dire ad esempio “non riesco a fare a meno di te!”, che non è esattamente come “mi manchi”, più romantica come frase. A chi ama l’amore esclusivo e molto passionale farà sicuramente piacere, ma in generale chi non riesce a fare a meno di un’altra persona ha un attaccamento che ha a che fare con l’egoismo più che con l’amore. Chi ama veramente non dovrebbe dipendere: “l’amore non è dipendenza ma libertà”, dicono gli psicologi.

Meglio che la finiamo qui per oggi. Grazie a tutti coloro che hanno dato il loro contributo. Un saluto da Giovanni.


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Una mela al giorno toglie il medico di torno

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Mele_non_comuni

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Trascrizione

Buongiorno ragazzi. Oggi vediamo l’espressione “una mela al giorno toglie il medico di torno”, oppure “leva il medico di torno”. Più che una espressione possiamo chiamarlo un proverbio, una frase che mi ha chiesto Antonio di spiegare.

Saluto Antonio e lo ringrazio per avermi chiesto di spiegare questa espressione. Effettivamente non avevo pensato che uno straniero potrebbe non comprendere il motivo per cui si dica questa frase. Dunque, credo che sia la prima volta, o una delle prime volte che spieghiamo il significato di un proverbio, di un proverbio popolare. Questo è un proverbio che tutti gli italiani conoscono e che utilizzano tutti gli italiani in tutte le località italiane.

Una mela al giorno leva il medico di torno. Come potete ascoltare c’è una rima, cioè una assonanza. Perché? Cos’è la rima? Una mela al giorno leva il medico di torno. Quindi “giorno” fa rima con “torno”, perché tutte e due le parole terminano nello steso modo: “giorno, torno”, quindi le ultime lettere sono le stesse. Questa è la rima.

Una mela al giorno leva il medico di torno. Allora, per spiegare bene questa frase bisogna spiegare anche le parole che la compongono, che sono tutte abbastanza semplici. La mela è un frutto, uno dei frutti più diffusi al mondo. Un frutto che si mangia in tutte le stagioni. Una mela al giorno toglie, o “leva” il medico di torno. “Leva” significa “toglie”: è la stessa cosa. Leva viene da “levare”. Uno dei significati del verbo levare è appunto togliere. Se dico “ti levo la mela dalle mani” vuol dire che “ti tolgo la mela dalle mani”.

Prima avevi una mela nelle tue mani, e io te la levo vuol dire che te la tolgo; ti sottraggo la mela dalle mani. Ok, quindi levare significa togliere, ma non soltanto togliere, perché si usa anche con altri significati: ad esempio “il levare del sole”, quando il sole sorge, quindi il sorgere del sole è il levare del sole. Poi ci sono anche altri significati del verbo levare. In questo caso significa togliere.

“Toglie il medico di torno”: “di torno” vuol dire “attorno”, “da attorno”, cioè “da vicino”; leva il medico di torno, cioè leva il medico da vicino. Cosa significa? Quando c’è una cosa attorno a te, se io te la levo di torno, se io te la tolgo di torno, “di torno” sono due parole: vuol dire che prendo questa cosa che è vicino a te e la tolgo, la levo.

È un modo di dire italiano: togliere qualcosa di torno vuol dire togliere una cosa che sta attorno a te, vicino a te. Anche il fatto di dire “levati di torno”, o “togliti di torno”, vuol dire “scompari”, “sparisci”. Si può dire ad una persona “levati di torno”, cioè “vai via”, “vattene”, “non ti voglio più vicino”, “non ti voglio più accanto a me”, “non voglio che tu stia accanto a me: levati di torno si può dire in qualsiasi circostanza quando si è arrabbiati: levati di torno.

Quindi allo stesso modo: una mela al giorno leva il medico di torno, quindi una mela al giorno toglie il medico da vicino a noi: cosa significa? Ovviamente la frase è ironica, e significa che se si mangia una mela al giorno, cioè ogni giorno mangiamo una mela, ebbene , il fatto che mangiate questa mela tutti i giorni ci toglie il medico di torno. Cioè mangiare la mela è una cosa salutare, una cosa che fa bene alla salute, quindi chi mangia una mela tutti i giorni, cioè ogni giorno, chi mangia una mela al giorno non ha più bisogno del medico, non ha più bisogno di un dottore, perché sta bene, perché sta bene in salute e quindi non ha più bisogno del dottore, quindi il dottore, il medico se lo leva di torno.

Una frase che si utilizza molto spesso quando si dice a qualcuno, a qualsiasi persona che deve mangiare più frutta, che deve mangiare frutta, quindi la mela, che c’è tutto l’anno, che è disponibile tutte le stagioni dell’anno, è un cibo molto salutare, molto succoso, ricco di acqua, ricco di vitamine e Sali minerali, e quindi una mela al giorno leva il medico di torno. Quindi mangiate una mela al giorno e vedrete che non avrete più bisogno del medico. Questo è un proverbio che non so da quanto tempo esista, ma che credo sia molto saggio, è molto saggio dire questo proverbio, che si può usare soltanto con la parola mela, soltanto co il frutto mela.

Il frutto in effetti, ora che ci penso, è un termine, un nome particolare, perché la frutta è una di quelle parole che in italiano al plurale finisce con la lettera “a”: la frutta. Al singolare si dice “il frutto”: il frutto del melo è la mela. L’albero delle mele si chiama “il melo”: quindi il frutto del melo è la mela. Così come il frutto del pero è la pera. Al plurale si dice frutta. In generale si dice la frutta: si deve mangiare la frutta. Ci sona anche “i frutti” però. Quando si vuole indicare il prodotto di qualcosa, il prodotto di un albero, si dice “i frutti”.

“Quest’anno, quest’albero ha dato molti frutti”. L’albero dà i frutti. L’albero dà i frutti, cioè l’albero del melo, quest’ano ci ha dato molti frutti. La parola frutti quindi può essere utilizzata come plurale di frutto ma non soltanto, perché in realtà la parola frutti è una parola che può essere utilizzata in molte circostanze diverse, in molti modi diversi, e non soltanto come sinonimo di frutta e non soltanto come plurale di frutto.

In effetti ogniqualvolta si produca qualcosa, ogniqualvolta facciamo degli sforzi per ottenere un risultato, ogniqualvolta vogliamo raggiungere un obiettivo e ci impegniamo, tutto ciò che otteniamo, tutto ciò che produciamo alla fine di questo sforzo si chiamano “i frutti”: i frutti del nostro lavoro.

La parola “frutti” si usa moltissimo quindi in ambito lavorativo: i frutti del lavoro è qualcosa che quindi si produce, come se il nostro lavoro fosse un albero, un albero che produce i frutti. A differenza degli alberi, di un albero, il lavoro produce i frutti in qualsiasi stagione dell’anno. Non soltanto una volta all’anno, ma dipende dal lavoro. Può esserci anche un albero, cioè un lavoro che produca frutti tutto l’anno. In ogni caso questa è la differenza tra “frutti”, che si utilizza in molte circostanze diverse e soprattutto in ambito lavorativo, e “frutta”, che si utilizza soltanto in ambito alimentare e gastronomico.

Quindi la frutta si mangia, i frutti si ottengono, si producono. Il frutto, anche questa parola può essere utilizzata in più circostanze: quindi posso dire il frutto dell’albero, del melo, del pero, per indicare genericamente qual è il frutto di un albero. Quindi posso dire “il frutto del melo è la mela”, “il frutto del pero è la pera”. Allo stesso modo il frutto lo posso utilizzare il prodotto di un lavoro, il prodotto di uno sforzo, il risultato che ottengo. Quindi il frutto del mio lavoro: quest’anno il frutto del mio lavoro è stato molto buono; il mio lavoro quest’anno ha prodotto molti frutti, al plurale, oppure posso dire “il frutto del mio lavoro, quest’anno, si vede”, “il frutto del mio lavoro è stato molto soddisfacente”.

Questo quindi per dirvi che la parola frutto, così come la parola frutti ha più utilizzi non soltanto in ambito gastronomico quindi, ma anche in ambito lavorativo. Quindi anche all’interno del corso di italiano semplicemente dedicato alò mondo del lavoro, cioè il corso di Italiano Professionale utilizzeremo più volte queste parole: la parola frutto e la parola frutti. Lo faremo in due circostanze in particolare: nel primo capitolo, nel capitolo delle frasi idiomatiche dedicato ai risultati (lezione 8). C’è un paragrafo all’interno del primo capitolo dedicato alle frasi idiomatiche sui risultati: quando si parla di risultati si parla anche di frutti.

Vedremo molte frasi idiomatiche. Successivamente richiameremo tutte le frasi idiomatiche all’interno dei capitoli successivi e vedremo anche la parola frutto e la parola frutti utilizzate in più contesti diversi. Quindi: una mela al giorno toglie il medico di torno è la frase di oggi: non so se esista un equivalente anche in altre lingue, in ogni caso è giunto il momento di fare il nostro esercizio di ripetizione. Oggi il podcast è stato abbastanza breve. L’esercizio di ripetizione, che, ribadisco, come ribadisco ogni volta è molto importante per esercitare la pronuncia, quindi non sottovalutate l’importanza della ripetizione. A prescindere dal fatto che voi potreste cercare di ripetere ogni parola di questo podcast dall’inizio alla fine, anche questa una parola molto utile. Suggerisco anche di effettuare questo esercizio di ripetizione che mi accingo a fare, che mi appresto a fare in questo momento. Ripetete dopo di me, cercate di capire quali sono i ostri problemi di pronuncia ed in ogni caso ripetete senza pensare alla grammatica ed alle regole grammaticali ripeterò la frase cinque volte e vi lascerò il tempo di ripetere dopo di me.

Una mela al giorno…. Una mela al giorno… toglie…. toglie… toglie è la parola più difficile della frase perché c’è la lettera “G” seguita dalla lettera “L”. Toglie…. Toglie…. Alcune persone avranno difficoltà a pronunciare questa parola perché gli stessi italiani imparano a pronunciarla intorno al sesto, settimo anno della loro vita.

Toglie….. Toglie….

Una mela al giorno toglie il medico di torno

……

Toglie il medico di torno

…….

O leva il medico di torno

……

Leva il medico di torno

……

Una mela al giorno leva il medico di torno

….

Una mela al giorno leva il medico di torno

….

Una mela al giorno leva il medico di torno

….

Una mela al giorno leva il medico di torno

….

Questa è una frase che si utilizza soltanto in questo modo, non ci sono altri mdi per utilizzare questa frase, quindi si utilizza soltanto al presente: non possiamo dire ad esempio: una mela al giorno ha tolto il medico di torno o toglierà di torno, né tantomeno ha levato un medico di torno o leverà un medico di torno. È una frase, un proverbio che si utilizza soltanto al presente: quindi “Una mela al giorno toglie, o leva, il medico di torno”.

IMG_20160706_065334Quindi oggi abbiamo visto una farse idiomatica contenuta in questo proverbio: “levarsi di torno” o “levarsi di mezzo”. Si dice “levati di torno” quando ci dà fastidio una persona, che ci provoca del fastidio, che vorremmo andasse via. Si può dire “levati di mezzo amico!”, “levati di torno”. Se una persona ci sta appiccicata addosso, ci sta attaccata e ci dà fastidio la sua presenza possiamo dirgli questo: “levati di torno”, “levati di mezzo”.

Oggi ragazzi quindi abbiamo finito, abbiamo terminato questo episodio di Italiano Semplicemente. Vi racconto questo episodio su una spiaggia del Mar Ionio, in Italia. Sono nella regione Calabria, a sud dell’Italia: sono le sei e trenta del mattino e sulla spiaggia non c’è quasi nessuno, quindi probabilmente si sentono i passi dei mie piedi sulla sabbia e sullo sfondo forse si sente anche il rumore del mare.

Sulla sabbia ci sono molte impronte di gabbiani. Adesso farò una foto e la inserirò all’interno dell’articolo. Ciao ragazzi e mi raccomando mangiate le mele perché una mela al giorno toglie il medico di torno. Ciao ragazzi a domani!


Indice delle frasi idiomatiche

Am barabà ciccì coccò. Facciamo la conta per vedere a chi tocca.

