Levare le tende

Levare le tende (scarica audio)

episodio 1207

Trascrizione

Bentornati nella rubrica “due minuti con Italiano Semplicemente”.
Oggi parliamo dell’espressione “levare le tende”.

Partiamo dal verbo levare, che significa togliere, ma in questo caso è simile anche sgomberare e persino a smontare, visto che parliamo di tende.

Per tende intendo quelle del campeggio, dove si può dormire, e non le tende della finestra, che si usano per la privacy o per riparare dal sole.

Un tempo, quando i soldati vivevano negli accampamenti, smontare la tenda significava prepararsi a partire. Era il segnale che la missione in quel luogo era finita. Oggi, nessuno vive più in tenda, o quasi, ma l’espressione è rimasta viva nel linguaggio quotidiano, anche se in senso figurato.

Ad esempio, siete a una festa noiosa, la musica è alta, la gente parla di calcio e voi non capite nulla.

A quel punto, qualcuno vi guarda e dice:

Io quasi quasi levo le tende, va’!

Vuol dire semplicemente: me ne vado, me ne torno a casa, me la squaglio.

Oppure, pensate a un coinquilino che non paga mai l’affitto. Il padrone di casa lo avvisa:

Se non paghi entro domani, ti tocca levare le tende.

In questo caso, “levare le tende” è un modo colorito ma chiaro per dire sloggiare, andarsene definitivamente, liberare il campo, sgommare, squagliarsela. La scelta dipende un po’ dall’occasione.

E poi ci sono i casi più ironici. Per esempio, quando un politico perde le elezioni:

Dopo la sconfitta, ha levato le tende e non si è più fatto vedere in televisione.

O quando un collega viene trasferito:

Ha levato le tende e si è spostato al nord, dicono per amore.

Persino in famiglia si usa. Se la suocera è in visita da una settimana e finalmente riparte, il genero può dire, magari sottovoce:

Era ora che levasse le tende!

Naturalmente, in tono scherzoso, o almeno si spera!

A volte, però, l’espressione può essere usata in senso poetico o malinconico:

Finita l’estate, i turisti levano le tende, e il paese torna silenzioso.

Insomma, “levare le tende” è un modo simpatico, a volte ironico, per dire che qualcuno se ne va, lascia un luogo, magari per chiudere una fase della sua vita.

Un consiglio: non usatelo in contesti troppo formali. Davanti a un direttore, meglio dire:

Mi congedo.

e non:

Levo le tende.

Adesso ripassiamo qualche espressione passata.

Marcelo: apro le danze io! Si dà il caso che oggi 31 ottobre si celebri Halloween, una festa di origine celtiche a quanto leggo sul web.
Detto ciò, devo aggiungere che nel contesto del cristianessimo, si collega alla vigilia della festa di Ognissanti del 1º novembre!
Ci sarà qualcosa in comune? Che ne dite?

Estelle: Eh già, e pensare che da qualche anno a questa parte anche in Italia si festeggia alla grande! Dolcetti, travestimenti, zucche ovunque… insomma, una vera americanata, ma divertente.

Anne Marie: Oggi è stato un continuo andirivieni di bambini mascherati che bussano alle porte. Che bello!

Karin: Beh, di qui a poco arriverà pure Natale, e allora tra panettoni e luminarie, non ci sarà più tregua!

Julien: Io comunque resto un po’ scetticopiù che altro perché mi sembra tutto molto commerciale, ecco.

Edita: In compenso, devo dire che certi trucchi e maschere sono squisitamente artistiche: c’è chi ha davvero stoffa!

Accadde il 7 ottobre 1513: smammare

Smammare (scarica audio)

Trascrizione

Il titolo di questo episodio è “Smammaredella serie “quando è ora di andarsene”.

Partiamo come al solito da una data significativa. Il 7 ottobre 1513, quando nei dintorni di Vicenza, si combatté la battaglia di La Motta, tra l’esercito veneziano e le truppe spagnole. I veneziani, guidati da Bartolomeo d’Alviano, provarono con coraggio a fermare l’avanzata nemica, ma alla fine capirono che non c’era più nulla da fare.
E allora — come diremmo oggi — hanno dovuto smammare.

Sì, perché “smammare” è proprio questo: andarsene di corsa, spesso per evitare guai, o semplicemente perché non se ne può più.

È un termine informale, colloquiale, anche un po’ ironico, che si usa quando si lascia un luogo o una situazione senza troppi complimenti.

Immagina un soldato veneziano nel 1513: le cose vanno male, le palle di cannone fischiano sopra la testa, e lui pensa: “Sai che c’è? Io smammo.” E via! Si ritira, magari correndo tra i vigneti, lasciando dietro di sé il fumo della battaglia.

Oggi “smammare” si usa in tantissimi contesti, anche quotidiani.

Se sei a una riunione che non finisce mai, con qualcuno che parla da mezz’ora del nulla, potresti sussurrare al collega:

“Io smammo, non ce la faccio più.”

Oppure sei a casa tua e un ospite non ne vuole sapere di andarsene. Sono già le due di notte, sbadigli, accenni con delicatezza:

“Oh, guarda che domani mi devo alzare presto…”
Ma lui continua a raccontarti della sua giovinezza negli anni Ottanta.
Allora, nel tuo pensiero, la parola è una sola: “speriamo che smammi il prima possibile!”

In senso più ironico o amichevole, si può dire anche ai figli o al partner:

“Dai, smamma un po’ adesso, fammi respirare!”
cioè “lasciami in pace per un momento, vai da un’altra parte”.

“Smammare” è informale, ma ci sono tanti modi per dire la stessa cosa con sfumature diverse.
Se vuoi essere più neutro, puoi dire “andarsene” o “uscire”.

Se vuoi esprimere fretta o urgenza, puoi usare “tagliare la corda” o “darsela a gambe levate”.
Se invece vuoi essere più colorito, magari un po’ volgare ma efficace, puoi dire “levarsi dalle palle” o “sloggiare”.

E in contesto familiare, affettuoso, come tra amici o genitori e figli, si può dire anche con tono scherzoso:

“Dai, adesso smamma, vai a studiare!”

Dunque il 7 ottobre 1513, quando i veneziani capirono che la battaglia di La Motta era persa, hanno smammato — cioè si sono ritirati, se ne sono andati per evitare il peggio.

E da allora, in fondo, ogni volta che ci troviamo in una situazione che ci sta stretta, possiamo fare lo stesso: smammare, come niente fosse, e tornare a respirare.

L’origine di “smammare” è curiosa e un po’ colorita. Deriva dall’attaccamento alla mamma, quindi smammare è in origine qualcosa come diventare indipendente, allontanarsi dalla mamma.

Col tempo, il significato si è esteso in senso figurato: non solo “lasciare casa”, ma in generale andarsene da un luogo o da una situazione, spesso in fretta o con un po’ di fastidio o di sollievo.