Dare corda, dare spago, tagliare corto

Dare corda, dare spago, tagliare corto (scarica audio)

Trascrizione

Dopo aver visto insieme “nelle corde”, dove si utilizza il plurale di “corda”, (la corda, le corde), oggi vediamo “dare corda“, dove chiaramente si utilizza il singolare. Non possiamo usare il plurale in questo caso.

Avete presente la corda, vero? Con una corda si possono fare tante cose.

È curioso perché per molti verbi che usiamo con la corda, esiste, oltre al senso proprio, quello figurato: tirare, dare, stringere, allentare, tagliare, e probabilmente anche altri verbi.

Dare corda” è l’espressione che voglio spiegarvi oggi.

Notate che non c’è l’articolo: “dare corda”, e non “dare la corda”.

Dicevo che con una corda si possono fare tante cose.

Legare ad esempio. Legare qualcosa serve a non far muovere questa cosa, e se leghiamo un animale ad esempio vogliamo limitare la sua libertà di movimento.

La corda allora si può lasciare lunga o corta, per concedere più o meno libertà di movimento. Poi si può tirare per accorciarla, per farla diventare più corta, diminuendo la libertà, oppure al contrario, si può lasciare più corda, concedendo quindi più libertà.

Si può anche dire “dare corda” per indicare questo movimento di concedere una corda più lunga per concedere una maggiore libertà di movimento. Più la corda è lunga, maggiore è lo spazio in cui ci si può spostare.

In senso figurato dare corda può allora significare incoraggiare qualcuno a parlare, spesso in modo che dica ciò che si vuole sapere, oppure può significare permettere a qualcuno di parlare senza restrizioni, anche se ciò potrebbe non essere del tutto conveniente o appropriato.

Si può usare anche riguardo alla libertà di agire, non solo di parlare, sebbene sia più raro. Potrei dire ad esempio che un marito geloso non concede troppa corda alla moglie.

Si, si può usare anche il verbo “concedere” al posto di “dare”. Stesso significato.

È un’espressione che implica sia l’incoraggiamento che la concessione di una certa libertà o spazio.

Si usa piu spesso con la negazione:

Non dargli corda

Cioè: non permettergli di continuare a parlare (o agire), non dargli la libertà di esprimersi, di dire ciò che vuole.

È lo stesso se diciamo “dare spago” a qualcuno.

D’altronde lo spago è una corda più sottile (come gli spaghetti, che tutti conoscete).

Una corda può avere infatti essere usata per sopportare degli sforzi di trazione, quindi per tirare qualcosa o anche per fare legature e imballaggi, proprio come lo spago.

Lo spago

Lo spago è in genere di colore grigio, e si usa soprattutto per gli imballaggi, per legare i pacchi.

Se è abbastanza resistente la corda si usa anche per sollevare e sostenere oggetti. Lo spago per questo non si utilizza.

Comunque dicevo che l’espressione “dare corda” è un modo di dire che significa incoraggiare, stimolare o sostenere (sempre in senso figurato) qualcuno.

Prima vi ho fatto l’esempio con la negazione perché si usa quasi sempre in frasi di in cui si invita qualcuno a non concedere troppa libertà di parola a una persona. Non bisogna usare la negazione necessariamente per questo:

Ho incontrato Giovanni ieri. Il mio errore è stato dargli corda. Da quel momento ha iniziato a parlare e ha smesso due ore dopo.

Quindi ho dato la possibilità a Giovanni di parlare, di dire delle cose; magari ho mostrato interesse a ciò che diceva. L’espressione “attaccare il pippone” l’abbiamo già spiegata, ma possiamo usarla negli stessi contesti.

Se qualcuno ti attacca il pippone, probabilmente gli hai dato troppa corda.

Dare corda può somigliare anche a dare confidenza, cioè a concedere una certa confidenza a una persona che si sentirebbe autorizzata a parlare perché qualcuno sembra interessato ad ascoltare.

Non dare corda, d’altro canto può somigliare a non dare comfidenza, e questo potrebbe essere indelicato. Ad un certo punto una persona potrebbe stancarsi e decidere di tagliare corto.