Video con sottotitoli

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Trascrizione

«ambarabà ciccì coccò
tre civette sul comò
che facevano l’amore
con la figlia del dottore;
il dottore si ammalò:
ambarabà ciccì coccò! »

Oggi amici di Italiano Semplicemente vediamo una bella filastrocca italiana.

Ringrazio Neringa per avermi suggerito la filastrocca che vediamo oggi. Ciao Neringa 🙂

L’argomento del giorno non è quindi una frase idiomatica, ma una filastrocca. In realtà però, con la scusa della filastrocca vedremo anche  due espressioni idiomatiche italiane che hanno lo stesso identico significato. Quando dico “con la scusa di vedere la filastrocca” voglio dire che colgo l’occasione della filastrocca per spiegare delle espressioni idiomatiche. L’obiettivo vero di questo episodio è quindi quello di spiegare, ancora una volta, delle espressioni idiomatiche italiane, ma come scusa, come motivo apparente, dico che l’obiettivo è quello di spiegare questa filastrocca. Quindi con questa scusa, con questo motivo apparente, cioè con questa falsa motivazione, colgo l’occasione per spiegare, in realtà, due espressioni idiomatiche evidentemente collegate a questa filastrocca. Vedremo quali sono queste due espressioni.
Perché faccio questo? Beh, il motivo è sempre lo stesso: per insegnare l’italiano in modo divertente e non noioso, e questo lo faccio sia per voi che per me. In questo modo è sicuramente più divertente e possiamo anche entrare un po’ nella cultura italiana, di cui fanno parte anche le filastrocche. È anche con le filastrocche, tra l’altro, che i bambini imparano la lingua italiana e imparano a sciogliere la lingua, diciamo così. Sciogliere la lingua significa slegare, cioè facilitare la fuoriuscita delle parole dalla bocca. Sciogliere è, credo, una parola non facile da pronunciare per molti, per via del fatto che c’è la “sc” e che c’è anche la “gli“.

La filastrocca l’avete appena ascoltata all’inizio dell’episodio, ed anziché cantarla io ho preferito farvela ascoltare da un video che ho scaricato da Youtube, video dal quale ho estratto un pezzo di audio che ho inserito in questo Podcast. Se volete vedere il video per intero vi rimando alla fine di questo episodio, sul sito italianosemplicemente.com.

Ma che cos’è una filastrocca? Una filastrocca (F_I_L_A_S_T_R_O_C_C_A) è un tipo di componimento, un componimento molto breve, se vogliamo è una canzone, una canzoncina; ed in questa canzoncina ci sono delle ripetizioni di sillabe, cioè di parti di parole, di sillabe, che appunto vengono ripetute. Questa ripetizione genera un ritmo che caratterizza la filastrocca e che la rende orecchiabile. Una cosa è orecchiabile quando fa piacere ascoltarla, con le orecchie appunto, e le rime e le assonanze tendono orecchiabile una frase.

Tre civette sul comò

La filastrocca ha quindi, diciamo, un suo ritmo, un ritmo particolare, ed è proprio questo ritmo, questa musicalità nel ritmo, che rende la filastrocca molto particolare ed orecchiabile.

Il ritmo della filastrocca è abbastanza rapido, normalmente, e cadenzato (cadenzato viene da cadenza, che è un sinonimo di ritmo) e ci sono quindi, nelle filastrocche, rime e assonanze.
In Italia un nome famoso è quello di Gianni Rodari, che è un noto, cioè un famoso autore di alcune filastrocche. Su internet troverete molte filastrocche di Gianni Rodari, che ha scritto questo autore; basta fare una piccola ricerca anche su Youtube se volete.

Ricordo che da piccolo, quando ero bambino, le filastrocche si usavano per fare la cosiddetta “conta“. Quando si doveva fare la conta, cioè quando si doveva scegliere una persona tra un gruppo di amici che doveva fare qualcosa, o a cui toccava fare una penitenza, una punizione oppure che doveva avere un premio, ebbene, per scegliere questa persona, questo bambino, si faceva la conta: ci si metteva tutti in circolo, si formava un circolo, un cerchio di persone, ed una di queste persone faceva la conta, cioè toccava le persone del gruppo una ad una, lei compresa, e faceva la conta recitando una filastrocca. Si diceva proprio così:

«ambarabà ciccì coccò, tre civette sul comò, che facevano l’amore  con la figlia del dottore;
il dottore si ammalò: ambarabà ciccì coccò ».

E quando si arrivava all’ultima parola, la persona, il bambino che era stato toccato mentre si pronunciava questa parola era il bambino che doveva fare qualcosa, il bambino sorteggiato: il bambino che la sorte, cioè il caso,  aveva scelto. Il bambino sorteggiato, cioè scelto dalla sorte.

Sono sicuro che questa è una cosa che fanno tutti i bambini del mondo, non solo in Italia e sono sicuro che anche chi ci ascolta ne conosce qualcuna: anche chi ci ascolta conosce sicuramente una filastrocca simile.

Quindi durante  la conta si passano in rassegna con la mano tutti i partecipanti al gioco e man mano che si toccano le persone una ad una si scandiscono le parole della filastrocca. Scandire le parole significa farle ascoltare chiaramente: questo è scandire le parole.

Avrete certamente capito quindi cosa significhi “fare la conta“: è un po’ come sorteggiare, tirare a sorte, “vedere a chi tocca“. Ecco: “fare la conta” significa “vedere a chi tocca”. La conta viene fatta per vedere a chi tocca fare qualcosa.
Queste quindi sono le espressioni di oggi: “fare la conta” e “vedere a chi tocca“.

Notate bene che fare la conta non significa contare (1,2,3,4…) e neanche conteggiare, che significa fare dei conteggi, includere in un conto.
“Fare la conta” è finalizzato a capire chi farà qualcosa, a capire a chi toccherà fare qualcosa: a chi tocca? Tocca a me o tocca a te? Tocca a lui?

A chi tocca oggi andare a fare la spesa? A chi tocca oggi lavare i piatti?

Se ad esempio sono in un appartamento e sono uno studente universitario che vive assieme ad altri studenti, posso immaginare che ci sia un’unica cucina in casa e che i piatti vadano lavati a turno, una volta ciascuno, e quindi la prima volta che si lavano i piatti dopo aver mangiato possiamo decidere, ad esempio, di fare la conta.

Vediamo a chi tocca lavare i piatti per primo! Vediamo chi deve iniziare a lavare i piatti! Facciamo la conta:
«ambarabà ciccì coccò  tre civette sul comò  che facevano l’amore  con la figlia del dottore;  il dottore si ammalò: ambarabà ciccì coccò! ». Si toccano tutte le persone, una ogni parola, e si fa il giro, poi si ricomincia finché dura la filastrocca, finché cioè non finisce la filastrocca, e quando termina la filastrocca vediamo la mia mano su chi si trova. Vediamo a chi tocca lavare i piatti.
Potrebbe toccare a me, ma potrebbe toccare anche a qualcun altro, non si sa, e a scegliere sarà il caso, la sorte.
Questo è un esempio di fare la conta.

Questa filastrocca ha quindi una struttura circolare, come del resto anche altre filastrocche, e questo significa che può essere ripetuta a piacere tante volte.

Una struttura circolare vuol dire che alla fine della filastrocca possiamo ricominciare la filastrocca, come un circolo, che non ha un inizio e una fine.

Ambarabà ciccì coccò è quindi il primo verso di questa filastrocca per bambini.

È senza dubbio una filastrocca gioiosa, che dà gioia, allegria, ma a dire il vero non ha un particolare senso logico. Se analizziamo i versi, tutti i versi della filastrocca (cioè tutte le parti della filastrocca) non si capisce un granché. Non possiamo quindi spiegare più di tanto questa filastrocca, perché in effetti non ha alcun senso logico.

Ho letto che sono stati fatti anche degli studi su questa filastrocca, per capirne il significato e l’origine, ed in particolare c’è un linguista italiano, cioè uno studioso della lingua italiana, di nome Vermondo Brugnatelli, che ha fatto uno studio approfondito che potete trovare anche su internet.

Quello che vi ho letto è il testo di una delle tante versioni della filastrocca am barabà ciccì coccò. Quello che è, in genere, comune a tutte le versioni è l’incipit, cioè la parte iniziale, le prime parole, e tale incipit resta tuttavia incomprensibile: am barabà ciccì coccò.

Dicevo che ci sono altre versioni rispetto a quella che vi dicevo prima: ad esempio al posto di “tre civette sul comò” potreste trovare “tre galline” (la gallina è l’animale che sta nel pollaio e che fa l’uovo) oppure “tre scimmiette sul comò“. Cioè tre scimmie, tre piccole scimmie (scimmiette).

Lo studioso di cui vi parlavo prima ha analizzato, ha studiato questa filastrocca e pare che essa risalga all’epoca latina addirittura. Siamo di fronte ad una filastrocca molto antica.

Questa filastrocca è famosissima in Italia e lo dimostra il fatto che è entrata anche nella canzone italiana. Ho fatto anche una piccola ricerca in merito e ho scoperto che anche Vasco Rossi già nel 1978, quando all’epoca avevo 7 anni, cantava una canzone dal titolo Ambarabaciccicoccò (tutto attaccato, una sola parola), una canzone che a dire il vero non conoscevo. Molto carina la canzone, che parla di partiti politici, di sindacati e di rivoluzione: nulla a che vedere con i bambini dunque.

La filastrocca viene ironicamente ripresa anche in un’altra canzone, una canzone stavolta del gruppo rock Italiano che si chiama”Elio e le Storie Tese, un gruppo molto divertente e molto famoso in Italia. La canzone si intitola “Complesso del primo maggio“. Anche questa canzone parla in qualche modo di politica, perché il giorno primo maggio (cioè il primo giorno del mese di maggio) è la festa dei lavoratori in Italia e tutti gli anni a Roma si svolge il celebre concerto del primo maggio, in cui si esibiscono molti gruppi e cantanti legati alla sinistra italiana.

Ci sono anche un paio di canzoni per bambini che hanno preso lo spunto sempre da questa filastrocca, e che risalgono all’anno 1965, la prima ed all’anno 1992 la seconda canzone. Le due canzoni si chiamano rispettivamente “Tre civette sul comò”, proprio come una parte della filastrocca e “Barabà, Ciccì e Coccò”.

Queste due canzoni sono state cantate in due edizioni diverse di una trasmissione televisiva che si chiama “Lo Zecchino d’oro”, in cui si esibiscono dei bambini. Lo zecchino d’oro è il Festival Internazionale della Canzone del Bambino.

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La civetta

Se avete dei dubbi sulla filastrocca, posso cercare di aiutarvi, quindi spieghiamo qualche parola della filastrocca. Dunque:
Am barabà ciccì coccò sono parole senza senso, divertenti ma senza un vero senso compiuto.

Tre civette su comò:
Le civette sono degli uccelli, degli animali rapaci notturni. Un uccello rapace è un uccello predatore che si nutre di altri animali. La civetta è quindi un uccello rapace, un predatore dei cieli.
Il comò è un cassettone, cioè una grande cassettiera, un mobile con dei grandi cassetti, dei cassettoni che normalmente si trova in camera da letto ed è fatto di legno: Il materiale di cui è fatto è il legno.
Che facevano l’amore con la figlia del dottore: anche questa frase è abbastanza illogica, senza senso, e quando il dottore si ammalò, cioè quando il dottore si è sentito male, ha avuto una malattia e quindi si è ammalato, si ammalò, ebbene, a quel punto, am barabà ciccì coccò.

Tutto senza senso ma molto divertente e da bambini ci si diverte molto a fare la conta con questa bella filastrocca.
Ringrazio ancora Neringa che mi ha dato l’occasione di parlare delle filastrocche e, con la scusa delle filastrocche, di parlare e di spiegare queste due frasi idiomatiche: fare la conta e vedere a chi tocca.

Si dice vedere “a chi tocca” proprio perché quando si fa la conta si toccano le persone con la mano, quindi “a chi tocca” vuol dire “a chi capita”, chi cioè deve fare qualcosa perché viene toccato per ultimo.
Un saluto da tutto lo staff di Italianosemplicemente.com e mi raccomando, continuate a seguirci.
Se siete curiosi come me vi faccio ascoltare anche una filastrocca egiziana raccontata da Salma, e qualche filastrocca colombiana, in lingua spagnola, da parte di Adriana. Un saluto ed un ringraziamento ad entrambe.

Video

Un video sulla  filastrocca

La canzone di Vasco Rossi

La canzone del gruppo “Elio e le storie tese”

La canzone per bambini del 1965

https://www.youtube.com/watch?v=IrnBiuySLHs

La canzone per bambini del 1992

https://www.youtube.com/watch?v=pIVzBxQIWIY


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Fare cilecca

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Fare cilecca

Oggi ragazzi vediamo il significato della frase “fare cilecca”. 
Vi ringrazio di essere all’ascolto di questo episodio di italiano semplicemente.
Fare cilecca è una delle tante espressioni italiane che utilizzano il verbo fare.

A memoria mi viene in mente “fare di tutta l’erba un fascio“, poi c’è anche “fare baracca e burattini“, oppure anche “farla franca“, e tante altre espressioni. Nel corso del tempo vedremo tutte queste espressioni di uso quotidiano, basta avere un po’di pazienza.
Fare cilecca credo sia abbastanza semplice da spiegare. Il significato, o meglio uno dei significati dell’espressione fare cilecca è “mancare il bersaglio” .

Quindi fare cilecca si usa ogni volta che qualcuno deve riuscire a centrare un bersaglio ma non ci riesce. Si dice che, in questo caso, questa persona ha fatto cilecca. Il bersaglio è ciò che voi volete colpire, è il vostro obiettivo.
Questo è ovviamente il senso proprio della frase, che si applica alle armi da fuoco. Quando si prova a sparare con una pistola oppure con un fucile, e si cerca di colpire un bersaglio, se si manca il bersaglio, colui che spara ha fatto cilecca.

Fare cilecca è mancare il bersaglio. Si dice così. C’è però un secondo significato: se la pistola o il fucile non spara, non riesce a far partire il colpo, perché l’arma non funziona per qualsiasi motivo, se cioè l’arma da fuoco si inceppa, per cattivo funzionamento, si dice che l’arma ha fatto cilecca. In questo caso è l’arma da fuoco che ha fatto cilecca. Quindi a fare cilecca può essere colui che spara, se manca il bersaglio, o anche la stessa arma da fuoco, se per qualche motivo si inceppa.
Quando l’arma si inceppa, l’arma fa cilecca. Il verbo inceppare, non so quanti di voi lo conoscano, si usa con riferimento all’arma. Quando l’arma si inceppa, fa cilecca.

Ad esempio il grilletto della pistola si incastra, perché magari è poco oleato, perché c’è poco olio, quindi il grilletto è poco lubrificato e quindi si inceppa, si incastra e l’arma non spara.
Questo è il senso proprio della frase, che è abbastanza semplice.

C’è un senso figurato, ovviamente, anche in questa frase idiomatica, ed il senso figurato è molto simile comunque a quello proprio.
Infatti ogniqualvolta che c’è un fallimento, ogniqualvolta qualcosa non funziona come dovrebbe, proprio quando dovrebbe funzionare invece, allora possiamo dire che questa cosa ha fatto cilecca.

Non è detto che si tratti di una pistola quindi, ma anche di un qualsiasi strumento che ad un certo punto non funziona. Attenzione perché non si tratta di un non funzionamento permanente, ma temporaneo: c’è uno strumento che solitamente funziona sempre, ma ad un certo punto non funziona più e poi magari funziona nuovamente. Non si tratta quindi di una rottura, cioè di uno strumento c’è si rompe, ma di un cattivo funzionamento, temporaneo.
Facciamo qualche esempio.
Si dice spesso, in ambito sentimentale, anzi in ambito propriamente sessuale, che un uomo può fare cilecca con una donna. Può capitare. Capita più o meno a tutti gli uomini, prima o poi, di fare cilecca con una donna.

Cosa significa?

Significa che qualcosa non funziona, qualche cosa, che solamente non dà problemi, ogni tanto non funziona. In questo caso lo strumento che non funziona è l’uomo, o meglio, quella parte dell’uomo, che è la più importante nell’attività sessuale.

Può essere per stranezza, può essere per emozione, può essere per eccessivo entusiasmo, o anche per stress. Insomma l’uomo può fare cilecca, e la probabilità di fare cilecca per l’uomo cresce con l’aumentare dell’età.

Più l’era aumenta, più l’uomo invecchia, maggiore è la probabilità che un uomo faccia cilecca con una donna. Questo è probabilmente il modo più comune di usare la parola cilecca nel linguaggio comune.

Naturalmente cilecca è un termine informale, assolutamente sconsigliato in occasioni di lavoro o in ufficio, e il motivo è che come dicevo prima, è un termine utilizzato perlopiù in ambito sessuale. Basta fare una ricerca su internet e vedrete quali saranno i risultati della vostra ricerca.

Ci sono comunque altri ambiti di utilizzo della parola cilecca. Posso dire ad esempio che una gamba ha fatto cilecca. Ad esempio: la gamba mi ha fatto cilecca e sono caduto per le scale. La gamba ha fatto cilecca, cioè non ha funzionato a dovere.

Normalmente la mia gamba non ha problemi, ma in quella occasione mi ha fatto cilecca e sono caduto dalle scale, magari perché ho mancato il gradino, sono scivolato eccetera.

Prima ho detto che la gamba non ha funzionato a dovere. Quando qualcosa non funziona a dovere vuol dire che non funziona bene, che non fa il suo dovere, che non fa ciò che dovrebbe fare, cioè il suo dovere. Quindi quando qualcosa non funziona a dovere e questo è un problema temporaneo, allora questa cosa ha fatto cilecca.
E a voi, amici uomini, è mai capitato di fare cilecca con una donna? Spero che in quell’occasione la vostra donna sia stata comprensiva con voi.

Spesso accade che in quelle circostanze le donne credano che sia colpa loro, credono di essere loro le colpevoli della défaillance del loro partner, ed invece sappiate che non è mai questo il motivo. Sappiate che, mi rivolgo alle donne che ascoltano, non è colpa vostra o del fatto che non siete abbastanza attraenti.

Può capitare.

Certo che se capita molto spesso non si può più parlare di cilecca ma di problema. Un problema da risolvere senza dubbio.
Esercizio di ripetizione ora. Ripetete dopo di me, state attenti alla pronuncia. In particolare state attenti alla doppia c.
Cilecca
…..
Cilecca
…..
Io ho fatto cilecca
…..
Tu hai fatto cilecca
…..
La mia gamba ha fatto cilecca
….
Noi abbiamo fatto cilecca
…..
Vi avete fatto cilecca
…..
Loro hanno fatto cilecca
….
Adesso al futuro.
Spero che domani non farò cilecca
…..
Spero che domani ti non farai cilecca
…..
Spero che la gamba non mi farà cilecca
….
Noi faremo cilecca
….
Voi farete cilecca
….
Essi faranno cilecca
…..
Cari amici anche questo episodio volge al termine, spero vivamente di essere stato chiaro e che ora non abbiate più alcun dubbio sul significato della frase “fare cilecca“.

Un’espressione simile è: “andare in bianco

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Scongiurare un pericolo, Dio ce ne scampi e liberi

Audio

Video con trascrizione

Descrizione

Vediamo le espressioni usate per allontanare un pericolo, sia in modo serio che scherzoso.

  • Scongiurare un pericolo
  • Dio ce ne scampi e liberi
  • Per carità
  • Dio ce ne guardi
  • Per l’amor di Dio

Trascrizione

Buongiorno amici. Buona giornata a tutti gli amici di Italiano Semplicemente.

Oggi per la sezione frasi idiomatiche, spieghiamo un’espressione idiomatica italiana. L’espressione è “Scongiurare un pericolo”. Non è in realtà una vera espressione idiomatica, perché il verbo scongiurare si applica praticamente soltanto al “pericolo”. Quindi l’espressione ha soltanto un senso proprio. Spiegare la frase di oggi, in realtà equivale a spiegare il verbo “scongiurare”. Con l’occasione però vedremo una frase idiomatica, oggi, collegata al verbo scongiurare, quindi collegata alla frase “scongiurare un pericolo”. La frase idiomatica che vediamo e che è collegata alla frase “scongiurare un pericolo” è la seguente: “Dio ce ne scampi e liberi”.

Quindi vedremo due frasi oggi: “scongiurare un pericolo” e “Dio ce ne scampi e liberi”.

Dunque, cosa significa “scongiurare un pericolo”? Sapete tutti cos’è un pericolo? Un pericolo è una cosa pericolosa! Un pericolo è una cosa che può accadere, e che ci potrebbe far male, ci potrebbe procurare un danno, ci potrebbe procurare un dolore, ci potrebbe nuocere. Questo è un pericolo: se una cosa porta del pericolo, vuol dire che questa cosa è pericolosa. Una cosa pericolosa è una cosa che può procurarci del male, che può procurarci qualcosa di negativo. Questo è il pericolo. Scongiurare un pericolo: come dicevo prima il verbo “scongiurare” si applica praticamente soltanto con il pericolo.

Scongiurare è un verbo. Vi ho detto che il pericolo che si riferisce a delle cose che possono accadere, ma queste cose posso anche non accadere. Quindi una circostanza negativa può verificarsi oppure può non verificarsi. Se si verifica questa circostanza negativa, questo pericolo diventa un fatto negativo, se invece non si verifica abbiamo scongiurato un pericolo. Quindi scongiurare un pericolo significa semplicemente fare in modo che una cosa negativa non si verifica.

Ad esempio l’altro ieri c’è stata la partita Italia-Germania, vinta dalla Germania ai calci di rigore. Sto parlando dei quarti di finale dei campionati europei di calcio 2016, Italia e Germania sono due squadre molti forti. Quindi la Germania rappresentava un pericolo per l’Italia, così come l’Italia rappresentava un pericolo per la Germania. Ebbene l’Italia non è riuscita a scongiurare il pericolo Germania. La Germania, dal canto suo, invece, è riuscita a scongiurare il pericolo Italia. L’Italia quindi non è riuscita a scongiurare il pericolo Germania, la Germania invece è riuscita a scongiurare il pericolo Italia.

Quindi scongiurare è il verbo che si usa in questi casi, quando si vuole evitare che qualcosa di negativo diventi un pericolo. Scongiurare è molto simile al verbo “giurare”, ma non ha niente a che vedere col verbo giurare. Infatti giurare significa promettere, promettere solennemente, cioè promettere con forza. Giurare è un verbo che si applica soprattutto alle cose a cui teniamo molto: ad esempio si dice “giuro sui miei figli”. Vuol dire che sto dicendo la verità, prometto che sto dicendo la verità: giuro sui miei affetti più cari, giuro sulle cose a cui tengo di più, giuro sui miei figli, cioè prometto solennemente che sto dicendo la verità, vi prometto che non sto dicendo una bugia, vi prometto che non sto mentendo: “giuro sui miei figli”. Quindi giurare significa promettere, scongiurare invece ha a che fare con i pericoli: non c’entra nulla col verbo “giurare”.

La frase idiomatica collegata all’espressione “scongiurare un pericolo” è invece, come vi avevo accennato prima, la frase “Dio ce ne scampi e liberi”.

“Dio ce ne scampi e liberi” è un’espressione idiomatica, una frase cioè una cosa che si dice quando si è in pericolo. Quindi “Dio ce ne scampi e liberi” contiene la parola “Dio”, di conseguenza è una richiesta di aiuto a Dio. Si chiede a Dio di liberarci di qualcosa: di liberarci dal pericolo, di liberarci da questa circostanza negativa che vogliamo scongiurare. Un evento può verificarsi oppure no: è per questo che è pericoloso; noi non vogliamo che si verifichi, di conseguenza invochiamo Dio: chiediamo a Dio che ci liberi da questa cosa, che non la faccia verificare: “Dio ce ne scampi e liberi”. Cosa significa “ce ne scampi”?