Se una persona “taglia corto” significa che interrompe una conversazione in modo brusco e improvviso, senza concluderla o senza dare spiegazioni dettagliate. In pratica, smette di partecipare o termina una situazione rapidamente e senza tanti fronzoli.

Adesso facciamo un esercizio di ripetizione. Ripetete dopo di me.

Io taglio corto quando ho fretta

Non darle corda, è logorroica!

Io non do mai corda a nessuno.

Io taglio sempre corto se qualcuno mi attacca il pippone

Non devi dar corda agli uomini, sei troppo carina!

Dagli meno spago e taglia corto se insiste

Tagliare corto non è molto educato

Ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente.

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716 Dalle filippiche alle prediche, dalle paternali ai sermoni

Dalle filippiche alle prediche, dalle paternali ai sermoni (scarica audio)

Trascrizione

Giovanni: c’era una volta, nell’antica Grecia, un politico e oratore ateniese di nome Demostene.

Demostene era un oratore, quindi professava l’arte oratoria. Si dice oratore anche una persona che possiede le doti necessarie per parlare con una certa efficacia a un pubblico o a un’assemblea. Un oratore è insomma uno bravo a parlare in pubblico.

Cicerone, ad esempio, è stato il più famoso oratore romano, ma anche Demostene in Grecia non era da meno. Gli oratori fanno le orazioni, che sono appunto dei discorsi pubblici.

Allora, Demostene, in particolare, amava parlare del suo grande avversario: Filippo II di Macedonia. Era il suo bersaglio preferito il re Filippo, che era il re di Macedonia ma anche il padre di Alessandro Magno, per intenderci.

Filippo II di Macedonia

Un’immagine sorridente di Filippo II di Macedonia, ora che Demostene non gli riserva più le sue filippiche
Ne parlava così tanto e con tanta enfasi, che queste orazioni contro di lui vennero chiamate con un nome che è tutto un programma: filippiche.

Quando si dice “un nome che è tutto un programma” si vuole dire, in forma ironica, che dal nome si capisce già tutto.

Ma perché vi sto parlando delle filippiche di Demostene?

Perché il termine filippica è sopravvissuto fino ai giorni nostri, anche se nessuno o quasi ne conosce l’origine.

La filippica nasce dunque come una orazione, o se vogliamo, un discorso pubblico pronunciato con passione, ma è un vibrante discorso di accusa.

Una filippica ha dunque un obiettivo preciso. È una imprecazione contro una persona, una invettiva, un discorso aspramente polemico.

Quando si fa una filippica, o quando si “attacca” una filippica contro qualcuno (si usa spesso, per inciso, il verbo attaccare) si inveisce contro qualcuno, che è il bersaglio della filippica.

A volte si parla anche di paternale, più familiare come termine, o anche di sermone.

La paternale (che viene da padre) però è più intesa come un grave e severo rimprovero da parte di un “superiore” di diverso tipo, come appunto di un genitore con un figlio.

il professore ha fatto una paternale agli studenti impreparati.

Il sermone invece è un discorso sacro, oppure un componimento poetico morale e satirico, ma spesso viene usato per indicare un noioso rimprovero, un lungo discorso fatto per rimproverare una persona.

Anche un semplice lungo discorso può chiamarsi sermone: è monotono e interminabile, anche senza che ci sia un’accusa.

Ogni Natale è la stessa storia: ci dobbiamo sopportare i sermoni del nonno sulla famiglia che non è più come quella di una volta… non ne posso più dei suoi sermoni!

Il sermone quindi è lungo e noioso, la paternale invece è fatta da un “superiore” al fine di rimproverare e correggere altri. Nell’esempio del nonno andava bene usare anche la paternale. Dipende da ciò che si vuole sottolineare.

La filippica invece? Che caratteristica ha?

È più vicina al sermone nel senso che si tratta di un lungo discorso che però è sempre accusatorio, ha sempre un bersaglio, come la paternale, che però è fatta sempre da un “superiore” contro un “inferiore”.

La filippica è anche simile al “pippone“, non molto elegante come termine.