“Scampi” viene da “scampare”, e scampare è un verbo. È un verbo che, anche questo, si applica solamente ai pericoli, come scongiurare. Infatti si dice anche: “scampare da un pericolo”, che è analoga alla frase “scongiurare un pericolo”. Non è esattamente uguale però. Adesso vi spiego le differenze. Scampare significa “evitare” un pericolo. Scampare un pericolo significa evitare qualcosa che si è verificato, oppure significa evitare qualcosa che si potrebbe verificare, quindi  potrebbe essere sostituita alla frase “scongiurare un pericolo”, ma la frase “scampare un pericolo” si applica anche quando qualcosa si è già verificato. Ad esempio se c’è stato un terremoto da qualche parte, ed io sono riuscito a sopravvivere, sono riuscito a scappare, quindi non ho subito le conseguenze negative del terremoto, posso dire: “sono riuscito a scampare dal pericolo terremoto”, “sono riuscito a scampare dal terremoto”: quindi il terremoto si è verificato, c’è stato il terremoto, ma io sono scampato dal terremoto, invece se il terremoto c’è stato vuol dire che non si è riusciti a scongiurare il pericolo terremoto, perché il terremoto si è effettivamente verificato, di conseguenza non siamo riusciti a scongiurare il pericolo terremoto, però io sono riuscito a scampare dal terremoto.

Quindi queste sono le differenze. Invece “scampi” viene appunto da scampare. “Dio ce ne scampi” vuol dire “Dio ci liberi”, “Dio ci faccia sopravvivere”, “Dio faccia in modo che non si verifichi questa cosa negativa”. Posso dire “Dio ci liberi dal terremoto”, oppure “Dio ci faccia scampare dal terremoto”, cioè “Dio ci faccia sopravvivere dal terremoto”. Quindi “Dio ce ne scampi e liberi”. In questo caso “liberi” è un rafforzativo di “scampare”: cioè “Dio ce ne scampi, dal terremoto”, “Dio ci liberi dal terremoto”. Significano entrambi la stessa cosa. Dio ce ne scampi e liberi vuol dire “spero che Dio faccia in modo che questo terremoto non avvenga”, cioè “ce ne liberi”. “Dio faccia in modo di sopravvivere al terremoto”, cioè “Dio ce ne scampi”.

Quindi “Dio ce ne scampi e liberi” è una frase collegata all’espressione “scongiurare un pericolo” perché ogniqualvolta c’è qualcosa di pericoloso che vogliamo scongiurare, che non vogliamo cioè che si verifichi, possiamo dire questa frase: “Dio ce ne scampi e liberi”.

Questa è una frase che possiamo usare tra amici, tra familiari, tra conoscenti, ma è una frase che si pronuncia ogniqualvolta c’è una circostanza pericolosa, ogniqualvolta c’è un pericolo imminente, c’è qualcosa di pericoloso che sta per accadere, e noi vogliamo manifestare il nostro desiderio di allontanarci da questo pericolo, di scongiurare questo pericolo, quindi possiamo dire “Dio ce ne scampi e liberi”. Quindi ad esempio se ci sono due persone che parlano, e la prima persona dice: “ho sentito il telegiornale e dicono che domani potrebbe esserci una grande scossa di terremoto”. L’altra persona potrebbe dire: “per carità!, Dio ce ne scampi e liberi!

Quindi si dice anche “per carità!”. Per carità è un altro modo di scongiurare un pericolo: “per carità!, Dio ce ne scampi e liberi!”. Sia “per carità”, sia “Dio ce ne scampi e liberi” sono due espressioni colloquiali, sono due espressioni di tutti i giorni, due espressioni familiari, che hanno tutte lo stesso significato. Il modo più normale diciamo, più diffuso, di esprimere questo “sentimento”, di esprimere la volontà di scongiurare un pericolo è “Dio ce ne guardi”, o “Per l’amor di Dio”. Per l’amor di Dio significa “per l’amore di Dio”. Anche in questo caso si sta chiedendo l’aiuto di Dio. “Per carità” invece è una frase un po’ più corta, che però si usa anche in senso scherzoso, ogni volta che vogliamo scongiurare un pericolo. Una frase che si dice in qualsiasi circostanza, anche non necessariamente pericolosa, proprio perché vogliamo ironizzare su un fatto, su una cosa divertente che vogliamo far apparire come pericolosa. Quindi ogniqualvolta c’è una cosa anche brutta da vedere, e noi non la vogliamo vedere, possiamo dire “per carità”. Anche se c’è una cosa cattiva da mangiare, che non è buona, possiamo dire “per carità!”. Ad esempio se io amo il caffè senza lo zucchero, se una persona mi dice:

“Giovanni, vuoi un po’ di zucchero nel caffè?”, io posso dire “per carità! Per carità il caffè con lo zucchero”. Cioè: “non voglio il caffè con lo zucchero, non mi mettere lo zucchero nel caffè; non voglio il caffè con lo zucchero”; “per carità”, “per l’amor di Dio”, “Dio ce ne scampi e liberi”.

Queste quindi sono tutte espressioni che vengono utilizzate nella lingua italiana per scongiurare un pericolo, come anche “Dio ce ne guardi”.

Ovviamente tutte queste espressioni non sono formali, che si possono usare in contesti più importanti, da un punto di vista professionale, ma soltanto da un punto di vista informale, quindi potete utilizzarle con gli amici, con i vostri conoscenti, con i vostri familiari. Da un punto di vista formale posso usare altre espressioni. Quindi se ad esempio sono il capo di una azienda che viene a conoscenza della possibilità di una crisi economica, per scongiurare il pericolo della crisi economica, potrei dire, anziché “per carità”, o anziché “Dio ce ne scampi e liberi”, o “Dio ce ne guardi”, potrei dire: “spero che questa circostanza non si verifichi, sarebbe molto negativo se questa crisi economica si verificasse”. Quindi non è una frase ironica, che fa ridere.

Quando si parla in modo professionale e si vuole scongiurare un pericolo non possiamo suscitare dell’ironia ma dobbiamo parlare seriamente, e questo significa dire esattamente le cose come stanno. Se c’è una crisi economica non possiamo dire “Dio ce ne scampi e liberi”, a meno che questi colleghi di lavoro siano dei conoscenti, degli amici. Possiamo quindi dire: speriamo non accada, sarebbe una evenienza molto negativa. La crisi economica sarebbe la fine della nostra azienda. Quindi amici spero di non avervi annoiato oggi. Abbiamo quindi visto all’inizio il significato del verbo scongiurare e la frase, l’espressione “scongiurare un pericolo”. Abbiamo visto che il verbo scongiurare si applica solamente ai pericoli. Poi abbiamo visti il significato dell’espressione “Dio ce ne scampi e liberi”, quindi abbiamo visto che “Dio ce ne scampi” e “Di0 ce ne liberi” vogliono più o meno dire la stessa cosa. Poi abbiamo visto che la stessa espressione si può dire anche in differenti modi: possiamo dire “dio ce ne scampi e liberi”, possiamo dire “per carità”, possiamo dire “Dio ce ne guardi”. Possiamo anche dire “Per l’amor di Dio”. Abbiamo infine detto che queste sono espressioni utilizzate sempre in un linguaggio informale, mentre non si possono utilizzare in occasioni importanti, in riunioni di lavoro, eccetera.

Facciamo adesso il solito esercizio di ripetizione: credo che questo sia un esercizio molto importante, lo dico sempre alla fine dei miei podcast. Esercitatevi anche a parlare, perché potreste anche conoscere tutte le regole grammaticali italiane, potreste anche comprendere perfettamente un qualsiasi libro di italiano, potreste leggere qualsiasi giornale italiano senza problemi, potreste anche aver frequentato l’università di Italianistica, ma se non vi esercitate a parlare, il vostro italiano non sarà mai molto buono: è importante esercitarsi, esercitarsi fin dall’inizio, ed è per questo che vi raccomando sempre alla fine dei miei podcast di ripetere delle frasi complicate. Vi invito a farlo dopo di me, a ripetere le frasi dopo di me. Non pensate alla grammatica ma soltanto a ripetere.

Dio ce ne scampi e liberi

……

Dio ce ne scampi e liberi

……

Dio ce ne scampi e liberi

……

Dio ce ne scampi e liberi

……

Dio ce ne scampi e liberi

……

Ce ne vuol dire “a noi”. “Ce” vuol dire “a noi”, “ne” vuol dire “di questa cosa”, “del pericolo”.

Per l’amor di Dio

…..

Per l’amor di Dio

…..

Per l’amor di Dio

…..

Per carità

…..

Per carità il caffè con lo zucchero

…..

Per carità il caffè con lo zucchero

…..

Per carità il caffè con lo zucchero

…..

Dio ce ne scampi e liberi

….

Dio ce ne guardi

…..

Dio ce ne guardi

…..

Dio ce ne guardi

…..

Per l’amor di Dio

….

Scusatemi se oggi c’erano un po’ di rumori perché ho registrato il podcast, quindi ogni tanto passavano delle macchine. Spero che dopo aver ascoltato questo podcast non pensiate “Dio ce ne scapi e liberi da Italiano Semplicemente!”.

Ciao Amici!

Lasciare a desiderare

Audio

Bassa velocità

Normale velocità

Trascrizione

lasciare a desiderare_immagineBuongiorno amici. Oggi vi spiegherò una espressione italiana relativamente facile, ma ovviamente sarete voi a giudicare.
L’espressione è “lasciare a desiderare“.
Non so quanti di voi conoscano già questa espressione, che appartiene al linguaggio di tutti i giorni, usata in ogni regione italiana indistintamente, ma anche se ne conoscete il significato vi consiglio ugualmente di ascoltare la spiegazione. Ascoltare non fa mai male. Oggi poi proviamo a registrare il podcast in due velocità, facciamo questo esperimento in modo che anche coloro che hanno un livello più basso di comprensione possano esercitarsi ad ascoltare.
Lasciare a desiderare dunque è l’espressione di oggi, diffusissima in tutta Italia, utilizzata in ogni contesto, in ogni momento, in ogni circostanza diversa, dallo sport alla moda, dallo studio allo stadio. Se proprio dobbiamo fare delle differenze, vi devo dire che ad utilizzarla sono maggiormente le persone un po’ più colte.
In ogni modo ci sono tanti modi per esprimere li stesso concetto ed oggi cercheremo di vederne qualcuno.
Lasciare è un verbo, lo sapete, ed è il verbo, che se utilizzato in senso proprio significa mollare: Se voi tenete in mano un oggetto e lo stringete con la mano, se poi lo lasciate, lo lasciate andare, lo mollare, vuol dire che non lo tenete più. Lo avete lasciato.
Il verbo lasciare è usato in molti modi diversi però in italiano. Si può lasciare un oggetto, ma di può lasciare anche un fidanzato, o una fidanzata: chi di noi non è stato lasciato almeno una volta nella vita? Se quindi venite lasciati dal vostro fidanzato, da quel momento non state più insieme. Siete stati lasciati. Da quel momento non siete più fidanzati.
Un altro modo ancora di usare il verbo lasciare è farlo seguire dalla preposizione semplice “a”.
Posso dire ad esempio “lasciare a te“, lasciare a te la decisione, ad esempio, lasciare a te il comando,
lasciare a ” è analogo a “lasciare per“. Quindi vuol dire dare a qualcun altro.
Se ad esempio io lascio a te la decisione, posso anche dire che lascio che sia tu a prendere la decisione. Se tu lasci che io comandi, posso anche dire che tu lasci a me il comando. Un altro esempio: Se io lascio a te l’onore di salire sulla mia auto, posso anche dire che lascio che tu abbia l’onore di salire sulla mia automobile.

C’è però anche un altro significato del verbo lasciare. Se ad esempio sono in macchina e siamo in due persone, posso fermarmi e far scendere questa persona. La lascio scendere, cioè le permetto di scendere, lascio scendere questa persona e quindi lasciare scendere significa fare in modo che questa persona scenda dell’automobile, fare in modo che questa persona lasci l’automobile e scenda, lasciare che questa persona scenda dall’auto. Lasciare =permettere.
Ed allora arriviamo all’espressione di oggi lasciare a desiderare. Il senso proprio dell’espressione lasciare a desiderare è che se ad esempio ti lascio a desiderare, vuol dire che io lascio che tu desideri, io ti permetto di desiderare.
Questo è il senso proprio di lasciare a desiderare.
C’è però un significato secondario, figurato ovviamente che vi dico subito.
Se una cosa lascia a desiderare significa che non è molto bella, o molto buona, o che non è molto adatta al suo scopo. Questo non significa che va malissimo, non è un giudizio molto negativo.
Se ad esempio il mio vestito lascia a desiderare vuol dire che non è un bel vestito.
Se ci pensate bene, rende bene l’idea, infatti se il mio vestito lascia a desiderare è come se non facesse felice chi lo indossa o chi lo guarda, e quindi gli fa desiderare di avere un vestito diverso, più bello. Il mio vestito lascia, chi lo guarda, a desiderare un vestito più adatto, lo lascia a desiderare un vestito più bello.
Evidentemente non è un bel vestito. L’espressione è adatta a qualsiasi cosa,ai vestiti come anche ad altri oggetti ed anche alle persone. E non solo.
Se ho un esame universitario e un mio amico mi chiede: come è andato l’esame?
Potrei rispondere:

La prima parte dell’esame è a data bene, è ok, poi però ho un po’ lasciato a desiderare.

Quindi io ho lasciato a desiderare, al passato dunque. Solitamente comunque si usa dire: “un po’ a desiderare” , oppure “molto a desiderare”.
Difficilmente ascolterete semplicemente che una cosa lascia a desiderare. Solitamente si dice: il mio esame ha lasciato molto a desiderare, la mia prestazione ha lasciato un po’ a desiderare, la tua idea lascia un po’ a desiderare. Si dice anche abbastanza o leggermente a desiderare.
Dicevo prima che l’espressione è utilizzata più da persone colte ed istruite ed in effetti è un modo abbastanza delicato di dire che una cosa non piace e che non è molto buona o positiva.
Per esprimere lo stesso sentimento, la stessa sensazione di disapprovazione, di giudizio negativo ci sono molti modi, a secondo della situazione in cui vi trovate o del grado negativo del vostro giudizio.
Non mi piace“, o “non mi piace per niente“, sono espressioni più universali. “Fa schifo” invece, rappresenta il modo meno gentile per esprimere un giudizio negativo. “Questo gelato fa schifo” , ad esempio, è molto forte ed anche offensivo se lo dite a chi vi ha dato il gelato. Invece “questo gelato lascia un po’ a desiderare” è più gentile e molto meno offensivo.
In termini più tecnici, più adatti al lavoro di ufficio, se vogliamo, possiamo dire: “Essere insoddisfacente“, o anche “non corrispondere alle aspettative
Il tuo lavoro lascia molto a desiderare quindi equivale a il tuo lavoro è insoddisfacente, cioè non soddisfa le mie aspettative, quindi io mi aspettavo di più da te, dal tuo lavoro, quindi il tuo lavoro non corrisponde alle mie aspettative. Se volete la frase: “Non sono soddisfatto del tuo lavoro” è il modo più semplice per dire la stessa cosa.
Ma se volete essere più eleganti potete dire “il tuo lavoro lascia molto a desiderare”.
Questa espressione di conseguenza è adatta ad un contesto lavorativo quindi è una delle tante espressioni che utilizzeremo anche nel corso di italiano professionale.
Voglio dirvi ad esempio che, personalmente sono molte le cose in cui lascio molto a desiderare.
Lascio a desiderare nel gioco del tennis, ad esempio, poiché non sono molto bravo a giocare e lascio a desiderare in molti altri sport. A scuola lasciavo abbastanza a desiderare in storia. Ognuno di noi lascia a desiderare in molte cose ed in altre invece dà il meglio di sé.
Facciamo ora il consueto esercizio di ripetizione, prima al presente poi al passato.

Io lascio a desiderare
………
Tu lasci a desiderare
………
Lui lascia a desiderare
………
Noi lasciamo a desiderare
………
Voi lasciate a desiderare
………
Essi lasciano a desiderare
………

Vediamo al passato:

Io ho lasciato molto a desiderare
………
Tu hai lasciato un po’ a desiderare
………
Lui ha lasciato molto a desiderare
………
Noi abbiamo lasciato un po’ a desiderare
………
Voi avete lasciato molto a desiderare
………
Essi hanno lasciato abbastanza a desiderare
………

Ascoltate se volete altre volte questo episodio se volete memorizzare questa espressione ed il corretto modo di utilizzarla.
Un saluto a tutti i fedeli ascoltatori di Italianosemplicemente.com.

Non c’è verso, tentar non nuoce

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Trascrizione

non ce verso tentar non nuoce

Ramona: ciao Gianni. Una frase mi è venuta in mente: ho provato tante volte ad imparare a nuotare, con mio padre, con i miei amici, ma non c’è verso: non riesco a superare la paura dell’acqua.

Gianni: Buonasera, amici di Italiano Semplicemente, benvenuti sul nuovo podcast, che tratterà di una, anzi di due espressioni idiomatiche italiane. Non si tratta in realtà di vere espressioni idiomatiche, ma le definirei semplicemente due espressioni molto utilizzate  nella lingua italiana.

Sono due espressioni molto brevi, che si possono applicare nello stesso contesto, che è quello di “fare qualcosa”, decidere di fare qualcosa.

Questo podcast è dedicato a tutti coloro che hanno un livello di italiano intermedio, quindi dal livello universalmente riconosciuto come A2, quindi non esattamente principianti, fino al livello C1, e forse dovrei dire anche C2. Cercherò di parlare abbastanza chiaramente per fare comprendere bene tutte le parole che pronuncerò durante questo podcast, affinché tutti quanti possano comprendere bene. Nello stesso tempo, per coloro che hanno un livello un po’ più avanzato (che conosceranno sicuramente queste due espressioni che oggi sto per spiegare) concentrerò la mia attenzione su un aspetto particolare che riguarda esattamente queste persone di livello un po’ più avanzato. Ho fatto caso, durante le mie chiacchierate con tutti gli stranieri che ho avuto nell’ultimo anno utilizzando questo fantastico strumento che è whatsapp, agli errori più comuni che commettono le persone anche molte esperte, coloro che sanno molto bene l’italiano, ma che, nonostante tutto continuano a sbagliare delle cose. Mi riferisco alle preposizioni semplici.

Di conseguenza oggi spiegherò queste due frasi, che sono “non c’è verso” e “tentar non nuoce”.

Queste sono due frasi, due frasi che si applicano in un contesto decisionale, quindi entrambe vanno bene ogni qualvolta si devono prendere delle decisioni, e nello stesso tempo, mentre spiegherò queste due frasi, mi concentrerò sulle preposizioni semplici che utilizzo, e spiegherò perché si usano a volte si usano quelle preposizioni semplici, e perché a volte invece se ne usano altre.

Dunque, le preposizioni semplici italiane non sono molte (ma neanche poche),  e sono le seguenti:di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.

LE preposizioni semplici si ricordano facilmente a memoria, perché hanno un suono abbastanza melodioso. Una cosa che io ricordo dalle scuole elementari, quindi credo sia facile per tutti.

Cominciamo con la prima espressione: “NON C’E’ VERSO”. Significa semplicemente “non c’è modo”, “non c’è alcun modo”. Qual’è la differenza? Intanto spiegherò la parola “verso” , poi mi concentrerò più sull’espressione.

Cos’è il verso? Il verso ha a che fare con la direzione. Quando si va in un posto preciso, ammettiamo che dobbiamo fare il percorso da A a B, ad esempio da Roma a Napoli, cioè la strada che sto facendo io in questo momento. Sono partito da Roma e sto andando verso Napoli . Quindi se vado da Roma a Napoli, la direzione si chiama Roma-Napoli. Ladirezione Roma-Napoli è uguale alla direzione Napoli-Roma: è la stessa direzione.

Da un punto di vista geometrico la direzione non fa riferimento alla partenza e all’arrivo, ma solamente alla direttrice che collega il punto A al punto B. Se invece io dico che vado verso Napoli, cioè IN direzione Napoli.

Attenzione! Ho appena detto IN In direzione Napoli. “In” è una preposizione semplice, ed in questo caso proprio “IN”. In davanti alla parola direzione vuol dire cje state andando verso quella parte, verso quel luogo: “in direzione Napoli”.

Questo è il verso. Ci sono due versi per ogni direzione, da Roma verso Napoli e da Napoli verso Roma. L’espressione “non c’è verso” però per il momento ancora non è chiaro, ma se ci pensate bene, la parola “verso” può anche essere utilizzata in sostituzione della parola “modo”. Per quale motivo? Il motivo è il seguente: quando voi cercate di fare qualcosa, quando prendete una decisione (si parla appunto di decisioni), e prendete la decisione di raggiungere un certo obiettivo, che non è detto sia un luogo in cui voi stiate andando, un luogo in cui vi stiate recando (come me che sto andando verso Napoli), ma semplicemente raggiungere un obiettivo, cioè ottenere un risultato.

In questo caso avete preso la decisione di raggiungere un obiettivo, o potete provare a raggiungere l’obiettivo “in” più modi: potete provare il modo “A” (la strada “A”) oppure il modo “B” (la strada “B”) . Quindi ci sono diversi modi, diverse strade che vi possono portare a raggiungere un obiettivo. Di conseguenza quando si dice la frase “non c’è verso”, che equivale all’espressione “non c’è modo”, significa semplicemente che avete già provato attraverso più modi, più strade, a raggiungere quell’obiettivo, e non ci siete mai riusciti. Quindi avete provato a risolvere il problema in differenti modalità, utilizzando strade diverse, in differenti modi, ma non ci siete ancora riusciti. Quindi “non c’è verso” è un sinonimo di “non c’è modo”.

La differenza, dicevo prima, tra “non c’è modo” e “non c’è verso” è che, appunto, quando dite “non c’è verso” vuol dire che avete già provato molte volte, che avete insistito, avete provato tante volte ma non ci siete mai riusciti. Quindi quando si pronuncia questa espressione significa che avete provato molte volte, avete insistito e vi siete arresi: significa che non proverete più, state constatando che non c’è nessun modo per risolvere il problema, non c’è nessun modo per raggiungere l’obiettivo, vie siete arresi e di conseguenza fate questa esclamazione.

Non c’è verso “di”. Attenzione! Non c’è verso “di”. Se voi dite non c’è verso di imparare a nuotare, ad esempio, come ha detto la nostra amica Ramona, significa che avete provato più volte a nuotare, ma non ci siete mai riusciti: Non c’è verso “di” nuotare, non c’è verso “di” imparare a nuotare. Quindi attenzione perché si usa la preposizione “di”.

Non potete usare altre preposizioni. Un italiano vi potrebbe comprendere lo stesso, ma non è detto che vi comprenda. Quindi non c’è verso “di”:

  • fare
  • imparare
  • riuscire

C’è sempre un obiettivo che dovete raggiungere. Nel caso di Ramona l’obiettivo era di imparare a nuotare. Avete fatto più tentativi e non ci siete riusciti: non c’è verso.

Invece nella frase “non c’è modo” non è detto che voi abbiate già tentato di raggiungere l’obiettivo; probabilmente avete constatato che non c’è nessun modo, nessuna maniera per ottenere quel risultato, ma non è detto che voi abbiate già tentato e che vi siate arresi.

Questa è la differenza tra “non c’è verso” e “non c’è modo”..

Vediamo la seconda frase, che è “tentar non nuoce“.

Anche questa frase ha a che fare con le decisioni e con il raggiungimento di un obiettivo specifico, che sia di arrivare fino a Napoli (come nel mio caso), come il tentativo di ottenere un obiettivo qualsiasi.

Cosa significa? “Tentar” deriva da “tentare”, quindi è il verbo “tentare”, dove si toglie l’ultima lettera. Tentare diventa tentar. “Non nuoce”: non è la negazione, e nuoce viene dal verso “nuocere”.

Cosa significa “nuocere”? Nuocere vuol dire “fare del male”. Se cercate sul vocabolario il verbo nuocere troverete che significa “fare del male”. Solitamente il verbo nuocere è preceduto dalla parola “non”, quindi è usato in senso negativo, anche se a volte potete trovarlo anche in frasi affermative.