Ricordate l’espressione attaccare il pippone? Ce ne siamo occupati qualche tempo fa.

Spesso sono intesi nello stesso identico modo, nel senso che anche il pippone può essere fatto (o attaccato) contro qualcuno, ma la caratteristica del pippone, oltre alla lunghezza e la pesantezza, è che si tratta di un discorso unidirezionale, quindi non è prevista una risposta da parte di chi ascolta. È difficile liberarsi da una persona che ti attacca un pippone su un qualsiasi argomento.

Questa è la caratteristica più importante del pippone.

La filippica è anch’essa lunga e noiosa, ma è sempre polemica e accusatoria. È fatta con toni aspri, spesso con risentimento, e non è richiesta l’arte oratoria di Demostene.

Vi riporto alcuni esempi:

Il mio amico mi ha attaccato una filippica incredibile perché sono arrivato con cinque minuti di ritardo.

Quante persone in tv attaccano filippiche contro o a favore del green pass?

C’è da dire che se uso il termine filippica, come negli altri casi, sto dando un giudizio negativo al discorso di accusa e significa che non sono d’accordo con chi la fa.

Altri termini simili sono la predica e la ramanzina.

Anche la predica nasce come discorso di chiesa, fatto da un prete e diretta ai fedeli, per indirizzarli verso la fede, ma più in generale anche la predica assume la forma del lungo rimprovero.

Fare una predica è molto simile a fare la paternale.

Anche con la predica c’è in genere una parte che si sente superiore (non necessariamente però lo è).

Si può trattare anche di una serie di consigli, ma ci sono anche ammonimenti, rimproveri: questo si fa, quest’altro non si fa; non è educato fare questo, mentre è buona educazione fare quest’altro; che sia l’ultima volta che vedo una cosa del genere!

Spesso ci si lamenta di un tono di fastidiosa superiorità quando si parla di una predica ricevuta:

Sono stanco delle tue prediche!

Basta con queste prediche!

Mi vuoi fare la predica anche oggi?

La ramanzina è più leggera, ma resta comunque un lungo rimprovero carico di risentimento e di giudizio dal contenuto spesso su una questione morale:

Mia madre mi ha fatto la solita ramanzina perché mi ha beccato ancora una volta a fumare una sigaretta.

Una ramanzina è lunga come un lungo racconto: un romanzo, appunto.

Si potrebbe aggiungere la pappardella. Manca l’aspetto del lungo rimprovero, del giudizio, ma è un discorso lungo e noioso pure la pappardella, abbastanza vicina al più serioso sermone.

Non la voglio fare troppo lunga adesso. Vi lascio al ripasso del giorno.

Hartmut: vi confido un segreto. Non lo dite a nessuno però perché potrebbe costarmi un’amicizia: ho notato che… no, vabbè, scusate ma… proprio me non me la sento di sacrificare un amico per così poco.

Albéric: a proposito di segreti, ho una voglia smodata di dirvi che… hai ragione, non posso neanch’io abbassarmi a tanto!

Rafaela: ma cosa vi prende oggi? A cosa si deve tutta questa riservatezza?

Peggy: a me però questi due non me la raccontano giusta. Non è per caso che sapete qualcosa sul prossimo presidente della Repubblica italiano? Mica mi sconfinferate tanto!

Sergio: cosa? Ma quando mai! Non è il caso di scomodare il presidente per così poco.

Irina: secondo me siete solo due paraventi! Ma a me non la si fa! So bene che state alludendo al fatto che Giovanni, in questo episodio, secondo voi ha dimenticato di parlare del cazziatone. Ma siete smemorati? Ne ha già parlato nell’episodio dedicato al verbo cazziare. Sono sicuro che invece che di qui a poco ci avrebbe ricordato che anche il cazziatone è una particolare forma di predica, filippica o ramanzina che dir si voglia. Vero presidente? Vuoi entrare nel merito adesso?

Giovanni: emm… Sì, certo, chiaramente! Mi spiace aver dato adito a dubbi in merito! Grazie comunque Irina, ti devo un favore!

Marcelo: mah, sarà!