Ad esempio, sui prodotti che fanno male alla salute, come nel caso di prodotti con particolari sostanze chimiche, potreste leggere sulle istruzioni del barattolo”nuoce gravemente alla salute”, cioè “fa male alla salute”. Non nuoce quindi vuol dire che non fa male. Quindi nuocere è un verbo che si usa fondamentalmente per iscritto, sulle confezioni, sui barattoli dei prodotti che fanno male alla salute. Non troverete mai scritto “fa male alla salute”, ma troverete sempre scritto “nuove (gravemente) alla salute”. Invece non nuoce vuol dire che non fa male, che  non nuoce.

Tentar non nuoce quindi vuol dire che tentare non nuoce, cioè “provare non nuoce”, “provare non fa male”. Quand’è che si usa questa frase: tentar non nuoce?

La frase è abbastanza melodiosa, perché ogniqualvolta si taglia l’ultima vocale di una parola, come in questo caso (“tentare” è diventato “tentar”).

Ogni qualvolta si toglie l’ultima lettera di una parola è per rendere la frase più melodiosa all’udito. Quindi “tentare non nuoce” è una frase correttissima in italiano, però non si usa. Normalmente si usa “tentar non nuoce”, che è una esclamazione, una frase che può essere usata ogni qualvolta si voglia invitare una persona a fare un tentativo (tentare-tentativo), quindi quando si vuol spingere una persona a provare a risolvere un problema, a provare a raggiungere un obiettivo. Quindi se ad esempio io faccio l’università e vorrei fare la facoltà di ingegneria, però ho sentito dire che la facoltà di ingegneria è molto dura, che gli esami sono molto difficili “da” superare, (“da” è un’altra preposizione semplice), ebbene, in questo caso potrei dire a me stesso:

ma sì, dai, proviamo “a” fare ingegneria , tentar non nuoce!

Cioè provare non fa male: posso provare a fare ingegneria, e se poi verifico che la facoltà di ingegneria è una facoltà complicata, una facoltà troppo difficile per me, ebbene, “in “questo caso, cambierò facoltà; passerò ad un’altra facoltà. 

Tentare non nuoce, così come la prima frase che abbiamo visto, vale a dire “non c’è verso”, sono due espressioni italiane UTILIZZATISSIME, in tutti i contesti, in contesti sia informali che formali. Probabilmente la prima frase la troverete più adatta ad un contesto informale e all’orale, quindi più nel linguaggio parlato che nel linguaggio scritto, perché “non c’è verso” in effetti è una frase più adatta al linguaggio parlato, di tutti i giorni, ma se la utilizzate anche in un contesto importante, più formale, nessuno si scandalizzerà: nessuno vi dirà: ma cosa stai dicendo? Hai utilizzato una espressione volgare!

Non si tratta di una espressione volgare, si tratta di una espressione italiana, molto utilizzata, che in ogni caso è più adatta sicuramente ad un linguaggio parlato piuttosto che ad un linguaggio scritto. 

Anche tentar non nuoce probabilmente è una espressione più utilizzata all’orale che per iscritto, ma in realtà, come vi ho detto precedentemente, il verbo nuocere è messo per iscritto in tutte le confezioni dei prodotti che fanno male alla salute, ma la frase “tentar non nuoce” è una frase che potete tranquillamente utilizzare per iscritto. Probabilmente è più adatta ad una email, ad una chat, piuttosto che ad un documento formale, perché è una frase che si utilizza quando si sta parlando ad una persona, quindi quando si scrive una lettera, una email, si sta chattando con una amico o un conoscente. “Tentar non nuoce” e “non c’è verso” sono due espressioni quindi che si utilizzano quando si parla con un’altra persona in un contesto decisionale, in un contesto in cui si sta prendendo una decisione. Si può incitare una persona e dire:

Tentar non nuoce. Dai, fai questo tentativo, provaci, non si sa mai!

“Non si sa mai”, in effetti, è un’espressione abbastanza simile a “tentar non nuoce”.

Tentar non nuoce di conseguenza vuol semplicemente dire che se provi, se provi a fare un tentativo, non può succederti nulla di male. Non c’è nulla di sbagliato nel provare, perché provare non costa nulla.

Ovviamente non potete utilizzare “tentar non nuoce” in tutte le occasioni. Se ad esempio mi viene voglia di lanciarmi col paracadute, ad esempio, però ho paura di lanciarmi col paracadute perché non l’ho mai fatto in vita mia, un amico mi potrebbe dire:

Dai, prova, tentar non nuoce!!!

Ed invece in questo caso tentar nuoce, eccome se nuoce! Quindi non è il caso (in questo caso) di utilizzare l’espressione “tentar non nuoce”.

Così come mi viene in mente di provare ad andare a 200 km orari utilizzando la mia nuova automobile.Non mi verrebbe mai in mente di dire a me stesso:

Vabè, dai, prova! Vediamo a che velocità riesci ad arrivare, tentar non nuoce!

Anche in questo caso, tentare NUOCE!! Nuoce gravemente alla salute!

Di conseguenza questa è una frase che si pronuncia in tutte quelle occasioni in cui non c’è nessun pericolo, altrimenti non ha nessun senso utilizzare questa espressione.

Spero che tutti coloro che ritengono di appartenere alla categoria C1 o C2 abbiano fatto caso a tutte le preposizioni semplici che ho utilizzato all’interno di questo podcast.

Quando si dice quindi “vado in direzione Napoli”, oppure “vado a Napoli”, va bene in entrambi i modi, ma non posso dire: “vado a direzione Napoli”.

Posso dire “vado verso” Napoli, “vado in direzione Napoli”. Se dico “verso”, non devo usare “in”.

L’uso delle preposizioni semplici è molto importante. Ho notato personalmente che in fase di presentazione, quando ci si presenta ad un amico, ho notato che anche le persone che hanno un livello di italiano molto alto e che parlano benissimo, molto spesso si presentano e dicono:

Piacere, sono Alberto (ad esempio) e vengo da Marcocco. 

 

ad esempio, o “da Algeria”..

Ho fatto solo un esempio, avrei potuto dire Germania, Francia, Spagna, Irlanda, eccetera

L’uso delle preposizioni semplici in questo caso si può spiegare molto semplicemente: in italiano, quando dovete dire che voi abitate in una determinata nazione, in una certa nazione, si usa solamente dire: “Sono marocchino”, o “sono algerino”, o “sono francese”, “sono danese”, “sono tedesco”, “sono italiano”. Non si dice “io sono di Italia” o “io sono da Italia”. Si dice semplicemente: sono italiano, francese, tedesco. Quindi l’uso della preposizione semplice, in questo caso, è sempre sbagliata.

In effetti la preposizione semplice “di” non si usa mai con le nazioni, con i paesi, ma si usa soltanto con le città:

Sono di Roma!

Sono di Londra, di Calcutta, di Berlino. Quindi quando dovete dire che abitate, che siete residente, che siete un abitante di una città, dovete usare “di”. Dovete usare solamente “di”. Non c’è un’altra preposizione semplice adatta: io sono di Roma. Certo, se dovete dire che ABITATE in un certo posto, dovete dire “io abito a Roma”. In questo caso si usa la preposizione semplice “a” (abitare + città). 

Io abito a Roma, io abito a Londra, io abito a Beirut! (come Ramona), io abito a Berlino

Per le nazioni potete usare “in”. Quindi:

Io abito in Brasile, io abito in Albania, io abito in Italia.

Quindi l’uso delle preposizioni semplici, quando si parla di dire dove abitate o di dove siete è uno degli esempi tipici che mi viene in mente che anche coloro che hanno un livello abbastanza alto sbagliano molto spesso. Credo di aver affrontato abbastanza marginalmente il problema delle preposizioni semplici ma non voglio annoiarvi naturalmente. L’obiettivo di Italiano Semplicemente non è quello di insegnare la grammatica, come molti di voi già sapranno. Per coloro che ci seguono per la prima volta vi consiglio di leggere le sette regole d’oro di Italiano Semplicemente, che utilizziamo in ogni episodio. Per coloro che sono interessati potete andare sul sito italianosemplicemente.com e cercare le sette regole d’oro. Credo sia tutto per oggi ragazzi. Spero che dopo aver ascoltato questo episodio non diciate:

Non c’è verso di imparare l’italiano!

Provate. Secondo me dovete provare. Provate a seguire le sette regole d’oro. Vi garantisco che sono delle regole molto importanti per imparare l’italiano, e per imparare a passare dalla fase della comprensione alla fase dell’espressione. Provate, tentar non nuoce.

Ciao amici.

Adriana: A me piace cucinare con mia madre, ma non c’è verso di cucinare un piatto buono come lei!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Putacaso ti tradissi?

Audio

 

Trascrizione

se_qualora_immagine_tradimentoBuongiorno a tutti amici di Italiano Semplicemente. Oggi affrontiamo un argomento molto interessante. Vediamo tutti i modi per dire “se”.

Lo facciamo con l’aiuto di Adriana e Jasna, che ringrazio calorosamente.

Conoscete questa parolina italiana “se”?

Mi riferisco al “se” congiunzione, quella parola usata per costruire delle frasi che contengono delle ipotesi, come ad esempio: “se domani c’è il sole vado al mare”. Infatti la parola “se” ha anche altri significati, e tra l’altro si può scrivere anche con l’accento, come ad esempio “parlare di sé”. Oppure, con accento o senza, posso dire “pensare solo a se stessi”.

Ecco, in questo episodio di Italiano Semplicemente vorrei invece parlare solamente del “se” congiunzione.

Bene, una frase molto semplice come quella vista prima: “se domani c’è il sole vado al mare, in cui è presente la parola “se”, la congiunzione “se” può essere scritta, in realtà, in molti altri modi.

Non c’è dubbio che “se” è la parola più semplice da usare e questa è la parola  che si impara per prima, ma vediamo appunto quali possono essere le varianti, quando si possono usare ed anche quanto sono diffuse tutte queste alternative, tutte questi modi alternativi di dire “se”.

Cercherò di fare questo  cercando degli esempi divertenti, sperando di riuscirci. Credo che Adriana e Jasna saranno molto importanti.

Vediamo la prima parola: “qualora”.

Dunque la parola “se” non è semplicemente sostituibile con la parola “qualora”, che è anch’essa una congiunzione, perché vuole solamente il verbo al congiuntivo. Questa è la spiegazione classica che si dà, ma vediamo degli esempi, perché la grammatica a noi non interessa ed è anche molto noiosa.

“Qualora ci fosse il sole, domani andrei al mare”.

Quindi “qualora ci fosse”, e non “se c’è”; “andrei al mare” e non “vado al mare”. La frase quindi è un po’ più complicata perché non si utilizzano i verbi al presente, ma si usa il congiuntivo e poi il condizionale.

Un italiano, vi dico subito, è difficile che usi questa frase, perché in generale la semplicità è sempre preferita da tutti. Soprattutto è più facile non sbagliarsi, e vi dico che anche il 50% degli italiani sbaglia regolarmente o molto spesso quando deve usare il condizionale o il congiuntivo.

La parola “qualora” si usa più in ambito lavorativo, nel lavoro, e si usa molto nella forma scritta. Difficile nella forma parlata.

A dire il vero si può anche dire in altri modi questa frase, anche usando la parola “se”: “se ci fosse il sole, domani andrei al mare” quindi il “se” posso sostituirlo a “qualora”. Non posso fare il contrario però.

Posso anche dire, ed è ancora più comune: “se ci sarà il sole, domani andrò al mare” . In questo caso si usa il futuro, ed anche questo è un modo corretto di scrivere la frase.

Vediamo ora: “nel caso in cui”.

“Nel caso in cui domani ci fosse il sole, andrei al mare”. Abbiamo semplicemente sostituito “qualora” con “nel caso in cui”. Semplice. Diciamo che è un po’ più informale però. “Nel caso in cui” si usa normalmente in ogni contesto. Qualora è un po’ più difficile e più adatto a situazioni professionali e formali. Possiamo anche togliere “in cui” e dire semplicemente “nel caso domani ci fosse il sole, andrei al mare”. Oppure, se avessi una fidanzata come Adriana…

Adriana: “Nel caso in cui mi tradissi, farei lo stesso”.

Gianni: Ma no, cara, sai che non ti tradirei mai!

Adriana: ma qualora lo facessi, anche io ti tradirei”.

Ecco questo è un altro esempio. Adriana interpreta la mia ragazza, o mia moglie, e dice che se io la tradissi, anche lei mi tradirebbe. Se io cioè non le fossi fedele, se io la tradissi con un’altra donna, anche lei farebbe lo stesso, con un altro uomo…. Credo.

Nell’eventualità che io tradissi Adriana, anche lei mi tradirebbe.

Nell’eventualità” è un altro modo di esprimere lo stesso concetto. L’eventualità è una frase ipotetica, una circostanza che potrebbe verificarsi, che potrebbe avvenire. Nel caso in cui è la stessa cosa che “nell’eventualità”, che è la contrazione di “nella eventualità”, che è come dire “nel caso in cui”.

“Nell’eventualità che” equivale a “nel caso in cui”. Quindi la prima frase che abbiamo visto oggi diventa:

“nell’eventualità che domani ci fosse il sole, andrei al mare”.

Adriana: nell’eventualità che mi tradissi, ti ucciderei!

Ecco appunto…

Vediamo l’avverbio “eventualmente”.

Eventualmente si usa molto, ma è un utilizzo particolare.

Ad esempio potrei rispondere ad Adriana, che mi voleva uccidere e potrei dirle: “Amore, eventualmente potresti accettare le mie scuse?”.

Eventualmente si utilizza moltissimo, ma spesso si usa con il “se” davanti: “se eventualmente ci fosse il sole, domani, andrei al mare”.

Oppure posso fare due esempi in cui eventualmente  indica una alternativa finale. Il primo esempio è:

“se domani piove, sto a casa, ma se eventualmente dovesse uscire il sole, andrei al mare”.

Oppure, secondo esempio: “se Adriana mi perdona, sono contento, ma eventualmente, mi cerco una nuova casa”.

Quindi eventualmente in questi due casi è “se non dovesse accadere”, “nel caso in cui non accadesse”, o “in caso contrario”, quindi, come dicevo prima, indica un’alternativa finale, dopo che abbiamo scartato una ipotesi iniziale.

“Se” ed “eventualmente” quindi non sono la stessa cosa, e come abbiamo visto si possono anche utilizzare insieme.

Vediamo una parola molto simpatica: “putacaso”. P_U_T_A_C_A_S_O

“Putacaso” si può scrivere anche staccato, con due parole: puta e caso. Puta caso.

Ad esempio: “se putacaso ti tradissi ancora, Adriana, mi perdoneresti?” Ok, ok, non c’è bisogno che rispondi.

Putacaso significa “ipotizzando”, cioè “per ipotesi”.

“Se per ipotesi ti tradissi ancora, mi perdoneresti?” Anche con putacaso ci vuole il congiuntivo: tradissi e poi il condizionale: perdoneresti. Con putacaso non cambia nulla: “se putacaso ti tradissi ancora”: è la stessa cosa quindi.

Possiamo anche dire “ipotizziamo che”.

Ipotizziamo che io ti tradisca. Mi perdoneresti?

Ipotizziamo che domani ci sia il sole. In tal caso andrei al mare. Posso anche mettere il “se” davanti: se ipotizziamo che domani ci sia il sole…

Dopo “ipotizziamo” quindi ci va il “che”: ipotizziamo che.

Una forma familiare di dire “se” è “metti che”. Metti che equivale a “ipotizziamo che”, “o ancora meglio ”ammettiamo che”, ma ora stiamo dando del tu. “metti che” viene quindi da “ammettiamo che”.

Metti che io ti tradisco, Adriana… ad esempio

Metti che domani c’è il sole. Avrete notato che il verbo è al presente.

È quindi una forma molto familiare di “se”. Non possiamo usarlo con una persona che non conosciamo.

Al limite posso dire “mettiamo che”, che è un po’ meno intimo, ed infatti in questo caso potrei anche usare il congiuntivo: “mettiamo che io ti tradisca”. Ecco quindi l’uso del congiuntivo al posto del presente ci dà già una indicazione del fatto che l’espressione non è familiare. Ma volendo potete anche usare il presente. Dipende dalla situazione familiare o non familiare.

Se invece uso “ammettiamo che”, allora non è più familiare, ed ancora meno familiare è “ipotizziamo che”.

Vediamo ancora un altro modo dire “se”.

Se volessi dire alla mia fidanzata, che qui è interpretata ancora da Adriana, che ho un’altra donna, che cioè ho una relazione con un’altra donna, dovrei trovare le parole più opportune, le parole più adatte, perché avrei paura che lei, avrei paura che lei si arrabbi, e allora in questo potrei usare una forma diversa:

Adriana: dai, dimmi pure!

Gianni: Ascolta Adriana, “nella lontana ipotesi” che io abbia un’altra donna, cosa faresti?

Adriana: ti ucciderei! È facile!

Gianni: ah ok, grazie cara.

Ecco quindi questa forma “nella lontana ipotesi” si usa per dire che è poco probabile quello che sto dicendo. È una ipotesi, ma è una ipotesi lontana, come se fosse un luogo lontano da raggiungere, quindi è una ipotesi poco probabile.

Anche questa è una forma colloquiale, ma si usa anche molto su internet, sui giornali, perché oltre al “se” si dice anche quanto è probabile questo evento. Quindi si aggiunge un’informazione in più. Non solo una ipotesi, ma è una lontana ipotesi.

Ci sono anche altri modi di aggiungere qualcosa in più, quindi di “allontanare” una ipotesi, o di prendere le distanze da una ipotesi, o anche semplicemente di considerare una semplice eventualità, possibile o anche impossibile che si realizzi.

Posso dire ad esempio – espressione molto familiare questa – “facciamo finta che”.

Ad esempio:

Gianni: Facciamo finta che io abbia un’altra donna, Adriana!

Adriana: ti ucciderei! È facile!

Gianni: sì, ok, abbiamo capito.

Quindi con “facciamo finta” si vuole dire: “non succederà, ma fingiamo, cioè facciamo finta che io ho (o abbia) un’altra donna”. Molto colloquiale come espressione.

Quindi anche qui ci si sta allontanando, si stanno prendendo le distanze, si sta dicendo che è una finzione, facciamo finta, fingiamo che è ( o sia) vero; non è vero, ma facciamo finta che è (o sia) vero.

Un altro modo ancora è “semmai”.

“Semmai dovessi tradirti”, oppure “semmai ci fosse il sole domani, andrei al mare”.

Questa è abbastanza facile, basta sostituire “se” con semmai. Si usa nello stesso modo.

Dicevo che anche qui stiamo dicendo che non è molto facile che avvenga, non è molto probabile. “Semmai” dovesse accadere. Semmai contiene la parola “mai”. E si può scrivere anche staccato “se mai”.

Semmai è usato anche in altro modo, ma qui ci interessa questo utilizzo: quello come congiunzione, quindi da usare al posto di “se”.

Ci sono altre due modalità di dire “se”, molto usate in Italia.

Una è “nel momento in cui”. L’altra è “supponiamo che”. Più o meno sono espressioni equivalenti.

Queste due espressioni sono usate molto nella forma orale, sono abbastanza colloquiali quindi, e la prima forma (nel momento in cui) è più usata della seconda (supponiamo che), che invece è più adatta al lavoro, ma in ogni caso si tratta di espressioni abbastanza universali.

Io potrei dire ad esempio: “supponiamo che ci sia il sole domani”, oppure “supponiamo che Adriana si arrabbi!” Eccetera. Analogamente una seconda ragazza, Jasna, potrebbe dire ed esempio:

Jasna: nel momento in cui Adriana scoprisse che abbiamo una relazione, cosa farebbe?

Gianni: non lo dire neanche per scherzo!

Nel momento in cui si usa molto spesso per dire “quando”, “appena”, o ”non appena”, o anche “subito dopo” quindi c’è il tempo di mezzo. Fondamentalmente si usa al posto di “quando”, ma spesso può capitare di ascoltare frasi di questo tipo:

“nel momento in cui riuscissi ”, oppure “nel momento in cui potessi” oppure come nella frase di Jasna, “nel momento in cui Adriana scoprisse che abbiamo una relazione, cosa farebbe?”. In questo caso Jasna sta prospettando una possibilità, sta dicendo:

“se Adriana scoprisse che abbiamo una relazione, cosa farebbe?”

Adriana: ti ucciderei! È facile!

Bene, il risultato non cambia quindi!

Bene amici, spero però che Adriana non ci scopra (Jasna: lo spero anch’io!). Lo speriamo entrambi! Ma speriamo anche di essere riusciti a farvi capire quanti modi ci sono per dire “se”.

Adriana: se vi prendo, vi ammazzo a tutti e due!

Jasna: aiuto!

Passiamo alla ripetizione. Non pensate alla grammatica, ma ripetete dopo di me:

– Se domani c’è il sole, vado al mare”

– Qualora domani ci fosse il sole, andrei al mare

– Nel caso in cui domani ci fosse il sole, andrei al mare.

– Nell’eventualità che domani ci fosse il sole, andrei al mare.

– Se eventualmente ci fosse il sole, domani, andrei al mare”.

– Se putacaso Adriana mi scoprisse, sarei morto!

– Ipotizziamo che Adriana mi scopra. In tal caso sarei morto!

– Metti che Adriana ci scopre? Che facciamo?

– Mettiamo che Adriana ci scopra. Che facciamo?

– Ammettiamo che Adriana ci scopra. Che facciamo?

– Nella lontana ipotesi che Adriana ci scopra, che facciamo?

– Facciamo finta che Adriana ci scopre (o scopra). Che facciamo?

– Semmai dovessi tradirmi, ti perdonerei.

– Nel momento in cui dovessi tradirmi, ti perdonerei.

Bene, quindi ora concludiamo il podcast. Se, come spero, sono riuscito a spiegarmi, ne sarei molto contento, ma qualora non fossi riuscito a farvi comprendere bene come fare per dire “se” e quanti modi diversi ci sono, ebbene, in tale eventualità, vi consiglio di ripetere l’ascolto di questo file audio più volte.

L’ascolto ripetuto è molto utile, e, nel momento in cui vogliate ascoltare il mio consiglio, vedrete che non ve ne pentirete. Putacaso però voi non ne abbiate voglia, perché, per un motivo o per un altro, crediate sia tutto molto chiaro, allora questo vuol dire che il vostro livello di conoscenza dell’italiano è molto avanzato. In tale eventualità vi ringrazio comunque dell’ascolto, così come ringrazio anche tutti le altre persone, ed auguro a tutti un buon proseguimento di giornata.

Un saluto a tutti, ciao.

Qualora l’Italia vincesse gli europei, ne sarei molto felice. Nel caso in cui non lo vincesse,invece, me ne farei una ragione.

 

 

Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura

tutte le frasi idiomatiche

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Trascrizione

ciascun_dal_proprio_cuor_laltrui_misura

Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura. Spieghiamo oggi questa bella frase.

Buongiorno a tutti innanzitutto e grazie di essere all’ascolto di Italiano Semplicemente.

Avrete sicuramente notato com’è piacevole ascoltare questa frase. Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura. Una frase molto melodiosa senza dubbio, che viene voglia di ripetere più volte,  tanto è armoniosa e piacevole.

È una frase che di primo acchito, cioè d’impulso, verrebbe da attribuire a Dante Alighieri. Si può pensare che questa frase sia del sommo poeta fiorentino. Il grande poeta italiano, toscano, fiorentino (cioè di Firenze), famoso in tutto il mondo.
“Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura” però è una frase che è riportata, anche se non in questa forma, in un’opera di un altro autore italiano, molto meno conosciuto rispetto a Dante Alighieri. Si tratta di Pietro Metastasio, un poeta e drammaturgo italiano vissuto nel xviii-esimo secolo.

Perché l’altrui misura
ciascun dal proprio core,
confonde il nostro errore
la colpa e la virtù.

Questi sono i versi di una delle sue opere, che chi vuole può approfondire attraverso una ricerca su internet, versi che non contengono esattamente la frase oggetto di spiegazione però.
In ogni caso, inizialmente oggi vi spiegherò la frase parola per parola,  poi il significato della frase intera ed il motivo per cui è stata scritta in questo modo, apparentemente un po’ strano.
Dunque:
“Ciascun” sta per ciascuno, cioè ognuno, cioè ogni persona. Ciascun significa quindi tutti, tutte le persone,  tutti gli esseri umani sulla terra.

“Cuor”, allo stesso modo, sta per cuore, ed il cuore è l’organo più importante del nostro corpo, l’organo che serve a far scorrere il sangue nelle vene, ed è l’organo, la parte del corpo associato, più delle altre parti del corpo, al sentimento dell’amore, perché quando ci emozioniamo, quando ci innamoriamo, il nostro cuore batte più velocemente.
Poi si usa spesso nella poesia italiana togliere l’ultima lettera di una parola, quando si tratta di una vocale, quindi la vocale è la lettera “e”, in questo caso, che sta proprio alla fine di cuore.
Quindi ciascuno diventa “ciascun” e cuore diventa “cuor”.
“Ciascun dal proprio cuor” è molto più bello all’ascolto di “ognuno dal proprio cuore”, per questo nella poesia italiana si usano le contrazioni, cioè per questo si taglia spesso l’ultima vocale.
Vediamo ora la parte più difficile: “l’altrui misura”.

“L’altrui” significa “lo altrui”, e altrui vuol dire “degli altri”, delle altre persone.
La casa altrui è la casa degli altri, degli altri in generale.
Il coraggio altrui è il coraggio degli altri eccetera.
L’altrui quindi significa  “quello degli altri”, ma quello cosa? Di cosa parliamo? Stiamo parlando del cuore.

Quindi “l’altrui misura” significa “il cuore degli altri misura”, o meglio “misura il cuore degli altri”

“Ognuno,  dal proprio cuore, misura il cuore degli altri”.

Se ancora non si riesce bene a capire il senso della frase,  il motivo è che ancora non abbiamo visto la parola  “misura”, ed il suo significato.

Vediamo quindi la parola “misura”. Si tratta del verbo misurare.
Io misuro, tu misuri, lui/lei misura, noi misuriamo, voi misurate, essi misurano.
Misurare significa prendere le misure con uno strumento di misurazione. Ad esempio se misurate la lunghezza di un tavolo, dovete prendere un metro, cioè uno strumento per la misurazione della lunghezza, lo misurate e dite ad esempio che il tavolo misura 2 metri di lunghezza.
Oppure misurate la vostra altezza e vedete che siete alti 1 metro e 87 centimetri, ad esempio come nel mio caso.
Oppure, misurate il vostro peso con una bilancia. Salite sulla bilancia e vedete che il vostro peso, la misura del vostro peso è 83 kilogrammi.
Quindi è importante avere uno strumento per misurare qualsiasi cosa vogliate misurare.
Senza strumento, senza il metro o senza una bilancia non possiamo misurare altezza e peso rispettivamente.
Bene, quindi ammettiamo che voi dobbiate misurare un cuore. Come fate? Quale strumento utilizzate per misurare il cuore di un’altra persona? Il cuore di un altro, il cuore altrui. Usate l’unico strumento che avete a disposizione: il vostro cuore. Per vedere, per valutare, per giudicare il cuore di un altra persona, per capire se è un cuore buono o cattivo, prendete il vostro cuore lo mettete vicino al cuore che dovete misurare e confrontate i due cuori, e vedete che i due cuori sono uguali, o meglio sembrano uguali.
Misurate il cuore di un’altra persona utilizzando il vostro cuore come strumento.
E questo lo fanno tutti. Ciascuno di noi lo fa. Ciascuno di noi misura il cuore degli altri utilizzando il proprio cuore. Ciascuno di noi misura il cuore altrui dal proprio cuore. “Dal proprio cuore” significa “a partire dal proprio cuore” cioè “prendendo come strumento il proprio cuore” . Cosa significa però?
Significa che se io ho un cuore buono, cioè se io sono una persona buona, credo che anche il cuore altrui sia buono, anche se non è così.
Ma questa frase vale per tutte le caratteristiche umane.
Se io sono una persona che pensa solo a se stesso, se cioè sono un egoista, e mi disinteresso degli altri, allora credo che anche gli altri pensino solamente a se stessi, ad esempio. Credo che anche gli altri siano come me. Se invece sono una persona buona, altruista, cioè penso molto altri altri, agli interessi degli altri, ai loro bisogni eccetera, allora credo che anche gli altri siano così, e non sono portato a credere che ci siano persone egoiste, credo che anche le altre persone siano come me, quantomeno fino a prova contraria.
Ciascuno di noi misura gli altri partendo da sé stesso, perché è questo l’unico strumento che abbiamo per misurare gli altri.
Abbiamo solamente noi stessi.
“Ciascun dal proprio cuor, l’altrui misura”. Una frase molto bella, poetica, una espressione entrata ormai nel linguaggio comune, anche se in realtà non è molto utilizzata. O meglio, è utilizzata da coloro che hanno una cultura abbastanza alta, almeno questo per quanto riguarda la frase originale, con esattamente quelle parole.
In effetti capita spesso di non ricordare esattamente le parole della frase, ed allora magari si dice: ognuno pensa che gli altri siano come se stessi, ognuno guarda agli altri guardando se stessi, o anche ciascuno giudica gli altri partendo da sé stessi, o cose del genere.
Insomma, non è facile ricordarsi esattamente di tutte le parole della frase e come dicevo prima, si sente spesso attribuire la frase a Dante Alighieri, perché è a Dante Alighieri che dobbiamo molte frasi entrate nel linguaggio comune, come ad esempio “Chi è causa del suo mal pianga se stesso“, che abbiamo già spiegato qualche settimana fa.
Spero di essere riuscito a farvi comprendere il significato profondo di questa frase, di questo proverbio italiano.
È una frase profonda perché si applica a tutte le caratteristiche dell’essere umano. Una persona innocente, timida, che non farebbe male a nessuno, crede che anche gli altri siano così, buoni, affidabili, innocenti, almeno all’inizio.
Se invece una persona è inaffidabile, che non merita fiducia, allora anche lei non si fiderà di nessuno, non avrà fiducia in nessuno, perché penserà che gli altri siano come lui, o come lei.
Analogamente, se sei una persona sempre allegra, spensierata, sarai portato a pensare che la felicità dipenda da te, e non dalle cose che ti accadono, e penserai che tutti ragionano in questo modo, e ti stupirai quando vedrai qualcuno che invece non sorride mai, che è sempre triste, anche se non ha un motivo particolare per essere triste e per non sorridere.
Vi lascio riflettere su questa frase non appena avremo fatto un piccolo esercizio di ripetizione. Spero vi sia utile per capire la pronuncia e per apprezzare l’armonia e la bellezza della frase. Potete se volete ripetere la frase dopo di me, concentrandovi esclusivamente sulla melodia e sulla pronuncia.

Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
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Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
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Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
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Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
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Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
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Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
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Ciao amici.

Italiano Professionale – 5^ lezione – Tenacia e Resistenza

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Audio (abstract)

italiano dante_spunta In questa lezione vedremo le espressioni e le frasi idiomatiche più diffuse ed utilizzate in Italia per esprimere i concetti di Tenacia e Resistenza, qualità fondamentali nel mondo del lavoro.
spagna_bandiera En esta leccin dos cualidades importantes en cualquier actividad humana, pero sobretodo en el mundo de los negocios.
france-flag Dans cette leçon, deux qualités importantes dans toutes les activités humaines surtout dans le monde du travail
flag_en In this lesson we will see the expressions and the most common idiomatic phrases used in Italy to express the concepts of tenacity and endurance
bandiera_animata_egitto عربي : ميزتان مهمتان في اي نشاط انساني و لكن خاصة في عالم العمل
russia Два важных качества в любой деятельности человека, в особенности в бизнесе и работе.
bandiera_germania In dieser Lektion werden die italienishen Ausdrücke und die häufigsten Redewendungen vorgestellt die Konzepte wie die Hartnäckigkeit und die Ausdauer zum Ausdruck bringe.
bandiera_grecia Δύο ποιοτικά χαρακτηριστικά σημαντικά για οποιαδήποτε ανθρώπινη δραστηριότητα, αλλά κυρίως για τον εργασιακό χώρο.

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Trascrizione

1. Introduzione

Benvenuti nella quinta lezione di Italiano Professionale.

In questa lezione affronteremo un altro argomento critico che riguarda il mondo del lavoro. Non sarò solo a farlo, come al solito sono con me gli altri membri della redazione di Italiano Semplicemente.

Oggi in particolare c’è Shrouk, (Shrouk: ciao a tutti) egiziana, Lilia dalla Russia (Lilia: ciao ragazzi!) e Ramona dal Libano (Ramona: ciao sono pronta!). L’argomento di oggi affronta una qualità che tutti i professionisti devono avere, se vogliono avere successo: la “tenacia”. Cos’è la tenacia?

Prima di iniziare la lezione, ricordiamo che questa lezione riguarda diversi aspetti del mondo del lavoro. È per questo che le “etichette” della lezione sono: presentazione, lavoro e colloquio, trattare. Nelle sezioni 2, 4 e 5 del corso ritroveremo quindi queste espressioni all’interno dei vari dialoghi delle lezioni.

Se cercate sul vocabolario italiano troverete una definizione di questo tipo: la tenacia è la Costanza, la Fermezza e la Perseveranza nei propositi e nell’azione. Possiamo ad esempio lavorare con grande tenacia, possiamo difendere con tenacia le proprie idee, possiamo agire con tenacia. Tenacia deriva da tenere, cioè non mollare, resistere. Per questo la lezione di oggi si chiama “Tenacia e Resistenza”.

Possiamo sin da subito fornire dei termini molto simili alla tenacia, che hanno un significato molto vicino alla tenacia, come ad esempio l’insistenza, l’ostinazione, la persistenza, quindi qui c’è l’idea di insistere, di non mollare, di non arrendersi. Oppure anche la “risolutezza” o la “determinazione”. Una persona tenace è una persona risoluta, è determinata, sa quello che vuole, sa dove vuol arrivare e non si arrende mai. Questi ultimi termini sono del tutto equivalenti al termine “tenacia”. Anche la “Volontà” è una qualità abbastanza vicina come concetto. Infatti il termine volontà deriva da volere, e chi ha volontà (willpower in inglese) o chi ha la “forza di volontà”, ha la qualità di volere, appunto, quindi di decidere consapevolmente il proprio comportamento in vista di un certo scopo. Avere forza di volontà è quindi una dote importantissima per tutti.

I termini “Costanza”, “Tenacia”, ”Fermezza”, “Propositi”, sono evidentemente dei termini non molto facili e immediatamente comprensibili, ma in realtà possiamo spiegare il concetto di Tenacia e simili in parole molto più semplici, ed utilizzeremo oggi quindi anche delle espressioni tipiche italiane, che vi faranno immediatamente capire in cosa consista questa qualità.

Oggi vediamo quindi varie frasi idiomatiche, le più utilizzate in Italia, per descrivere questa qualità fondamentale, che vale per tutti in ogni campo, ma soprattutto in ambito lavorativo.

Sono frasi di normale utilizzo dagli italiani, molto meno dagli stranieri, anche coloro che hanno un alto livello. Questo accade perché, evidentemente, chi ha studiato all’università, anche con ottimi risultati, pur sapendo il significato e sapendo anche utilizzare le parole tenacia, fermezza e perseveranza, non avendo vissuto in Italia, difficilmente hanno ascoltato queste espressioni. Chi invece lavora in Italia già da qualche tempo, sicuramente qualcuna di queste frasi l’ha già ascoltata molte volte, ma magari non tutte queste espressioni, perché ogni espressione ha il suo contesto specifico.

2. Le espressioni idiomatiche più utilizzate

Cominciamo con alcune delle frasi più interessanti.

La prima è “chi la dura la vince”. Chi la dura la vince è una frase grammaticalmente scorretta, ma è ugualmente un’espressione tipica italiana…


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